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Autore: heliodor    02/08/2018    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Passaggio segreto
 
Come nei romanzi d'avventura, pensò Joyce mentre portava Dwili, Martom e altri venti soldati al pozzo.
Come nei romanzi l'eroe doveva entrare nella città senza essere visto e usava un passaggio segreto che solo lui conosceva.
Solo che in quel momento Joyce non si sentiva come gli eroi che tanto amava, ma piuttosto come un ratto che si intrufolava in una casa non sua.
Non riusciva a togliersi dalla mente l'immagine di un topo disgustoso che aveva la sua faccia.
Marq si era fidato di lei quando le aveva rivelato l'esistenza di quel passaggio segreto e adesso lei lo stava usando per permettere a Falgan e ai suoi di conquistare la città.
Era una buona azione, lo sentiva.
Ma aveva la sensazione di stare facendo qualcosa di sbagliato.
Era pomeriggio inoltrato quando Dwili e Martom erano andati a prelevarla nella tenda. Joyce aveva atteso paziente il loro arrivo.
Per ingannare l'attesa aveva iniziato a tradurre un nuovo incantesimo. Era arrivata a metà quando era giunto l'ordine di mettersi in marcia.
"Lascia pure qui la tua roba" le aveva detto Dwili. "La riprenderai al ritorno."
A malincuore e per non destare sospetti, Joyce aveva ubbidito.
"Non hai un'arma" aveva detto Martom. "Prendi una spada dalle rastrelliere. Ne abbiamo parecchie."
Joyce scelse una spada corta col fodero e se la legò in vita. Non aveva idea di come usarla ed era certa che provandoci si sarebbe ferita da sola, ma ancora una volta doveva fingere di avere un qualche tipo di addestramento per non insospettirli.
Il viaggio fino al pazzo durò poco. Joyce ricordava i particolari della zona lì attorno, come la disposizione delle fattorie e dei campi.
Il pozzo era ancora lì.
Per un attimo aveva temuto di trovarvi Marq ad attenderla, ma lui doveva essere rientrato la sera prima col favore delle tenebre.
Doveva essere già in città a fare rapporto all'arconte sul negoziato concluso con Gauwalt.
Joyce indicò il pozzo. "È quello."
"Ne sei certa?" chiese Dwili. "A me sembrano tutti uguali."
Joyce annuì.
Dwili smontò da cavallo e si avvicinò al pozzo con cautela. Vi gettò una rapida occhiata, poi si sporse per un tempo più lungo. "C'è una scala" disse tornando indietro.
"Cosa vi avevo detto?" fece Joyce.
"Non significa niente" disse la strega prendendo la sua spada e una balestra che mise di traverso sulla schiena. "Ma vuol dire che vivrai per qualche altra ora."
Scesero tutti da cavallo e si avvicinarono al pozzo.
C'era ancora la scala attaccata al bordo.
"Prima tu" disse Dwili indicandola.
Joyce si fece coraggio e scese nel pozzo. Quando toccò terra si sentì rassicurata. Per un attimo aveva temuto che vi fosse una trappola pronta a scattare nel caso un estraneo avesse cercato di entrare nel pozzo, ma non accadde niente.
Era ancora tutta intera, anche se aveva trattenuto il fiato.
Evocò un globo luminoso per rischiarare la strada anche agli altri. Dwili e Martom fecero lo stesso.
"Che posto è questo?" chiese lo stregone guardandosi attorno.
"È la via dei morti" disse Joyce ricordando le parole di Marq. "I cittadini di Theroda la usavano per portare fuori i cadaveri dopo una grave epidemia."
"Come sai queste cose?" domandò Dwili.
Joyce si limitò a una scrollata di spalle.
Arrivarono alla porta e, come previsto, era chiusa. "Dobbiamo buttarla giù" disse facendosi da parte.
"Sicura che non ci sia una trappola dall'altra parte?" chiese Dwili.
"No, ma possiamo tornare indietro e dimenticarcene" disse Joyce.
"Falgan ci spellerebbe vivi se lo facessimo" disse Martom. "Allontanatevi, ci penso io."
Indietreggiarono di una ventina di passi mentre lo stregone si preparava a fare qualcosa.
Nel buio Joyce lo vide gesticolare, quindi sferrò un pugno deciso alla porta frantumandola in mille pezzi.
"Devi ancora migliorare la tua tecnica" disse Dwili raggiungendolo.
Martom scrollò le spalle.
"Hai usato un incantesimo per aumentare la forza?" chiese Joyce.
Dwili rise. "No, Martom non ne è capace."
"E allora come..."
"È una tecnica di combattimento che insegnano a Souzon, nelle Isole Orientali" spiegò lo stregone.
Joyce non ne aveva mai sentito parlare prima di allora.
"Non è vera magia" si affrettò a dire Martom. "Insegna solo a concentrare le proprie forze in una singola parte del corpo. Il pugno, le gambe, la testa, il torace. Tutte possono diventare un'arma o uno scudo, a seconda delle esigenze."
"Dicono che i monaci di Souzon siano persino in grado di volare e rendersi invisibili" disse Dwili. "I circoli la considerano alla stregua di magia occulta, ma invidio chi riesce a usare una simile tecnica."
"Io non li ho mai visti volare" disse Martom. "Ma ho visto un monaco spaccare in due una lastra di marmo spessa un palmo della mano. Con un solo colpo. Peccato non aver imparato di più quando mi trovavo lì come mercenario."
"Con il poco cervello che ti ritrovi, avresti solo combinato dei guai" lo sgridò Dwili.
"Non è vero. Gu-Kwei, il mio wei-da, diceva che ero molto dotato e che imparavo in fretta" si difese Martom.
"Wei-da?" chiese Joyce.
"Era la loro parola per maestro o qualcosa del genere. Se vuoi ti insegno come fare."
"Mi farebbe molto piacere."
"Smettetela ora" disse Dwili. "E concentratevi su quello che dobbiamo fare. Da che parte?"
"Dobbiamo solo andare dritti" disse Joyce.
Impiegarono un'ora per raggiungere la fine del pozzo. Non incontrarono anima viva, ma Dwili restò sempre sul chi vive.
"È molto brava a sentire le cose" disse Martom. "Dwili, intendo."
"Riesce a sentire le cose?" domandò Joyce.
Martom annuì. "È una specie di dono, dice lei. Sente il pericolo se è vicino. O una cosa del genere."
"Zitti" disse la strega. "Devo concentrarmi." Chiuse gli occhi e restò in silenzio per un paio di minuti. "Credo che non ci sia nessuno di sopra, ma non voglio rischiare." Fece un cenno a Joyce. "Vai tu per prima."
Joyce si arrampicò su per le scale ed emerse del buio. Ricordava bene la casa abbandonata dove lei e Marq erano entrati solo due giorni prima.
Si guardò attorno, aspettandosi un dardo magico da un momento all'altro, ma non accadde. Si sporse dal bordo del pozzo e disse: "Salite, ma fate in silenzio."
Dwili fu la prima a riemergere dal pozzo, seguita da Martom e dagli altri soldati.
Quando tutti furono risaliti, Dwili fece un cenno a due soldati e disse: "Voi due restate qui di guardia. Se qualcosa va storto, tornate indietro e avvertite lord Falgan. È chiaro?"
"Come tu comandi" dissero i soldati.
Dwili guardò Joyce. "Dove siamo esattamente?"
"Da qualche parte nel quartiere vecchio della città, ma non so dirti dove si trova il cancello principale e in che direzione."
La strega ghignò. "A quello penso io. Abbiamo studiato le mappe di Theroda prima di partire. Martom."
Lo stregone si fece avanti.
"Prendi dieci uomini e vai al cancello occidentale. Io prenderò il resto e andrò a quello orientale. Quando sarò in posizione, lancerò un segnale e apriremo i cancelli contemporaneamente. Hai capito?"
Martom annuì.
Dwili scelse dieci soldati e li affidò allo stregone.
"E io che faccio?" chiese Joyce.
"Resta qui, nasconditi, fa quello che vuoi, ma non metterti in mezzo o finirai male. Se vuoi un consiglio, trova un posto sicuro dove nasconderti e restaci fino a battaglia finita. Solo dopo torna al campo per riprendere la tua roba."
Joyce lasciò la casa per ultima, dopo che Dwili e Matom si furono allontanati nella notte. Non voleva che capissero dove si stava dirigendo.
Cercò di ricordare la strada per la locanda di Daysa. Dopo un paio di tentativi a vuoto e altri due giri fatti di proposito per depistare qualcuno che potesse averla seguiti, riconobbe l'insegna di un magazzino e capì di essere sulla strada giusta.
La locanda di Daysa era aperta anche se era buio e una luce calda e invitante filtrava dalle finestre aperte.
Prima di entrare nella locanda annullò la trasfigurazione tornando a essere Joyce.
La sala principale era affollata di clienti che stavano cenando o bevendo al lungo bancone di legno.
Daysa e le cameriere sciamavano per i tavoli portando boccali e vassoi pieni di cibo.
Joyce li ignorò e si diresse verso il bancone.
Daysa sollevò gli occhi e la squadrò con curiosità. "E tu che cosa ci fai qui? Occhi Blu ha detto che avevi lasciato la città. Guarda che la tua stanza l'ho già data a un altro e..."
"Marq è qui?" chiese Joyce.
Daysa scosse la testa. "No, è uscito qualche ora fa e non è ancora tornato."
"Belia? Lem? Tymund?"
"Tymund non so dove sia ma gli altri due sono di sopra."
Joyce corse su per le scale e raggiunse la porta della stanza di Belia. Ussò due volte.
"Daysa, ho detto che non voglio cenare stasera" risse una voce dall'interno.
Joyce bussò di nuovo, più forte.
"Sei sorda? Ti ho detto che..."
"Belia, sono io. Sibyl. Apri per favore, è importante."
La porta si aprì.
"Per tutti gli inferi, che cosa ci fai qui?" esclamò la donna stupita.
Joyce la spinse dentro con forza. "Dovete andare via. Adesso."
"Di che parli?"
"Prendi la tua roba e chiama Lem. Non c'è tempo da perdere."
"Aspetta un momento" disse la donna afferrandola per un braccio. "Mi spieghi che cosa ci fai qui in città? Per dove sei passata?"
"La via dei morti" disse Joyce.
"Marq lo sa?"
Joyce scosse la testa.
"Ti hanno seguita?"
"Non sono venuta da sola."
Belia impallidì.
"Ci sono i soldati di Falgan in città. Tra poco apriranno le porte e inizieranno l'invasione" disse Joyce d'un fiato.
Belia iniziò a scuotere la testa. "Che cosa hai fatto in nome di tutti i demoni? Marq ha rischiato la sua vita per negoziare con Gauwalt."
"Lo so, c'ero anche io."
"E allora perché hai portato qui i soldati di Falgan?"
"Non potevo permettere che l'orda di Malag prendesse questa città."
"Stupida" ringhiò Belia. "Che cosa ti fa credere che Falgan sia migliore?"
"Lui combatte per l'alleanza" disse Joyce come se questo fatto da solo spiegasse tutto e giustificasse le sue azioni.
"E quindi? Che differenza fa?"
"L'alleanza è nel giusto."
"Davvero?" chiese Belia. "E tu come fai a saperlo? Lo sai che cosa hanno combinato Falgan e i suoi nelle città che ha attaccato e conquistato?"
"No, ma..."
Una figura gigantesca apparve sulla soglia. Per un attimo Joyce temette che Martom l'avesse seguita e che stesse per attaccarle, ma riconobbe Lem.
L'uomo reggeva una enorme spada con entrambe le mani e aveva l'espressione stravolta. "Oh, sei tu" disse rilassandosi. "Ho sentito gridare Belia e ho creduto che la stessero aggredendo."
"Tagliale la testa" disse la donna scostandosi da Joyce.
Lem la guardò stupito. "Che cosa?"
"Fallo e basta" grido Belia. "Questa maledetta ci ha traditi. Dopo che noi l'abbiamo salvata."
"Belia, io..." cominciò a dire Joyce.
Lem, la spada stretta tra le mani, guardò prima Joyce e poi Belia.
"Che aspetti? È venuta qui per ucciderci" gridò la donna.
"No" disse Joyce alzando le braccia. "Volevo avvertirvi dell'attacco imminente."
Un rombo sommesso fece tremare le finestre della stanza. Guardando fuori,Joyce vide un bagliore accendersi nella notte e poi spegnersi subito.
Non poteva essere un tuono.
"È il segnale di Dwili" disse Joyce. "Stanno per aprire le porte, non c'è più tempo."
"Che devo fare?" chiese Lem indeciso.
Belia afferrò Joyce per un braccio. "Tu vieni con noi" disse trascinandola fuori dalla stanza.
"Dove?" chiese Joyce.
"Al palazzo dell'arconte. Se la città è destinata a cadere condividerai con noi la sua sorte."
Nel salone della locanda gli avventori sembravano scossi per l'esplosione improvvisa ma nessuno aveva lasciato il locale.
"Daysa" gridò Belia. "Chiudi tutto e nasconditi nelle cantine. Quelli che non hanno una stanza qui se ne tornino a casa loro il più in fretta possibile."
"Tu sai che sta succedendo?" chiese la locandiera.
"Niente di buono" rispose Belia trascinandosi dietro Joyce fuori dalla locanda. Lem le seguì, la spada ancora tra le mani.
Joyce pensò di ribellarsi e fronteggiare la donna, ma ci penso su e decise di assecondarla. Finché restava con loro aveva una possibilità di salvarli.
Muovendosi tra strade che si andavano animando raggiunsero il palazzo dell'arconte. Qui i soldati si stavano radunando richiamati da un corno che aveva preso a risuonare.
"L'allarme" disse Lem guardando in alto come se si aspettasse che da lì sarebbe venuto l'attacco.
"Non stavi mentendo" ringhiò Belia all'indirizzo di Joyce.
Due guardie si pararono loro di fronte. "Il palazzo è chiuso."
Belia li fissò in cagnesco. "Dobbiamo parlare con l'arconte. Subito. La città sta per essere attaccata dalle forze di Falgan."
Mundo emerse dall'entrata. "Sono già qui" disse il comandante. "Fateli passare."
Belia, Joyce e Lem lo seguirono all'interno del palazzo.
"Come facevate a sapere dell'attacco?" chiese Mundo.
"Domandalo a questa qui" disse Belia indicando Joyce. "Li ha portati in città usando uno dei passaggi segreti."
Mundo la fissò senza mostrare alcuna emozione. "È vero?"
"Volevate dare la città a Gauwalt" disse Joyce. "Non potevo permetterlo."
Mundo sbuffò. "E ora invece se la prenderà Falgan. Tu lo conosci? Sei una spia che lavora per lui?"
"Io combatto per l'alleanza" rispose Joyce. "E se voi non vi opporrete Falgan non vi farà alcun male."
"E chi ce lo garantisce?"
"Re Andew di Valonde. Il comandante supremo dell'alleanza."
Mundo fece schioccare la lingua. "Lui è qui? Hai il suo sigillo? Una lettera di credenziali?"
"No, ma..."
"Allora la tua parola non conta niente."
"Ma l'alleanza è venuta sul continente vecchio per proteggervi dall'orda di Malag" protestò Joyce. "Perché vi rifiutate di capirlo?"
Mundo non rispose. Raggiunsero lo studio dell'arconte. Al suo interno, oltre a una mezza dozzina di uomini e donne vestiti con abiti sfarzosi, c'erano l'arconte, Tymund e Marq.
"Sibyl" esclamò questi. "Che cosa ci fai qui?"
"Ci ha venduti a Falgan" disse Belia. "È stata lei a far entrare i soldati in città attraverso la via delle ossa."
Marq la guardò stupito. "È vero?"
Joyce annuì. "Era la cosa giusta da fare."
Lui scosse la testa. "Mi fidavo di te."
"E puoi ancora farlo. Falgan combatte per l'alleanza. Se non vi opponete vi darà tregua."
"Mundo" disse l'arconte. "Manda dei messaggeri in tutti i quartieri. Voglio sapere che cosa sta succedendo."
"Ho già provveduto" disse il comandante. "Appena saranno di ritorno avremo un quadro più chiaro della situazione. Dal poco che sono riuscito a sapere, hanno aperto il cancello orientale e quello occidentale."
"A quest'ora i soldati di Falgan saranno già entrati in città" disse Belia.
"Possiamo respingerli?" chiese Tymund.
"Falgan comanda trentamila soldati e duemila tra streghe e stregoni" disse Mundo. "Noi abbiamo metà delle sue forze e per lo più si tratta di milizia locale male addestrata e male equipaggiata."
"Dobbiamo fare qualcosa" disse Belia. "Aspettare non servirà a niente."
Mundo lasciò lo studio.
"Marq, io..." esordì Joyce.
Lui la respinse con un gesto brusco. "Quello che hai fatto non ha scusanti" disse.
"Non mi voglio scusare" disse Joyce. "Penso di aver fatto la cosa giusta."
"Gauwalt avrebbe risparmiato la città" disse Marq. "Falgan invece non si fermerà davanti a niente."
"Ma lui combatte per l'alleanza" disse Joyce.
Belia estrasse una spada corta e gliela puntò alla gola. "Se te lo sento dire un'altra volta giuro che ti uccido qui e adesso."
L'arconte alzò una mano nella sua direzione. "Non toccare quella ragazza."
"Non l'hai sentita?" fece Belia. "Ha confessato il suo tradimento."
L'arconte si avvicinò a Joyce. "Tu conosci Falgan?"
Joyce annuì.
"Quando verrà qui, ti useremo come merce di scambio per negoziare una resa onorevole" disse l'arconte.
"Falgan non accetterà mai" disse Marq. "ma potrebbe risparmiarvi la vita in cambio della mia."
"No" disse Joyce. "Ho fatto un accordo con lui. Vi lascerà andare in cambio delle informazioni che gli ho dato."
"Scusa se non ci fidiamo di te" disse Belia. "Ma ora dobbiamo pensare a come salvarci la pelle."
"Potete usare uno dei passaggi segreti del palazzo" disse l'arconte. Fece un cenno a uno degli uomini presenti nello studio. "Berzim, tu conosci questo posto meglio di tutti noi. Porta questa gente in salvo e tutti quelli che riesci a trovare."
Berzim fece un inchino. "E voi, onorevole Bermal?"
"Io devo restare qui" disse l'arconte. "Non posso lasciare questo palazzo o Theroda resterà senza una guida. Ora andate prima che i soldati di Falgan accerchino il palazzo."
"Fai attenzione" disse Tymund a Marq.
Quando tutti furono andati via, rimasero solo in tre nello studio: l'arconte, Marq e Joyce.
Mundo tornò poco dopo, scuro in volto.
"Com'è la situazione?" chiese l'arconte,
"Peggio di quanto pensassi. Le forze di Falgan hanno già occupato mezza città e stanno appiccando incendi in ogni zona per stanare le sacche di resistenza rimaste. Ci sono state diserzioni di massa tra i miliziani e quelli che si sono opposti sono stati massacrati. Tra pochi minuti accerchieranno questo palazzo. Se dobbiamo andare bisogna farlo adesso."
"Io non vado via" disse l'arconte.
Mundo sembrò pensarci. "Non so se sono pronto a morire per questa città. In fondo io sono poco più di uno straniero."
"Sei qui da dieci anni" disse l'arconte, ma non c'era rimprovero nella sua voce, solo una velata tristezza.
Mundo scrollò le spalle. "Dieci anni non valgono un'intera vita. Se mi arrendo adesso, forse Falgan sarà benevolo. Potrei essergli utile." Senza aggiungere altro lasciò lo studio.
"E ora?" chiese Joyce.
"Ora scopriremo il nostro destino" disse l'arconte.

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