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Autore: Levyan    24/07/2018    2 recensioni
Dopo i fatti di Ceneri e Piume, le cose sembrano peggiorare precipitosamente. Nubian è una storia particolare, in cui i protagonisti di IPDS e i Dexholder finalmente si incontreranno. Terza Long della serie Levyanbrau, si muove in equilibrio tra il thriller e l'azione. Buona lettura ai vecchi fan e ai nuovi lettori (ai quali consiglio di rivedere anche le storie che la precedono).
Genere: Azione, Generale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
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- Questa storia fa parte della serie 'Levyanbräu (Pokémon Adventures)'
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XXIII
La girandola
 
 
«Siamo usciti dal loro raggio d’azione, le interferenze dovrebbero scomparire» allertò il pilota, rivolgendosi al suo capo.
Acromio riprese la ricetrasmittente e aprì il portatile. I dispositivi sembravano funzionare, la Faces non riusciva più a bloccarlo a distanza.
«Ruby» chiamò «Ruby, mi senti? Qualcuno mi sente?» insisteva.
Nella sala delle telecamere, la voce di Acromio parlava al vuoto. All’ascolto, c’era soltanto il corpo senza vita di Blue. Ruby e Sapphire erano fuori, nel salone del Nodo, impegnati a scollegare le capsule che alimentavano il macchinario della Faces. Uccidendo i Pokémon contenuti all’interno.
«Acromio, ti abbiamo perso per parecchi minuti» disse Rossella, nel suo auricolare. In sottofondo, si sentivano le grida degli Allenatori in combattimento, i versi dei Pokémon e i suoni della battaglia che imperversava «ci sono aggiornamenti?»
Il leader non seppe come rispondere «Come sono le situazioni? Squadre di supporto collaterale: Sird, Saturno, Xante, Ada, Plumeria. Fatemi un resoconto» chiese.
«Le nostre forze scarseggiano» rispose Saturno.
«Sono più numerosi e più forti» si lamentò Ada.
«Questi bastardi fanno sul serio!» esclamò Plumeria.
Dagli ultimi due luogotenenti, non giunse risposta. Forse per interferenze, forse perché non erano più in grado di parlare.
«Nel piazzale, invece?» proseguì Acromio.
«Non reggeremo ancora a lungo» rispose Maxus.
«Stiamo facendo il possibile» ribadì Rossella.
Acromio trasse un sospiro. Doveva prendere una decisione importante.
«Quanto tempo serve ancora a Ruby e Sapphire?» domandò la ex Fiamma del Team Magma «possiamo resistere ancora» affermò.
La risposta di Acromio giunse dopo parecchi secondi di silenzio: «abbiamo perso Kalut, la Faces ci ha impedito di fermare il macchinario a distanza» spiegò «ritiratevi, abbandonate il combattimento, disperdetevi. Avete fatto il possibile, andare oltre sarebbe soltanto un suicidio» ordinò «mettetevi in salvo, noi non possiamo fare più niente» concluse.
«No, no» esclamò Rossella «prenderanno Ruby, non possiamo lasciarli così!»
Si stava progressivamente innalzando il livello di allarme nel suo cervello. Si guardava attorno, cercando un bagliore di sostegno negli occhi di Alan e Maxus, gli altri due luogotenenti che combattevano al suo fianco, ma ottenne solamente delle tristi occhiate di rassegnazione.
«Acromio, no! I miei uomini restano! Non possiamo abbandonare!» gridò Rossella.
Acromio trasse un altro sospiro «Alan, ti affido lo squadrone di Rossella, porta quegli uomini in salvo».
«No, cazzo, Acromio!» gridò nuovamente Rossella, trattenendo le lacrime. Ormai non stava più neanche dando ordini ai suoi Pokémon, che continuavano a lottare da soli, privi di una guida, contro decine di nemici. La maggior parte dei soldati di supporto si stavano allontanando dalla battaglia, sotto gli ordini di ritirata dei due luogotenenti.
«Rossella, ascolta» fece Acromio, con una voce più vicina e chiara, priva di altri rumori di fondo: aveva azzerato chiuso le comunicazioni con gli altri, stava parlando soltanto con lei «sapevi a che cosa saremmo andati incontro, ti avevo chiesto di non farti coinvolgere sul lato personale» le intimò «ho voluto affidarti il comando proprio per questo, avresti guidato gli altri con estrema determinazione».
«Acromio, non farmi andare via» lo supplicò.
«Non puoi salvarlo, nessuno può. Abbiamo fallito, io ho fallito. Morire renderebbe inutile il suo sacrificio. Ho bisogno di te e dei tuoi uomini, possiamo ancora combattere la Faces insieme» le disse.
«Mi dispiace, Acromio» mormorò la ragazza.
Il capo delle squadre di supporto sentì un suono morbido, ottundente, la voce di Rossella si allontanava sempre di più.
Alan e Maxus stavano portando in salvo i loro soldati, Plumeria, Ada e Saturno facevano lo stesso, alle pendici della montagna. Gli uomini della Faces avevano il preciso ordine di raggiungere la base e non di sconfiggere l’esercito nemico, quindi non si curarono di inseguire i fuggitivi. Lentamente, le forze nemiche già superiori numericamente, divennero insostenibili persino per Green, che lottava incessantemente dall’inizio. Decine e decine di Pokémon furono più che necessarie per buttare giù uno alla volta ogni membro della sua squadra. Lui non combatteva per difendere la base, lui combatteva per vendicare Blue. Quando i soldati Faces lo compresero, vedendolo ringhiare contro di loro, anche allo stremo delle forze, lasciarono che un Toxicroack lo atterrasse con un colpo alle spalle, lasciandolo privo di sensi sul terreno, in mezzo alla neve, circondato dai suoi Pokémon esausti.
Rossella aveva tolto l’auricolare e non poteva più udire la voce di Acromio. Aveva gettato un’ultima occhiata per accertarsi che tutti i suoi uomini seguissero Alan e si allontanassero dal pericolo, mettendosi in salvo. Era la più vicina all’imbocco della base, ordinò ad alcuni dei suoi Pokémon di portare in salvo dei soldati che erano rimasti sdraiati sul campo di battaglia, allo stremo delle forze. Ninetales diede ad uno le energie di salvarsi, Mightyena si caricò un altro sulla groppa. A Swellow diede invece l’ordine di occuparsi di Green, non appena i soldati Faces si fossero allontanati.
Rossella voltò le spalle al combattimento, imboccò la passerella che portava alla porta della base e la scese in fretta e furia, rischiando di scivolare sul ghiaccio. Giunta alla fine, si infilò nel portone divelto, in cerca di Ruby. Le prime guardie Faces, nel frattempo, avevano raggiunto la passerella, poco dietro di lei.
 
Sapphire staccò il cavo di una capsula all’interno della quale era contenuto un Beartic, uccidendolo dopo pochi secondi. Così fece per uno Snorunt, un Cryogonal, un Lapras, un Cloyster, uno Sneasel. Aveva lasciato dietro di sé decine e decine di capsule congelate, piene di nient’altro che cadaveri. Allo stesso modo, Ruby. Avevano quasi terminato quel lavoro ignobile, restavano poche decine di Pokémon. La ragazza aveva i denti serrati e gli occhi lucidi, le lacrime rischiavano di rimanere congelate sulle sue guance. A Ruby tremavano le mani e le gambe sembravano cedere.
«Potete ancora falvarvi» disse una voce, da lontano.
I due Dexholder di Hoenn non si distrassero dal loro lavoro, ma non finsero di non ascoltare.
«Il Nodo ha dei poteri più grandi di quanto fi immagini, è fatto del materiale di cui è compofto l’universo, è ftato creato da Dialga e Palkia, all’inizio dei tempi» disse Xavier, rimessosi in piedi a fatica. Era claudicante e insicuro, sanguinava dalla bocca, era piegato dal dolore e dal freddo «danneggiandolo per errore, durante gli fcavi, due operai fono fcomparfi, li abbiamo ritrovati a Giubilopoli, in feguito» rivelò «io c’ero. Il Nodo altera il tempo e lo fpazio. Se lo tagliate, vi ritroverete lontano da qui e avrete diftrutto il macch...»
«Che cosa vuoi da noi, figlio di puttana?! Hai ammazzato Blue e ci hai condannati tutti! Adesso vuoi far finta di essere un amico?!» sbottò di colpo Sapphire, avventandosi verso di lui e non aggredendolo solamente perché sarebbe stato uno spreco di tempo.
«No, Sapphire, vuole solamente salvarsi, ma non può farlo da solo. Ha tradito la Faces, è spacciato anche lui, se rimane qui» dedusse Ruby, gelido, adamantino, schierandosi al suo fianco.
Xavier li guardava dal basso verso l’alto, piegato su se stesso, appoggiandosi ad una capsula che non era ancora stata disattivata. Sapphire ne scollegò il cavo, questa cominciò a raffreddarsi internamente, uccidendo il Glalie che vi era contenuto. Xavier dovette togliere la mano, per evitare di perderla a causa del gelo improvviso, e cadde a terra pietosamente. Aveva il volto contorto in una smorfia di disapprovazione e vergogna.
Ruby e Sapphire girarono i tacchi e lo abbandonarono lì, smettendo di curarsi di lui. Xavier, senza farsi notare, cominciò a gattonare via, verso il Nodo.
«Non sapevo di questa cosa e a quanto pare neanche Kalut... ma rimane il fatto che tagliare il cavo sarebbe come rompere l’intero macchinario, la base imploderebbe, facendo crollare la cima della montagna. Tutti, qui fuori, sarebbero seppelliti» spiegò Ruby, sottovoce «non possiamo uccidere tutte quelle persone, né i soldati della Faces, né tantomeno Green e gli altri alleati».
Sapphire sospirò. Non era delusa, anche se forse, per qualche secondo, il suo lato più egoista aveva sperato. Allungò la mano verso Ruby, prima di rivolgersi verso la prossima capsula da scollegare. Lui la prese, cercando i suoi occhi.
«Detesto farlo sempre nei momenti sbagliati» fece lei, stringendolo con le dita.
«E’ tutto ok» la tirò lui, portandola tra le sue braccia «va tutto bene...»
Abbracciare Sapphire era come abbracciare un ragazzino, sembrava voler sempre uscire da quella presa. Era rigida e fredda, tremendamente a disagio. Eppure, a Ruby sembrò di poter approdare su un’isola del paradiso, in mezzo a tutto quel mare di veleno che lo circondava. La strinse, lasciando fluire la tensione e la disperazione sotto forma di lacrime. Non si stava più trattenendo ormai. Tutto sembrava silenzioso, attorno a loro.
«Ruby! Sapphire!» li chiamò Rossella, comparendo in quel salone «oddio...» mugolò, trovandosi davanti tutte quelle capsule in cui erano imprigionati dei Pokémon morti. In mezzo a quello scenario, individuò i due Dexholder, che si scioglievano dal loro abbraccio.
«Che succede?» chiese Ruby, allarmato.
«I supporti si stanno ritirando, i soldati Faces arrivano qui, scappate, non c’è più niente da fare» li allertò.
Per un momento, i due Dexholder rimasero atterriti. Erano agli sgoccioli, ormai.
«Possiamo fermarlo, stiamo disattivando il macchinario» ribatté Ruby.
«Ma... non potrete andarvene» commentò Rossella.
Non ci fu risposta. Solamente due sguardi rassegnati.
«Avete bisogno di tempo?» chiese lei, lasciando scorrere le lacrime.
«Per finire il lavoro, sì» rispose Ruby.
Ormai, erano tutti e tre condannati, non c’erano dubbi.
«Va bene... va bene così» commentò Rossella.
I due Dexholder si voltarono, ricominciando a disattivare le capsule, per togliere potenza al macchinario.
«Sapphire» la chiamò Rossella, all’ultimo.
La ragazza si voltò.
Gli occhi della moretta oscillavano tra i due, come se Ruby e Sapphire fossero due immagini tra le quali bisognava trovare le differenze «sei una ragazza fortunata, trattalo bene per quando me lo riprenderò» le intimò, con un sorriso disperato.
I due la guardarono afferrare le Ball e tornare da dove era venuta, pronta a opporre un’ultima, strenua resistenza contro i soldati della Faces.
«Andiamo» mormorò Ruby, afferrando e staccando il cavo di un'altra capsula.
Sapphire lo seguì, ormai, era l’ultima scena.
 
I primi Allenatori vestiti di nero che si erano infilati nei cunicoli furono bloccati da un muro di fiamme che si diffuse per l’intero corridoio. Un Crawdaunt le spense con un getto d’acqua. In quella strettoia, si trovarono davanti una ragazza in uniforme rossa schierata al fianco del suo Camerupt.
In massa, si avventarono verso di lei.
 
«Ce ne sono cinque laggiù!» esclamò Ruby, indicando delle capsule ancora non disattivate.
«Aiutami» chiese Sapphire.
Ormai, i soldati stavano arrivando, i primi avevano già messo piede nel salone, trovandosi davanti all’orrido spettacolo. Alcuni erano sicuramente entrati nella sala della sorveglianza, per riprendere il controllo della base. Altri stavano cercando gli ultimi superstiti, loro due, per eliminarli.
«Hai scollegato le due a destra» indicò la ragazza.
«Sì, abbiamo...» Ruby si interruppe.
Sapphire si voltò e seguì la linea del suo sguardo. Accucciato sulla nicchia del Nodo, Xavier si era teso verso di esso. Aveva preso un coltello dalla cintura di Kalut, il cui corpo era ancora sul terreno, lì vicino. Stava tentando di colpire il Nodo con la punta di quest’ultimo, nel disperato tentativo di danneggiarlo.
«Fermo!» esclamarono Ruby e Sapphire, all’unisono, gettandosi verso di lui.
Il Nodo era completamente congelato, la bassissima temperatura ne aveva alterato le caratteristiche fisiche. Il coltello d’acciaio riuscì a scalfirlo, dopo numerosi colpi. La crepa, si espanse, il Nodo si incrinò, come se fosse fatto di vetro. Un ultimo colpo e tutto andò in frantumi.
Ruby e Sapphire, lanciatisi verso Xavier, persero la cognizione del tempo. In un istante, il loro cervello avvertì migliaia e migliaia di sensazioni diverse. Ultima, di nuovo quella stranissima che avevano provato sulla Vetta Lancia. Il loro corpo si sgretolò, astraendosi dal mondo reale. La loro mente esplose in pezzi, trascendendo l’empirico.
Tutto fu buio, poi tutto fu luce.
 
Green aprì debolmente gli occhi. Stava gelando. Sentiva l’aria fredda accarezzare il suo corpo come una lama tagliente. Si rese conto di essere sospeso a mezz’aria. Stava volando, anzi, qualcosa lo stava portando in volo. Alzò lo sguardo: era uno Swellow.
La battaglia doveva essersi conclusa. Lui ricordava solamente gli avversari che si moltiplicavano attorno a lui e di colpo riuscivano a vincerlo con la forza del numero. Mugolando, si fece portare a terra. Faceva fatica a reggersi sulle gambe, si sentiva come soffocato da un’ottundente sensazione di torpore. Era come avere i postumi di una sbornia. Si guardò attorno, in cerca dei suoi amici, in cerca di Blue. Soffocò il suo stesso respiro. Fissò il terreno per qualche minuto, come in attesa di qualcosa. Era rimasto solo.
Tastò una dopo l’altra le Ball della sua cintura. C’erano tutte, ma tre dei suoi Pokémon non erano ancora rientrati. Girò nel raggio di qualche metro e individuò Charizard e Golduck, erano entrambi esausti, riversati sulla neve. Fortunatamente, entrambi ancora vivi. Porygon-Z, invece, doveva trovarsi ancora all’interno della grotta, nel computer della Faces. Riprendendo i suoi Pokémon con sé, si accorse di non sapere cosa fare. Ruby e Sapphire si trovavano nella base, probabilmente, intenti a fermare il macchinario della Faces. Diresse il suo sguardo verso la zona dell’entrata. Vide una dozzina di agenti Faces sorvegliarne l’entrata. Erano arrivati alla base? Erano riusciti a vincere?
Doveva intervenire, doveva fare qualcosa. Dov’erano finite le squadre di rinforzo? Gli Allenatori che avevano lottato con lui? Era di nuovo tutto sulle sue spalle. E forse era giusto così. Kalut, Xavier, Blue... il susseguirsi di eventi che aveva vissuto all’interno di quella grotta sperduta su una cima del Monte Corona lo aveva completamente massacrato. Aveva perso tutto. E tutti.
Mise mano alla Ball di Machamp, doveva riprendere il...
Crock.
Un suono cupo e secco fece tremare il terreno sotto i suoi piedi. In lontananza, vide le guardie Faces cadere a terra come se qualcuno le avesse spinte con violenza. L’epicentro doveva essere vicino a loro. Il suono della neve che viene compressa e del ghiaccio che viene spezzato, si diffuse nell’aria, debole ma letale. Green assistette ad uno spettacolo aberrante: l’intera zona dell’ingresso alle grotte del Nodo, dove era stata combattuta la battaglia, si accartocciò su se stessa come un foglio di carta. La terra implose, il terreno rientrò in se stesso, inghiottendo gli agenti che erano lì attorno, le rocce si spezzarono. Come un pallone che viene sgonfiato, quel cucuzzolo si compresse, appiattendosi e scomparendo in un batter d’occhio. Il rumore si propagò per tutta la zona, venendo ribadito due o tre volte dall’eco, poi scomparve. Rimase solamente un brusio di fondo, un fremente gorgogliare che sembrava sempre più vicino.
Era una valanga. Lo Swellow si alzò in volo, riprendendo Green con le zampe artigliate. Il ragazzo vide la terra innevata farsi sempre più lontana. Poi rialzò lo sguardo verso il picco: non era rimasto niente, era persino difficile individuare quale fosse la zona in cui era stato aperto il buco che dava accesso alle grotte. La base era stata certamente distrutta, sepolta da metri di roccia, con tutte le persone che vi erano all’interno. Il ragazzo tornò a guardare giù: vide il punto in cui si trovava fino a cinque secondi prima venire investito da una celere ondata di neve che continuò il suo percorso verso il basso, fino alla prima vallata.
Green chiuse gli occhi. Mentre il mondo continuava a crollare sotto di lui.
 
Ruby si alzò di scatto, quasi si stesse svegliando da un brutto sogno. Aveva avuto l’impressione di cadere nel vuoto, come quando era bambino. Era tutto molto buio, ma nell’aria c’era un forte odore di fogliame. Si rese conto di avere dei vestiti pesanti, adatti ad un’escursione in alta montagna, ma la temperatura era decisamente più alta. Barcollando, si rimise in piedi, per aprire il cappotto, togliere la sciarpa, scalzare i guanti. Vide Sapphire, a pochi metri di distanza dal punto in cui si era svegliato. Anche lei era vestita con abiti da alpinismo.
Ruby aveva una tale emicrania. Non riusciva a capire come fosse finito lì, gli sembrava di aver dormito per giorni interi. Si guardò attorno. Finalmente, i suoi occhi cominciavano a scorgere qualche contorno e qualche colore, in quell’oscurità. Vide molti alberi, dei cespugli di erba alta, un prato selvatico. Un po’ più là, scorse una staccionata, oltre la quale sembrava esserci un sentiero di terra battuta. Ancora più lontano, si udiva debolmente il rumore del mare, tranquillo e pacato. Era notte, ma c’erano poche stelle in cielo. Le cicale frinivano e alcuni Hoothoot bubolavano tra gli alberi. Il ragazzo si accucciò, per svegliare Sapphire, che aprì gli occhi a fatica, proprio come lui.
«Ruby...» mormorò «che c’è?»
La aiutò a rialzarsi e a togliersi il cappotto pesante. Era tanto frastornata quanto lui. Entrambi non avevano la minima idea di come fossero finiti in quel luogo.
«Dove siamo?» chiese Sapphire con un filo di voce, tenendosi la testa tra le mani, come se potesse sfuggirle da un momento all’altro.
«Vicino Fiordoropoli, Johto» rispose Ruby.
Si era reso conto di conoscere quel luogo: aveva passato l’infanzia a Fiordoropoli, prima di trasferirsi a Hoenn all’età di undici anni. Quello era il Percorso 34, stradina costiera piena di Pokémon selvatici nella quale era solito giocare e intraprendere i primi combattimenti con i Pokémon Scout.
«Che sta succedendo?» si domandò il ragazzo.
I due Dexholder giunsero alla staccionata e la scavalcarono. Per la strada, non c’era nessuno. In lontananza, cominciarono a scorgere le luci della metropoli, capitale di Johto. Dall’altra parte, gli alberi si infittivano sempre più: era il Bosco di Lecci. Il mare bagnava il fianco occidentale di quella stradina, appena agitato dal vento.
Sapphire guardò l’orizzonte. Pensò ad Hoenn. Come mai non era là, a casa sua? Strinse il cappotto che portava tra le braccia. Le sembrò freddo e umido, ancora intriso di neve. Un brivido le corse lungo la schiena. Nella sua mente riapparvero le immagini del Monte Corona, della grotta, degli uomini della Faces, del corpo morto di Blue sul pavimento, delle capsule contenitive, del macchinario, del ghiaccio, dei Pokémon a cui lei aveva tolto la vita, di Xavier, di Kalut, di Green, del Nodo, dell’ultimo istante che ricordava chiaramente, in cui il Nodo si infrangeva in mille pezzi e del buio che l’aveva inghiottita, subito dopo.
Lentamente, cercò lo sguardo di Ruby. Trovò i suoi occhi, illuminati da un bagliore spettrale, da un’emozione terribile. Comprese che anche lui aveva ricordato tutto.
«Oddio...» mormorò.
In un guizzo di intuito, cercò nella tasca il suo cellulare. Ricordava di averlo sempre avuto con se, ma di averlo tenuto spento poiché inutile, in cima ad una montagna. Lo accese. Lo schermo si illuminò.
«Sapphire, che giorno è?» domandò Ruby, terrorizzato.
Erano saliti sul Monte Corona il dodici luglio, la vicenda si era conclusa il giorno successivo con la rottura del Nodo.
Quando la data comparve sul display, la ragazza la lesse con un filo di voce: «Ventisei ottobre... è stato più di tre mesi fa...»
Ruby non disse niente. Nel silenzio di quella notte, tutto il mondo sembrava fermo, tranquillo, immobile.
 
 
Nubian
Fine
   
 
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