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Autore: Morghana    24/07/2018    1 recensioni
L'equipaggio del Drago Spaziale è abituato a combattere contro un nemico in carne ed ossa... un nemico fin troppo appartenente al presente e fin troppo materiale. Fino al giorno in cui uno di loro non dovrà combatterne uno di tutt'altro genere.
Può un semplice anello chiudere il cerchio del tempo e fare giustizia di un efferato delitto... dopo cinquecento anni?
Genere: Mistero, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Più dolce sarebbe la morte se il mio sguardo
avesse come ultimo orizzonte il tuo volto,
e se così fosse...
mille volte vorrei nascere
per mille volte ancor morire.”

(W. Shakespeare)


- Carini, 4 dicembre 2063 - 10:00 -

Il sole di dicembre, tornato insolitamente luminoso e sgombro da nubi, sembrò riportare Pete nel presente, dopo aver attraversato – tra le parole di Calò e la vista dei due ritratti – cinque secoli di oscurità.

“Calò... vorrei raccontarvi...”
“Quello che vi è accaduto nel castello? Non ne avete bisogno... so tutto. Lo sapevo sin da prima che accadesse e così mio padre, mio nonno ed i miei antenati, prima di me.”

“Tutto?” esclamò Pete a mezza voce, lanciandogli un'occhiata in tralice e vedendosi rispondere affermativamente, con un cenno del capo ed un lampo di affettuosa complicità nello sguardo.
Arrossì al pensiero che quell'uomo, per quanto semplice ed alieno dal fare cattivi pensieri, potesse essere a conoscenza anche di quanto c'era stato tra lui e Laura.

Istintivamente comprese cosa volesse dire Calò con quel “...lo sapevo sin da prima che accadesse...

“Laura?”
“Sì... donna Laura. La sera del primo anniversario della sua morte, lei si palesò a Caterina, mentre lei terminava di rassettare la stanza dove si era consumato il delitto... e le raccontò della maledizione che so patri aveva scagliato su quell'anello, prima di infilarglielo al dito subito dopo averla uccisa. Ma non le disse soltanto questo...”

“Cos'altro?”
“La avvertì che l'anima di don Cesare, subito dopo la morte, si sarebbe servita a sua volta del potere diabolico di quell'anello, per rimanere nel castello... sia per sfuggire al castigo di Dio per aver dato l'anima al diavolo, sia per impedire che chiunque potesse agire per annullare la maledizione.”

“Ecco chi era...” disse Pete, tra sé e sé, ricevendo dalle parole di Calò la conferma di quanto già aveva intuito.
“Lo avete incontrato e vi siete battuto con lui, vero?” sorrise malinconicamente Calò.

Il giovane annuì.

“Donna Laura l'aveva predetto ad un pronipote di Caterina, in una delle sue apparizioni... quella del primo centenario della sua morte.”
“E' apparsa spesso, mi sembra di capire...”

“Ad ogni anniversario... senza mai mancare, neanche una volta. Ogni discendente di Caterina, nel corso dei secoli, ha avuto il privilegio di vederla e la consolazione di parlarle. Lei, poco prima di morire, fece una promessa a lei ed a suo marito: non avrebbe mai abbandonato la nostra famiglia, anzi... ci sarebbe rimasta vicina, aiutandoci in ogni modo possibile con consigli, avvertimenti e predizioni che si sono sempre avverate.”

“Aveva predetto che suo padre si sarebbe manifestato a sua volta?”
“Non soltanto...”
“Cioè? Mi dica tutto, Calò... non mi nasconda niente, la prego.”

“Non ne ho nessuna intenzione, state tranquillo... semplicemente aspettavo che foste voi a domandare, per essere sicuro che ve la sentiste di ascoltare.”
“Ed è così... vi ascolto.”

“I poteri malefici di don Cesare erano enormi, perché conferiti dal demonio in persona, ma non erano illimitati... per questo, la prigionìa che aveva inflitto a donna Laura non poteva essere totale ed assoluta: ad ogni centenario della sua morte, pur non potendosi allontanare dal castello, le era concesso non soltanto di manifestarsi, ma di riprendere corpo e sembianze umane per tre sere, non una di più, non una di meno... ed in quelle tre sere avrebbe avuto la possibilità di chiedere aiuto per essere liberata.”

Le labbra di Pete tremarono, mentre pendeva dalle labbra dell'anziano custode del castello.

“Se mai un uomo di animo nobile e di cuore impavido avesse messo piede nel castello in quell'occasione, gli eventi che portarono alla morte lei e don Ludovico si sarebbero ripetuti... e, se quell'uomo fosse riuscito a sconfiggere suo padre, le sarebbe stato permesso di sfilarsi l'anello e di chiedere a quell'uomo di distruggerlo.”

“Non poteva farlo da sola?”
“No, non poteva: il barone suo padre, sin dal giorno dopo l'omicidio, aveva fatto sparire dal castello tutti gli oggetti che fossero abbastanza pesanti da poterlo fare a pezzi... avrebbe dovuto uscire per cercarne qualcuno, ma la maledizione non glielo consentiva. Non era neppure possibile portare nel castello qualcosa di adatto, perché la stessa maledizione lo avrebbe fatto svanire nel nulla.”

Non c'era altro da dire.
Ormai Pete sapeva tutto.
Rimaneva solo un ultimo mistero da svelare.

“Calò, posso farle una domanda?”
“Tutte le domande che vossìa vuole. Chiedete pure...”
“Come vi spiegate che io... che io e Ludovico Vernagallo...”

“Il fatto che vi somigliate tanto da sembrare la stessa persona?”
“Sì...” fu la risposta soffocata di Pete.

Calò gli sorrise... un sorriso benevolo ed affettuoso, come se stesse parlando ad un figlio.
“Vi basterebbe sapere che la famiglia Vernagallo era originaria proprio di Verona?”

Il giovane ebbe un sussulto, talmente forte da fargli fare un passo indietro.

“Vuole dire che...”
“Sì... proprio così.”
“Reincarnazione...” mormorò Pete, sconvolto.

“Non proprio... se così fosse, la baronessa non avrebbe motivo di voler lasciare questa terra e raggiungere il cielo, per riunirsi a don Ludovico... se reincarnazione fosse, l'anima di chiddu poveru giuvini sarebbe qui sulla terra, dentro di voi: le basterebbe restare qui.”

“E... allora?”

Vossìa, iu sugnu cìertu ca... insomma, sono certo che... che da lassù, don Ludovico vi ha riconosciuto come suo discendente e vi ha scelto come suo rappresentante in terra... ed ha legato il suo spirito al vostro, affidandovi il compito di liberare la sua innamorata, quando ne fosse arrivato il momento.”

Traendo un profondo respiro, lo sguardo di Pete si perse nel cielo... che sembrò riflettersi nei suoi occhi azzurri, colmi di tristezza.

“Il guaio è che non ha legato a me soltanto il suo spirito, ma anche il suo cuore... e tutto ciò che conteneva. Per questo Laura, il castello e gli eventi che sono accaduti in queste tre sere mi sono stati familiari sin dall'inizio, anche se non riuscivo a ricordarli. O, meglio, era la mia mente a non ricordarli, mentre il mio cuore... li ha riconosciuti subito.”

Vossìa...”
“Sì, Calò?”
“Vi siete innamorato di lei, vero?”

Pete sorrise malinconicamente, mentre il suo sguardo continuava a sondare l'azzurro del cielo ormai sgombro da nubi.
“Lo sono sempre stato, Calò... lo sono da cinquecento anni.”

Tacque, socchiudendo gli occhi, come se la sua mente si fosse distaccata da quel luogo e da quel momento per galleggiare sull'oceano del sentimento che provava per Laura.
Un sentimento che aveva attraversato, intatto, ben cinque secoli, nonostante lui non ne avesse conservato memoria.

Un sentimento che, in quell'istante, gli suscitò una folle speranza.
“Calò... se decidessi di non distruggere quell'anello?”

La mano dell'anziano custode gli si posò di nuovo sulla spalla, come quando si trovavano dinanzi ai due ritratti nella cantina, con lo stesso fare paterno... solo che, a differenza della volta precedente, la sua voce aveva un tono ammonitore.
Pacato, ma ammonitore.

“E a quale scopo? Per essere il suo uomo e fare di lei la vostra donna? Non servirebbe... lei ha la facoltà di materializzarsi soltanto una volta ogni cento anni e, al prossimo centenario, voi già non ci sareste più. Avreste soltanto la possibilità di incontrarla una volta all'anno, il 4 dicembre, ma senza poterla neppure abbracciare... perché sarebbe con voi soltanto in spirito, anche se con l'apparenza di persona viva.”

Già... soltanto in spirito.
Fino al centenario successivo, per il quale lui sarebbe stato già morto.

Vossìa se la sentirebbe di tenerla ancora prigioniera, pur di rivederla? A parte l'inutilità per voi del trattenerla... non pensate che chidda povera fimmina sta aspettando da cinque secoli il momento della libertà? Non pensate che, ogni volta che vossìa la rivedesse, lei non farebbe altro che supplicarvi di lasciarla andare?”

Supplicarlo di lasciarla andare... sì, sarebbe andata proprio così, era inutile illudersi.
Sentì la disperazione lasciare il posto alla rassegnazione.
Calò aveva ragione.

“Senza contare, Dio preservi vossìa da ogni male, che se vi succedesse qualcosa... sarebbe stato tutto inutile, perché soltanto voi potete e dovete distruggere quell'anello. Se anche lo facesse qualcun altro non servirebbe a niente... e donna Laura rimarrebbe prigioniera in eterno.”

Fu quest'ultimo avvertimento di Calò a fargli prendere la decisione definitiva.

Il trattenerla non sarebbe servito a nulla: avrebbe potuto incontrarla soltanto una volta all'anno e, soprattutto, avrebbe rivisto soltanto il suo spirito, sia pure in forma umana e visibile... ed ogni volta avrebbe letto sul suo volto e nel suo sguardo la stessa disperata richiesta: liberami, Peter, liberami!

Non avrebbe potuto amarla, stringerla di nuovo tra le braccia e farla sua.

Avrebbe voluto invidiare Ludovico Vernagallo, nonostante la morte atroce che gli era stata inflitta, che per molti anni aveva potuto – sia pure in segreto – essere il suo uomo... ma il ricordo dei momenti che aveva vissuto con Laura glielo impedì: quella notte lui era stato davvero il suo uomo, nonostante nella sua memoria non fosse rimasta traccia degli eventi del passato... ed era tornato ad esserlo, anche se soltanto per quella notte.

Per quell'unica e meravigliosa notte d'amore.
Ricordò la sua tenerezza, la sua dolcezza, il trasporto con il quale aveva fatto l'amore con lui.

Avvertì il suo corpo fremere, mentre rievocava quegli istanti... sentiva, ormai, che quelle carezze meravigliosamente dolci, quella passione incontenibile eppure colma di tenerezza, quella sensazione di unione totale dei corpi e delle anime lo avrebbero accompagnato per tutto il resto della sua vita.
Senza che, questa volta, l'oblìo facesse da balsamo al dolore ed al rimpianto.

Cercò il consiglio di Calò che, rispettosamente, attendeva la sua decisione in religioso silenzio.
“Cosa devo fare, Calò? Cosa devo...”

La voce gli mancò, gli si spezzò in gola, sebbene i suoi occhi rimanessero asciutti... né poteva essere diversamente: aveva già versato ogni lacrima che aveva, per la rabbia, il dolore ed il rimpianto.

“Quello che vi ha chiesto donna Laura... distruggere quell'anello. Solo così libererete la sua anima dalle catene di questa terra e le permetterete di raggiungere don Ludovico... e getterete l'anima di chiddu patri scelleratu all'inferno, unni havi a stari! Fatelo, ve ne prego... ve lo chiedo anche io, come padre di figli: fate giustizia!”

Gli porse l'anello.
“Dovete farlo ... la giustizia di Dio ha messo la sua spada nelle vostre mani, non potete lasciarla chiusa nel suo fodero... tutto quel che è successo diventerebbe inutile e donna Laura, con don Ludovico, non potrebbero mai riunirsi. Se non volete farlo per giustizia, fatelo per amore... per amor suo.”

“Non avrei mai creduto di poter amare qualcuno più della mia stessa vita, Calò... eppure è così. Quando ho visto il suo ritratto ed ho capito tutto... avrei abbracciato e benedetto la morte, se fosse venuta a prendermi in quel momento.”

“Lo so... non occorre che me lo diciate. Ve lo leggo in viso. Ma in questo momento, vicino a voi, non c'è la morte: c'è la vita... quella eterna, quella che potete dare a quella povera anima. Voi vorreste darle tutto il vostro cuore... ebbene, avete modo di farlo. Offritele questo pegno d'amore: liberatela dalle catene che la imprigionano nel castello e lasciatela andare, lasciate che don Ludovico la accolga di nuovo nelle sue braccia.”

Il silenzio dominò quegli istanti, nei quali Pete cercò nel suo animo tutte le forze che poteva chiamare a raccolta per compiere quell'atto definitivo: l'atto che gli avrebbe fatto perdere Laura per sempre... ma che, allo stesso tempo, le avrebbe restituito la libertà.
La libertà... e l'amore di Ludovico.

Un amore che durava ormai da cinquecento anni e che, se solo lui l'avesse reso possibile, sarebbe durato per sempre.

Sì... era giusto che così fosse.
Prese l'anello dalle mani di Calò, cercando con lo sguardo qualcosa che gli permettesse di distruggerlo.
Non c'era che l'imbarazzo della scelta: in terra c'erano sassi, sassi dappertutto e, poco distante, una sorta di roccia piatta sembrò chiamarlo.

Non indugiò oltre: raccolse una grossa pietra e si diresse verso quella roccia, posandovi l'anello sopra.

La disperazione gli fece imprimere al braccio ed alla mano una forza tale che bastò un solo colpo: in un baluginìo di schegge e scintillii rossastri, il rubino andò in frantumi.
Stessa sorte toccò alla montatura, che si spezzò nel cerchio e nel castone della pietra.

Né lui né Calò si meravigliarono nel sentir aleggiare, nelle loro orecchie, due voci distanti ed irreali... eppure udibilissime.

Una era maschile... rauca ed orripilante mentre emetteva un urlo demoniaco che sembrò levarsi dalle profondità infernali e poi, nel dissolversi, ridiscendervi... per andare incontro alla punizione eterna che la giustizia divina riservava agli assassini.

L'altra si levò nell'aria un istante dopo.
Un dolcissimo sospiro femminile, che sembrava contenere in sé tutto il sollievo di una prigioniera finalmente sciolta dalle catene... e tutta la gratitudine del mondo nei confronti del suo liberatore.

Per una frazione di secondo Pete pensò di essere sul punto di piangere, per l'ennesima volta... ma si rese conto che non ve n'era ragione, anzi: la consapevolezza di aver liberato Laura e di averla restituita al suo amato erano motivi per sorridere, per provare il più profondo senso di pace che avesse mai sentito dentro di sé.

Tristezza e felicità si fusero nella sua anima... tristezza per aver rinunciato ad averla con sé sulla terra, felicità per averla restituita a colui per cui lei aveva sacrificato la vita.
Il suo Ludovico.

Rimase a fissare i frantumi dell'anello per un tempo incalcolabile, prima di voltarsi di nuovo verso Calò, che gli sorrise.
Vossìa ha fatto la cosa giusta. So quanto vi è costato, credetemi, lo so... e, che Dio mi perdoni, è costato anche a me lasciarvelo fare, perché da oggi la baronessa non si presenterà più al castello ogni anno. Né io né i miei figli né nessun altro della mia famiglia la rivedrà più... anche se avremo il conforto di sapere che è finalmente in cielo, tra le braccia di don Ludovico.”

Si scambiarono uno sguardo colmo di malinconia, prima che Pete rivolgesse a Calò una richiesta. Una richiesta che il buon uomo sembrava aspettarsi ed alla quale rispose prontamente.

“Calò... non avreste qualche oggetto della baronessa da darmi, per suo ricordo?”
“Sì che ce l'ho. Aspettate.”

Lo vide entrare lestamente in casa per uscirne pochi minuti dopo, tenendo tra le mani – delicatamente, come fosse stata una sacra reliquia – un indumento accuratamente ripiegato.

Una camicia da notte.
Quella camicia da notte.
Con altrettanta delicatezza, Pete la ricevette con un cenno di ringraziamento.

Non fece domande.
Non volle sapere come l'anziano custode ne fosse entrato in possesso... o come gli fosse stata affidata.
Non ce n'era bisogno.

Non gli rimaneva che un'ultima cosa da fare... e decise di farla.
L'ultimo atto di giustizia.

“Calò, accompagnatemi a Palermo. Devo parlare con padre Mariano, ma voglio che ci siate anche voi.”
“Come vossìa comanda.”

*

- Palermo, 4 dicembre 2063 - 19:30 -

Dalle vetrate istoriate della navata, filtrava la luce rossastra del sole ormai al tramonto.

Con un sorriso triste che gli aleggiava sul volto, Pete seguì con gli occhi i due operai che uscivano dalla chiesa, dopo aver ultimato il loro lavoro.

Si era offerto di ricompensarli generosamente, ma nessuno dei due aveva voluto accettare denaro: si erano schermiti dicendo che non potevano farsi pagare da un ospite di don Mariano, ma lui era sicuro che anche loro conoscessero la storia del sarcofago anonimo della baronessa e del Vernagallo... e che, per questo motivo, fossero stati felici di porre fine a quella crudeltà postuma.

Si girò verso il vecchio sacerdote che, benevolo, gli sorrideva.

“Grazie, padre... so che per venirmi incontro ha commesso un reato, visto che quel sarcofago è tutelato quale oggetto storico. Spero che non debba pagarne le conseguenze in futuro...”
“Anche se ci fossero, non mi preoccupano: la giustizia viene prima di tutto... e non parlo di quella della legge, ma di quella degli uomini. Oltretutto sono vecchio e non ho famiglia... alla mia età, meglio le conseguenze di un processo che una cattiva coscienza.”

“Ma se è così... come mai non ha provveduto lei a far incidere i nomi sul sarcofago?”
“Perché ho sempre saputo che non toccava a me... e sapete bene cosa voglio dire. Vero, Calò?” disse, voltandosi in direzione del suo sagrestano, con uno sguardo d'intesa.

“Vero, patri Mariano.” - fu la risposta sorridente di quest'ultimo - “Ma perché la scritta sul sarcofago è in latino? Cusì nun si capisci nenti...
“Perché così usava all'epoca della baronessa, Calò... ed era giusto che la scritta fosse così come se l'avessero scolpita allora. Ve la traduco?”

Vossìa sì, grazie mille...”

Il sacerdote iniziò a leggere l'iscrizione in latino, per poi tradurla, indicandogli man mano con il dito le righe che stava percorrendo.

HIC QVIESCIT NOBILISSIMA DOMINA
LAVRA LANZA
FILIAM CAESAR BAR. TRABIAE
VINCENTII LA GRVA BAR. CARINII SPONSA
ORTO TRABIA A.D. MDXXIX – VII OCT.
OBIIT CARINI A.D. MDLXIII – IV DEC.

ET NOBILIS DOMINVS
LVDOVICO VERNAGALLO
BAR. DAINASTVRII
ORTO A.D. MDXXVIII – XVIII IUN.
OBIIT CARINI A.D. MDLXIII – IV DEC.

Qui giacciono la nobilissima signora Laura Lanza, figlia di Cesare, barone di Trabia, sposa di Vincenzo La Grua, barone di Carini, nata a Trabia il 7 ottobre dell'Anno del Signore 1529, morta a Carini il 4 dicembre dell'Anno del Signore 1563 ed il nobile signore Ludovico Vernagallo, barone di Dainasturi, nato a Dainasturi il 18 giugno 1528, morto a Carini il 4 dicembre 1563.”

"Che 
possino arrepusari in pace..." sussurrò Calo, segnandosi, mentre Pete rientrò nella chiesa - dalla quale era uscito per pochi minuti - con un meraviglioso mazzo di rose rosse tra le mani.

Lo depose delicatamente sul sarcofago, in silenzio. 

*

- Carini, 4 dicembre 2063 - 20:45 -

Le mura del castello emersero in distanza dalle ombre della notte, mentre l'automobile percorreva, lentamente, l'ultima parte della strada da Palermo a Carini.
Pete, silenzioso, sembrava perso nei suoi pensieri e, così almeno sembrò a Calò, più si avvicinavano alla loro destinazione e più rallentava l'andatura.
Come se non volesse giungere mai.

Come se il rimettere piede in quei luoghi decretasse la fine di quell'incredibile storia... ed il suo addio definitivo a Laura.

Le uniche parole che aveva pronunciato erano quelle rivolte al dottor Daimonji quando, appena usciti dalla chiesa e saliti in auto, lo aveva chiamato sul bracciale radio per avvertirlo che sarebbe rientrato molto tardi.
Stranamente, il dottore non gli aveva chiesto spiegazioni, tantomeno lo aveva rimproverato per essersi reso irreperibile sin dalla sera prima.

Gli aveva soltanto detto: “Va bene, Pete. Prenditi tutto il tempo che ti occorre. La partenza è prevista per domattina alle undici.”
Non più loquace era stato Sakon, inserendosi nella conversazione con un breve: “Cerca di essere qui per le nove, in modo da effettuare il check della strumentazione senza fretta.”

Calò aveva rispettato il suo evidente desiderio di non fare conversazione: aveva compreso benissimo il suo bisogno di silenzio e si era regolato di conseguenza.

Non si era sorpreso più di tanto quando Pete, giunti nella chiesa, aveva chiesto a don Mariano di rendere finalmente giustizia completa alla baronessa ed al Vernagallo, facendo incidere i loro nomi sulla parete del sarcofago che accoglieva il loro riposo... ed ancor meno nel vedere che il vecchio sacerdote non aveva fatto una piega, al riguardo: l'unica obiezione che aveva mosso era stata riguardo alla difficoltà di ottenere il tutto in giornata, soprattutto non potendo asportare il sarcofago e trasportarlo in qualche laboratorio apposito per effettuare il lavoro.

Tuttavia le insistenze di Pete gli avevano fatto ricordare di un suo compaesano di Montelepre, un paesino poco distante da Palermo, che lavorava appunto il marmo... il chiamarlo, spiegargli la situazione e ritrovarsi due marmisti in chiesa fu questione di due ore: non appena l'uomo all'altro capo del filo sentì nominare quel sarcofago, tutte le obiezioni sui problemi di tempo e di organizzazione si erano sciolti come neve al sole.

L'unica cosa che era rimasta dura come il granito era la determinazione dei due operai nel non presentare il conto a Pete – ordine del loro principale – e nel rifiutare qualsiasi compenso che il giovane volesse offrire a titolo personale.
Nulla di più facile – pensò – che anche loro, come il loro datore di lavoro, fossero a conoscenza della storia della baronessa... ed avessero voluto rendere, in quel modo, il loro omaggio ai due giovani che in quella tomba avevano l'ultima dimora.

Ritornò con la mente al sentiero sterrato che stavano percorrendo, alla fine del quale c'era la sua casa.

Vossia si fermi... siamo arrivati.”
“Ah... sì, giusto. Grazie di tutto, Calò...”
“Ma che... vossìa vuole già andarsene? Trattenetevi a cena, almeno... oggi a pranzo non avete mangiato nulla e meo mugghieri si dispiacissi si vossìa nun si degnassi di favorire... venite, ci saranno pure li figghi mei, sarei onorato di presentarveli.”

Pete sentì di non poter rispondere con una scortesia a quel galantuomo che si era messo a sua disposizione in ogni modo possibile... ed, ancora una volta, cedette.

Si accomodarono in casa.

*
La cena era stata semplicissima, tale da incontrare appieno i gusti di Pete, se fosse stato in grado di apprezzarla... ma il suo cuore era talmente greve ed appesantito che nel piatto avrebbero potuto esserci anche delle pietre, lui non se ne sarebbe neppure accorto.

La cordialità delle presentazioni con i figli di Calò e l'ospitalità dell'intera famiglia furono il solo balsamo che riuscì ad attutire il dolore dell'ultima consapevolezza: quella del dover andare via da quel luogo... dove, lo sapeva, avrebbe lasciato il suo cuore.

“Vuliti trasiri... cioè, volete entrare nel castello ancora una volta?gli aveva chiesto Calò, intuendo il suo desiderio mentre si congedava da loro.

Lo sguardo malinconico che il giovane gli aveva rivolto, in risposta, era stato più che sufficiente: Calò, con cortesia d'altri tempi, lo accompagnò fino al portone principale.
“Restate pure quanto volete, senza problemi... quando andrete via, lasciate pure le chiavi nella serratura del portone, le prenderò io domattina.”

Gli aveva stretto la mano, tenendola tra le sue: mani nodose, abituate al lavoro, prova evidente di quanto fosse un uomo semplice ed onesto.
Un uomo di gran cuore.

Pete fece per entrare ma la voce di Calò, anch'essa carica di malinconia, lo raggelò sul posto.
Vossìa entri pure... ma non credo si farà vedere.”

Lui si voltò di scatto, fissandolo con occhi roventi.
“Perché? E' ancora il 4 dicembre... non è ancora passata la mezzanotte!”

“Lo so, ma ormai l'anima di donna Laura potrebbe già essere sulla via del cielo. Però... chissà!” furono le ultime parole di Calò nel congedarsi definitivamente da lui, con un ultimo cenno di saluto.

Pete lo seguì con lo sguardo, finché non lo vide raggiungere la sua casa e rientrarvi, accolto dalla moglie.
Non sentì, né poteva sentire, le parole che si scambiarono.

Calò... u vidisti? Bedda Matri... 'u Vernagallu, 'parìa... beddo e biondo comu iddo... e gli stissi ùocchi azzurri! Uguale a iddo è!”
Saruzza, la mano di Domineiddio lunga è... e Dio nunn'è mercante, ca paga u sabbato. Cinque secoli ci sono voluti... ma finalmente chidda povera meschinedda ha avuto giustizia... ora havi solo da se riuniri co lu Vernagallu e da arrepusare 'nzemu a iddu cu 'a Maronna!”

I due paesani, silenziosamente, si ritirarono nella loro povera ma dignitosa casa, mentre Pete attraversava il cortile del castello e raggiungeva la stanza di Laura.

*

Era notte, ormai, ma la luce della luna pioveva a torrenti dalla finestra... dissipando l'ombra da ogni angolo e riflettendosi su ogni muro.

L'impronta insanguinata sembrava quasi chiamarlo... e lui, obbediente, le si avvicinò.
Poté osservarla solo per un attimo.

Un solo attimo... prima che iniziasse a sbiadire, fino a scomparire.
Pete barcollò, appoggiandosi a due mani alla parete per non crollare in terra.

No... non poteva andarsene così.
Non senza che potessero dirsi addio.
La chiamò, disperato, a piena voce... ma gli rispose soltanto il silenzio.

“Vorrei solo un bacio, Laura... soltanto quello, prima che tu te ne vada... non negarmelo, ti prego... non negarmelo!”

Silenzio.
Si guardò intorno, sperando di vederla apparire... sperando che lei gli concedesse l'ultimo saluto.

Nulla.
Soltanto il luccichìo lunare, riflesso delle pareti... seguito da quello delle sue lacrime.

No, non l'avrebbe più rivista.
Mai più.

Si avvicinò al letto, per dire addio a quelle morbide coltri che avevano accolto il loro amore... e che, in quel momento, accolsero il suo pianto.

Vi si gettò sopra, come a cercarvi ancora il profumo del corpo di Laura.
Gli sembrò di sentirlo... ma, lungi dal consolarlo, quell'aroma rese ancor più cocente il suo dolore, ancor più bruciante il suo rimpianto.

Sentì che non avrebbe potuto resistere ancora a lungo, disteso su quel letto, non senza di lei.
Si alzò, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano, dirigendosi verso il balcone che si apriva a fine corridoio ed aprendone la porta quasi con furia.
Aveva bisogno di aria.

Si appoggiò con la schiena al muro esterno, lo sguardo rivolto al cielo.

Nonostante lo splendore dell'astro notturno, che smorzava quello di ogni altro corpo celeste, vide scintillare una stella che sembrava pulsare... con lo stesso ritmo del suo cuore.
Come se volesse... dirgli qualcosa?

Fu questo l'interrogativo che gli balenò nel cervello, ma non ebbe il tempo di darsi una risposta: la sensazione di una presenza gli fece trattenere il respiro.

Si guardò intorno, ma non vide nulla e nessuno.
Tentò di convincersi che fosse stata solo un'impressione... quando avvertì una sorta di morbidezza sfiorargli tutto il corpo.
La stessa sensazione di morbidezza che gli aveva dato la pelle di Laura, dopo essersi sfilata la camicia da notte.

Sì, la stessa sensazione, identica... come se lei, invisibile ma presente, lo avesse sfiorato in un'ultima, soave carezza.

Un sospiro gli gonfiò il petto.
“Soltanto un bacio ti avrei chiesto, Laura... soltanto un bacio...” mormorò Pete, tra sé.

Forse fu un'allucinazione dei sensi... o forse fu il suo disperato desiderio di averla tra le braccia per l'ultima volta... ma sentì, nitidamente, il suo corpo venire racchiuso in una tenerissima stretta e, sulle labbra, un meraviglioso calore che gli invase tutto il corpo.

Si abbandonò a ciò che provava, senza più farsi domande.
Sapeva soltanto che, finalmente, Laura aveva chiuso gli occhi sul mondo terreno, per riaprirli lì dove Ludovico la stava aspettando.

Così come lui poteva chiudere i suoi ed abbandonarsi contro la parete, perdendosi nel rivivere quel che era appena accaduto... ormai consapevole che il suo desiderio era stato esaudito.

Non si chiese neppure, dopo, quanto fosse durato quel momento... non gli importava. Non contava.
Rivolse di nuovo lo sguardo verso la volta celeste, ancora rischiarata dallo splendore pulsante di quella stella... e non si sorprese, quando ne vide accendersi un'altra, vicinissima alla prima.

Vai, Laura... la tua felicità comincia adesso. Vai... sei libera.” pensò, prima di rientrare nel castello e ridiscendere all'ingresso.

Una bianca lucentezza, sul sedile posteriore della macchina, attirò la sua attenzione mentre rientrava in auto, per ripartire verso l'aeroporto di Palermo.

La camicia da notte di Laura.
Il ricordo della loro unica notte insieme.
Quello che lei stessa, ora lo sapeva, in qualche modo misterioso aveva voluto lasciargli tramite Calò.

La prese e se la avvolse intorno al collo, aspirandone profondamente la fragranza durante tutto il viaggio di ritorno al Drago Spaziale.

Sì... siamo insieme, Laura. Non a Carini e non sul Drago... ma siamo davvero insieme. In un altro tempo ed in un altro luogo... ma per sempre.

Le due stelle, che Pete aveva rimirato dal balcone del castello, emisero all'unisono un ultimo bagliore, intensissimo, prima che il chiarore lunare le velasse definitivamente.

L'ultimo addio di Laura.
Il suo ringraziamento, insieme a quello di Ludovico.
Il loro ultimo saluto... prima di involarsi, per l'eternità, verso il regno della luce.

* * *

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“...sentì, nitidamente, il suo corpo venire racchiuso in una tenerissima stretta
e, sulle labbra, un meraviglioso calore che gli invase tutto il corpo.


*

  
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