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Autore: Vago    10/08/2018    2 recensioni
Libro Terzo.
Il Demone è stato sconfitto, gli dei non possono più scegliere Templi o Araldi tra i mortali.
Le ultime memorie della Prima Era, giunta al suo tramonto con la Guerra degli Elementi, sono scomparse, soffocate da un secolo di eventi. I Templi divennero Eroi per gli anni a venire.
La Seconda Era è crollata con la caduta del Demone e la divisione delle Terre. Gli Araldi agirono nell'ombra per il bene dei popoli.
La Terza Era si è quindi innalzata, un'era senza l'intervento divino, dove della magia rimangono solo racconti e sporadiche apparizioni spontanee e i mortali divengono nemici per sè stessi.
Le ombre delle Ere passate incombono ancora sul mondo, strascichi degli eventi che furono, nati dall'intreccio degli eventi e dei destini dei mortali che incontrarono chi al fato non era legato.
I figli, nati là dove gli immortali lasciarono buchi nella Trama del Reale, combatteranno per cercare un destino che sembra non vederli.
Una maschera che cerca vendetta.
Un potere che cerca assoluzione.
Un essere che cerca di tornare sè stesso.
Tutti e tre si muoveranno assieme come un immenso orditoio per sanare la tela bucata da coloro che non avevano il diritto di toccarla.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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Razer ansimava rumorosamente.
Il suo petto si alzava e abbassava a un ritmo serrato, quasi quanto quello a cui batteva il suo cuore.
Sentiva l’adrenalina ribollirgli nel sangue, abbeverando i suoi muscoli contratti. Erano anni che non provava quella sensazione, erano  passate intere stagioni dall’ultima caccia che lo aveva reso così euforico.
Stringeva il suo pugnale, sulla cui lama scorreva il sangue degli uomini che aveva trafitto misto a quello che era sgorgato  dalle ferite che gli costellavano la mano.
Scrollò un’unica volta il braccio destro, facendogli dare un colpo secco in direzione del suolo per liberarsi della linfa rossa che gli rendeva viscida l’impugnatura.
Un ventaglio scarlatto si manifestò sul pavimento e sulla parete lì a fianco, vivido alla luce del fuoco delle torce.
I draghi gli avevano tolto il piacere della caccia, la soddisfazione del piantare una lama nel corpo della preda e sentire il sangue sgorgare di pari passo con gli ultimi respiri.
Quei mostri non sanguinavano, bruciavano senza concedere nemmeno la più piccola soddisfazione al loro cacciatore. Senza poter provare lo stesso dolore che avevano causato i loro simili.
Il corpo esanime di una guardia scivolò di un gradino più in basso, trascinando con sé la faretra che portava al fianco e riversando il contenuto sui pochi scalini sottostanti e sul pavimento che seguitava a questi.
Due uomini si scambiarono uno sguardo rapido, terrorizzato.
La donna in armatura era fuggita, talmente lontana da non rendere udibili nemmeno i suoi passi metallici sulla superficie di pietra.
La guardia armata di spada fece un passo indietro, timorosa di distogliere lo sguardo dalla bestia che gli stava di fronte.
La picca venne puntata alla gola di quest’ultima, nel tentativo di mantenere una distanza di sicurezza tra il suo possessore e il coltello sporco che aveva mietuto i suoi commilitoni.
Razer cercò di fare un respiro più lungo.
Cercò di distendere i muscoli del viso, contratti in un sorriso arcuato che quasi ricordava quello della maschera che gli era stata donata quando era un innocente bambino.
Ultimi brandelli di energia sfrigolavano ancora nei recessi della sua mente, pronti per farsi strada attraverso la sua pelle e risplendere nell’aria.
Poteva ancora generare un paio di lampi prima di esaurire interamente la sua riserva, valutò l’assassino, allargando ancor più il ghigno compiaciuto.
Uno gli sarebbe stato sufficiente.
Si preparò, permise a quell’energia magica che albergava in lui da quando era nato di superare la barriera in cui era custodita, lasciandola serpeggiare in tutto il suo corpo e accumulare appena al di sotto della pelle, dove si ammucchiava, si pressava, scalpitava per uscire ed illuminare l’aria.
Il rumore prodotto dall’acciaio contro altro acciaio e da armi che cadevano a terra improvvisamente si interruppe.
Una corrente d’aria fu sospinta in direzione del viso dell’assassino, come se qualcosa si stesse spostando verso di lui.

Noir guardava la scena da dietro la prigione diamantina. A pochi passi da lui si erano accumulati un numero di stiletti spezzati tale che il bagliore che riflettevano fosse sufficiente da dar fastidio agli occhi.
L’elfo e la fanciulla continuavano a scambiarsi colpi e non una singola volta l’essere dai capelli neri su cui svettava una ciocca bianca tentò di colpire il suo avversario.
Sarebbe voluto fuggire da lì, ma la sua unica via d’uscita era presieduta da due cadaveri ed altrettanti soldati.
Vedeva solo di sfuggita Razer muoversi, solamente quando si spingeva tanto avanti da superare l’angolo della gabbia che lo celava allo sguardo del discendente di Reis.
Il suo corpo scattò indietro, cadendo a terra, quando l’elfo scomparve in una nube di vapore, lasciandosi dietro solamente lo stiletto che stava impugnando in quel momento. Ricomparve pochi attimi dopo più avanti, con le braccia della sua rivale saldamente bloccate sotto il braccio libero.
Il braccio destro dell’essere dall’abito scuro si mosse rapido e la fanciulla fu costretta a chinarsi, boccheggiante.
L’aveva uccisa, si disse Noir, portandosi una mano davanti alla bocca.
L’aveva portato fin dentro il ventre di quella montagna solo per uccidere la creatura che avevano liberato.
Non ne sarebbe uscito vivo, si disse, e non seppe se quel pensiero gli poteva procurare più angoscia o serenità.
Un’altra volta l’odore acre si fece largo nella stanza, accompagnato dai conati della creatura dalle fattezze femminili.
L’elfo lasciò la morsa, scomparendo nuovamente in una densa nube che tentò di sfrecciare verso le scale.
La fanciulla alzò lo sguardo a fatica, i muscoli del suo corpo erano tesi, impegnati a reggere il peso di quella figura sull’elsa della spada che impugnava, la cui lama era stata piantata nel pavimento in pietra. Le placche metalliche che erano comparse per coprire i vestiti troppo leggeri e poter fornire una protezione parevano ricadere mollemente su quella creatura magra.
Una scintilla vivida risplendette in quegli occhi dorati.
Il corpo esile si inarcò, perdendo di solidità. Le dita lasciarono la presa sull’elsa azzurra, abbandonando la spada là dove era stata piantata. La pelle, i muscoli e le ossa si appiattirono, assumendo un’uniforme tinta grigia e richiudendosi come un guscio attorno alla nube che tentava di scappare, celandola alla vista.

No!
Maledizione, lasciami andare!

Razer fu costretto a fare un passo indietro perché la superficie che era apparsa a mezzaria non lo potesse colpire.
La sfera gli fluttuava a fianco, immobile e silenziosa. Poi pulsò, stringendo il proprio diametro di qualche centimetro.
Un'altra pulsazione e un altro restringimento.
E, ancora, una terza pulsazione.
La guardia armata di spada si voltò, precipitandosi a risalire gli scalini che lo avrebbero condotto alla salvezza.
La picca si alzò, crepitante di energia.

Non va per niente bene. Non deve usare quel potere qui, al chiuso.
Devo liberarmi.
Mi spiace Epica, ma non mi lasci scelta.

Profonde crepe si allargarono sulle pareti, sul soffitto e lungo il pavimento, serpeggiando, diramandosi e allargandosi a ritmo incalzante.
I primi pietrischi si sollevarono in aria, sfrecciando verso la lama dell’arma, poi fu la volta di piccoli sassi che andarono ad accrescersi di dimensioni fino a divenire massi.
Il soffitto non poté più sorreggere il peso della montagna sovrastante, franando. Altrettando fece il pavimento della sala che, privo di sostegni , permise a una voragine di inghiottire la cella di diamante e tutto ciò che gli stava attorno.
Il guscio grigio fu perforato da una lunga lama argentea, che lo costrinse a ritirarsi, sanguinante del liquido nero che gli scorreva all’interno.
Un tentacolo appena abbozzato cinse la vita di Razer, trascinandolo verso il blob informe da cui quella propaggine nasceva.
Una seconda appendice si strinse attorno all’elsa della spada dalla lama azzurra che stava precipitando nel medesimo istante in cui un paio di mani afferrarono ciò che rimaneva della sfera.
Una torcia cadde nel vuoto, perdendo gocce di liquido infiammabile che bruciarono nell’oscurità della loro caduta come lacrime incandescenti, facendo brillare una lama argentea sporca del liquido nero pece.

Dannazione, non riesco a trovare Noir!
Odio i Buchi di Trama, odio questi maledetti massi che mi riempiono di punti ciechi.
Dannazione, Epica, dovevi proprio bloccarmi? L’avrei potuto uccidere prima che si suicidasse, quel tizio, e adesso non staremmo precipitando.
...
Precipitando?
Aspettate tutti un momento.

Dal basso, là dove le rocce si stavano riversando, un bagliore cominciò a farsi strada tra la polvere.
I raggi di quella luce definirono una sagoma antropomorfa che agitava inutilmente braccia e gambe, mentre i massi rimbalzavano sulla corazza che compariva e scompariva sul suo corpo con movimenti tanto naturali da ricordare lo sciabordare dell’acqua di mare sulla spiaggia.
Il roboante suono dei primi massi che impattarono nuovamente su un terreno duro fece vibrare la roccia rimasta ostinatamente immobile al suo posto.

So di non pensare spesso a cose scontate e so di pormi domande spesso fuori contesto.
A che profondità hanno costruito la cella di Epica?
A occhio e croce un paio di centinaia di metri dalla piana ricavata eliminando la vetta del Flentu Gar.
Si, sto precipitando, ma ora ho problemi più grossi da risolvere.
Izivay Magnea, quanto era stata scavata in profondità?
Non molto di più, ci si poteva arrivare attraverso il cunicolo a cui si poteva accedere dal vecchio palazzo del Governo.
Quel cunicolo sarà sicuramente crollato su sé stesso quando quei sei mocciosi hanno evocato un dio che ancora non aveva capito una mazza del Creato, questo potrebbe spiegare perché non hanno sfruttato le costruzioni preesistenti.

Izivay Magne, non ci andavo da… una vita.
Cioè, la mia vita non può essere considerata un’unità di misura e, tecnicamente, sono entrato nella porzione di quella sala che è rimasta sul versante occidentale delle Terre dopo la divisione, per rendere omaggio alle spoglie di Seila, ma l’avete capito il senso del discorso.
Forse è il caso di non permettere a questi mortali di farsi uccidere da un paio di pietre.

Noir vide qualcosa di informe serpeggiare verso di lui, qualcosa di umido che scintillava alla fievole luce che riusciva a farsi strada nella cortina di polvere grigia che si era levata e che, ora, lo ammantava.
Un artiglio metallico si piantò saldamente nella roccia ancorata alla montagna, arrestando la caduta dei pesi a cui era legato.
L’erede di Reis si sentì strattonare quando qualcosa lo afferrò alla vita. Un masso che fino ad allora l’aveva solo inseguito gli rovinò addosso, costringendo ancora la melassa che fremeva nelle sue vene a farsi strada attraverso i pori della pelle per proteggerlo dall’impatto di cui si accorse appena.
Il trentenne fu strattonato una seconda volta, in direzione del suo fianco sinistro.
Il soffitto di un salone immerso in quella nebbia di pietra frantumata comparve davanti agli occhi dell’uomo all’improvviso, andando a interrompere con il suo impatto l’oscillazione che stava riportando Noir verso l’alto.
Solo uno spesso strato di melassa nera indurita impedì al suo naso di fratturarsi contro la levigata lastra di pietra.
Un grappolo di corpi si ritrovò ad ondeggiare a mezzaria, sorretto unicamente da un cordone impolverato ancorato alla parete del pertugio da cui erano caduti.
Il molle nocciolo centrale di quella composizione si contrasse in maniera da poter esprimere il suo disappunto mentre gli ultimi massi impattavano sul terreno sottostante, sprigionando nell’aria altra polvere di roccia.

Chi sei davvero tu?

Per favore, Epica, stai zitta per un attimo come ai bei vecchi tempi e lasciami lavorare in santa pace. Mi fai venire nostalgia della solitudine degli ultimi millenni.





Angolo dell'Autore:

Dopo una settimana di silenzio, rieccomi.
Avevo in programma un altro discorso, un altro nocciolo di discorso da cui cominciare a delirare, ma ho trovato qualcosa di più particolare.
Era parecchio che non creavo qualcosa di nuovo. Tendezialmente non scrivo storie diverse nello stesso momento, ho sempre paura di farle mescolare e rovinare la loro unicità, per questo mi trattengo e annoto i lavori sperando di avere tempo e memoria in futuro per dargli una vita.
Beh, ho in programma una sessione da almeno dodici ore di gioco di ruolo e devo creare una storia per far giocare cinque cazzoni, il tutto racchiuso in un mondo che non possano mettere a ferro e fuoco se non con un impegno immenso.
Tutto ciò per dire che mi ero quasi dimenticato quanto fosse bello creare qualcosa da zero. Era da quando ho cominciato quella fanfiction sui pokèmon che non lo sperimentavo e, dannazione, mi sto divertendo davvero tanto a farlo.
Sono negato a disegnare. E nella musica. In realtà sono negato in tutte le forme artistiche e questa è quella in cui posso nascondere questa mia incapacità al meglio.
Credo, comunque, che la base di tutte le "creazioni" sia la stessa, un'idea che ti faccia dire "Cazzo se quasta è l'idea del secolo", anche se è un'idea del tutto normale e priva di particolare originalità. L'importante è quel momento in cui senti che hai qualcosa da dire in un modo tuo.
Sono stronzo con i miei giocatori e, questa volta, ho deciso di fargli rivivere lo stesso giorno in loop, ogni volta che si chiude con la loro probabile morta per via di un meteorite. Non è particolarmente originale come idea di base, ma da quella sono partito, costruendoci attorno un mondo pronto a ucciderli che possa dare una ragione a quegli eventi.
Era una cazzata, ma ci tenevo a raccontarvi perchè, probabilmente, continuerò a scrivere. Posso finire tutte le storie che voglio, ma la sensazione che mi da cominciare qualcosa di nuovo mi invoglierà sempre ad andare avanti.
Alla settimana prossima.
Vago
   
 
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