16
“E
quindi uscimmo a riveder le stelle.”
[Dante
Alighieri, La Divina Commedia; Inferno, XXXIV]
-
Belle?
La
porta sbatté alle spalle di Tremotino, mentre lui avanzava
di qualche passo. Le
assi di legno scricchiolarono sotto i suoi piedi. Sembrava non ci fosse
nessuno.
Fuori
aveva smesso di nevicare nel momento esatto in cui Ade era morto. I
nani si
stavano dando da fare per riportare un po’ di ordine in
città. Spalavano la
neve, accumulandola ai bordi delle strade. Gli Azzurri erano andati
dritti
all’istituto della Madre Superiora a recuperare il piccolo
Neal.
Nel
cielo veleggiava ancora l’Aurora Boreale.
-
Belle, sono tornato.
-
Lo
vedo. – rispose Belle, uscendo dal retro. Era terribilmente
seria, pallida e
con gli occhi cerchiati.
Anzi,
non era solo seria. Era furibonda. E Tremotino capì che
sapeva già tutto. Tutto
di lui, tutto ciò che era accaduto negli Inferi.
Lui
estrasse il pugnale e lo posò sul bancone, davanti alla
moglie. Lo lasciò lì. Belle
vi posò gli occhi. La lama scintillò brevemente
nella penombra. Il nome
dell’Oscuro risaltava sullo sfondo nero.
-
Riprenditi il pugnale. – disse, invece, Belle.
-
Quello che ho fatto... l’ho fatto per te. Per nostro figlio.
Ade mi aveva in
pugno, non potevo permettere che...
-
So
benissimo che cosa è successo, Tremo. Malefica è
stata qui. Mi ha mostrato ogni
cosa. – Belle gli fece vedere un vecchio acchiappasogni.
– Un piccolo
incantesimo. Sai, Tremo, hai minacciato sua figlia.
-
Minacciato? È Lilith che ha minacciato me. Se te lo ha
mostrato, dovresti
saperlo. Ha parlato di Neal a sproposito, usandolo per convincermi a
condurla
nell’Oltretomba e poi ha minacciato di farti del male!
-
Lo
credo bene, Tremo. Hai vanificato il sacrificio di Emma. E per cosa?
Per il tuo
grande amore. Il tuo vero amore. Il potere. – Belle buttava
fuori ogni parola
come se gli stesse lanciando contro delle pietre. Lo raggiunse,
fermandosi di
fronte a lui. Non smise di guardarlo nemmeno per un secondo. I suoi
occhi
azzurri erano pieni di amarezza e lacrime. Li aveva già
visti, così. Quando lo
aveva condotto al confine di Storybrooke e poi lo aveva esiliato,
usando il
pugnale. - Poi, negli Inferi, hai fatto di peggio. Malefica ti ha
osservato.
Più volte. Hai stretto un accordo con tuo padre,
perché ti aiutasse con Ade. In
cambio, tu lo avresti riportato in vita.
-
Non
gli avrei mai permesso di tornare in vita, Belle. Io stavo...
Ma
Belle non gli permise di difendersi. – Non solo. Hai cercato
di trascinare
anche Killian Jones nei tuoi piani. Hai fatto leva sul fatto che Lilith
avesse
ucciso Emma per ottenere il suo aiuto. Avresti sacrificato Lilith. Ma
Killian
ha rifiutato l’accordo. E poi hai evocato lo Spettro... sei
stato tu. Ade
voleva usarlo contro i suoi nemici e ha raccontato che era stata Cora,
ma in
realtà... sei stato tu. Hai proposto tu di evocarlo. Era
Lilith l’obiettivo
dello Spettro, ma ne hai perso il controllo.
-
Volevo
aiutarli a riportare indietro Emma Swan e liberarmi di Ade. Lilith
è
pericolosa, Belle. Una vita per una vita... non mi divertiva, ma
eravamo lì per
la Salvatrice. Normalmente... non si può tornare indietro.
Qualcuno deve
morire. L’Anti Salvatrice...
-
Non
la chiamare in quel modo. – lo interruppe Belle. –
E vattene via. Ho bisogno di
restare sola.
Tremotino
allungò le braccia, ma lei si ritrasse. - E il bambino?
Belle
non gli rispose.
- Mamme!
Emma
aprì gli occhi, scoprendo di essere ancora abbracciata a
Regina.
Solo
che non era più nell’Oltretomba. Era a
Storybrooke.
Era
nello stesso punto in cui si trovava quando era morta. Davanti al lago,
che era
la porta per raggiungere il regno di Ade. L’erba era coperta
da un pesante
strato di neve fresca. Gli alberi erano spogli e dai rami cadevano
blocchi di
neve. Però l’aria era limpida e il cielo non era
rosso, ma azzurro.
E
c’era qualcosa... dei colori che danzavano. Tendaggi colorati
sospesi nel
cielo.
Credette
d’immaginarseli, ma anche Regina li stava osservando,
perplessa.
Henry
si precipitò da loro, correndo. Quando le raggiunse era
senza fiato e le
abbracciò entrambe.
-
Siamo
tornate. – mormorò Regina, stringendo suo figlio.
Ancora stentava a crederci.
Solo un attimo prima erano in balia di Cerbero. Solo un attimo prima
Emma
giaceva a terra, esanime, appena cosciente, appena in grado di
inghiottire un
pezzo di ambrosia.
Invece
ora era lì, con la sua giacca rossa. Una giacca rossa
intatta. Lo strappo
provocato dagli artigli di Cerbero era scomparso.
-
Ce
l’abbiamo fatta. – disse Emma, sorridendo e
prendendole la mano.
Mary
Margaret teneva in braccio il piccolo Neal. Appoggiò la mano
libera sul viso
della figlia.
-
Come
sapevate che eravamo qui? – chiese Emma.
-
C’è
sempre qualcuno che sa dove ti trovi. – rispose David.
Lily
aveva
un aspetto di gran lunga migliore rispetto all’ultima volta
che l’aveva vista. –
L’ho sentito. È stata... una sensazione.
-
Papà...
stai piangendo? – chiese Emma, guardando David.
-
Certo
che no. Sapevo che saresti tornata. – In realtà
aveva le guance bagnate.
-
Ogni città qualche guaio ha... ma qui è
là
c’è serenità... ma non a Nottingham!
Marian
batté le palpebre, sorpresa dai raggi del sole. I suoi
stivali scricchiolarono,
calpestando la neve.
-
Com’è triste subir questa tirannia e non
poter volare via... – La
voce del menestrello si interruppe di botto, con un singhiozzo
strozzato. Poi
riprese, ma quando lo fece era molto più alta. – FORSE UN PO’ DI GIOIA TORNERA’!
ANCHE A NOTTINGHAM!
Subito
Marian udì i passi di corsa. Piccolo John
scivolò, finendo gambe all’aria. Due
compagni lo presero per le braccia e lo tirarono su.
-
Che
succede, Cantagallo?
-
Mamma?
Marian
fissò il bambino di quattro o cinque anni che veniva
trotterellando verso di
lei. Dapprima pensò, terrorizzata, che fosse successo
qualcosa a Roland e che
anche lui si trovasse nel posto migliore. Aveva semplicemente seguito
la luce,
le voci che la chiamavano... ma Robin le aveva assicurato che Roland
era al
sicuro con le fate.
-
Marian, sei tu?
-
Mamma!
Marian
sollevò il suo bambino e lui le mise le braccia intorno al
collo.
Robin
fissava
la moglie, incredulo. E questa volta era davvero sicuro che fosse
Marian. Non
era un trucco, non sembrava un incantesimo messo in atto per
ingannarlo.
-
Robin...? Sono... Dove diavolo sono?
-
A
Storybrooke, milady. – intervenne John, poiché
Robin non riusciva ad emettere
nemmeno un suono. – Siete voi, vero? Questa volta... siete
voi.
Sono
viva?
Guardò
la bambina di Zelena addormentata tra le braccia di Robin e le facce
sconvolte
degli altri uomini. Persino Cantagallo la guardava con occhi che erano
diventati enormi.
Non
era il posto migliore. Era il mondo dei vivi.
Era
tornata.
-
Non
capisco. Ero nell’Oltretomba. Credevo di essere passata
oltre...
Poi
tutto intorno a lei si fermò di colpo.
Tutti
erano improvvisamente immobili. Robin, sua figlia, con le manine tese
verso il
volto del padre, John e l’Allegra Brigata dietro di lui,
Cantagallo seduto su
una roccia, a piedi scalzi e con la bocca spalancata. Persino Roland
era come
congelato, con un grande sorriso stampato sul volto e gli occhi marroni
che
brillavano.
Marian
sentiva ancora il vento tra i capelli, ma i rami degli alberi non si
muovevano.
-
Bentornata
tra i vivi, milady. – disse un ragazzo, passando in mezzo a
due uomini di
Robin.
-
Cos’hai fatto? – gli domandò,
indietreggiando di un paio di passi e stringendo
di più a sé Roland. – Chi sei?
-
Sono
solo un messaggero. Non abbiate paura.
Quando
fu abbastanza vicino, Marian si accorse che non era affatto un ragazzo.
Lo
sembrava, ma le sue iridi erano dorate ed erano quelle di un uomo
immensamente
vecchio. Era a petto nudo ed indossava un elmo e un paio di calzari, da
ognuno
dei quali spuntavano un paio d’ali.
-
Il
mio nome è Ermes. E voi siete qui per volere di mio padre,
Zeus. Non so se sua
moglie ne è contenta, ma quello non importa, ora.
– Il Messaggero degli Dei
sorrideva, furbescamente. – Mio padre vi ringrazia.
È per questo che siete tornata.
Confusa,
Marian scosse il capo. – Ringrazia... per cosa?
-
Il
medaglione che avete dato ad Emma Swan ha distrutto Cerbero. Quel
cagnaccio
infernale è morto. Ed è un bene. –
Ermes si levò in volo davanti a lei e
volteggiò a mezz’aria. Incrociò le
braccia al petto. – Ade e Cerbero. Due in un
colpo solo. Erano millenni che non ci divertivamo tanto. Siete stata
molto coraggiosa.
Anche quando eravate in quel labirinto. Avete meritato una seconda
chance.
Il
Labirinto. Il Minotauro. La sua lunghissima permanenza in quel posto
aveva
assunto i connotati di un sogno. Come se fosse accaduto a qualcun
altro.
-
Ed
Emma?
-
Sta
bene. È con la sua famiglia e con la donna che ama.
– Le ali sbatterono ed
Ermes salì un po’ più in alto.
– Andate, adesso. Tornate dalla vostra famiglia.
Dove meritate di stare.
***
Granny
non si era risparmiata.
Si
era
data da fare in cucina perché tutti potessero mangiare in
abbondanza e non si
era fermata un attimo. Nonostante tutto, non sembrava affatto stanca.
Ma ognuno
aveva comunque portato qualcosa. C’era chi aveva optato per
le torte salate e
chi per delle varietà di affettati e formaggi. Chi aveva
portato dolci e chi
del prosciutto affumicato.
Regina
era arrivata con una teglia di lasagne e polpettine di carne. Ed era
arrivata
tenendo Emma per mano. Nessuno aveva fatto domande, sebbene le facce
sorprese
non fossero mancate.
Henry
era corso incontro alle sue madri, abbracciandole e prendendo in
consegna la
teglia.
-
Dove
hai trovato il tempo di preparare le lasagne? – aveva chiesto
David, ammirandole.
-
La
magia serve anche a questo. – rispose Regina.
Henry
ovviamente si servì subito e aiutò a distribuire
le porzioni. I nani si
abbuffarono, sorseggiando birra da grossi boccali e incitando almeno
una decina
di brindisi.
E
tutti vollero parlare con Emma. Lei li ricevette, accettando le strette
di
mano, le pacche sulle spalle e gli abbracci. La cosa iniziò
ben presto a darle
sui nervi, ma non voleva essere scortese. Non capitava tutti i giorni
che qualcuno
tornasse in vita senza conseguenze.
Apparentemente
senza
conseguenze. Non si era dimenticata ciò
che le aveva detto Ade.
“Euridice
non era più la stessa.”
“L’ambrosia
le aveva permesso di andarsene, ma
questo posto... l’aveva corrotta.”
Non
si
sentiva corrotta. Si sentiva un po’ confusa, spossata ed era
sicura che molte
delle cose che aveva visto nell’Oltretomba
l’avrebbero seguita a lungo. Ma non
percepiva nulla di sbagliato.
Decise
di chiudere la mente a quei pensieri e chiese a sua madre di passarle
il
piccolo Neal.
- Mi
chiedevo se non volessi un po’ delle mie lasagne? –
domandò Regina alla
sorella, che sedeva in un angolo, da sola, con gli occhi fissi sulla
strada
fuori dalla finestra.
-
Non
ho fame.
-
Magari
cambierai idea assaggiandole.
Zelena
si voltò, trafiggendola con uno sguardo di fuoco.
Fissò il piatto che le aveva
messo davanti, come se le stesse offrendo delle mele avvelenate.
Ma
Regina sapeva benissimo che non era furiosa con lei. - Lo risolveremo,
Zelena.
Troveremo una soluzione.
-
Ah,
sì? E come? Sfiderai Era a duello? - la
sbeffeggiò Zelena. – Stare troppo vicina
agli Azzurri non ti fa bene. Inizi a parlare come la tua peggior
nemica.
-
Non
è più la mia nemica.
-
Ma
almeno un passo avanti lo hai fatto. Con la Salvatrice, intendo.
Pensavo
sarebbe trascorsa un’altra mezza eternità prima
che vedessi quello che avevi
sotto al naso. – Parlava a raffica, ma almeno, pur essendo
furibonda, aveva
afferrato la forchetta e attaccato le lasagne.
Regina
sorrise, osservando Emma con Neal in braccio. Il bambino si stava
divertendo a
torturare l’orecchio sinistro di Henry.
-
Ho
parlato con Robin. Domani potrai vedere la bambina. – disse
Regina, sedendosi
davanti alla sorella.
Zelena
mangiò un altro pezzo di lasagna. A giudicare
dall’espressione era molto
soddisfatta. Tuttavia, rimase sul chi va là.
-
Parlo sul serio. Potrai vederla quando vorrai.
-
Ma
che pensiero gentile... e perché hai fatto questo... per me?
-
Perché so che grazie a lei puoi essere migliore. –
Regina rispose senza esitazioni.
– Quando eravamo nell’Oltretomba hai fatto la cosa
giusta. Hai pensato prima di
tutto a tua figlia. Amavi Ade, ma l’hai eliminato. So quanto
deve essere dura
per te.
-
È
molto più dura sapere che dovrò prendere il suo
posto! – gridò, guadagnandosi
qualche occhiata infastidita da parte dei vicini di tavolo.
Regina
allungò una mano, quasi a voler stringere la sua, ma poi
capì che Zelena non
avrebbe gradito e quindi la ritrasse. – Ti prometto che
cercherò una soluzione.
Immagino che non sia facile per te credermi, ma... lo farò.
Lily
entrò accompagnata da sua madre. Malefica si diresse al
bancone, dove Granny
l’attendeva, guardandola di sottecchi, come se si aspettasse
un incendio nel
suo locale da un momento all’altro.
-
Pensavo
non saresti più venuta. – disse Emma, offrendole
una Heineken.
-
Sai
che non sono una persona puntuale. – le rispose, prendendo la
bottiglia. – Ma
perché avrei dovuto perdermi una festa?
Emma
l’attirò a sé per abbracciarla. Lily ne
fu sconcertata lì per lì e ci mise
qualche istante a ricambiare la stretta.
-
Che
cosa fai?
-
Scusami. – disse Emma. – L’idea era
quella di... ringraziarti.
Lily
batté le palpebre, sorpresa. – Ringraziarmi per
cosa? Non sono stata io a
combattere contro un enorme cane infernale o ad accompagnarti... nelle
profondità dell’Averno.
-
No,
ma tu... hai deciso di provarci. Tu hai deciso di... venire a
prendermi, anche
se sembrava una follia.
-
Perché era giusto. Ti eri sacrificata per distruggere
l’oscurità e invece
lui... aveva vanificato tutto. Ma a chi la voglio raccontare, sarei
venuta a
prenderti comunque. Quella faccenda ha solo accelerato i tempi.
Emma
sorrise.
-
Dov’è, a proposito? Tremotino. Non è
stato invitato?
-
Credo che abbia ben altro a cui pensare. – Emma
osservò Henry mentre mangiava
il secondo piatto di lasagne con Neal sulle ginocchia. Mary Margaret
aveva
appoggiato la testa sulla spalla di David. Killian non era venuto, ma
non si
aspettava che lo facesse. Suo padre le aveva detto che era sulla sua
nave. Sapeva
che avrebbe dovuto parlare ancora con lui. Nell’Oltretomba
non aveva davvero
avuto modo di dirgli ogni cosa.
Era
tutto... di nuovo normale. Magari questa volta sarebbe durata. O magari
no. Ma
era comunque una bella sensazione.
-
Vorrei quel contatto di Boston di cui mi parlavi. – le disse
Lily.
-
Quindi vuoi farlo? Vuoi cercare la figlia di Murphy?
-
Penso proprio che lo farò, sì. Non ho idea di che
cosa le dirò, ma... sento che
devo.
Emma
glielo diede. – L’importante è che tu
non ti metta nei guai. Non so se potrò
raggiungerti quando avrai superato il confine.
-
Me
la caverò. Non fare come mia madre.
-
Tua
madre, a volte, ha ragione. Sa che cosa hai intenzione di fare almeno?
-
Non
ancora. – Lily mise in tasca il biglietto con il nome e il
numero del contatto.
– C’è anche un’altra cosa...
-
Cioè?
-
Vuoi
ancora... vuoi ancora farlo? Sai, quello che mi hai detto
nell’Oltretomba, sul
fatto che dovremmo spezzare l’incantesimo che ci lega...
– Lily lo disse usando
un tono guardingo. Forse avrebbe dovuto aspettare che le cose si
calmassero un
po’ prima di parlargliene. Ci aveva riflettuto a lungo,
ricordandosi delle
parole di Merlino, ma anche di quanto le era costato portarsi dietro il
potenziale
oscuro di qualcun altro. - Perché io non credo che sia una
buona idea.
Emma
sorrise e le strinse una mano. – Ero preoccupata. Credevo
sarebbe stato meglio
per te.
-
Merlino
diceva la verità. Possiamo separarci, ma questo... questa
cosa... ormai è parte
di noi. E lo sarà sempre.
Regina
alzò la testa ed ammirò l’Aurora
Boreale che veleggiava nel cielo scuro.
Non
faceva più così freddo. L’inverno
causato dal rapimento di Zelena stava
svanendo, eppure quel fenomeno sembrava ancora al massimo della
potenza, si
rifiutava di cedere. Una strana, ipnotizzante magia.
-
È
qualcosa che dovremmo tenerci, secondo te? –
domandò Emma, avvicinandosi.
-
Non
lo so. Non ho mai visto nulla di simile. – ammise Regina. Gli
occhi della
Salvatrice sembravano intenti a risucchiare i colori
dell’Aurora. Le iridi
furono verdi e poi azzurre e poi più tendenti al blu. Regina
si lasciò
scivolare tra le dita l’unica ciocca bianca di Emma.
-
Sai,
aveva ragione mia madre. Sul lieto fine, intendo.
-
Ah,
sì?
-
Ricordi
quando ci disse che il lieto fine non è sempre quello che ci
aspettiamo?
Regina
roteò gli occhi. – Come dimenticare. Se potesse
guadagnare soldi ogni volta che
fa questo genere di discorsi, sarebbe la donna più ricca del
reame.
-
Però
ha ragione.
-
Ho
ancora qualche difficoltà ad ammetterlo, ma...
sì.
Regina
si sporse per baciarla ed Emma dischiuse le labbra, assaporando quel
contatto.
Era una cosa naturale, come se lo avessero sempre fatto.
Il
bacio si intensificò quasi subito ed Emma si
ritrovò a seguire la cicatrice di
Regina con la punta della lingua.
Una
nube scura le avvolse, cancellando il cielo e i colori
dell’Aurora Boreale, e
quando si dissolse erano a casa di Regina.
-
A
nessuno farà piacere sapere che abbiamo abbandonato la
festa. – disse Emma.
Però sorrideva. Strusciò il viso contro la mano
di Regina, chiudendo gli occhi.
Sfiorò il palmo con le labbra e poi depositò dei
piccoli baci sulle vene del
polso.
-
Non
se ne accorgeranno. Non subito, almeno. – Si
chinò, seguendo la linea della
mascella con le labbra. Poi le baciò il lobo e la pelle
dietro all’orecchio. Nel
frattempo le dita di Emma armeggiarono con i bottoni della sua camicia.
– E poi
credi che me ne importi qualcosa ora?
-
Oh,
sono sicura di no.
Regina
la baciò ancora e prese la sua mano, conducendola sul
proprio petto,
nell’incavo caldo fra i seni. Emma
l’attirò contro di sé, baciandole il
collo.
Si
spogliarono lentamente e Regina non ebbe alcuna esitazione quando
scivolò sul
letto, portandola con sé. Le sembrò che i loro
corpi si incastrassero
perfettamente, che la sua pelle non aspettasse altro che quel contatto.
Lasciò
che i capelli biondi della Salvatrice scivolassero sul suo viso. Le
strinse le
spalle, aggrappandovisi con forza, affondando leggermente le unghie
nella pelle
chiara di lei e avvinghiandole il bacino con le gambe.
Emma
sollevò un po’ la testa per guardarla negli occhi.
Nella penombra della stanza
i suoi sembravano molto più verdi.
-
Sei
bellissima. – sussurrò Emma, con la voce spezzata.
***
Storybrooke.
Una settimana dopo.
L’auto
si fermò proprio a pochi metri dal confine della
città e la parte anteriore del
veicolo rigettò un bel po’ di fumo.
Lily
mise in folle e provò a riaccendere il motore, incitandolo
come se stesse
parlando con un essere in grado di comprendere la sua lingua.
Nessun
segno di vita, a parte un debole colpo di tosse.
Lily
scese, sbattendo la portiera e colpendola con un calcio. Le dita dei
piedi
lanciarono un grido di dolore e lei si ritrovò a saltellare
in cerchio, ripassando
ogni imprecazione mai inventata e combinandolo in un unico capolavoro
di
volgarità. Ma tanto non c’era nessuno nei
dintorni. Solo la strada. Gli alberi.
Il cartello verde con la scritta LEAVING STORYBROOKE.
-
Sei
sicura che la macchina reggerà? Il confine di Storybrooke
non è... molto
stabile. – le aveva detto Emma, prima che Lily salisse in
macchina. Nella tasca
della giacca aveva la foto della figlia di Murphy. Il contatto di Emma
era
stato molto utile.
Doveva
immaginarlo che sarebbe successo qualcosa che le avrebbe impedito di
lasciare
la città. E la macchina non era nuova. Ma sperava che
l’avrebbe condotta fino a
Boston.
-
Problemi?
Lily
si voltò, in tempo per vedere un tizio in sella ad una
vecchia motocicletta
fermarsi accanto al catorcio fumante.
Lo
riconobbe. Era August. L’aveva visto al Granny’s
più di una volta e sapeva che
era amico di Emma.
Pinocchio.
-
Molti. – rispose Lily, stizzita.
August
slacciò il casco e scese. Si permise di dare
un’occhiata all’auto, sollevando
il cofano e agitando le mani per scacciare il fumo. – Direi
che è andata. C’è
poco da fare.
-
Non
è quello che avrei voluto sentire.
-
Mi
dispiace. Dov’eri diretta? – Si tolse un attimo il
casco, rivelando i capelli
corti e scuri. Il suo sorriso era gentile, molto amichevole. Indossava
una
vecchia giacca di pelle, i jeans sbiaditi e un paio di stivali da
cowboy.
Probabilmente anche lui stava lasciando la città
perché c’erano un paio di
borse agganciate alla motocicletta.
-
A
Boston.
-
Boston... – ripeté lui. Abbassò il
cofano, sfregandosi le mani. – Posso portare
una persona in più. La mia motocicletta è in
ottima forma.
-
Non
ti ha mandato Emma, vero?
Il
sorriso di August si allargò, quasi si fosse aspettato
quella domanda. – Credo
che Emma sappia che te la puoi cavare da sola, Lilith.
-
Come
sai il mio nome, quindi?
-
Ormai lo sanno tutti. Sei andata all’Inferno e hai portato
con te tutta la
famiglia di Emma. E siete tornati.
Lily
fissò la motocicletta ferma accanto all’auto.
Sapeva benissimo che in un modo o
nell’altro doveva lasciare la città se voleva
davvero trovare la figlia di
Murphy.
Trovare
la figlia di Lucignolo facendosi dare un passaggio da Pinocchio.
-
Sono
contento di vedere che sorridi. È un buon segno. –
osservò August. – Non farò
la stessa offerta una seconda volta.
Sopra
di loro l’Aurora Boreale brillava ancora. Sembrava si stesse
riducendo
lentamente, ma ancora resisteva, come se una strana magia la tenesse
ancorata
al cielo. Una volta superato il confine, sarebbe sparita.
-
D’accordo. – disse Lily. – Andiamo.