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Autore: PawsOfFire    06/07/2018    2 recensioni
Russia, Gennaio 1943
Non è facile essere i migliori.
il Capitano Bastian Faust lo sa bene: diventare un asso del Tiger richiede un enorme sforzo fisico (e morale) soprattutto a centinaia di chilometri da casa, in inverno e circondato da nemici che vogliono la sua testa.
Una sciocchezza, per un capocarro immaginifico (e narcisista) come lui! ad aggravare la situazione già difficoltosa, però, saranno i suoi quattro sottoposti folli e lamentosi che metteranno sempre in discussione gli ordini, rendendo ogni sua fantastica tattica fallimentare...
Riuscirà il nostro eroe ad entrare nella storia?
[ In revisione ]
Genere: Commedia, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Furia nera, stella rossa, orso bianco'
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Successe quello che storicamente, anni più tardi, venne ricordato come il D-day dello sbarco in Normandia.
Qualche tempo prima, tra marzo ed aprile, ai pezzi grossi venne la bella idea di portare via parte delle nostre forze già esigue e trasferirle in Francia.
Ovviamente fu un lungo processo di selezione e che vide il sottoscritto ed il suo equipaggio indegnamente scartato.
Solo i migliori sarebbero partiti. Trovai piuttosto divertente che, dopo quattro anni di guerra, nessuno ancora considerasse il mio vero valore.
Mi presentai quindi dal Colonnello con gli stracci fetidi che avevo addosso da quattro anni, la barba sfatta da mesi e gli occhi scavati dal Pervitin. Solo le mostrine brillavano in me.
“Capitano Faust, so già cosa vuole chiedermi” mi zittì ancora prima che potessi aprire bocca.
“La risposta è sempre la stessa. No, lei non andrà in Francia. Come può intuire ci servono solo gli uomini migliori…guardi Wittman*. Vada a rivolgergli la parola finché si trova qui. Presto partirà e lei perderà l’occasione di diventare un uomo migliore”
Me ne andai sconsolato, chiudendo silenziosamente la porta nel tentativo di sparire in un soffio.
Senza tende, senza cibo, senza carro e, soprattutto, senza speranze, ci eravamo accampati ai piedi di un ospedale fatiscente. Parte dell’edificio era stato adibito a stanze per ufficiali a discapito dei feriti.
Temetti di impazzire. Si era creata una situazione paradossale e tutto ciò che avevamo pericolosamente costruito in questi lunghi anni aveva perso importanza perché stavano arrivando gli americani belli freschi dal loro fottuto continente.
E la Russia? La bellicosa, invincibile, dannata Russia? Il freddo, la fame, gli stenti dell’inverno senza fine. Avevano detto che il comunismo era il nemico, che avremmo dovuto bussare alla porta di Stalin con la carabina in mano.
Avevamo visto tutto questo. Forse, ci avevamo perfino creduto. Ma adesso di noi sarebbe rimasto solo il ricordo. Stefan citava spesso, nelle sue missive, i campi di papavero e spighe sotto cui riposavano gli eroi del fronte occidentale.
Sopra di noi solo la neve. E, una volta che fosse giunto il disgelo, nemmeno quella sarebbe rimasta a coprirci.
Caparbio della mia superiorità feci comunque del mio meglio per ignorare quello che un tempo fu oggetto delle mie ammirazioni. Ultradecorato, Wittman brillava di luce propria.
Io, offuscato ed opaco, con la mia decina scarsa di carri distrutti alle spalle, bruciavo di gelosia. Pur tentando di riapparire presentabile, rasato e relativamente pulito, non ebbi comunque accesso alla Francia.

 
 
Il lunghissimo inverno, la piovosa primavera e la torrida estate continentale significavano solo una cosa.
Funghi.
Enormi e succulenti porcini crescevano indisturbati sotto le querce verdi e rigogliose.
I soldati, quelli rimasti, erano troppo giovani o troppo stupidi per capire quanto potesse essere utile una cesta di finferli in un momento delicato come quello.
Convocai l’intera compagnia, cane e piccione compresi.
D’altronde, in guerra, non si fa distinzione di razza, sesso e specie.
Tutti sono nella merda in egual misura.
“Soldati…dobbiamo andare a caccia. Non di russi e nemmeno di bestie…non che ci sia differenza ma non è questo il punto.
Chi sa dirmi qual è il modo migliore per arruffianarsi un superiore?”

“Il culo!” esclamò un ragazzotto mai visto prima.
“Il fungo!” obiettai.
“Egregia dialettica, signor Capitano! Lei sa davvero come sottintendere certi argomenti!”
Ancora una parola e sarei scoppiato.
“…I funghi. Quelli che crescono nel bosco. Se vogliamo andare in Francia a mostrare di che pasta siamo fatti è cosa buona e giusta ingraziarci i superiori con metodi approvati dalla società.
Una volta giunti nel fronte occidentale avremo donne, buon vino ed armamenti migliori.
Pronti a seguire il vostro Capitano e morire per lui?”

Già mi pregustavo un’unanime ovazione.
Invece calò il silenzio.
 

Visto che nessuno sembrò approvare la mia idea, decisi di relegare la questione ad una sfera più…intima.
Mi ero fatto firmare, per l’occasione, un bellissimo lasciapassare per andare a prendere i rifornimenti.
Anzi, cinque. Quello che credetti un caritatevole atto del Colonello venne maliziosamente sgamato dalla vecchia mappa macchiata di caffè che, al primo sguardo, indicava un ingente compagnia corazzata sovietica che, senza, fretta, si stava dirigendo verso la nostra destinazione.
Con la scusa dei viveri avrei potuto allontanarmi un po’ dagli sguardi indiscreti dei commilitoni che lesti si appropinquavano a partire per la Francia.
Geniale, nevvero? Nonostante l’idea che il Colonnello volesse sbarazzarsi di noi mi nauseasse, sapevo benissimo come difendermi.
“E comunque” obiettai, infilando i preziosi documenti nel taschino della divisa “potranno esserci anche cinquemila carri in marcia ma si fidi, tornerò sano e salvo, merce inclusa”
“Mi fa piacere sentirglielo dire, Capitano Faust. A tal proposito potrei darle un giorno libero in più.
Ultimamente i russi viaggiano più lentamente, non trova?”

Mi congedai educatamente, concedendomi un raffinatissimo sputo appena fui lontano dalla sua visuale.
 
Partimmo l’indomani e di buon mattino.
Tom, sigaretta in bocca e braccio fuori dal finestrino a penzoloni, guidava svogliatamente con il sole dritto negli occhi, malamente riparato dal cappellino di servizio messo di tre quarti.
Al suo fianco c’era, ovviamente, il sottoscritto che, binocolo in mano, cercava di attuare la logica del carro armato su una camionetta.
Sul retro, malamente nascosti da teloni da paracadutista adibiti a tetto, c’erano tutti gli altri.
Cane e piccione compreso.
Alla prima chiazza boschiva però, anziché proseguire verso la nostra meta, ci inoltrammo nel folto del verde alla ricerca dei santissimi miceti.
Non fidandomi, decisi di accantonare l’idea di dividerci in gruppi. Klaus e Martin avrebbero potuto scappare da un momento all’altro, coronando il loro sogno di diserzione.
Armati di coltello da combattimento a serramanico presi gentilmente in prestito da alcuni paracadutisti andati a miglior vita, ci accingevamo, scivolando nel fitto fogliame come serpi, a depredare il bosco di querce dai preziosi funghi. Volker, per esentarlo da ogni iniziativa, reggeva la cassa di legno ancora tristemente vuota.
In quella torrida estate 1944 a nessuno interessava andare a caccia di funghi. Certo, spesso i campi erano pieno di mine e soldati armati…escludendo la fauna selvatica quali orsi, lupi, carri armati e bombardieri sovietici…in effetti i pericoli non mancavano ma la soddisfazione, cazzo! Una cassa di…
“Sicuro che siano porcini, questi?” mi domandò Tom, annusandone uno con poca convinzione.
“Mai andato a trifola, eh?” risposi, rigirandomi tra le mani quello che sembrava un magistrale tartufo da mezzo chilo che Fiete aveva scovato appositamente per me.
“Dubito di aver mai mangiato funghi in vita mia. Però…guardi qua, Capitano Faust…è strano, con la cappella di un brutto colore, guardi…”
“Mi delude, Tom. Credevo che lei se ne intendesse, di cappelle…”

“Sono serio, Herr! Guardi, aveva detto esplicitamente di cercare solo funghi marroncini e spugnosi…”
Posai il tartufo paradisiaco per perdere tempo sulla misteriosa creatura boschiva.
 “È commestibile, certo. Anche se non lo fosse…beh, lo daremo a quello stronzo del colonnello. Non riesce a distinguere l’oro dalla merda, figuriamoci i funghi!”
Stranamente, Martin e Klaus si erano messi all’opera. Pur non avendo mai messo mano sopra un porcino, i due berlinesi (in qualità di abitanti di città) riuscirono a riempirsi le mani di piccoli funghetti a chiodino che crescevano floridi in un ceppo muffito.
Soddisfattissimi, corsero da me per mostrarmi il loro bottino. 
“Guardi, Capitano!” esclamarono all’unisono, sotto il mio sguardo scettico ed arricciato in un’espressione scettica.
“Ho come l’impressione che stiate complottando per avvelenare la truppa. Un gesto nobile, ammetto, perché quegli incapaci avranno la vita misurabile in ore, quando saranno in Francia.
Ma questi”
e strappai dalle loro mani quei piccoli disseminatori di morte “ci costeranno una bella fucilazione ed io non ho assolutamente intenzione di morire adesso, grazie”
I loro occhi divennero grossi come palle da biliardo.
“Capitano…noi…avevamo fame e ci siamo fidati della sua parola…e…”
Incredibile.
Non mi ascoltano mai e l’unica volta in cui avrebbero dovuto usare un po’ di buon senso…
“Un buon fungaiolo non mangia mai il proprio raccolto-” replicai.
“Dica a mia moglie che sono morto da eroe difendendo i confini della patria…” Klaus si accasciò a terra con fare melodrammatico mentre Martin, al suo fianco, balbettava qualcosa tipo “oh no, amico mio! Ti ho convinto io a mangiare i funghi!”
Ciliegina sulla torta, Volker ci consigliò di chiedere i soccorsi con il suo piccione viaggiatore Mein Schatz. La bestiola, chiusa in una gabbietta allacciata alle sue spalle come uno zaino, tubava spaventata.
Il delirio.
Decisi dunque di tagliare la testa al toro e concludere così l’infortunata caccia al fungo con un paio di porcini ed un tartufo da mezzo chilo che…si! Quello sarebbe stato la chiave per la Francia!
Tornammo al furgone. Klaus, sdraiato sul retro, pregava ad occhi chiuso assieme al suo amico Martin, in ginocchio a mani conserte. Nonostante io, quale Capitano magnifico e privo di torto, provassi a far capire loro che non sarebbe successo nulla nonostante la loro totale inettitudine quelli, a metà del viaggio, chiesero di essere lasciati sul ciglio della strada a morire.
E lo fecero a gran voce, contrastando perfino il rumore del motore e dei continui saltelli dati dal terreno schifosamente instabile! Incredibile, per un gruppo di avvelenati in procinto di tirare le cuoia!
Difatti, appena giungemmo in Fureria, quelli si alzarono vispi come galletti per aiutarci a caricare i miseri rifornimenti che il furiere ci autorizzava a prelevare.
La nostra dieta oramai era basata unicamente su cavoli, patate e rape. Daniel sarebbe stato fiero di noi. Se avessimo voluto mangiare carne avremmo dovuto provvedere da soli.
Le bistecche erano il nostro punto debole, quello in cui la propaganda russa amava fare più pressione.
Sempre più spesso pattugliavano i nostri confini incitando a gran voce la resa.
 

Una volta, e fu davvero un colpo basso, organizzarono un vero e proprio banchetto di carne.
In realtà noi non vedemmo nulla ma quello che udimmo nei loro altoparlanti bastò a far gorgogliare i nostri stomaci.
“Compagni!” gracchiava la voce maschile con fortissimo accento russo.
“Noi ci stiamo apprestando a banchettare con uno splendido stufato di manzo e cipolle! Compagno Ivan, ci spieghi come ha fatto a cucinare una portata così deliziosa!”
“Compagno Josif, è una ricetta molto semplice. Al macello, due giorni fa, sono andato a prendere un vitello! Si, un capo di pochi mesi, che ancora si nutriva di latte! Non mi dica nulla, compagno! Il taglio di coscia che ho utilizzato pareva burro sotto il mio coltello!”

Io, riverso a terra nel vano tentativo di imparare a nutrirmi di luce come le piante, inizia ad osservare un grosso sasso muschioso come se fosse un bignè.
“Se solo i nostri compagni tedeschi fossero con noi, a godersi questo delicato profumo! La carne sfritta nello strutto! E le cipolle che scricchiolano e si indorano! Vuole assaggiare, compagno Josif?”
Presi il sasso tra le mani ed iniziai a leccarlo.
“Sublime, compagno Ivan! L’Unione Sovietica non abbandona mai il suo popolo! Compagni tedeschi, cosa c’è dentro i vostri piatti? Adesso i nostri uomini porgeranno le loro gavette e ben presto saranno riempite con questo delizioso stufato! Abbandonate i vostri luridi superiori, che vi nutrono a segatura! Poggiate le armi, prendete i cucchiai: sarete sazi e liberi dal giogo del nazismo!”
Nonostante la mia fedeltà alla bandiera a quel fottuto ciottolo un morso provai a darglielo.
Non fu piacevole.

 
 
Quando tornammo agli accampamenti carichi (si fa per dire) di provviste diedi ai miei uomini l’ordine di scaricare i viveri, congedandomi per seguire la mia personalissima missione.
Ebbene, avevo trovato un magistrale tartufo nero da mezzo chilo, amabilmente profumato di paglierino e vegetali di sottobosco. Sapevo quanto il colonnello fosse un amante della cucina di gran classe. Si riprometteva sempre, una volta che il potere del Reich si fosse esteso anche ai paesi alleati (o, per meglio dire, ex alleati) l’acquisto di un suggestivo podere in Italia nel cuore della maremma, dove degustare Chianti e Finocchiona osservando mandrie di cavalli arabi correre nel suo personalissimo recinto.
Più subdolo della propaganda sovietica mi presentai al suo ufficio con la bella cassetta di funghi nella quale troneggiava, in un nido di foglie di quercia, il colossale fungo nel quale oramai riponevo tutte le mie speranze.
Sarebbe stato il mio pass per la Francia!
 
“Herr Colonello”
“Faust, ancora lei…”

“Vengo in pace” chiarii, mostrandogli contenente il mio piccolo tesoro.
“In quanto grande…sublime…estimatore della cucina di alta classe, ci tenevo a farle dono di questo fantastico tartufo che ho trovato durante una pericolosa missione”
“Faust, non faccia il lecchino e la smetta di raccontarmi palle. Lei in Francia non ci andrà”
“Guardi con i suoi occhi. Io mi privo malvolentieri di questa delizia di inestimabile valore…”

Se non altro riuscii ad attirare la sua attenzione. Il colonnello, incuriosito, inforcò gli occhiali e fece accomodare il prodigioso micete sul suo tavolo. Io, invece, dovetti rimanere in piedi.
“Senta, che profumo delizioso. Non vorrebbe assaggiarlo? Se solo potessimo mettere le mani su un paio di uova! Non crede, colonnello?”
Il mio superiore, che ovviamente la sapeva lunga in fatto di ingredienti pregiati, prese in mano il mio pass per l’occidente ed iniziò a studiarlo. Rughe contratte iniziarono ad arrotolarsi nella sua fronte, facendo storcere la bocca in un..un…”
“Lei è pazzo, Capitano Faust!”
L’uomo lanciò il fungo a terra. Cianotico, cercò invano uno straccio su cui pulirsi le mani, rassegnandosi infine ad utilizzare vecchi documenti di carta. Tanto siamo tedeschi, abbiamo sempre la copia della copia della copia di sicurezza. Ed un’altra copia del suddetto, che non si sa mai.
“E’ merda, questa! Merda di orso! Credeva di essere divertente?”**
“Ero assolutamente convinto fosse un tartufo, io…”
“Se ne vada con il suo pezzo di stronzo, prima che glielo faccia mangiare!”

 
Uscii mortificato dal suo ufficio. I miei uomini, che avevano finito di scaricare i viveri, mi aspettavano trepidanti fuori dalla stanza. Giustamente la gioia nei loro volti mutò in stupore ed infine in incolmabile tristezza vedendomi uscire a mani vuote.
“Niente Francia?” chiese Tom, sfumacchiando con poco interesse una sigaretta fatta a mano.
“Non gli piacciono, quelli neri” mentii “preferisce i tartufi bianchi…sapete, quelli italiani. È fissato con l’Italia…”
“Quindi possiamo mangiarcelo?” gli occhi di Klaus brillavano.
“Penso…penso...lo regalerò a Wittman per festeggiare la croce di ferro con foglie di quercia…”
“Che nobiltà di cuore, capitano! Lei è così umile e generoso!”
concluse Volker.
Lasciammo l’edificio con estrema insoddisfazione.
In fondo, sotto sotto, la Francia nemmeno mi piaceva così tanto.
 









Note:

* Michael Wittman, conosciuto anche come "Barone nero" (chiaro riferimento a Richtofen)  al quale è stato attribuito un numero di carri armati abbattuti superiore alle 120 unità. Fu decorato con la croce di ferro con foglie di quercia nel Gennaio 1944, uno dei più alti riconoscimenti militari tedeschi. Venne abbattuto in circostanze misteriose nell'Agosto 1944, azione successivamente attribuita ad un'unità canadese. Ironia del destino, anche la morte del più celebre Barone Rosso è stata attribuita ad un canadese.

** Il Capitano non brilla di acume, nè ha una vera conoscenza sui funghi. Per altro, il suo cane non è affidabile. Ad aggravare la situazione possiamo aggiungere che la dieta degli orsi è composta principalmente da bacche e frutta a guscio. Ciò che producono ha un odore di paglierino e frutta fermentata, non sgradevole. Certo, non è nemmeno acqua di Colonia, eh...


Note d'autrice:

Da quanto tempo non aggiorno? due mesi? tre? purtroppo sono stata completamente assorbita dalla tesi che, per altro, ho dato pochi giorni fa con successo.
Adesso ho più tempo libero e, mi auguro, riuscirò a postare almeno un aggiornamento mensile.
Mi scuso ovviamente per essere ignobilmente sparita...
   
 
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