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Autore: heliodor    28/08/2018    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Sulla via per Gadero

 
"Ricaro Baran" esclamò Joyce a voce alta, l'espressione del viso tesa.
Rimase immobile, ma non accadde niente.
Era al centro di una radura circondata da alberi dalla chioma rossiccia. Le foglie cadevano formando un letto uniforme che la pioggia aveva reso viscido e appiccicoso.
Ogni tanto qualche piccolo roditore faceva capolino tra l'erba alta gettandole un'occhiata incuriosita e poi fuggiva nel folto del bosco.
"Ricaro Baran" ripeté Joyce a voce più alta.
Niente, pensò. Che cosa sto sbagliando?
Andò al compendio, lasciato aperto su una roccia piatta. Una pietra grande come la sua mano teneva ferme le pagine a un punto preciso.
Prese il libro e sedette sulla roccia, l'espressione accigliata. Rilesse il passaggio aiutandosi con il libro di poesie di Hopott.
"Vediamo" mormorò mentre ripassava a memoria la traduzione.
Le parole scritte nella calligrafia minuta di Arran Lacey sembrarono danzare davanti ai suoi occhi, sdoppiandosi e poi unendosi di nuovo.
Sospirò e si stropicciò gli occhi col dorso della mano.
"Che sia Ricaro Bar-an?" disse ad alta voce.
Quella parte non era chiara e il libro di Hopott non l'aiutava.
Richiuse il compendio e iniziò a passeggiare in circolo cercando di rilassarsi.
"Ricaro Bar An" disse ad alta voce all'improvviso.
Sentì un formicolio alle braccia e alle mani, come se le avesse tenute per troppo tempo in una posizione strana.
"Sì" esclamò.
Doveva fare una prova.
Andò al masso piatto e mise le mani attorno alla roccia, afferrandola da entrambi i lati. Puntò i piedi nel terriccio morbido e diede uno strattone deciso.
Joyce sollevò il masso come se pesasse la metà. Sbuffando e sudando, lo portò sopra la testa e lo scagliò contano.
La pietra atterrò tra le foglie cadute e rotolò per una decina di metri prima di fermarsi.
"Sì."
Corse al masso e lo sollevò, ripetendo l'operazione di prima. Di nuovo il masso volò per alcuni metri schiantandosi al suolo.
Joyce corse verso uno degli alberi e appoggiò entrambe le mani sul tronco. Puntando i piedi nel terreno spinse con tutte le sue forze.
Il legno scricchiolò come se fosse sottoposto a una forza enorme, ma resistette. Dopo tre o quattro tentativi, Joyce rinunciò.
Si sentiva stanca e accaldata per lo sforzo e il formicolio alle braccia stava sparendo. Provò di nuovo a sollevare il masso, ma stavolta dovette rinunciare.
Quanto è durato? Si chiese.
Aveva dimenticato di misurare il tempo, ma non dovevano essere passati più di due o tre minuti.
Era quello il limite per la forza innaturale o poteva prolungarlo? E poteva aumentare la sua forza ancora di più?
Soddisfatta andò a sedersi sul masso, il compendio sulle ginocchia.
L'incantesimo successivo aveva un titolo che non lasciava dubbi: Velocità Innaturale.
Era quello che cercava da tempo.
Mentre con una mano reggeva il compendio e con l'altra il libro di Hopott, qualcosa nascosto tra le pagine scivolò di lato e finì tra l'erba.
Temendo che si fosse rotto, Joyce si chinò subito per raccogliere il foglio. Era piegato in quattro e ingiallito. Lo aprì con delicatezza per non rovinarlo.
All'interno vi era un disegno. Un cavallo alato montato da una donna a seno scoperto armata di lancia e scudo.
Non aveva mai visto un disegno del genere. "Chi sei? Cosa sei?" si chiese ad alta voce.
Si rigirò il foglio tra le dita. Come aveva fatto a non vederlo prima? Esaminò la copertina del compendio e trovò una tasca nascosta che era appena visibile.
Qualcuno doveva averlo messo lì dentro. Forse lo stesso Lacey? Per quale motivo? Quel disegno doveva contare qualcosa per lui, ne era certa.
Il sole stava calando e tra poco non avrebbe avuto abbastanza luce per leggere. Non le andava di accendere un fuoco per paura di essere scoperta, anche se era sicura che nessuno la stesse seguendo.
Quando aveva lasciato il fiume aveva fatto dei larghi giri per scoprire se ci fossero degli inseguitori mandati da Falgan o da Gauwalt.
Non ne aveva visto nessuno, ma poteva anche darsi che erano stati abbastanza scaltri da non farsi scoprire.
Così non otterrò niente, si disse.
Aveva scelto la radura perché isolata dal resto del bosco. Era un buon riparo ma non un buon posto per bivaccare. Non aveva una coperta e le notti erano fredde.
Una grotta sarebbe stata meglio, considerato che in quella regione scoppiavano dei temporali improvvisi e non aveva voglia di inzupparsi da capo a piedi.
A malincuore mise da parte il compendio e si mise a cercare un riparo per la notte. Trovò una grotta poco profonda.
Prima di sceglierla come rifugio si assicurò che non fosse la tana di qualche animale. Non aveva visto lupi od orsi, ma non era abbastanza esperta per poterlo escludere.
La grotta era vuota, per quanto poteva capire. Non c'erano tracce del passaggio recente di animali né resti di qualche pasto.
Fuori era quasi buio e non aveva voglia di rimettersi in marcia.
"Qui andrà bene" disse ad alta voce.
Cercò un posto comodo dove rannicchiarsi per la notte. Usando la borsa a tracolla come cuscino si distese ai piedi di una roccia quadrata e cercò di dormire.
Il sonno sopraggiunse in fretta.
Quando si svegliò l'alba era già passata da un pezzo e il sole era alto.
Ho dormito troppo, pensò.
Caricò il cavallo con la borsa e si rimise sul sentiero che stava seguendo prima di quella sosta.
Il bosco era silenzioso, fatta eccezione per i richiami che gli animali si scambiavano.
Dopo un paio d'ore di cammino dovette fermarsi.
"...detto che non ho niente" stava gridando qualcuno.
"Zitto e scendi dal carro" disse qualcun altro.
"Perché? Non ho fatto niente di male."
"Scendi e basta" disse una voce con tono stizzito.
Non poteva tornare indietro. L'ultimo bivio era a miglia di distanza e non voleva perdere tempo. Poteva solo avanzare, ma con cautela.
Legò il cavallo a un albero e divenne invisibile. Muovendosi con passo lento andò verso le voci.
"Siete dei prepotenti" disse una voce con tono rassegnato.
"Piantala se non vuoi assaggiare la punta della mia spada" disse una nuova voce.
Dietro una svolta del sentiero la strada proseguiva e diventava più larga. Vide il carro fermo sul lato e tre soldati in armatura che si aggiravano attorno al mezzo.
Un quarto uomo sostava a una decina di passi di distanza e scuoteva la testa. "Lasciatemi andare" disse con tono implorante. "Ho delle commissioni importanti da fare in città."
Uno dei soldati balzò sul carro e diede un'occhiata all'interno. "Questo qui porta un mucchio di roba" disse affacciandosi. "Un sacco di roba da mangiare" aggiunse entusiasta.
Uno dei soldati si voltò verso l'uomo. "Come lo spieghi?"
L'uomo si strinse nelle spalle. "Sono i rifornimenti che porto al villaggio ogni settimana."
"Davvero?" fece il soldato. "Non lo sai che tutto il cibo è stato requisito dall'alleanza? Serve per sfamare l'esercito che vi sta difendendo da Malag."
"Anche noi dobbiamo mangiare" protestò l'uomo.
"Siete degli ingrati" rispose il soldato. "Sai che ti dico? Porteremo questo carro al campo, così daremo da mangiare chi se lo merita veramente."
"Buona idea" disse il soldato sul carro.
"Non potete farlo" esclamò l'uomo. "Quel cibo serve a noi."
"Ne comprerete dell'altro" fece il soldato con un'alzata di spalle.
"Va bene" disse l'uomo. "Ma almeno lasciatemi il carro e i cavalli."
Il soldato rise. "E come faremo a portare questa roba al campo? Ci serve tutto. Tu puoi tornare a piedi al villaggio."
"Ma..."
"E ritieniti fortunato se non ti mettiamo in catene" concluse il soldato. "Ora vattene o potrei pensarci sopra e decidere che sei davvero un contrabbandiere."
Joyce decise di avere sentito abbastanza. Si avvicinò a lunghi passi e uscì dall'invisibilità a una decina di metri dal soldato che sembrava al  comando.
"Non puoi prendere quel carro."
Il soldato le puntò contro la lancia e alzò lo scudo. "E tu chi sei, per gli inferi? Da dove sbuchi fuori?"
Joyce mormorò la formula della pelle di quercia e poi quella della forza straordinaria. Nel frattempo continuò ad avanzare verso il soldato con espressione risoluta. Aveva voglia di strappargli di mano quella lancia e tirargliela sulla testa.
Il soldato strinse l'ama nella mano e caricò per colpirla.
Joyce afferrò la punta della lancia e spinse di lato, scaraventando via il soldato con forza innaturale.
Il secondo soldato tirò fuori la balestra e gliela puntò contro.
Joyce evocò lo scudo e deviò il dardo. Evocò un proiettile magico e glielo puntò contro. "Da qui non ti mancherò" disse con tono minaccioso.
Il soldato dovette valutare la situazione, si voltò e iniziò a correre.
Il soldato sul carro saltò giù e alzò le braccia. "Calmati, non stavamo facendo niente di male."
"Davvero?" ringhiò Joyce. "Volevate rubare il carro di quest'uomo."
"Sono gi ordini che abbiamo avuto."
"Da chi?"
"Dal nostro comandante."
Joyce lo fissò minacciosa.
"Si chiama Jens Mandrik."
Non aveva mai sentito quel nome, ma non c'era un Mandrik tra i generali di Valonde?
Joyce gli rivolse un'espressione torva. "Andate da lui e ditegli di procurarsi il cibo in modo diverso."
 Nel frattempo il primo soldato si era rialzato e aveva estratto la spada.
Joyce lo vide con la coda dell'occhio prepararsi ad attaccarla alle spalle. Si voltò di scatto per fronteggiarlo.
Il soldato partì mulinando la spada, proprio come aveva fatto Martom giorni prima.
Joyce lo colpì con il raggio magico al petto, dove aveva la corazza. Sperò che il metallo assorbisse parte dell'energia.
Infatti il soldato volò all'indietro e atterrò sulla schiena.
"Ne hai abbastanza?" gridò Joyce. "La prossima volta ti farà molto più male."
Il soldato si rialzò dolorante e diede una rapida occhiata al cerchio annerito al centro del suo petto.
"Senti" disse. "Non abbiamo fatto niente di male. Perché ci attacchi?"
"Siete soldati dell'alleanza, no?" fece Joyce.
"E allora?" disse il soldato.
"Non dovete rubare."
"Anche noi dobbiamo mangiare" rispose.
Joyce stava perdendo la pazienza. "Ma voi siete i buoni. Se vi mettete a rubare..."
Il soldato si mise a ridere. "Questa è la guerra" disse. "Se non ti piace smetti di combattere e tornatene a casa."
Magari potessi, pensò Joyce.
"Adesso andate via. Non voglio più vedervi da queste parti" disse col tono più perentorio che poté.
Mentre si allontanava, il soldato si voltò. "Come ti chiami?"
"Il mio nome è Sibyl" disse Joyce. "Ma tutti mi chiamano la strega rossa."
Il soldato si limitò ad annuire e andò via seguito dal suo compagno.
Quando furono lontani il padrone del carro salì sul suo mezzo. "Grazie per avermi aiutato, Sibyl" disse l'uomo.
Joyce si era già pentita di quello che aveva fatto. Quelli erano soldati dell'alleanza e lei doveva aiutarli, non attaccarli. Che stava combinando?
"Io mi chiamo Tome" disse l'uomo. "Stavi andando da qualche parte? Forse posso ricambiare il favore."
"Sto andando a Gadero."
"È lontano, ma non è un brutto posto. Lì la guerra non è ancora arrivata. Visto che facciamo un pezzo di strada insieme posso darti un passaggio per sdebitarmi."
"Ho un cavallo" disse Joyce.
"Puoi attaccarlo al carro. Qui sopra viaggerai più comoda."
Joyce si pensò sopra. Era stanca di viaggiare da sola e la schiena cominciava a farle male. "Accetto" rispose.
Tome la fece sedere accanto a sé, le redini ben strette nelle mani e gli occhi sul sentiero. "Mi piace come hai trattato quelli lì. Non se ne può più della loro prepotenza."
"Sono soldati dell'alleanza. Combattono contro Malag."
"Che differenza fa?"
"Malag è una persona malvagia" disse Joyce indignata.
"Davvero? Tu lo conosci?"
"No, ma..." Ha cercato di rapirmi. Ha fatto del male alla mia famiglia. Ha ucciso mio fratello. Non è sufficiente?, pensò. "Ho i miei motivi" disse.
Tome annuì grave. "Tutti hanno i loro motivi. Magari anche Malag ha i suoi."
"Lui vuole solo distruggere tutto."
Tome scrollò le spalle.
Joyce dispiegò il foglio trovato nel compendio per dargli un'occhiata.
"È bello quel disegno" disse Tome. "L'hai fatto tu?"
"No" disse Joyce brusca. "L'ho trovato" aggiunse subito dopo. "Tu per caso l'hai mai visto?"
"No, ma il cavallo alato è il simbolo dell'accademia di Luska, lo sanno tutti."
"Accademia?"
"È il posto dove studiano gli eruditi. Lo so perché ogni tanto mi capita di portare dei rifornimenti anche a loro."
"Lo so che cos'è un'accademia" disse Joyce offesa. "Ma non sapevo che ce ne fosse una a Luska. È lontana?"
"Non molto, ma se stai andando a Gadero ti porterà via un paio di giorni di viaggio."
"Devo essere a Gadero tra dieci giorni."
"Puoi farcela, ma di poco."
Joyce ci pensò sopra. Forse valeva la pena fare quella deviazione. Gli eruditi erano persone che sapevano molte cose e avrebbero potuto darle qualche informazione.
"Penso che ci andrò" disse.
"Allora faremo la strada esterna al bosco, così ti lascerò al bivio.
Qualche ora dopo, lasciatisi alle spalle la foresta, viaggiavano su un sentiero che attraversava i campi coltivati.
Dopo un paio di miglia arrivarono al bivio. Tome fermò il carro e indicò la strada che procedeva verso un gruppo di colline. "Luska è lì dietro, più o meno a trenta miglia. Puoi farcela in un paio d'ore se non ti fermi a guardare il panorama."
Joyce sciolse il cavallo e montò in sella.
"Allora ci salutiamo qui strega rossa" disse Tome.
"Che la tua via sia dritta" disse Joyce.
"Anche la tua."
"Dopo aver portato i rifornimenti al villaggio che cosa farai?"
"Dipende da quanto riuscirò a ricavarci."
Joyce sgranò gli occhi. "Vuoi vendere quella merce?"
"Certo" disse Tome. "Credevi che l'avrei regalata? Con la guerra e la scarsità di cibo, la compreranno a peso d'oro. Ti saluto, strega rossa. E grazie per l'aiuto" disse facendo schioccare le redini.
Joyce rimase a fissarlo finché non si fu allontanato, convinta di essere stata raggirata.
Era quasi buio quando arrivò a Luska. Si era alzato il vento e lei aveva solo una mantellina per coprirsi.
Devo comprare un vero mantello, si disse. Chissà se a Luska ci sono negozi che li vendono. Aveva ancora la sacca con le cinquecento monete datele da Marq. Aveva deciso di non spendere quei soldi e di restituirli all'alleanza perché ne facessero buon uso, ma che male c'era se usava dieci o venti monete per difendersi dal freddo e mangiare qualcosa di decente?
O magari per un bagno caldo, pensò.
Luska non sembrava un villaggio ma nemmeno una città. Aveva delle mura e delle torri di guardia, ma erano basse e piccole.
Anche i soldati di guardia ai cancelli erano pochi e sembravano malmessi, con armature arrugginite e ammaccate e armi tutte diverse. Non vide nemmeno uno scudo.
"Ferma lì" disse uno dei soldati, un ragazzo che poteva avere più o meno la sua età. "Chi sei? Che vieni a fare qui?" disse con un pesante accento.
Joyce aveva preparato una storia. "Mi chiamo Sibyl e viaggio per conto di Tome."
"Chi?"
"Il mercante, non lo conosci? Ogni tanto porta dei rifornimenti per l'accademia."
Uno dei soldati, più grande e massiccio, si fece avanti. "Me lo ricordo io. Sì, Tome, un bel tipo quello lì. Cerca sempre di imbrogliare sul peso, ma vende merce buona. Perché ha mandato te invece di venire lui di persona?"
"Ha da fare" disse Joyce. "Sai, la guerra."
"Sì, la guerra è dura per tutti" convenne il soldato. "Ma non mi hai detto che vuoi."
"Tome mi ha mandato avanti per sapere che cosa serve all'accademia, così non porta più roba di quella che serve."
Il soldato si grattò il mento. "E chi me lo dice che non stai mentendo?"
Joyce infilò la mano nella tasca, dove aveva messo cinque monete d'argento. Le tirò fuori e gliele mostrò. "Tome mi ha detto che queste vi avrebbero convinto."
Le gettò al soldato che le acchiappò al volo.
"È argento vero" disse meravigliato. "Tome fa sul serio, allora. Deve aver fatto begli affari con quello che vende."
"Le cose gli vanno bene. Mi ha detto di dirvi che se non mi create problemi vi farà un altro regalo quando passerà di persona."
I soldati si fecero da parte. "Entra pure, sei la benvenuta. E di a Tome che lo aspetteremo per il regalo."
"Non mancherò" disse Joyce, divertita al pensiero della faccia che avrebbe fatto l'uomo quando gli avrebbero chiesto il denaro.
Così impara, si disse soddisfatta.
Ora doveva solo trovare l'accademia e iniziare la sua ricerca.

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