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Autore: Kim WinterNight    28/06/2018    2 recensioni
Scappare non è sempre simbolo di codardia. Ognuno di noi ha un motivo valido per cui vorrebbe scappare da qualcuno o qualcosa: chi per dimenticare, chi per liberare la mente, chi per accompagnare qualcun altro nella fuga, chi per uscire di casa, chi per volere di un'entità superiore...
Ma tutti, forse, lo facciamo per cercare un po' di libertà e per rendere noi stessi più forti e capaci di ricominciare a lottare.
DAL TESTO:
Una vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. [...]
Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.
«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte. [...]
«Non ti incazzare, amico. Ci tenevo solo a invitarti personalmente al mio matrimonio.»
Digrignai i denti e osservai, senza neanche vederli, gli automobilisti a bordo dei loro veicoli che mi superavano e mi evitavano per miracolo, per poi imprecare contro di me e schiacciare sul clacson con fare contrariato. [...]
«Avresti potuto chiedermelo, magari?» commentai, incrociando le braccia sul petto.
«Avresti rifiutato» si giustificò.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan, Nuovo personaggio, Serj Tankian, Shavo Odadjian
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ReggaeFamily

Everything's gonna be alright!

[John]




Bryah era seduta sul tappeto con le gambe incrociate, il portatile appoggiato accanto a sé e una miriade di fogli sparsi tutt'intorno.

Ero appena rientrato da Las Vegas per il weekend e mi sentivo molto stanco, ma allo stesso tempo felice e soddisfatto. I lavori a Torpedo Comics procedevano piuttosto bene, Leah era una grande risorsa per me e tutto si stava mettendo per il meglio.

La mia compagna sollevò gli occhi dallo schermo del computer e mi rivolse un sorriso che subito sciolse il mio cuore. Lasciai i bagagli sulla soglia del salotto e la raggiunsi, chinandomi su di lei per baciarla.

Lei mi attirò a sé e ci ritrovammo sdraiati sul tappeto, stretti in un abbraccio. Era bello tornare a casa, poter sentire quel profumo familiare e quel calore intenso, poter stringere tra le braccia quella donna meravigliosa e dimenticare tutto il mondo fuori.

«Ciao» mormorò Bryah, cercando le mie labbra mentre accarezzava sensualmente la mia schiena.

«Ehi» replicai, tenendola stretta a me. Ricambiai il suo bacio e lo approfondii, beandomi di quel sapore che mi era mancato: un mix inebriante di caffè e menta.

«Com'è andata?» mi chiese lei, appoggiando la testa sulla mia spalla.

«Bene, tutto a meraviglia. Sono sfinito, ma va tutto alla grande» raccontai, lasciandomi sfuggire un breve sbadiglio. «E a te? Stavi lavorando?»

Bryah annuì. «Sto finendo di buttare giù un articolo su una band emergente che sono andata a sentire ieri sera. Faranno strada.»

«Se lo dici tu, ci credo!»

Bryah alzò il viso e mi guardò negli occhi. «Ieri mi hanno comunicato che tra qualche settimana dovrò andare a Kingston per un'udienza. Si tratta di Benton.»

Subito mi rabbuiai e rotolai sulla schiena, tenendo lo sguardo fisso sul soffitto che mi sovrastava. Intrecciai le mani sulla pancia e tentai di assimilare al meglio quell'informazione per niente piacevole.

«John?»

«Sì, ho capito» dissi con calma. «Allora dobbiamo prenotare i voli al più presto.»

Bryah si mise a sedere e mi guardò dall'alto in basso. Il suo bel viso mostrava un'espressione indecifrabile, e le sue labbra carnose erano incurvate verso il basso. «Posso andarci anche da sola, so che hai da lavorare in negozio.»

D'istinto allungai una mano e afferrai la sua, stringendola forte. «Non dire sciocchezze, non ti lascerò da sola. Abbiamo affrontato tutto questo insieme, e lo faremo fino alla fine.» Mi misi a sedere a mia volta e scrollai le spalle. «Leah se la caverà in negozio, non preoccuparti. Quando si terrà l'udienza?» volli sapere.

«Il 22 novembre, di venerdì» disse Bryah, dopo aver afferrato uno dei tanti fogli sparsi sul tappeto. «Dovrebbe essere l'ultima» aggiunse con un sospiro.

«Lo spero. Voglio che tu riesca finalmente a stare tranquilla» affermai, per poi sbuffare e passarmi le mani tra i capelli.

«Andrà tutto bene.» Bryah mi abbracciò. «E... John?»

«Dimmi» sussurrai, immergendo il viso tra la sua folta chioma corvina.

«Quando tutto sarà finito, voglio cominciare a lavorare seriamente al vostro libro» annunciò, spingendomi nuovamente all'indietro sul tappeto. Si sistemò a cavalcioni su di me e mi fissò dritto negli occhi. «Sto già preparando le interviste che intendo farvi. Ci sarà un sacco di lavoro da fare, ma ne varrà la pena» proseguì.

«Io non so se sarò all'altezza della situazione» ammisi, accarezzandole una coscia coperta da un paio di pantaloni sportivi e leggeri.

«Ma certo che lo sarai! Sarà divertente!» Bryah sorrise e si stese su di me, baciandomi con ardore sulle labbra.

Ci spogliammo in fretta, avevamo una certa urgenza di stare insieme, di unirci e stare il più vicini possibile.

Facemmo l'amore con urgenza e passione, per poi ricadere abbracciati sul tappeto e riprendere fiato, mentre ci accarezzavamo con tenerezza e delicatezza.

«Stare qui mi fa sentire al sicuro» disse Bryah, quando l'oscurità della sera calò su di noi e ci ritrovammo immersi quasi completamente nel buio.

«Ne sono felice. Per me è importante» dissi, attirandola ancora più vicino a me.

«Ho fame. So che non è il massimo, ma ho qualche avanzo di ciò che ho preparato oggi a pranzo. Credi di poterti accontentare?» chiese lei.

La baciai sulla fronte. «Certo. Non c'è problema, lo sai.»

Ci alzammo e ci rivestimmo, per poi passare in cucina. Mangiammo e chiacchierammo finché non fummo troppo stanchi per farlo, e allora ci gettammo a letto sfiniti e sereni.


L'udienza fu sfiancante, ma non durò troppo.

Per fortuna Benton non presenziò, e Bryah fu molto contenta di non trovarlo nelle vicinanze.

Per lei fu difficile ascoltare ancora una volta tutta la storia, così come risultò doloroso per lei rispondere ad altre domande che parevano non finire mai.

Infine ci fu una pausa, durante la quale il giudice si ritirò per decidere cosa ne sarebbe stato di Benton. A livello penale era già stato processato e aveva ottenuto una condanna per molestie e violenza fisica, ma quel giorno avremmo saputo se Bryah avesse diritto a un risarcimento per i danni civili subiti da quel coglione del suo ex fidanzato.

Bryah sospirò. «Spero che questo incubo finisca in fretta» borbottò, appollaiata su una sedia imbottita che si trovava in un corridoio del tribunale.

«Non preoccuparti» la rassicurai, posandole una mano sulla spalla. Dal canto mio, avevo deciso di stare in piedi, ero troppo irrequieto per pensare di stare ancora seduto e immobile.

Attendemmo per più di un'ora e trascorremmo per lo più il tempo in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.

Avevamo deciso di alloggiare allo Skye Sun Hotel per un paio di notti, poiché Bryah non se l'era sentita di invadere la casa dei suoi genitori adottivi e non disponeva più dell'appartamento che aveva preso in affitto insieme a Benton.

Avevamo raggiunto l'albergo giusto per lasciare i bagagli, ma non avevamo incontrato nessuno dei nostri amici.

Mentre mi chiedevo quando avrei potuto salutare i ragazzi che lavoravano in albergo, l'avvocato di Bryah ci raggiunse e la mia compagna si alzò subito e gli andò incontro.

«Avvocato Cohen, cosa mi dice?» chiese immediatamente.

L'uomo dalla pelle scura e i lineamenti marcati ci rivolse un breve sguardo. «Il giudice ha deliberato.»

Mi accostai a Bryah e le sfiorai la schiena. «Cosa è stato deciso?» mi intromisi.

«Il signor McGregor è stato condannato a un risarcimento di cinquecentomila dollari. Mi dispiace, non abbiamo potuto fare di meglio» spiegò l'avvocato Cohen con calma.

Bryah annuì e sospirò. «Va bene. Ma Benton non ha soldi, questo cosa significa?» chiese poi.

«Gli verranno sequestrati diversi beni, dei quali ora come ora non può disporre in ogni caso. Venga con me, ci sarebbero da firmare alcune carte, poi potrà andare.»

«Ti aspetto qui» sussurrai.

Bryah sorrise lievemente e seguì il suo avvocato.

Mentre attendevo che lei tornasse da me, controllai il cellulare e notai che avevo diverse notifiche, per lo più messaggi su WhatsApp.

Il primo che aprii fu quello da parte di Leah.


Qui tutto bene, capo! E da voi? Fatemi sapere qualcosa appena possibile, okay? Ah: non dimenticarti di dare i miei regali ai ragazzi :)


Digitai in fretta una risposta in cui spiegavo a Leah che la sentenza era stata appena emessa, poi la rassicurai e scorsi velocemente gli altri messaggi. Ce n'erano alcuni dei miei amici, uno di mia madre e uno di Sako.

Bryah mi raggiunse dopo un po'.

La strinsi in un abbraccio. «Andiamo?»

«Sì, torniamo in albergo e cerchiamo di rilassarci. Abbiamo un po' di tempo tutto per noi» rispose lei, poi mi prese per mano e insieme lasciammo il tribunale.


Il taxi si allontanò in fretta e io contai le infinite monetine che il conducente mi aveva restituito. Gli avevo detto che poteva tenere il resto come mancia, ma lui non ne aveva voluto sapere e ora mi ritrovavo con un mucchietto di ferraglia tra le mani.

«Quant'è?» volle sapere Bryah, sbirciando oltre la mia spalla, mentre camminavamo lungo il vialetto.

«Saranno sì e no quattro dollari» bofonchiai, passando attraverso le doppie porte scorrevoli che si erano appena spalancate.

Notai subito Dayanara dietro il banco della reception. Il ragazzo, con il suo solito portamento discreto, ci sorrise e ci venne incontro.

«Day!» lo salutai, battendogli sulla spalla con fare amichevole. «È bello rivederti» aggiunsi.

«John! Oh, Bryah! Che ci fate qui?» esordì il receptionist, salutandoci educatamente e stringendo la mano a entrambi.

«Avevamo un'udienza, sai, per la storia di Benton...» spiegò Bryah.

«Già, cavoli!» esclamò il ragazzo con aria dispiaciuta. «Spero sia andato tutto bene. Quanto vi trattenete qui?»

«Stiamo qui per due notti» risposi, avvicinandomi al banco.

Lui tornò al suo posto e picchiettò velocemente sulla tastiera del computer. «Vi siete già registrati?»

«Sì, siamo arrivati stamattina. Alwan e Cornia sono nei paraggi?»

Dayanara mi guardò negli occhi e sorrise. «Al è di turno, Cornia sarà qui domani.»

Annuii. «Allora andiamo a prendere un caffè e salutare Alwan. Ci vediamo più tardi» conclusi, avviandomi verso l'ascensore.

Dayanara ci salutò brevemente e fu intercettato da qualche cliente che era appena arrivato.

Io e Bryah chiamammo l'ascensore e attendemmo che le doppie porte si aprissero. Quando ciò avvenne, ci trovammo faccia a faccia con un ragazzone alto e biondo, con l'aria di un vichingo. Indossava una maglia verde a maniche corte con la stampa di una qualche band scandinava su un paio di bermuda grigio topo.

Non appena i suoi occhi chiari si posarono su di me, ebbe un lieve sussulto e si immobilizzò. «Cazzo, tu sei il batterista dei System Of A Down!» esclamò con voce strozzata.

Io dovetti trattenere un sospiro e mi limitai ad annuire. «Indovinato» commentai, sperando si facesse da parte e ci lasciasse andare.

«Fratello! Facciamo una foto!» strepitò il vichingo, estraendo rapidamente lo smartphone dalla tasca dei pantaloni.

«Va bene» acconsentii, notando che Bryah si faceva discretamente da parte.

«Grande! Com'è che ti chiami? Voi della band avete dei nomi un po' strani, non sono mai riuscito a memorizzarli» continuò a blaterare il tizio, mentre impostava la fotocamera interna.

«John» dissi in tono piatto, evitando di fargli notare che il mio nome era estremamente semplice e comune.

Lui annuì con vigore e mi circondò le spalle con il braccio destro, mentre con il sinistro sollevava il cellulare di fronte alle nostre facce. Cominciò a controllare che l'inquadratura andasse bene e non scattò finché non fu soddisfatto della luminosità.

Mi ritrovai pigramente a chiedermi se fosse mancino come me, visto che compieva quasi tutte le azioni con il braccio sinistro.

«Grazie, John! E scusa il disturbo, ma quando mai mi sarebbe ricapitata un'occasione simile?» fece infine, battendomi leggermente sul braccio. «Ci vediamo in giro, fratello!» concluse, per poi allontanarsi in direzione della reception.

Finalmente io e Bryah potemmo prendere l'ascensore e dirigerci verso la terrazza panoramica dello Skye Sun Hotel.

La mia compagna ridacchiò. «Non sapeva il tuo nome?»

Feci spallucce. «No, per niente. Non me la sono scampata neanche stavolta» commentai, incrociando le braccia al petto. Persi lo sguardo oltre il vetro trasparente del box, riconoscendo i luoghi che avevano fatto da cornice alla mia vacanza in Giamaica e all'inizio della mia relazione con Bryah.

Quest'ultima mi si accostò e mi costrinse a sciogliere le braccia, poi si premette con il suo corpo contro il mio e mi baciò sulle labbra. «Come ai vecchi tempi» mormorò, dopo essersi staccata.

La abbracciai e sorrisi. «Hai ragione.»

«Non prendertela per quell'ammiratore, su» mi suggerì, accarezzandomi con dolcezza una guancia.

Afferrai la sua mano con la mia e la portai alle labbra, baciando le punte delle sue dita. «Va bene, va bene.»

Le doppie porte metalliche si schiusero e noi scendemmo dal box, ritrovandoci sulla grande terrazza panoramica dello Skye Sun Hotel. Riconobbi il chiosco in legno al centro del grande spiazzo sopraelevato, i tavolini disseminati ovunque e parzialmente coperti da alcuni ombrelloni. Mi soffermai sulla balaustra che ne delimitava quasi interamente il perimetro, poi adocchiai le casse dalle quali si diffondevano le note di un'allegra e tranquilla canzone reggae.

L'atmosfera era sempre la stessa, anche se novembre era ormai giunto al termine.

«Questa è Tanya Stephens!» affermò Bryah, riconoscendo il brano in sottofondo.

«Ha una voce particolare» commentai, ascoltando più attentamente la musica. «Mi pare di conoscerla, o meglio, lo strumentale l'ho già sentito...»

Bryah si strinse nelle spalle. «Sai come funziona nel reggae, no? Vengono create delle basi dai produttori o dai sound system. Poi ogni artista sceglie se cantarci sopra o meno, e ovviamente crea una sua linea vocale, usa il suo stile...» cominciò a spiegarmi, mentre si avviava verso il chiosco.

«Ah, sì, giusto.»

Proprio in quel momento, Alwan emerse da dietro il bancone del bar e sbiancò nel riconoscerci.

«Ehi! È un miraggio o siete proprio John e Bryah?» esordì, battendosi una mano sulla fronte.

Ridacchiai. «Nessun miraggio. Ciao, Al! Come va?»

il barista fece velocemente il giro del bancone e ci si scaraventò addosso, stringendoci in un forte abbraccio. «Ragazzi! Che bello vedervi! Leah non me lo aveva detto, voleva farmi venire un infarto!»

Bryah rise e gli scompigliò i capelli un po' più lunghi di quanto ricordassi. «Ti trovo bene!»

Alwan annuì con convinzione. «Va tutto alla grande! Insomma, il lavoro è sempre lo stesso, però c'è stato un aumento del personale e si respira un po' di più. Non posso lamentarmi! E voi che fate qui?»

«C'è stata un'udienza oggi, stiamo arrivando proprio ora da Kingston» spiegai, appoggiandomi con i gomiti sul bancone in legno.

Alwan tornò al suo posto e guardò Bryah. «Per quel coglione del tuo ex?» domandò con apprensione.

«Già. È andata bene, tranquillo» replicò lei.

Mi parve più serena, come se stesse cominciando a rendersi conto proprio in quel momento di quanto la situazione si fosse messa bene per lei. Forse stava cominciando a comprendere che era finita, che tutto da quel momento in poi sarebbe migliorato e che avrebbe finalmente potuto riprendere definitivamente in mano la sua vita.

«Meglio così! Vi va un Blue Mountain?» ci propose lui in tono allegro.

Accettammo di buon grado e andammo a sederci a un tavolino poco distante dal chiosco, mentre dalle casse si diffondevano le note di un'altra canzone.

«Questo chi è?» domandai a Bryah.

«Anthony B» rispose senza esitazioni, strizzandomi l'occhio.

«Ti ricordi anche tutti i titoli delle canzoni?» la presi in giro con ironia, fissandola insistentemente con l'intento di metterla in soggezione.

«Ma certo! Quella di Tanya Stephens si intitolava It's A Pity, mentre questa è Reggae Gone Pon Top» affermò con insolenza, restituendomi l'occhiata.

Scoppiai a ridere. «Va bene, hai vinto!»

Alwan volò accanto a noi con un vassoio in mano. Appoggiò le nostre tazzine sul tavolo e si guardò attorno. Dopo essersi accertato che non c'erano altri clienti nei paraggi, scostò una sedia e si accomodò insieme a noi.

«Quanto resterete qui? Perché Leah e gli altri non sono venuti con voi?» volle sapere il barista, osservandoci con gli occhi colmi di felicità.

«Hanno tutti da fare. Ho dovuto lasciare Leah a lavorare nel mio negozio» spiegai.

«Ah sì! Il negozio di fumetti, vero? Me l'ha detto! È una cosa fantastica, John, sul serio!» si entusiasmò Alwan.

«Sta andando bene, sì. È magnifico» confermai, sorseggiando il caffè.

«Ottimo! Sapete, io e Day andremo a vivere insieme. Contiamo di trasferirci nel periodo di Natale, abbiamo trovato un appartamento in città che fa al caso nostro» raccontò, con gli occhi che brillavano e la voce rotta dall'emozione.

«Sul serio? Ma è una notizia strepitosa!» esclamò Bryah, posandogli una mano sul braccio. «Sono felice, ve lo meritate» aggiunse, guardandolo negli occhi.

«Grazie! Non vedo l'ora» ammise il barista.

«La prossima volta che verremo in Giamaica, passeremo da casa vostra» dissi in tono scherzoso.

Continuammo a chiacchierare finché Alwan non fu costretto a tornare al lavoro. Decidemmo di vederci il giorno seguente per trascorrere un po' di tempo insieme, dal momento che per lui sarebbe stato il giorno libero.

Io e Bryah andammo a cena e ci ritirammo nella nostra stanza, sfiniti dal viaggio e dal tempo trascorso in tribunale.

Era stata una giornata intensa, ma ne era valsa la pena. Tutto ciò che avevamo fatto avrebbe giovato al nostro futuro, entrambi lo sapevamo bene.


Ripensavo già con nostalgia a quei due giorni trascorsi allo Skye Sun Hotel, mentre io e Bryah viaggiavamo in aereo verso Los Angeles.

Quel luogo era stato magico, ancora una volta era riuscito a penetrarmi nel cuore e a lasciare un segno indelebile nei miei ricordi.

Osservai Bryah che dormiva sul sedile accanto al mio, con la testa che ciondolava da un lato. Feci in modo che poggiasse il capo sulla mia spalla e sorrisi.

Ripercorsi con la mente la jam session che avevamo improvvisato io e Alwan; era notte fonda e ci eravamo riuniti nella spiaggia privata dell'albergo. Io ero finito a suonare uno djambé, Alwan la chitarra classica e Miriam, la bagnina, si era rivelata una discreta cantante. Bryah aveva scattato qualche foto, mentre Dayanara osservava la scena con ammirazione. Cornia sghignazzava, tenendo Lakyta stretta a sé e insinuando le mani sotto la sua canottiera leggera.

Avevamo bevuto e mangiato, ci eravamo divertiti ed era stato come fare un salto indietro nel tempo, come tornare all'ultima notte della nostra vacanza tutti insieme, quando Daron aveva organizzato quella festa improbabile.

Mi tornò in mente un breve scambio di battute che avevo avuto con Miriam e mi ritrovai a rifletterci su.


«Daron... come sta?»

«Se la cava, non c'è male.»

«Era davvero carino.»

«Già, diciamo che quando vuole sa esserlo.»

«Avrei voluto conoscerlo meglio, ma non c'è stato tempo. Non me la sono sentita di intraprendere qualcosa con lui, sai, non abbiamo proprio avuto modo di...»

«Certo, è comprensibile. Non devi giustificarti, Miriam.»

«Be', ehi, portagli i miei saluti.»

«Senz'altro.»


Forse Daron aveva davvero fatto colpo su quella ragazza, ma dubitavo che ormai ci fosse qualcosa da salvare tra loro. Erano troppo distanti e non si conoscevano; probabilmente Daron si era già dimenticato di Miriam, o forse custodiva il suo ricordo come uno dei tanti bei momenti di quella vacanza in Giamaica, niente di più.

Lakyta non mi aveva rivolto la parola ed era rimasta in silenzio per tutto il tempo. Era come se fosse cambiata radicalmente: si era chiusa parecchio dall'ultima volta che l'avevo vista, da quella notte in cui ci eravamo ritrovati a confidarci sulla terrazza panoramica.

Stava sempre vicino a Cornia, non guardava più in direzione di Alwan, probabilmente aveva capito che lui stava con Dayanara e che per loro due non c'era alcuna speranza. E avevo avuto la vaga impressione che avesse anche compreso che non sarebbe mai riuscita a raggiungere Hollywood come aveva sempre sognato.

Era come se i sogni di quella ragazza si fossero consumati come una vecchia candela, e questo aveva fatto sì che il suo atteggiamento mutasse e la rendesse introversa e taciturna.

Prima di partire, ero riuscito a scambiare due chiacchiere con lei, e sperai vivamente che questo fosse servito a non farle perdere di vista i suoi obiettivi.

Forse era sempre stata una ragazza frivola e superficiale, ma non era cattiva.


«Lakyta, stai bene?»

«Certo. E tu?»

«Vuoi ancora venire a Hollywood?»

«Oh, no. È passata, John, è passata.»

«Non ci credo. Allora ciò che mi hai detto quella notte...»

«Non farci caso. Non conta più. Ora sto bene.»

«Non ti credo. Ti consiglio di non lasciarti abbattere, di non arrenderti.»

«Grazie, ma ormai è tardi.»

«Non dirlo.»

«Be', ti ringrazio per esserti preoccupato, ma adesso sto bene così.»


Di sicuro non avevo potuto costringerla, ma forse Lakyta avrebbe ripensato alle mie parole. Forse si sarebbe riscossa, forse avrebbe capito che non doveva accontentarsi di una relazione con Cornia se non poteva avere Alwan, e che non poteva accontentarsi di un lavoro come cameriera se desiderava fare l'attrice.

Quei pochi giorni, a parte la storia dell'udienza, erano stati ristoratori e mi avevano permesso di ricaricarmi.

Mentre viaggiavo verso casa, sentivo di essere pronto per rigettarmi a capofitto nel progetto Torpedo Comics, per incoraggiare i ragazzi a creare nuova musica insieme, per aiutare Bryah con il suo libro e con tutto ciò che voleva ottenere dalla sua nuova vita.

I pensieri vorticavano nella mia mente, e senza rendermene conto mi addormentai a mia volta sullo scomodo sedile dell'aereo, lasciando cadere la testa contro quella della mia compagna.

Fuori dal finestrino, me ne accorsi appena, aveva cominciato a piovere.




Cari lettori, eccomi qui, come ogni giovedì ^^

La faccio breve, scrivo solo per farvi ascoltare, come di consueto, i brani che ho inserito nel corso del capitolo!

Ecco la prima canzone, It's A Pity di Tanya Stephens:

https://www.youtube.com/watch?v=3p55wXWyc4o

Ed ecco a voi anche il secondo pezzo, Reggae Gone Pon Top di Anthony B:

https://www.youtube.com/watch?v=nEd7CXys2vQ

Mi rendo conto che probabilmente per alcuni di voi questo non è proprio il genere preferito, però ecco, John e Bryah erano in Giamaica e io dovevo dare ancora una volta una certa atmosfera agli avvenimenti, cercate di capirmi ;)

Alla prossima e grazie ancora a tutti voi ♥

  
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