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Autore: italiangirl1970    24/08/2018    2 recensioni
Molly Hooper prende finalmente in mano la propria vita e Sherlok Holmes fatica a capire quello che gli manca.
Ecco cosa succede quando il patologo più bravo di San Bart. abbandona tutto e non si fa trovare
Breve storia ( penso massimo tre capitoli ), ma i personaggi sono davvero interessanti ed io avevo bisogno di un hobby
Spero di incuriosirvi
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Irene Adler, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non so niente di Miami, ho solo guardato una cartina e non ho idea se vi si possa fare jogging nel tragitto da me scelto! :)Per chi è anche un po'interessato alla storia: il capitolo era lunghissimo e sono stata costretta a dividerlo, anche se la parte più lunga deve ancora venire. Quindi i capitoli sono diventati 4 ( devo solo perfezionare il finale )




  « Faccia a terra e mani dietro la testa »

L'ordine, arrivò insieme allo scatto di un grilletto. Era una cosa insolita, per Sherlock Holmes, essere colto di sorpresa, ma di questo poteva incolpare solo la sua presunzione ed un eccesso di... distrazione.

No, non era stato distratto, quanto piuttosto, assorbito.


Fece come gli era stato detto

« Non sono un criminale» azzardò, guardando davanti a sé « Sono un investigatore» allungò il collo nel tentativo di spaziare attorno, ma era ovvio che la sua preda fosse stata fatta allontanare in sicurezza

« Un po' fuori zona, non crede, signor Holmes? »

Il detective sbuffò « Quindi mi ha riconosciuto...»

Horatio Caine non accennò a riporre la pistola « Non mi piace che un membro della mia squadra si senta minacciato... »

« Non ho fatto nulla per essere considerato una minaccia» obbiettò, stringendosi nelle spalle « Stavo solo facendo delle ricerche, usando tutta la discrezione di cui sono capace.»

« Non così capace, se ci troviamo qui»

Il detective aprì e chiuse la bocca un paio di volte prima di rispondere « Le concedo, che forse ho trascurato qualche fattore...»

« Ne parliamo al distretto» e gli afferrò i polsi per ammanettarlo

« Sta scherzando, non è vero?» chiese Sherlock al limite dell'inorridito

« Temo di no, signor Holmes » chiuse le manette e lo fece alzare « Temo di no »


Questo non era andato come previsto

 
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Qualche tempo prima...


La donna indossava un paio di leggings grigi con una banda laterale gialla, che si intonava al reggiseno sportivo. Era magra, non il genere di magrezza malata, quanto piuttosto il genere di magrezza muscolosa, quella di chi è abituato a seguire uno stile di vita sano e a fare sport su base quotidiana.
Ogni giorno, faceva di corsa lo stesso tragitto, dai grandi magazzini Marshalls, fino al minimarket 7Eleven, dove si fermava ad acquistare una bibita, poi su, fino alla New World School of the Arts per poi tornare indietro per la NE 3rd St e per la 2nd Ave, passando davanti al ristorante peruviano.
Indossava un paio di auricolari. Non una buona scelta in una città sovraffollata e potenzialmente pericolosa, era pur sempre una donna minuta e non si poteva mai dire cosa sarebbe potuto accadere, in un attimo di distrazione.

Margaret Patel, però ( questo era il suo nome ) non sembrava particolarmente preoccupata. Dimostrava, in effetti, una sicurezza che non avrebbe mai associato alla sua persona.

Sherlock Holmes boccheggiò.

Stava aspettando di vederla sbucare da dietro l'angolo, e anche se era seduto all'ombra di una palma ed erano le prime ore del mattino, stava sudando copiosamente. Detestava il caldo, il sole cocente, il sudore che gli inzuppava gli indumenti, le goccioline salate che gli solcavano la fronte, bruciandogli gli occhi con una frequenza fin troppo irritante.

Eppure ne valeva la pena

C'era, in effetti, qualcosa che lo colpiva profondamente, ogni volta che la vedeva uscire di casa di corsa, con l'alta coda che ondeggiava dietro di lei, qualcosa che lo rendeva incapace di riconoscerla, troppo orgoglioso per ammettere di non essersi nemmeno mai preso la briga di guardarla veramente...

Bevve un lungo sorso di acqua.

« Ehi Miguel!»

Dovette trattenersi dal ruotare di scatto verso il suono della sua voce

« Ciao Margareth! » rispose il ragazzo « Se passi da me stasera, ti tengo da parte una porzione di sopa!» stava spazzando il marciapiede davanti il locale e si appoggiò alla scopa , in un ridicolo tentativo di flirtare

No, idiota, non lo farà: oggi è martedì

« Grazie Miguel » rispose la donna, con il fiatone « Oggi vado al Pub con la squadra!»

Margareth Patel salutò il giovane cameriere, e proseguì nella sua corsa, passando accanto al detective.
Un odore misto di sudore e agrumi investì le narici di Sherlock, inalò inspirando a fondo, ancora una volta alla ricerca di qualche traccia di riconoscimento: mancava del tutto la formaldeide, l'unico profumo che le avesse mai associato, anche quando non era ricurva sopra un cadavere.
Sapeva che aveva indossato delle fragranze, in passato, ma non le aveva mai catalogate, non come quelle della donna che si insinuavano prepotentemente nel sistema olfattivo: rosa per sedurre, vaniglia per farsi assaggiare, caprifoglio per aggredire i sensi…

E comunque era un paragone inutile e sciocco; erano diverse, come il giorno e la notte e la notte non era certamente Margareth
.

Si alzò stancamente dalla panchina, in parte per l'eccesso di caldo ed in parte per non tradire il travestimento da persona anziana.
La corsa si era conclusa e la donna si sarebbe preparata per andare al lavoro, lasciandogli il tempo di cambiare il proprio travestimento. Era un vero peccato che non potesse osservarla all'opera, magari avrebbe scoperto che non tutto era cambiato, ma conosceva con precisione quasi ossessiva ogni suo movimento e sebbene fossero settimane che la monitorava, si sentiva ancora come un bambino che scartava i regali di Natale: esaltato e meravigliato.
Gli erano bastati appena una decina di giorni a Miami per catalogare le informazioni di base: vicini di casa, colleghi di lavoro, turni e relativi orari, market preferito, gelataio, niente asporto, corsa. Ospedale quattro volte a settimana ( a questo doveva ancora lavorarci, una che faceva tutto quello sport non poteva essere malata ).
A tutti gli effetti, non c’era nulla di così eccezionale in quello che miss Patel faceva, eppure Sherlock non riusciva a definirla noiosa o inutile, troppo assorbito dalla sua normalità, dalla sua piccola figura, e dalla sua voce, quando gli capitava di cogliere qualche conversazione.

La prima volta che l'aveva seguita al Pub era stato illuminante...

Quel particolare giorno, un martedì, per l’appunto, Sherlock era appostato fuori dal Dipartimento.

La serata era appena iniziata, ma la vita non si stava spegnendo, nella zona, quanto piuttosto incrementando, ricca del via vai delle pattuglie che iniziavano la ronda, e dei gruppetti di ragazzi che abbandonavano il costume da bagno in favore di un abbigliamento nemmeno eccessivamente più coprente.
Era rimasto in paziente attesa, certo di non dare nell’occhio, non meno della coppia di giapponesi che si faceva un selfie con il Miami -Dade Police Department sullo sfondo. Si era acceso una sigaretta e aveva iniziato a scorrere velocemente sul cellulare, asciugandosi di tanto in tanto il sudore.
Appariva, a chi lo guardava, niente altro che un turista intento a consultare mappe, siti del luogo e ristoranti caratteristici.

Non ci era voluto molto perché Margareth facesse capolino attraverso le ampie vetrate del Distretto. Non era mai una delusione in quanto ad orari, forse perché, contrariamente a lui, non la obbligavano a protrarre il servizio oltre un tempo ragionevole.
Il che era illogico, considerando le capacità deduttive della donna: che senso aveva sprecarle a favore del patologo del turno successivo?

Jeans vita bassa, top rosso con ampia scollatura, sandali argento con tacco.
Uscita in programma.
Assenza di nervosismo, una routine, probabilmente.
Capello sciolto, taglio innovativo, sfrangiato.


Le donava più di quanto Sherlock avesse gradito ammettere, e risaltava quella femminilità che per lungo tempo si era rifiutato di accreditarle.

Aveva seguito Margareth ed il ragazzo di colore a cui era accompagnata, Erik Delko se la memoria non lo ingannava, fino ad un Pub locale.
Aveva trovato un parcheggio ( noleggiare un’auto gli garantiva una certa autonomia e poi non si fidava dei tassisti americani ) ed era entrato qualche attimo dopo, forte del proprio travestimento: indossava un paio di baffi, delle folte sopracciglia ed un capello lungo, tenuto insieme da una bassa coda. Portava dei jeans logori ed una camicia con le maniche arrotolate fino ai gomiti, nulla di più lontano dal suo peggior abbigliamento casual.

« Non ti ho mai visto da queste parti, amico » lo aveva accolto il barista servendogli da bere « Sei di passaggio o ti fermi per qualche tempo?»

« Entrambi. Sono in vacanza, e a seconda di come mi trovo, potrei decidere di fermarmi per più tempo» rispose Sherlock

« Allora ti auguro un buon soggiorno» ed era passato rapidamente ad un nuovo cliente

Il detective aveva sorseggiato la fresca birra, godendo della sensazione di amarognolo lungo la gola, aveva ruotato lo sgabello, e dato un’ampia occhiata al posto.
L'ambiente era un misto fra rustico e moderno, con luci calde, travi di legno e affreschi alle pareti. I tavoli, di dimensioni differenti, potevano ospitare un numero variabile di persone ed erano collocati sotto un piccolo palco.
In breve, il locale si era riempito di persone, e anche se Sherlock aveva cercato di mantenere un profilo basso, la sua presenza non era passata comunque inosservata, ai nuovi avventori: era pur sempre un forestiero ed il minimo che potesse suscitare era l'interesse, o il sospetto, dato che la maggior parte di loro faceva il poliziotto.
Horatio Caine, in particolare, lo aveva squadrato con un’ attenzione che avrebbe definito clinica e che lo avrebbe fatto sentire a disagio, se non fosse stato Sherlock Holmes. Invece, era rimasto tranquillamente indifferente, a sorseggiare la propria birra, mentre il tenente gli passava accanto e raggiungeva la sua squadra.

Lì c'era Margareth

Sherlock l'aveva osservata ridere e condividere battute con i suoi colleghi, molto più a suo agio di quanto fosse mai stata... con lui. Si faceva abbracciare e baciare senza ritegno ( sulle guance, ma erano pur sempre baci, cosa avevano questi americani per il contatto fisico? ) . Stava spalla a spalla con quel tipo, Erik Delko, che Sherlock sapeva non essere il suo ragazzo, che le parlava all'orecchio facendola ridere come una ragazzina.

Deglutì una lunga sorsata di birra.

Non era mai stata così naturale, leggera, spontanea e felice, in sua presenza; quando la leggeva, riconosceva in lei il nervosismo, l' inadeguatezza, l' insicurezza. I sentimenti nascevano tutti da lui, naturalmente, e lui aveva fatto ben poco per mitigarli... anche se, dopo la caduta, aveva cercato di essere più gentile, e di dimostrarle almeno un minimo di riconoscenza.

Poi tutto si era incasinato...


Si schiarì la mente, focalizzado di nuovo l’attenzione sul suo obbiettivo: c’era un’animosità generale che non coinvolgeva soltanto il gruppetto di suo interesse. Da un distributore si ritiravano dei bigliettini numerati, e si era formato un capannello di persone lì intorno, che aveva intasato il passaggio, aumentando la folla davanti il bancone e accanto a lui

« Karaoke stasera» gli aveva fatto sapere il barista

Questo sarebbe stato straziante

Detestava il karaoke, quei tentativi patetici di persone stonate, fuori tempo e prive di buon gusto. Poi, ancora, aveva dovuto imporsi di non imprecare quando aveva visto che persino Margareth si era presa un numero: si sarebbe resa ridicola, non è che un nuovo look e la sicurezza acquisita potessero fare miracoli, avrebbe dovuto saperlo, non era più una ragazzina.
Ad ogni modo, non c’era molto che potesse fare, quindi aveva preso un altro sorso e si era preparato a fingere di ascoltare. Quello gli riusciva piuttosto bene: creare una facciata, e sorridere interessato mentre studiava la situazione, leggeva le persone e faceva deduzioni.

Vedovo, vicino alla pensione, rifiuta di accettare che la figlia è gay

Quel tipo, invece... abbigliamento ricercato, stile di vita sopra le righe… non con lo stipendio da poliziotto… probabilmente trafuga prove… proventi della droga… o la droga stessa… Non sa è che è spacciato: il cerchio si sta per chiudere su di lui...

Lei, nell’angolo… non sa decidere quale dei due uomini le interessa di più: quello col portafogli pieno o quello più piacente. Li tiene entrambi sulla corda, ma fra i due litiganti il terzo gode…


« È brava eh?»

La voce lo aveva raggiunto come un eco in lontananza, probabilmente si era ripetuta un paio di volte, prima di ottenere la sua attenzione. Era una fortuna che la confusione del locale giustificasse ogni mancanza

Sherlock si era schiarito la voce « Spettacolare!» salvo che non aveva davvero idea di cosa stesse parlando. E a dire il vero nemmeno gli importava.

« Fa parte della mia squadra e con quella voce siamo sicuri di vincere »

Sì, giusto. Squadra. Quindi si trattava di una gara fra mediocri.

« Non si direbbe che da una persona così minuta possa uscire una tale potenza… Scusi sa se la importuno, ma la stava fissando a bocca aperta e ho pensato che stesse gradendo !»

« Sì!» aveva ridacchiato Sherlock « Assolutamente incantato! » naturalmente aveva sbagliato tutto. Si era dimenticato di chiudere la bocca mentre si sforzava di dedurre un caso umano particolarmente difficile, e non stava fissando in nessun modo, per non dire ascoltare, chiunque, in quel istante, si stesse rendendo ridicolo. Era solo sulla sua traiettoria

Un momento...Conosceva questa donna, era miss Duquesne…

Era stato allora che l’aveva sentita.


But nope, she ain't with it though
All because she got her own dough
Boss bossed if you don't know
She could never ever be a broke ho

Non poteva essere lei
Era impossibile

Don't tell me what to do
And don't tell me what to say
Please, when I go out with you
Don't put me on display

Troppa grinta, troppa voce, toppa disinvoltura

You don't own me
Don't try to change me in any way
You don't own me
Don't tie me down 'cause I'd never stay


Calcava il palcoscenico come una star praticata, mettendo enfasi nei gesti che interpretavano la melodia, l’emozione, che trapelava dalle mille sfaccettature del suo volto

Dio, lei era… era…

… semplicemente troppo


Aveva lanciato una banconota sul bancone e lasciato il locale, senza nemmeno scusarsi con la donna che ancora gli parlava. Aveva disperatamente bisogno di una boccata d’aria fresca, e di andarsene da lì prima di fare qualche sciocchezza.
Non era più sicuro di aver trovato la persona giusta, era lei ma non lo era e si sentiva come se per tutti quegli anni prima Margareth… no… Molly, lei era Molly… gli avesse tenuto nascosta una parte di sé.

Invece era sempre stata lì, era lui che aveva preso solo ciò che gli era necessario, scartando tutto il resto.

Gli erano venute alla memoria le piccole melodie che cantava quando non sapeva di essere ascoltata, durante un’incisione o mentre faceva addormentare Rosie…

lui l’ aveva sentita, ma aveva sempre scelto di non ascoltare…

La piccola e tenace Molly, era sempre entrata nella sua vita in punta di piedi, a bassa voce e con gentilezza, ignorata in ogni sua parte tranne in quella a lui utile.
Sherlock rilasciò uno sbuffo di frustrazione, al pensiero.
Molly era sempre stata molte cose e sapeva di averle accantonate per la paura di vedere quanto in profondità lo avesse colpito. Il fatto che fosse la persona più importante… nemmeno lui ne aveva capito pienamente l’implicazione: non era solo il prezioso aiuto che gli aveva dato, era molto di più.
Era l’ammirazione per il suo lavoro, per l’ amore feroce che metteva in quello che faceva, per la disponibilità disinteressata che gli aveva sempre dimostrato, per la sua lealtà incondizionata.
Non era affatto una persona fragile, lo aveva aiutato ad inscenare la sua morte, lo aveva tenuto al sicuro prendendo sulle sue spalle il peso di una tale azione e, ancora, sapeva resistere sotto la sua lingua tagliente, accusare ogni colpo con dignità e camminare lo stesso a la testa alta… lei sapeva come difendersi e quando valeva la pena battersi, che fosse per pretendere il rispetto o per ricordargli il privilegio dei suoi doni.

Si passò una mano fra i capelli: aveva scelto deliberatamente di perdere una tale preziosa persona, non solo una collaboratrice esperta, ma soprattutto una donna che gli aveva dato la sua amicizia, anche se non se la meritava, e gli aveva dimostrato affetto anche quando sarebbe stato più saggio e più logico voltargli le spalle e lasciarlo nella sua merda.

La guardò entrare in casa.

Poteva immaginarla, appoggiare le chiavi sulla ciotola all’ingresso, sciogliersi l’alta coda e rimuovere lentamente gli indumenti inzuppati di sudore.
Si sarebbe fatta una doccia, spalmato la crema idratante su tutto il corpo ( stava per finire quella alle fragole, poi sarebbe passata al mango ) e avrebbe scelto la biancheria dal cassettone affianco al letto.
Sherlock si leccò inconsapevolmente le labbra al pensiero del perizoma di pizzo verde, nel mezzo … non sapeva che ne potesse portare uno...


Imprecò stizzito.

Stava reagendo in maniera illogica al suo patologo, avrebbe dovuto andarsene appena aveva visto che era tutto in ordine, che stava bene e che non aveva bisogno di lui. Che cazzo dici SherlocK? Sei tu ad aver bisogno di lei. Zitto John! Allora perché non sei capace di lasciarla andare alla sua vita?
Perché voglio essere sicuro!


E non era una bugia

La partenza di Molly Hooper lo aveva sconvolto.
Aveva dovuto lavorare a lungo per ristabilire gli equilibri, e alla fine si era convinto che non era la sua assenza ad avergli causato uno squilibrio, quanto piuttosto la perdita di un punto di riferimento indispensabile per il suo lavoro.
Erano tutti degli incompetenti, ai suoi occhi, e poiché non ci sarebbe stata soluzione al suo problema, si era imposto di smontare ogni singolo patologo che l’avesse sostituita, fino a trovare il suo degno sostituto.
Doveva pur esserci qualcuno che facesse al caso suo.

Oddio… quanto si era sbagliato.


Certo, se si fosse accontentato, qualcuno di passabile c’era pure, ma il guaio era che lui era Sherlock Holmes, e voleva quello che voleva. Esattamente come avrebbe voluto non pensare a lei in nessun modo

Il che si rivelò impossibile...

L’’odore della formaldeide, un colore particolarmente acceso, frutta ( ciliegie, soprattutto ) e la sua mente urlava per lei.
Era… disarmante.
Il bisogno di parlare con Molly di sentire la sua voce anche solo per un “ciao”, si fece così intenso da rendergli fastidiosa l’esistenza. Era noioso che la sensazione gli scivolasse addosso quando era nei luoghi che lei avrebbe frequentato, ma ancora di più che si presentasse quando non c’era nulla che la riguardasse, alla fine di una giornata, per esempio, o nel dormiveglia, quando gli sembrava quasi di sentirsi chiamare da lei.

Ma lei non c’era, non c’era mai
Nemmeno nel suo palazzo mentale.
La sua stanza: vuota e sterile, al centro solo la fredda lastra dell’obitorio a ricordargli che era stata lì


Molly uscì di casa, destandolo dai propri pensieri, e chiamò un taxi

Avrebbe potuto precederla al Distretto (accompagnarla era divenuta un’abitudine e si sarebbe assicurato che qualcun altro l’avrebbe fatto una volta che fosse partito ) tanto era sicuro dei suoi orari, ma per qualche motivo non riusciva a lasciarla andare. Forse era perché aveva passato così tanto tempo a chiedersi cosa ne fosse stato di lei, se fosse felice, se avesse finalmente messo su famiglia, se fosse al sicuro: ora che ne aveva la possibilità non voleva smettere di guardarla

La sua mente era stata particolarmente intraprendente nell’immaginare gli scenari peggiori, per lei, ed il pensiero era stato a volte così schiacciante, da farlo muovere nel cuore della notte, alla ricerca di risposte, o di un sollievo…

Non trovò né le une né l’altro: Molly sembrava scomparsa nel nulla, o lui non cercava nel modo giusto. Forse non era ancora sufficientemente motivato per trovarla, si sentiva ridicolo ad avere quelle… emozioni, e non gli era chiaro che farne o come muoversi. Per quanto riguardava il sollievo, beh… ci aveva provato di nuovo con la Adler, ma l’esperienza si era rivelata fiacca e deludente.
Aveva anche pensato a Wiggins ad un certo punto… e mancò un filo che ci cascasse, quando la sua patologa si permise di infastidirlo durante uno dei suoi casi, solo perché la vittima le era molto somigliante per altezza, capelli, colore e forma degli occhi.

E quindi ora sei uno stalker.

Uno positivo, ovviamente.

Dubito che esista un senso positivo per la parola stalker …

Zitto John


Stava per girare meccanicamente a destra quando Molly lo sorprese imbucando la strada per l’ospedale. Forse aveva un corpo da esaminare o forse era una di quelle visite periodiche, fatto sta che gli aveva scombussolato la tabella di marcia, inserendo un imprevisto in quella che considerava ormai la sua routine. Non che lo disprezzasse, poteva essere l’occasione per scoprire cosa accadeva durante queste visite, era sempre stato un po’ restio a seguirla lì, come se temesse di scoprire cose che era meglio rimanessero nell’oscurità.

Cresci, Sherlock!

La seguì lungo i corridoi, a debita distanza, fermandosi di tanto in tanto a consultare le mappe interne, a fare una finta telefonata o addirittura a chiedere informazioni.
Molly salì su uno degli ascensori e il detective dovette fare una corsa per bloccarne le porte appena prima che si chiudessero dietro di lei.
Si scambiarono un fugace saluto
Era vestita con un abito leggero, al ginocchio, una gonna vaporosa con stampe floreali, una cosa da Molly, ma molto più raffinata di quanto normalmente avrebbe indossato in passato. Il corpetto le metteva in risalto il vitino di vespa e le spalline incrociate sulla schiena gli fecero venire la voglia di allungarsi a sfiorarle il collo… o a leccarglielo.

Stava decisamente sclerando

Aveva smesso da un pezzo di avere certi pensieri e ad essere sinceri non avevano mai occupato che una milionesima parte del suo cervello.
Come ogni cosa, anche il sesso aveva avuto un ruolo di finalità, non una necessità come poteva essere per John o Lestrade o addirittura la signora Hudson.
No. Gli era servito come una valvola di sfogo, come una distrazione di cui si era stancato piuttosto presto, in verità, preferendo di gran lunga convogliare le proprie energie per incentivare le abilità mentali piuttosto che sessuali.
Ecco perché gli ultimi incontri con Irene erano stati a dir poco patetici.
Lei, furiosa, gli aveva imputato tutta la colpa, ma la realtà era che, per Sherlock, Irene Adler non era più interessante di una meccanica sega e che alla fine, quello che più contava era riprendere il controllo dei propri impulsi.

Salvo che… salvo che anche per lui era difficile controllare il subconscio, quei dannati sogni erotici che lo facevano svegliare con le lenzuola imbrattate di sudore e di… altro, con indosso ancora la sensazione delle carezze, dei sospiri, dei baci umidi e di tanta, tanta pelle. Era inquietante e illogico che lei occupasse i suoi sogni, ancora di più per la sensazione di pura beatitudine che gli lasciavano addosso...

Le porte dell’ascensore si aprirono.

Molly se ne uscì con un saluto fugace, accelerando il passo e Sherlock fece appena in tempo a mettere il piede fuori, che sentì l’inconfondibile rumore di un grilletto che si carica

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