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Autore: Duncneyforever    13/07/2018    1 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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- Siamo d'accordo. -

Prendo con me il bicchiere con ancora metà di quel succo dall'aroma dolciastro e mi dirigo in camera, andando a rovistare nella mia valigia, indecisa su cosa mettermi indosso. 

Si vede lontano un miglio che all'epoca ragionavo ancora da ragazzina quattordicenne e che non avevo realmente digerito il fatto di dover seguire Friederick ad Auschwitz, un campo di annientamento e non un albergo nei pressi di una spiaggia, alle Baleari. 

Pensavo solo all'estate, al caldo torrido di luglio, non considerando il luogo e i costumi del periodo o la reazione che i miei vestiti striminziti da teenager del nuovo millennio avrebbero suscitato nelle parti bassi di uomini che non avvistavano una donna " civile " da mesi. 

Ho buttato a casaccio una manciata pantaloncini, magliette, canottiere, leggins, biancheria e costumi da bagno... Costumi da bagno?? 

Cosa diavolo credevo di fare? La turista di guerra?! 

L'unica mia mossa intelligente è stata quella d'aver riempito mezza busta di assorbenti intimi perché, francamente, non so come avrei fatto senza. 

Dovrebbero bastarmi per un bel po' di tempo o, almeno, è questo ciò che mi auguro. 

Frugando tra i vestiti, vengo a contatto con qualcosa di appuntito che riconosco, nonché un paio di jeans borchiati che, per non si sa quale ragione, erano finiti in mezzo al cambio estivo. 

Mah, potrebbero anche andare...

Volendo, sono meglio degli shorts. 

Dal fondo della valigia, riemergono anche gli anfibi che mi aveva regalato Fried e mai abbinamento mi era sembrato tanto azzeccato. Indossarli mi rende la pace e sarà pur un'illusione, ma è come se una parte del mio biondino rivivesse attraverso di me, come se lui non mi avesse lasciata per fuggire in un luogo migliore. 

Avvicino gli scarponi al petto, abbracciandoli e cullandoli dolcemente, fingendo che la sostanza fredda e sintetica sia il corpo caldo che, in vita, mi aveva accolta con benevolenza.

Raggiungo Reiner sull'entrata e lo lascio valutare, ma non ottengo il responso che immaginavo: 

-  che sono quei pantaloni da pezzente? - Mi rimprovera, avendo già adocchiato da lontano gli strappi sulle ginocchia. - Dovevi metterti proprio quelli rovinati? -

- Rovinati? Questi buchi sono fatti apposta; da noi sono di moda, soprattutto, tra i ragazzi della mia età... Forse, siete troppo vecchio per capire, comandante. - Lui corruccia la fronte, piccato, non essendo in grado di cogliere l'ambiguità celata in questa mia affermazione. 

È ovvio che sia giovane ma nel mio mondo avrebbe all'incirca cent'anni e nessuno avrebbe potuto garantirmi una reazione diversa da questa. 

In un certo senso, credo abbia colto lo stesso; era la mentalità ad essere diversa, non lui ad essere conservatore.

- Ne ho venticinque, non sono un vecchio decrepito. - 

- Così pochi? Li svendevano i gradi? Mi nascondete qualcosa, tu e quell'altro ragazzino dai capelli rossi! - Gli scocco una frecciatina, alludendo al comune grado di colonnello, impensabile, se presa in considerazione l'età anagrafica dei due. 

- Schneider non è affar mio, poco mi interessa di come sia riuscito ad accalappiarsi quel posto. Io me lo sono guadagnato, per quanto assurdo tu possa considerlo; ho preso parte alla campagna di Norvegia, a quella di Francia e a quella di Jugoslavia. Sono stato sballottato per tutta l'Europa, ovunque il mio zelo giovanile potesse contravvenire all'eccessiva ponderatezza dei miei superiori. È in ambito strategico-militare che mi sono distinto, non ho partecipato alle " campagne di sterminio ". - 

- Quindi quella cicatrice che hai sul fianco... Non sei caduto o cose simili. - Ipotizzo un colpo di mitragliatrice preso di striscio o una ferita d'arma da taglio. 

Un comune proiettile non è in grado di produrre un taglio così esteso, pur non essendone un'esperta, ne sono più che sicura. 

- Il mio avversario era alquanto abile con il pugnale; lo squarcio era profondo e ci vollero molti punti per ricucire. Io, però, non mi lasciai distrarre dal sangue, gli affondai la daga nel collo e glielo spezzai. Il cadetto francese sprofondò in quel mare rosso, esanime, mentre io continuai a combattere fino a che il corpo me lo consentì; dopodiché, venni trascinato via dai miei compagni e condotto in infermeria, dove venni curato e rimesso in piedi in un paio di settimane. Bei tempi quelli! - Reiner narra nostalgico, rimpiangendo il tempo passato in cui la sua massima aspirazione era il conseguimento della gloria, a costo della vita. 

- Non credevo fossi tanto sconsiderato! Il tuo comportamento irresponsabile avrebbe potuto ucciderti! - Qualcosa di molto simile alla preoccupazione spande nel mio petto, inghiottendo la colpa e scacciando il concetto di responsabilità. 

Immaginarlo morto non mi dà più alcun compiacimento, bensì dispiacere, poiché al solo figurarmi questi occhi azzurri farsi argentei come i Suoi, il senso di solitudine ritorna prepotente ad infestare la mente e a smagrire ciò che ancora smuove la parte vitale. 

Lui mi protegge, lui mi è utile, ma non è questa l'unica verità... 

Non ho il controllo sui pensieri che fluiscono liberi e indisturbati, nè posso impedire che determinati sentimenti si manifestino all'esterno e che diano luogo a situazioni equivoche. 

Parlare a vanvera d'amore e sciocchi, per non dire improduttivi, romanticismi mi pare ormai argomento sterile e trapassato, vivo solo nella mente di una ragazzina che si rifiutava di crescere a accettare la realtà. 

Reiner mi ha curata dall'inguaribile negligenza che mi stava trascinando nel buio: non esistono solo amore e odio, al contrario, vi sono vari intermezzi di cui, a causa della mia ignoranza bambinesca, non ero neppure a conoscenza. 

Ogni giorno scopro nuove sfaccettature di lui, che possono piacermi o non piacermi ma che, comunque, non mi lasciano vivere di convinzioni e inettitudini. 

Ora come ora, non desidero la sua morte più di quanto non desideri una giusta punizione per ogni altro criminale in circolazione. 

- È un piacere saperti in pensiero, Prinzessin, tuttavia, sono duro a morire, non hai di che agitarti. - 

- La tua vita ha valore per me. È pur sempre quella dell'uomo che ha salvato la mia. - Se prima ci scherzava su, ridendo e buttandola sull'ironia, ora tace, impressionato dalla mia considerazione. Le labbra distese inverosimilmente all'insù si incurvano verso il basso, mostrando un sorriso raro e genuino.

Una sorta di inconsapevole dolcezza sorge nei suoi occhi crudeli d'un freddo cielo, che si lascia ammirare travolta dal fulgore della prima tenerezza. 

Graffio nervosamente l'interno niveo del braccio, non sapendo interpretare l'empatia stabilitasi tra me e il soldato tedesco. 

Forse, pensandolo soldato, ferito e circondato da pericolosi rivali, il senso di repulsione si è attenuato, perché non potrei più chiamarlo " codardo " dopo quel che mi rivelato a proposito della sua esperienza sul campo d'azione. 

L'unica ombra, è il suo ruolo all'interno del lager che, essendo così inumanamente abbietto, mi è intollerabile. 

Proprio questo aspetto mi riporta indietro a quello che dobbiamo fare, ora che la meta è vicina. 

" Calma e sangue freddo " me lo dico io che, di natura, sono pavida e timorosa, una di quelle persone che, di fronte al pericolo, tendono a scappare lontano... E chi si è visto, si è visto. 

" La scelta è stata tua, stellina, non puoi ritirarti. " 

" Restar fuori dal mondo insieme al tuo bel tedesco avrà anche i suoi vantaggi, ma dovrai pagare il prezzo di questo tuo privilegio. "

" Ricordatelo. "

Basta... 

" Non vedi il tuo futuro? Non vedi quel coltello premuto sui polsi e quegli occhi morti pieni di tristezza? "

Prendo la testa fra le mani, pregando il mio subconscio di smetterla di spaventarmi.

- Quando tornerai a Buchenwald, che ne sarà di me? Mi affiderai alle " amorevoli " cure di Rüdiger? -  

- Tu mi seguiresti? - Propone, scatenando tutta una serie di contrasti interiori. 

- Non sono egoista a tal punto: se scappassi, innumerevoli innocenti morirebbero per mano sua e il rimorso, a lungo andare, ucciderebbe anche me. - 

Inoltre, non abbandonerei mai Zohan per fargli sostenere da solo il peso una simile disgrazia; era ancora un bambino quando perse la sua famiglia in un tragico incidente, tuttavia, la morte del suo migliore amico ha risvegliato in lui un istinto animale che lo porterà a compiere qualche sciocchezza, se non tenuto sotto controllo, e chi glielo impedirà, se io non ci sarò più? 

Ormai, vivo nell'illusione di potermene andare da qui, sapendo che, nella migliore delle ipotesi, Rudy si stancherà di giocare con la bambola consumata e la getterà via per sostituirla con un giocattolo più nuovo e più bello. 

Questa, la mia speranza.

- Mi chiedi il sangue - il volante risente dello sfregamento dei pollici ed emette uno stridio fastidioso, il che evidenzia che anche una personalità paziente come quella di Reiner, se messa sotto torchio, può risentire dello stress. - Quel che è peggio, è che te lo darei. - 

Si ferma, allentando poco per volta la presa sul volante e, avanti a noi, l'inferno primordiale, da dove tutto ebbe inizio: Auschwitz I. 

Se non conoscessi la storia dietro a questo luogo, penserei fosse un agriturismo o un luogo di villeggiatura, soprattutto, se confrontato con Birkenau; una vera e propria topaia, già nell'aspetto, allarmante. 

Auschwitz è il campo di concentramento, Birkenau quello di sterminio, eppure i caratteristici mattoncini rossi e il praticello verde brillante, bagnato di rugiada, nascondono atrocità pari a quelle di Auschwitz II. 

Le guardie addette al posto di blocco scattano sull'attenti, avendo riconosciuto l'inconfondibile Bugatti e il suo proprietario, altrettanto noto. 

- Heil Hitler, Herr Kommandant! - Lo saluta uno di questi, ricambiato da Reiner, ma non da me. 

Mi rifiuto categoricamente di acclamare il loro Führer, non se ne parla proprio! 

- Sie ist Italienerin, sie ist nicht dazu verpflichtet. / È italiana, non è tenuta a farlo. - Il soldato annuisce, prendendo le parole del suo superiore come oro colato. - Öffne das Gatter. / Apri il cancello. - Gli ordina, dando un taglio netto alla conversazione, altresì dilungata dalla curiosità del ragazzo. 

- Siete dei subdoli bugiardi; alloggiate meglio coloro che ritenete superiori ai giudei internati a Birkenau, ma poi li fate morire allo stesso modo. - Mi sporgo in avanti per osservare meglio i grandi caseggiati in muratura, notando quanto questi sembrino rassicuranti all'esterno, rispetto alle baracche del campo di sterminio. 

- Sulla tua linguaccia Schneider non aveva tutti i torti... - Lo guardo male, scendendo dall'auto già ferma. - Certi pensieri è meglio tenerseli per sè in pubblico. - 

 - Non eravamo in pubblico - puntualizzo, acconciando i capelli divenuti ancor più lunghi in modo che ricadano morbidi su di un singolo lato: ci saranno venticinque grandi circa, ma la tensione me ne fa percepire quaranta. 

- Ora lo siamo. - Preme il braccio sulle mie spalle magre, ritrovandosi a tastare ossa più sporgenti di quanto dovrebbero. Mi rimprovera di mangiare poco e mi garantisce che per pranzo mi farà ingozzare come un bufalo. 

Neanche fossi io quella denutrita.

Mi volto indietro per guardare la macchina posteggiata all'interno del perimetro del campo e arriccio il naso, giudicando la trovata del biondo estremamente grottesca. 

Arrivata sulla soglia del Block ventiquattro ( quello che, inseguito, sarebbe stato adibito a bordello ) pianto i piedi per terra e mi rifiuto di proseguire. 

Mi domando come si possa interiorizzare tutto questo senza rischiare di diventare pazzi...

Non so dirmi se la mia paura provenga dal dover scegliere o dal dover poi convivere con gli strascichi di quella scelta. 

- Bist du bereit? / Sei pronta? - 

- Ja, ich bin bereit. - Mi aggrappo alla manica di Reiner, aspettando che lui apra la famigerata porta. 

A ragion d'aver paura, si scatena il panico: urla di terrore si diffondono da parte delle donne, schiacciate l'un l'altra contro la parete, mentre una delle ragazzine più giovani cade a terra con un tonfo, rilasciata dall'uomo che, sotto lo sguardo febbrile di un altro, la stava molestando. 

- Amüsiert ihr euch gut? / Ve la state spassando? - Il comandante li squadra entrambi con sdegno e, sebbene lui stesso abbia abusato di molte donne in passato, non pare contento di quel che si stava consumando all'interno del Block. 

Il soldato, colto in flagrante, la ributta malamente nella mischia, lavandosene le mani. 

- Eigentlich schon, Kommandant; ich war dran. / In effetti sì, comandante; era il mio turno. - L'altro, prendendosi gioco di lui, supera il limite consentito, provocandone l'ira. 

- Ich scheiße auf deine sexuelle Frustration! Geh mir aus den Augen, bevor melde ich dich! / Me ne fotto della tua frustrazione sessuale! Sparisci dalla mia vista, prima che ti faccia rapporto! - L'uomo abbassa il capo in forte imbarazzo e, rosso di vergogna, esce dall'edificio, seguito con la coda dell'occhio dal compagno impallidito. 

La ragazzina è strisciata tra le braccia di una donna più grande che ho identificato come sua sorella o, comunque, una parente. Giustamente, la piccola piange disperata, provocandomi un certo magone. 

- Gehen wir einfach weiter, ja? Wo sind die Akte? / Vogliamo proseguire? Dove sono i fascicoli? - Il soldato prende un plico di fogli che ha l'aria di essere un'insieme di schede cliniche e gliela porge davanti ai loro occhi atterriti. 

- Es gibt keine Jüdinnen / non ci sono ebree - lo informa, prima che il comandante possa sfogliare le carte con le generalità delle ragazze. 

Non hanno un numero di matricola, per cui questa procedura, più che per identificarle, serve per isolare le donne ritenute " impure " ( o quelle che hanno passato i venticinque anni ) da quelle idonee al trasferimento a Mauthausen. 

- Auch keine Italienerinnen - la mia attenzione, dalle ragazze, si sposta sull'SS che, evidentemente, non ha intuito nulla. Lo guardo in tralice, lasciandogli intendere qualcosa. 

- Natürlich. / Mi sembra ovvio. - Reiner fa schioccare la lingua sul palato, gettandola sul fronte politico. 

L'uomo si ritira nel silenzio. 

Il biondo, intanto, si muove verso le ragazze, consultando alcune schede. 

- Die Insannen von sechsundzwanzig und siebenundzwanzig Jahren kommen vorwärts. / Le detenute di ventisei e ventisette anni vengano avanti. - Le donne in questione, forse tedesche, si separano dal gruppo. - Gut, führen Sie sie dahin, wo sie hin müssen. / Bene, portatele dove dovete. - 

- Und die andere? / E le altre? - Il moro si appresta a scortarle fuori, mentre queste mi rivolgono occhiate impaurite.

Nemmeno io so dove saranno ricollocate.

- Wir werden sehen / vedremo - afferra il viso della ragazzina tra le dita, toccando un punto arrossato sulla guancia. - Nächtes Mal, wagen Sie nicht, die Ware zu behrüren... Unsere Kameraden warten vor Monaten. / La prossima volta non vi permettete di toccare la merce... I nostri uomini aspettano da mesi. - Allontana da sè quel viso bellissimo, concretamente disinteressato, come fosse stato a contatto con qualcosa di repellente. 

- Chi non verrà scelta? - 

- La " grazia divina " ha voluto che qui ad Auschwitz I avessero bisogno di addette allo smistamento, quindi no... Non le manderò in miniera. Adesso che sai, che fai lì imbambolata? Vieni qui, che a queste disgraziate potresti far comodo!  - 

Le passa in rassegna una per una, gelandole con i suoi occhi penetranti, da lupo. 

- Zieht euch aus. / Spogliatevi. - Ho sentito decine di volte questo verbo da quando sono qui, ho collegato subito e non ho potuto fare a meno di sussultare. 

E chi ha capito l'ordine imposto, ha reagito allo stesso modo: qualcuna ha iniziato a piangere, ha stretto i bordi della divisa tra le mani e li ha tirati verso il basso, tentando di sottrarsi a quell'umiliazione; qualcun'altra, troppo spaventata dalla presenza Reiner, ha iniziato a togliersi i vestiti senza farselo ripetere due volte; altre ancora, non conoscendo la lingua, studiano il comportamento delle altre, non sapendo come comportarsi. 

- Non è una procedura di uso comune, quindi perchè farglielo fare? Per compiacimento personale?! - Mi accorgo di avere gli occhi pieni di lacrime per la delusione e di essermi fatta trasportare dalla drammaticità della situazione, diversamente da come avrebbe voluto. 

Nella grande stanza nessuno si muove più. 

Neanche lui. 

Stiro le braccia sui fianchi, irrigidendole, facendo scrocchiare le ossa, trattenendo i lamenti. 

Se il rosso fosse stato qui, mi avrebbe fatta tacere, ma Reiner non è Friederick nè, tantomeno, Rüdiger. 

- Capirai il perché di questa mia decisione. In ogni modo, dovranno abituarsi, perché nessuno sarà tenero con loro, lì dove andranno. - Lui si avvicina e il tocco della sua mano passa così rapido che agli occhi di chi guarda non potrà che apparire derisorio. 

La carezza di un nazista è vista come il bacio di Giuda, ma io so che voleva essere rassicurante, che voleva infondermi coraggio.

- Forte, sii forte. - Le mie labbra prendono una piega amara, però sono costretta a dargli ragione: piagnucolando non risolverò niente e metterò loro ancora più paura. 

- Es ist schon gut. / Va bene così. - Alle ragazze, che ormai si sono spogliate tutte quasi del tutto, concede di restare in biancheria, ovvero con indosso gli slip sgualciti che gli avevano " fornito " a Birkenau, probabilmente, appartenenti a persone già scomparse. 

Mi viene da volgere lo sguardo altrove; il petto si può sempre coprire, con i capelli o con le braccia, così come stanno facendo, eppure mi è naturale non soffermarmi su qualcosa di cui uno ha vergogna... 

Penso sia anche umano. 

E civile. 

Me ne sto in silenzio, sulle mie, finché non sento piangere una delle ragazze, così disperatamente che mi è impossibile ignorarla. 

Si accuccia per terra, nascondendo il viso tra gambe e non mi viene in mente altro modo per approcciarmi se non andandole vicino; 

- kannst du Deutsch? - Annuisce, andando a coprire le sue nudità. - Keine Sorge / tranquilla - incrocio gli occhi chiari di Reiner e ne ricavo l'approvazione - du wirst nicht sterben; du wirst in eine gute Stellung schicken! Die Arbeit wird leicht sein. / Non morirai; verrai mandata in un buon posto! Il lavoro sarà leggero. - Sussurro, ricordando il Kanada come una piccola oasi in cui non avvengono selezioni e in cui le condizioni dei prigionieri sono migliori. 

Da una fessura nella frangetta castana riemerge uno spiraglio verdino, pur arrossato dal pianto, ma di una lucentezza incomparabile. 

- Andrà bene - lo dico in italiano, la lingua degli angeli secondo Thomas Mann e mi prodigo per tranquillizzarla, sfruttando la voce di bambinella e la dolcezza dei nostri suoni. 

Il comandante, intanto, sempre tenendomi sotto controllo, ha selezionato con giudizio alcune donne, non giovanissime, di costituzione più o meno robusta e, sembrebbe, con un innato istinto di sopravvivenza, vista la maniera del tutto passiva in cui hanno affrontato l'esame scrupoloso di lui. 

Oppure abitudine... Non hanno avuto particolari difficoltà a denudarsi, anche di fronte ad un uomo, e mi viene il dubbio che siano effettivamente prostitute e che si fossero offerte volontarie, abbindolate da false promesse di libertà e all'oscuro di ciò che avrebbero dovuto fare. 

Che Reiner lo sapesse? Che fosse un test? 

Mi giro per guardarlo, rialzandomi in piedi: ruota attorno ad una donna di cui non so indicare la provenienza, con i capelli biondo cenere alle spalle e l'incarnato pallido, il seno scoperto, troppo ingombrante per poter essere avvolto. 

Le fa fare un passo in avanti, procedendo oltre. 

Ne mancano solamente due per raggiungere la cifra prefissata di dieci. 

- Ma guarda, abbiamo un'anarchica spagnola tra noi! - Se ne stupisce, ricercandola nel gruppetto rimasto. 

Non è difficile individuarla: la pelle olivastra spicca tra il candore generale e la combinazione occhi e capelli scuri, quasi neri, suscita interesse, essendo l'unica ad averceli entrambi. 

Tiene le braccia incrociate sul petto, sigillate come il sistema di chiusura di una cassaforte e la bocca rossa, ritirata, che mostra denti stretti in una morsa convulsa; vede il suo carceriere avanzare verso di lei, sente le sue galoche scricchiolare sul pavimento e i suoi occhi da gatta si accendono, spillando lampi. 

Doveva essere una combattente; Reiner si è accorto di non essere in presenza di una donna comune, per questo si dimostra attratto dal suo irrinunciabile orgoglio. 

Lei mi ricorda molto la me stessa di allora e, nel profondo, mi auguro di poter apparire di nuovo come questa donna, piuttosto che come un uccellino in gabbia. 

Ferito, per giunta. 

- ¡No me toques, hijo de puta! - I boccoli scuri schizzano d'un lato mentre soffia collerica, quasi volesse strappargli la mano a morsi. 

Reiner implode in una fragorosa risata che mette in soggezione tutte quante, meno che la coraggiosa spagnola. 

- Tu che dici? Staccherà l'uccello ad uno dei miei uomini? - 

- No, lei non ci andrà. Dovranno piegarla con la frusta ed io non posso permetterlo questo. Ha l'aria di una che morirebbe, piuttosto che lasciarsi fare quelle cose. - Mi tornano in mente le immagini del mio corpo in balìa dei loro istinti perversi e mi dico che questa ragazza non finirà in quel modo, che non verrà uccisa perché indomabile. 

- ¿Cómo te llamas? - Il biondo già lo sa, però è da lei che lo voglio sentire. 

- Anabel, soy Anabel. - Reiner passa oltre, accontentandomi e non dando rilievo al mio " fraternizzare " con una prigioniera. - Te entiendo. / Ti capisco ¿Eres italiana? - Rispondo di sì, chiedendole come mai si trovi in un campo di concentramento. 

Lei afferma di essere fuggita dalla Spagna franchista per rifugiarsi in Francia, in quanto dissidente politica, ma d'esser stata " venduta " ai tedeschi da alcuni collaborazionisti che avevano scoperto di lei e dei suoi compagni.

Seguono vari sproloqui. 

Come biasimarla?!

È stata denunciata per quattro soldi, tradita da chi riteneva un'amica. Difatti, era poi venuta a sapere che la donna che l'aveva ospitata intratteneva una relazione con un soldato tedesco... E che da lei era partito tutto. 

- Siento tu dolor, la ira que llevas en el corazón, pero tienes que ser más dócil si quieres sobrevivir. Si no hubiera estado, te habría matado. / Se non ci fossi stata, ti avrebbe uccisa. Recuerda estas palabras. - Vedo qualcosa di tumultuoso nel fondo dei suoi occhi; spero solo che mi ascolti. 

Il comandante ne ha scelta un'altra al posto suo, in apparenza, mansueta e rispettosa esattamente come desiderano. 

C'è apprensione in quella creatura, il suo viso di bambola è puro smarrimento. Pensavo avesse preferito lei alla bambina terrorizzata riversa nell'angolo, dietro alla donna di simili tratti. 

Evidentemente, mi sono sbagliata. 

- Devi essere pazzo o sadico o entrambe le cose per poterlo pensare - lo ammonisco con durezza, bloccandolo. - È una ragazzina, non lo vedi? Avrà la mia età ed è troppo magra! Se la manderai in quel posto la spezzeranno in due, potrebbe morire dissanguata! Reiner! - Scivolo davanti a lui, intentando di farlo ragionare. 

- Giusto a quel porco di Hoffmann potrebbe piacere; ho sentito che verrà trasferito, è probabile che se la prenda lui. - 

Appunto! Hoffmann e uomini del suo calibro non sono dotati una coscienza: tratterebbero questa povera, piccola ragazza come un oggetto privo di valore e la distruggerebbero senza pietà. 

Non a caso, il tenente è soprannominato " der Schlächter " ovvero macellaio e non ho mai voluto indagare sul perché o per come; è amico di Rüdiger e questo mi è sufficiente per capire quanto possa essere cattivo. 

- Ich bitte Sie, mein Herr, nicht sie, nicht meine Schwester! Nehmen Sie mich stattdessen! / Vi scongiuro, mio signore, non lei, non mia sorella! Prendete me al suo posto! - Si inginocchia, anche se nuda, sulla pavimentazione fredda, grondando fiumiciattoli salmastri, uggiulando disperata. Aveva osato difendere la sorellina dalle angherie di un prepotente ed egli l'aveva punita, spaccandole il labbro. 

Parlando, la ferita le si è riaperta, iniziando a sanguinare. 

La ragazzina, preoccupata, si è attaccata alla sua schiena e tutt'ora ci fissa con i suoi grandi occhi blu oltremare, incastonati nel volto d'alabrastro. 

Reiner ne pare infastidito; avrà ascoltato migliaia di pianti in vita sua, non si smuoverà per una donna slava, lo ritengo infattibile. 

Eppure a me il dispiacere rode il cuore, il sentimento di compassione che sento verso di loro mi rende partecipe e succube del loro stesso dolore ed è uno di quei sentimenti che non posso continuare ad ignorare, se voglio oppormi alla degradazione morale di questa terra senza Dio. 

- Ti prego - mi ero ripromessa di non piangere più ma, questo pianto, potrebbe portare alla sua salvezza, per cui piango, liberando lacrime da pozzi sciabordanti di tristezza. 

A questo punto, è lui non vederci più più chiaro. 

- Geh dorthin, beeil dich. / Vai di là, muoviti. - Si rivolge alla maggiore, indicandole il gruppetto di donne che a breve partiranno per Mauthausen. 

Lei ne è riconoscente, benché consapevole di doversi separare dalla sorella. 

Le sistema i lunghissimi capelli neri e la bacia sulla fronte, asciugandole le guance zuppe. Piange nel guardarla, confortandola come può. 

- Vse bude dobre / andrà tutto bene - le dice, distanziandosi a viva forza da lei. 

Reiner, subito dopo, mi trascina fuori dall'edificio, credo, per evitare di pentirsene. 

- Soddisfatta? - 

- Erano vere - mi passo l'avambraccio sul volto bagnato, non sapendo cosa dovermi aspettare. 

 Sembra arrabbiato, ci metterà un po' a smaltire. 

- Non ne dubito. - Prende una sigaretta dal contenitore di metallo intarsiato e se l'appoggia tra le labbra, accendendola. 

Mi guarda riprovevole, scrollando il mozzicone per terra. - Cosa sei tu? L'arcana incantatrice? - 

- Devi tornare dentro, suppongo. - 

- Supponi male. - Poi, rammaricato nel vedermi così mortificata, si rabbonisce. - Sto fingendo, non me la sono presa con te. - Sentito ciò, gli sorrido.

Un sorriso un po’ prematuro e un po’ amaro, ma necessario.

- Su un’altra cosa mi trovo d’accordo con Rüdiger: non mi piace vederti sorridere in generale, per qualcun altro...

- ...È tanto più bello quando sono io a farti sorridere. - 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice: 

eccoci qua, finalmente, con il capitolo che tutti stavano aspettando! * Canto delle cicale * 

Ironia a parte, ci ho impiegato così tanto a redarlo perché ho trovato molto difficile trattare questo argomento partendo dalla prospettiva di un personaggio esterno al momento storico trattato; un attimo mi pareva di essere troppo molle, l’attimo successivo di essere troppo indelicata e così via, giorno dopo giorno. 

Spero di essere stata rispettosa nei confronti del tema... 

Mi raccomando, fatemi sapere se c’è qualcosa che non va all’interno della narrazione, così posso migliorare e non commettere più gli stessi errori ;) 

Ho fatto anche alcune ricerche, rendendomi conto d’aver peccato di “ mala ” informazione: ho dovuto far retrocedere di grado due personaggi, ovvero Schurmann da “ comandante ” ( non specificato il grado ) a “ capitano ”, in modo che, nella storia, si possa effettivamente considerare subordinato al vero comandante di Auschwitz, Rudolph Höss. Di conseguenza, anche il maggiore Peter Hoffman è retrocesso a “ tenente ”. Rudy ha mantenuto il grado di colonnello, nonostante sia di fatto superiore a Höss; fatto sta, che Birkenau ebbe un comandante soltanto a partire dal 43’, quindi ho pensato che fosse possibile inserire qualcuno di “ provvisorio ”. Reiner ( anche lui colonnello ) può benissimo sottostare al vero Lagerkommandant di Buchenwald, l’SS Oberführer ( pressoché generale ) Herman Pister. 

Chiarito questo aspetto, l’ultima frase pronunciata dalla ragazza ( e mi sono affidata a google traduttore, quindi incrocio le dita ) era in ucraino. 

A presto ( spero ) con il nuovo capitolo... E buon fine settimana! 

 

 

 

  
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