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Autore: Kim WinterNight    02/08/2018    2 recensioni
Scappare non è sempre simbolo di codardia. Ognuno di noi ha un motivo valido per cui vorrebbe scappare da qualcuno o qualcosa: chi per dimenticare, chi per liberare la mente, chi per accompagnare qualcun altro nella fuga, chi per uscire di casa, chi per volere di un'entità superiore...
Ma tutti, forse, lo facciamo per cercare un po' di libertà e per rendere noi stessi più forti e capaci di ricominciare a lottare.
DAL TESTO:
Una vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. [...]
Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.
«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte. [...]
«Non ti incazzare, amico. Ci tenevo solo a invitarti personalmente al mio matrimonio.»
Digrignai i denti e osservai, senza neanche vederli, gli automobilisti a bordo dei loro veicoli che mi superavano e mi evitavano per miracolo, per poi imprecare contro di me e schiacciare sul clacson con fare contrariato. [...]
«Avresti potuto chiedermelo, magari?» commentai, incrociando le braccia sul petto.
«Avresti rifiutato» si giustificò.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan, Nuovo personaggio, Serj Tankian, Shavo Odadjian
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ReggaeFamily

Family

[Serj]




Quando ero sceso dal taxi, quasi mi si era mozzato il fiato: poche volte in vita mia mi era capitato di vedere un posto più bello.

Una scogliera meravigliosa e selvaggia che scendeva a picco sul mare, un albergo singolare arrampicato sopra di essa, un mare cristallino e infinito... sembrava di essere in un luogo magico, era difficile pensare che esistesse davvero.

Mi soffermai sulla struttura alberghiera che si stagliava di fronte ai miei occhi e rimasi a osservarla per un po', ammaliato dal suo splendore: lo Skye Sun Hotel si strutturava in quattro palazzotti, dipinti ognuno di un colore diverso, i quali ospitavano le camere degli ospiti, come mi avevano raccontato spesso i ragazzi. Dal loro resoconto, sapevo che la struttura in vetro e cemento che si trovava alla base del complesso alberghiero costituiva la hall, il ristorante e uno dei due bar dell'hotel. In alto c'era la famosa terrazza panoramica che non vedevo l'ora di visitare, così come la spiaggetta privata dell'albergo e il rifugio dei gatti di Leah.

Mi sentii sfiorare il braccio e mi voltai alla mia sinistra, ritrovandomi faccia a faccia con Angela.

«Angie, hai visto che razza di posto è questo?» dissi, notando che sul viso di mia moglie era sorta la stessa espressione estasiata che probabilmente avevo assunto anch'io.

«Sarebbe stato perfetto per il nostro viaggio di nozze, se solo l'avessimo scoperto prima» affermò lei in tono compiaciuto.

«E se prendessimo questa vacanza come una seconda luna di miele?» le proposi, circondandole le spalle con un braccio.

Lei sorrise e annuì. «Ci sto. Anche se poi saremo costretti a tornarci quando Rumi sarà nato.» Detto questo, posò una mano sulla sua pancia e la accarezzò piano.

Ridacchiai. «Ovviamente, a lui piacerà.»

Angela era al suo quinto mese di gravidanza e da poco avevamo scoperto che la nostra creatura era un maschietto; da subito avevamo scelto il nome per il nostro bambino e già ci rivolgevamo a lui come fosse già nato. Finalmente, dopo tanti tentativi, eravamo riusciti a concepire un figlio, e per noi quella consapevolezza era stata incredibilmente rassicurante.

«Ragazzi, vi piace? Che vi avevamo detto?» ci intercettò Leah, trascinandosi dietro alcuni bagagli lungo il vialetto d'accesso alla hall.

«Pazzesco» mormorò Angela.

«Sono così felice che abbiamo organizzato questa vacanza tutti insieme!» esclamò la ragazza di Shavo, per poi precipitarsi dentro.

Uscì nuovamente sul vialetto poco dopo, accompagnata da un ragazzo altissimo, dalla carnagione scura, capelli e occhi neri. Supposi che lavorasse come dipendente dell'albergo, poiché indossava una divisa rossa con una targhetta appuntata sul petto.

«Day!» strillò Shavo, correndo incontro al nuovo arrivato. I due si abbracciarono fraternamente, poi il bassista lo trascinò verso me e Angela.

«Piacere, io sono Serj» esordii, tendendogli la mano.

«Piacere mio, mi chiamo Dayanara e lavoro come receptionist in questo hotel. Benvenuto» mi salutò, stringendomi energicamente la mano.

«Salve Dayanara, io sono Angela, la moglie di Serj.»

I due si strinsero la mano e io ebbi l'impressione che quel ragazzo fosse molto discreto e professionale. Non fece domande su chi fossimo, né lanciò occhiate o frecciatine sul fatto che Angela aspettasse un bambino. Era indubbiamente un buon dipendente, ma del resto i miei amici mi avevano sempre parlato bene di lui.

«Ovviamente siete invitati anche voi da me e Alwan, stasera» aggiunse Dayanara, sorridendoci educatamente.

«Verremo con molto piacere» risposi, poi notai che anche John e Bryah si avvicinavano al receptionist per salutarlo.

«Alwan è in hotel?» chiese il batterista.

«No, oggi si è preso un giorno libero e sta già cucinando per stasera. Ho paura che bruci la nostra casa.»

Bryah ridacchiò. «Andiamo, poveretto, non dire così! Okay, Day, posso chiederti un favore?»

L'altro annuì.

«Io e John vorremmo andare a trovare i miei genitori. Puoi pensare tu ai nostri bagagli? Ci aspettano per pranzo ed è già passato mezzogiorno, non vorrei farli aspettare troppo» spiegò la giornalista, prendendo il suo compagno sottobraccio.

«Ci mancherebbe altro! State tranquilli e andate pure, penso a tutto io e li faccio portare in camera vostra da Dennis» li rassicurò Dayanara, poi si scusò e ci disse che doveva rientrare alla sua postazione.

Io e Angela annuimmo, poi le consigliai di andare a sedersi nella hall mentre noi pensavamo ai bagagli. Non volevo che facesse sforzi e che si affaticasse senza che ce ne fosse motivo.

Mentre trascinavamo le nostre valigie nella zona degli ascensori, mi guardai a malapena attorno, notando che la hall era costituita da dei divanetti dello stesso colore delle quattro palazzine: rosso, arancione, bordeaux e giallo. Tutto là dentro era colorato, moderno e accogliente.

Mi stavo avviando verso Angela per chiederle se le andasse di riposare un po' nella nostra stanza, quando un tizio mi sbarrò la strada e mi fissò con fare estasiato e incredulo: era alto circa un metro e settanta, magro e minuto, portava i capelli legati in un codino e indossava una divisa simile a quella di Dayanara.

«Cazzo!» strillò, poi allungò una mano e me la posò sul braccio, come se stesse verificando la mia reale esistenza di fronte a lui. «Serj Tankian...» farfugliò.

«Ehm, ehi, come va? Sì, sono io, che ne pensi di lasciarmi andare?» lo apostrofai, cercando di divincolarmi dal contatto con lui.

«Oh, scusa, scusa... okay, ehi, io sono Cornia. Mi dispiace, ma... ancora non posso crederci che tu... quando Al me l'ha detto, non gli ho voluto credere...» continuò a blaterare.

«Cornia!» lo richiamò Dayanara con voce calma, ma che in sé nascondeva un'inflessione severa.

Cornia si irrigidì leggermente e, dopo avermi strizzato l'occhio, si voltò verso il bancone della reception con un'espressione fintamente innocente stampata sul viso dai lineamenti affilati. «Sì, capo!» recitò in tono solenne.

«Che ci fai qui? Hai lasciato il tuo posto al bar per importunare i nostri ospiti?»

«No, c'è Lakyta al bar. Credi davvero che io sia così irresponsabile? La prossima volta che hai problemi con il pc, chiama un tecnico! Io non ti aiuto più!» gracchiò Cornia.

«Ma piantala. Su, torna al lavoro» tagliò corto Dayanara.

«Cornia, ehi!» strepitò la voce di Leah alle mie spalle.

«Leah!» gridò lui, poi i due si abbracciarono con trasporto.

La ragazza mi batté sulla spalla. «Questo stronzo ti stava importunando? Perdonalo, in fondo è un bravo ragazzo» mi rassicurò.

«È un tuo amico?» chiesi, addolcendo un po' la mia espressione.

«Sì, è un tipo a posto, anche se non sembra» proseguì Leah, facendo la linguaccia al ragazzo che ancora stazionava di fronte a me.

«Scusami, Serj, non volevo essere invadente. Me ne vado subito» borbottò Cornia, lanciando un'occhiataccia a Leah.

«Non preoccuparti. Lavori al bar della terrazza?»

Lui annuì vigorosamente. «Se passi da me, ti offro qualcosa per farmi perdonare.»

«Non mancherò» conclusi, poi gli strinsi brevemente il braccio e ripresi a camminare verso Angela.

In quel posto si respirava una bellissima atmosfera, ma io ero stanco morto e volevo soltanto andare a mangiare qualcosa e poi riposare un po'.

Daron piombò accanto a me e Angela mentre aspettavamo l'ascensore che ci avrebbe condotto alle camere situate nella palazzina bordeaux.

«Muoio di fame!» esclamò il chitarrista, poi sbadigliò e cercò di radunare tutte le valigie accanto all'ingresso dell'ascensore. Poi si voltò verso Dayanara e gridò: «E comunque, Day, sono ancora incazzato con voi perché non ci aiutate mai a portare i bagagli in camera!».

Poco dopo fummo raggiunti da un ragazzino piuttosto giovane, che ci disse di chiamarsi Dennis e di essere a nostra completa disposizione per qualsiasi cosa.

Sorrisi. Il mio amico non si smentiva mai, riusciva sempre a ottenere ciò che voleva.


La casa in cui abitavano Dayanara e Alwan era modesta, ma sembrava molto accogliente. Dall'esterno sembrava abbastanza anonima e simile a tante altre che avevo visto mentre viaggiavamo in taxi all'interno di Kingston, ma quando vi entrai mi resi conto che quei ragazzi avevano arredato la loro abitazione in modo che fosse accogliente: c'era qualcosa che ricordava i colori dello Skye Sun Hotel e delle sue pittoresche palazzine, mentre il pavimento ero completamente costituito da parquet. I muri erano dipinti di colori caldi, tappezzati da quadri perlopiù astratti e allegri, e i mobili semplici e funzionali completavano il tutto alla perfezione.

«Ragazzi, questa casa è bellissima!» esordì subito Leah, mentre si faceva largo nel piccolo ingresso, pulendosi meticolosamente i piedi su uno zerbino rosso che recava la scritta Welcome To Jamrock.

«Voglio anche io questo tappetino!» commentò Shavo, riconoscendo il titolo di una celebre canzone di Damian Marley.

«Ti pareva» sbuffò Leah, mollandogli una gomitata nelle costole.

«Ahi!»

Poco dopo ci raggiunse un ragazzo con addosso un grembiule rosso, che subito si diresse verso me e Angela con un enorme sorriso stampato sul viso dolce. «Benvenuti a casa nostra. Serj, per me è un onore averti come ospite. Ed è un piacere conoscere te e tua moglie. Angela, giusto?» esordì.

Lei ricambiò il sorriso e gli strinse la mano, poi anche io feci lo stesso.

«Io sono Alwan, spero che abbiate sentito parlare bene di me!» scherzò, per poi osservarci meglio. «Aspettate un bambino, ma è fantastico!» esclamò, soffermandosi a guardare Angela con più attenzione.

«Sì, dovrebbe nascere a ottobre» confermai con orgoglio.

«Dai! Sapete già il sesso del bimbo?» volle sapere Alwan tutto eccitato, afferrando di slancio la mano di mia moglie.

Lei rise. «Che entusiasmo! Sì, sarà un maschietto e si chiamerà Rumi» gli rivelò.

«Ma è fantastico!» squittì Alwan.

Dayanara lo afferrò per un polso e sospirò. «Senti un po', torna in cucina. Il tuo stufato sta per bruciare.»

«Oh, merda! Corro! Voi intanto accomodatevi pure, eh, fate come foste a casa vostra!» blaterò, scomparendo nuovamente all'interno della cucina.

Io e Angela ci scambiammo un'occhiata divertita e seguimmo i nostri amici verso una porta che conduceva sul retro dell'abitazione.

I padroni di casa avevano apparecchiato su un piccolo portico in legno e io fui contento di potermi godere la fresca brezza che caratterizzava quella bella serata di metà maggio.

Io mi ritrovai seduto tra John e Dayanara, mentre Angela era stata trascinata dalle altre ragazze dalla parte opposta del tavolo. Notai che anche Cornia era stato invitato, e accanto a lui vidi una ragazza piuttosto anonima e silenziosa. Non sembrava piuttosto in confidenza con Leah e Bryah, ma non volli chiedere spiegazioni.

John, che pareva sempre essere in grado di leggermi nella mente, mi diede di gomito. «Sai chi è quella?» bisbigliò.

«Me lo stavo giusto domandando» ammisi.

«Lakyta, quella ragazza di cui ti avevo parlato, quella che sognava di volare a Hollywood per fare l'attrice» mormorò il mio amico, mentre versava un po' d'acqua nel suo bicchiere.

«Ora capisco. Sta con Cornia?»

John si strinse nelle spalle. «A quanto pare.»

Dayanara si intromise nella conversazione, sempre discreto e per niente invadente. «Se posso dirvi qualcosa, ecco, loro due stanno insieme ma io ho paura che Lakyta stia attraversando un brutto periodo.»

John si allungò verso di me per potergli parlare meglio. «Cosa intendi?»

«Credo soffra di depressione o qualcosa del genere. È cambiata molto in quest'ultimo anno, soprattutto da quando si è fidanzata con Cornia. Lui è allegro e cerca sempre di fare del suo meglio, ma dubito riesca a capirla e aiutarla veramente. Non dovrei dirlo, lo so, ma so che voi due siete affidabili. Me lo sento. È che ho paura per quella ragazza e non so come comportarmi» ammise il receptionist a bassa voce, poi si lasciò sfuggire un sospiro.

«La verità è che se non vuole essere aiutata, tu non puoi fare niente» dissi.

John annuì. «Serj ha ragione. Non sentirti in colpa.»

«Già» commentò Dayanara poco convinto, poi si scusò e si alzò per andare ad aiutare Alwan a portare il cibo in tavola.

Notai che il batterista si soffermava a osservare Lakyta, poi si passò una mano tra i capelli ed espirò di botto. «Ha ragione a essere preoccupato. Chissà come finirà quella ragazza...»

Stavo per tentare di rassicurarlo, quando Shavo e Daron cominciarono a fare baccano; dovevano aver bevuto già un paio di bicchieri e non tardarono a farsi riconoscere come al solito.

«Sei un coglione, Odadjian! Non permetterti mai più di buttare la tua fottuta mollica di pane nel mio vino!» strillò il chitarrista, allungandosi per afferrare il pizzetto di Shavo con l'intento di tirarglielo.

«Giù le mani, stronzo! Faccio come mi pare, del resto tu hai bevuto dal mio bicchiere!» gracchiò il bassista, balzando in piedi per sfuggire al suo attacco.

«Siete due idioti! Però Shavo ha ragione!» esclamò Cornia a sproposito, sollevando il suo bicchiere.

«No, ha ragione Daron!» gridò Alwan, mentre depositava pentole e vassoi sul tavolo.

Sgranai gli occhi. «Sono sempre così?» chiesi a John.

«Più o meno sì, anche se di Shavo e Daron non dovresti sorprenderti» replicò il batterista in tono divertito.

«Basta! Adesso mangiamo!» decise Leah, spingendo via Shavo che intanto l'aveva raggiunta per cercare rifugio.

Sospirai e sorrisi. Ne avremmo viste delle belle.


La cena era andata bene. Alwan e Dayanara erano stati avvertiti che io ero vegetariano, così si erano premurati di cucinare dei piatti a base di verdure e ortaggi, facendomi assaggiare anche qualche ricetta tipica della Giamaica.

Shavo, Daron e Cornia si erano dati da fare per svuotare più volte i loro bicchieri, e ora vegetavano sulle loro sedie in plastica a sproloquiare.

«Avete una chitarra o qualche altro strumento qui?» volle sapere Daron, mettendosi in piedi e stiracchiandosi. «E poi mi serve un bagno» aggiunse, sghignazzando senza ritegno.

«Il bagno è a sinistra della porta d'ingresso» lo informò Alwan con un sorriso, mentre si metteva in piedi a sua volta. «Vado a prendere gli strumenti che abbiamo a disposizione. Vuoi fare una jam?»

Daron gli strizzò l'occhio e si avviò dentro casa, seguito dall'altro ragazzo.

Udii le ragazze chiacchierare e mi soffermai per un attimo ad ascoltare ciò che si stavano dicendo.

«Io e Serj non abbiamo ancora comprato tutto ciò che servirà per Rumi, dovremo rimediare non appena saremo nuovamente in città.»

«Sai, è bellissimo tutto questo. Io vorrei avere un figlio, ma non so se sarei una brava madre» replicò Leah.

Bryah ridacchiò. «Io non voglio averne.»

«E John che ne pensa? E perché dici così?» le chiese Leah.

«Non mi sento per niente di avere dei figli. Be', io e John non ne abbiamo mai parlato, è un po' troppo presto» spiegò la giornalista.

Nel frattempo Daron e Alwan erano usciti nuovamente sul portico e il padrone di casa stringeva uno djambé tra le braccia, mentre il mio amico teneva una chitarra acustica nella mano destra e un basso nella sinistra. Dalla spalla di Alwan pendeva un sacco di iuta che immaginai contenesse qualcos'altro, forse delle percussioni.

Dayanara fece spazio sul tavolo e prese il sacco, per poi svuotarlo sulla tovaglia. Come avevo immaginato, ne fuoriuscirono diversi shaker, due paia di maracas, delle claves e dei piccoli tamburi.

«C'è anche uno xilofono!» annunciò Alwan, portando fuori lo strumento da un'altra custodia. «E anche un triangolo» proseguì.

«Oh, e noi cosa dovremmo farci?» borbottò Cornia, sollevando uno shaker costituito da un barattolo vuoto di shampoo riempito con delle pietruzze colorate.

«Be', suoniamo, no?» lo apostrofò Daron, imbracciando la chitarra.

«Su, ragazzi! Ognuno di noi prenda qualcosa e facciamo un po' di casino» strillò Shavo, afferrando uno dei tamburelli.

«Shavo, non vuoi il basso?» gli chiesi sorpreso, mentre mi impossessavo dello xilofono.

«No, lo suonerà Al.»

Guardai Alwan in viso, notando che aveva aggrottato le folte sopracciglia nell'udire le parole del mio amico. «Io?»

«Ma certo! Leah, tu cosa suoni?»

«Non sono capace!» disse lei, accostandosi al suo ragazzo per osservare gli strumenti disposti alla rinfusa sul tavolo.

«Non tutti lo siamo, però lo facciamo per divertirci» la rassicurò Dayanara, porgendole il triangolo. «Prendi questo e tieni il tempo, fai una cosa semplice e ti fai due risate» le suggerì.

Lei ridacchiò e accettò volentieri di mettersi in gioco; afferrò qualche altro strumento e lo porse a Bryah e Angela, ignorando deliberatamente il fatto che Lakyta fosse rimasta in disparte.

Notai che John si allungava a prendere lo djambé, mentre Cornia agitava tutto eccitato il suo shaker.

«Laky, tu non suoni? Prendi le maracas, dai!» sentii dire a John.

«No, grazie» rispose lei in tono piatto.

Shavo le si piazzò di fronte. «Allora fai il video, okay? Lo sai usare, sì?» le chiese, porgendole il suo iPhone.

Lei annuì e afferrò il cellulare, preparandosi a filmare la nostra blanda quanto improbabile jam session.

«Che canzone facciamo?» domandò Daron, cercando il mio sguardo.

Mi strinsi nelle spalle. «Non lo so, decidi tu» gli dissi, facendo un breve check dei suoni del mio strumento. Si trattava di uno xilofono per bambini, niente di serio, disponeva soltanto di otto tasti colorati, ma per quella serata sarebbe andato bene.

Daron non si preoccupò di controllare se la chitarra di Alwan fosse accordata, prese a produrre qualche accordo e dopo un po' anche Alwan si unì a lui.

Non stavano eseguendo un brano preciso, si trattava di pura e semplice improvvisazione.

John entrò con un complicato ritmo allo djambé, e a quel punto anch'io mi buttai nella mischia, creando una melodia ripetitiva con piccole variazioni sul tema.

«Cantate qualcosa!» strillò Leah, agitandosi a tempo e pestando a caso sul suo triangolo.

Shavo intanto prese a percuotere il tamburo, riuscendo a incastrarsi in levare rispetto alle ritmiche di John.

Non sapevo neanche io come tutto ciò stesse succedendo e riuscendo anche abbastanza bene, però era pazzesco e mi stavo divertendo un sacco a suonare quel diamine di xilofono.

Mi schiarii la gola e lanciai un'occhiata a Daron, che stava dall'altra parte del tavolo, con un piede sulla sedia e la chitarra appoggiata sulla coscia.

Lui chiuse gli occhi e cominciò a canticchiare, nonostante fosse più che altro un roco rantolare senza capo né coda. Mi aggiunsi subito a lui e presi ad armonizzare le sue linee vocali, finché non formammo una sorta di botta e risposta nel quale a turno davamo l'input per una melodia su cui poi armonizzare e creare improvvisazioni.

Qualcuno rideva, qualcuno improvvisava delle parti in pseudo-rap e qualcun altro strillava cose a caso e completamente senza senso. Quasi tutti ballavano e si muovevano a tempo.

Era una serata bellissima, non avrei mai pensato di trovarmi tanto bene in compagnia delle persone che i miei compagni di band avevano conosciuto un anno prima durante la loro vacanza in Giamaica.

Se pensavo a quante cose fossero cambiate durante quei dodici mesi mi sentivo soddisfatto e felice per me e i miei amici.

Mentre suonavo e cantavo, sollevai lo sguardo dallo xilofono e osservai Leah e Shavo che facevano i cretini: lui tentava invano di muoversi sensualmente di fronte a lei con l'intento di risultare provocante, mentre lei rideva spudoratamente e fingeva di vomitare sulla pelle del tamburello di lui. Poi guardai Angela che agitava uno shaker di metallo con la mano destra, tenendo quella sinistra distrattamente abbandonata sulla sua pancia. Bryah, accanto a lei, batteva tra loro le claves in una pulsazione regolare e perfettamente a tempo, senza mai staccare gli occhi da John. Quest'ultimo era serio e concentrato sul suo djambé e sembrava essersi estraniato completamente dalla realtà. Dayanara stringeva tre le mani due maracas e le muoveva sconnessamente, ridacchiando discretamente. Alwan suonava il basso, inginocchiato sul pavimento, e muoveva le mani con agilità. Daron era nel suo elemento e suonava con estrema naturalezza, un'espressione serena e divertita stampata in viso. Lakyta, in piedi in un angolo, girava il video e un leggero sorriso si era formato sulle sua labbra. Cornia le stava accanto e la stringeva per la vita, blaterando cose senza senso e lasciandole ogni tanto dei leggeri baci sulla guancia.

Ognuno di noi aveva affrontato delle difficoltà e ancora ne avrebbe dovuto superare delle altre, ma quella sera tutto sembrava andare bene ed era come se niente potesse scalfire il nostro buonumore e la nostra voglia di stare tutti insieme.

Mentre osservavo Leah piroettare goffamente di fronte a Shavo, mi tornarono in mente le parole che mi aveva detto qualche mese prima: «Serj, io sono arrivata in quel dannato albergo con l'intenzione di non tornarci mai più, convinta che non volessi trovare l'amore perché scottata dalla mia esperienza familiare. Poi ho conosciuto Shavo».

In quel momento mi ero commosso e l'avevo abbracciata fraternamente, rendendomi conto infine non era riuscita a fuggire dallo Skye Sun Hotel e che ormai lo considerava come una seconda casa.

«Serj? Perché ti sei fermato?» mi sentii apostrofare da Daron.

Mi resi conto che attorno a me era calato il silenzio, così scoppiai a ridere e battei qualche colpo sullo xilofono. «Niente, stavo solo pensando a tutti voi.»

Leah mi lanciò un'occhiata perplessa. «A noi?»

«Sì, scusate. Sono solo felice e onorato di essere qui» ammisi.

Alcuni dei presenti si scambiarono delle occhiate interrogative, poi Shavo strillò: «All'assalto!».

In pochi istanti mi ritrovai travolto da quasi tutti i presenti, i quali rischiarono di farmi cadere dalla sedia. Mi si appesero e appiccicarono ovunque, riempiendomi di abbracci e carezze, baci e pacche su spalle e schiena.

«Ehi, ehi! Aiuto!» gridai.

«Sei il più vecchio, ti tocca!» spiegò Daron.

«Ti vogliamo bene, ci vogliamo tutti bene» aggiunse Leah.

Ed era vero, la nostra era una famiglia e io avvertii che anche Alwan, Dayanara e Cornia ne facevano parte, nonostante li avessi conosciuti quel giorno stesso.

Poi sollevai lo sguardo e intravidi Lakyta: stava in un angolo, teneva ancora il cellulare di Shavo e riprendeva la scena in silenzio.

Non una lacrima abbandonò i suoi occhi, ma questi era talmente tristi e straziati dall'angoscia che mi fecero sentire male per un istante.

Poi fui travolto da altre chiacchiere e abbracci e la persi di vista.

Lei non faceva parte della nostra famiglia, l'avevo capito fin da subito, ma non potevo farci niente.

Era l'unica a non essere riuscita nell'intento di fuggire via da se stessa.




Miei carissimi e affezionatissimi lettori, ebbene sì, questa avventura si è conclusa!

Oddio, non mi pare ancora vero: sono proprio arrivata anche io alla fine della mia prima long sui System; il momento di scrivere quelle parole mi sembrava sempre lontanissimo, e invece è giunto prima che potessi rendermene conto o.o

Noooooooo, non è possibile... ma quanto mi mancheranno questi personaggi? Non tanto i ragazzi dei System, che comunque possono sempre essere presenti nelle mie storie, ma più che altro Leah, Bryah, Alwan, Dayanara, Cornia, Lakyta, Miriam, Dolly, Layla... mi mancheranno anche Tigran e Alina, per quanto siano apparsi poco e niente nella storia, mi mancherà lo Skye Sun Hotel, e mi mancheranno tutti quegli intrecci che si sono creati grazie a loro...

So già che nel prossimo progetto che sto buttando giù non ci saranno le stesse dinamiche, non ci saranno gli stessi personaggi, quindi sentirò davvero la loro mancanza, di tutto e di tutti.

E voi? Come vi sentite ora che tutto è finito?

Prima di lasciarvi, volevo ringraziare tutti voi che mi avete seguito: Stormy che mi ha recensito per prima al primo capitolo e non ha mai smesso di leggere, Soul che è impazzita fin dal principio per questa folle storia, Hanna che si è appassionata ai System per colpa mia e di Soul e ha cominciato ad amare tantissimo questi personaggi, Selene che è stata quasi sempre la prima a recensire e mi avrà odiato per aver fatto apparire poco Serj (XD), Carmensita che con le sue recensioni sincere e divertenti mi ha allietato le giornate, KUBA che è passato per poco ma che ha lasciato un segno indelebile, permettendomi di ispirarmi a una sua bellissima poesia per la creazione del capitolo The Truth, e chiunque altro sia passato anche solo per una recensione o per leggere senza commentare!

Se sono andata avanti è solo GRAZIE a voi e all'ispirazione che mi hanno dato questi personaggi e i vostri commenti, quindi il merito per questo successo e per il record di più di 200 recensioni è vostro!

GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE *____*

E se questo capitolo si chiama Family è anche perché in questa nostra categoria dei System si è formata una sorta di famiglia, la quale si è impegnata per ripopolare la categoria e che ha scelto di mettersi in gioco per creare qualcosa di bello... non trovate anche voi che sia così? :'3


Per finire, posso solo dirvi che, se siete curiosi e vi va, potete stare all'erta perché c'è un altro progetto in cantiere, ma non so ancora quando comincerò a metterlo su EFP ^^

Per ora grazie ancora, spero di ritrovarvi anche nelle mie prossime pazze avventure ♥

  
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