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Autore: heliodor    30/08/2018    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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L'Accademia

 
"Voi, scusate" disse Joyce richiamando l'attenzione di un uomo che attraversava la strada. Sembrava andare di fretta ma si fermò
"Dici a me?" fece l'uomo diffidente.
"Sì, a voi. Sapreste indicarmi la via per l'accademia, per favore?"
L'uomo tese il braccio di fronte a sé. "La vedi quella cupola? È lì che devi andare."
"Grazie."
L'uomo riprese a camminare ignorandola.
Joyce scrollò le spalle e si diresse nella direzione indicata.
La cupola era la parte più alta di un edificio in mattoni, uno dei pochi che sorgevano a Luska. Il palazzo aveva un'aria antica, e la parte rivolta verso la piazza era occupata da ampie finestre ad arco e un pesante portone di legno e ferro battuto che chiudeva l'ingresso.
Non c'erano guardie e poche finestre erano illuminate. Mentre si avvicinava era calato il buio e doveva scegliere se cercare di entrare o trovare una locanda dove passare la notte.
Si sentiva stanca e l'odore che emanava, anche se ci era abituata, non doveva essere molto gradevole.
"Ci verrò domani" disse a bassa voce.
Trovò una locanda poco distante dall'accademia. A quell'ora c'erano pochi avventori impegnati a consumare un pasto.
Affidò il cavallo a uno stalliere, un ragazzino che accettò di buon grado la moneta che lei gli offrì in cambio di una strigliata e di biada di migliore qualità per la sua cavalcatura.
"Non vi preoccupate" disse il ragazzino. "Penso a tutto io."
"Si mangia bene qui?" chiese Joyce.
"Lo stufato di verdure è buono, ma l'arrosto no. Mia madre non sa cucinare la carne ma non diteglielo o mi farà frustare da papà."
"Tranquillo, non dirò niente."
Joyce avanzò fino la bancone dove un uomo dall'aria smilza stava passando uno strofinaccio sul legno. Portava dei grossi baffi che gli coprivano tutto il labbro superiore. Joyce non li aveva mai visti prima.
"Mi scusi" disse.
"Per cosa? Hai fatto qualcosa di male?" chiese l'uomo.
"No, io..."
"Allora perché ti stai scusando con me? Se non hai fatto niente di male non ce n'è bisogno, no?"
"Quanto costa una stanza per la notte?"
"Tre monete" disse l'uomo.
"E se voglio fare un bagno caldo?"
"Altre due."
"E voglio anche cenare."
"Quello costa cinque."
"Cinque?" fece Joyce stupita. "Ma è quanto costa sia la stanza che il bagno."
"Lo so, ma qui in città non mancano acqua e camere libere. Il cibo invece scarseggia."
"Capisco" disse. "Posso avere dello stufato?"
"Te lo porterà mia moglie. Prendi un tavolo, tanto sono quasi tutti liberi a quest'ora."
Joyce ne scelse uno lontano dalla cucina e dall'ingresso e attese.
Una donna dalla vita sottile e il seno generoso arrivò poco dopo portando un piatto fumante e un cesto di pane. "Stufato per te. Non è che vuoi anche un po' di arrosto?"
"No, sto bene così."
"Sicura?"
"Sì" disse Joyce a disagio.
"Come vuoi" disse la donna. "Ti serve altro? Da bere?"
"Acqua."
La donna andò via e tornò con una brocca d'acqua e un bicchiere.
Joyce consumò lo stufato in pochi minuti. Dopo giorni di carne secca e dura per lei era come gustare uno dei piatti che mangiava a Valonde.
Quel solo pensiero bastò a farle venire le lacrime agli occhi. Si trattenne. Non voleva piangere in pubblico.
Mangiò anche il pane e andò al bancone per pagare la cena e la stanza.
"Secondo piano" disse il locandiere.
Joyce stava per andare di sopra quando le venne in mente che le servivano informazioni. "Posso chiedervi una cosa?" domandò.
Il locandiere scrollò le spalle. "Dipende da quello che vuoi chiedermi."
"Riguarda l'accademia."
Il locandiere borbottò qualcosa.
"Vorrei consultare dei volumi nella loro biblioteca."
"Devi chiedere agli eruditi" disse il locandiere. "Molti stranieri vengono fi qui per consultare la loro biblioteca, ma a non a tutti viene garantito l'accesso."
"Perché?"
"C'è una prova da superare, dicono."
"Una prova?"
L'uomo riprese a pulire il bancone. "Sono tempi duri" disse.
Joyce sospirò. Tirò fuori una moneta d'argento e l'appoggiò sul bancone. "Che tipo di prova?"
"Una specie di esame, così ho sentito."
"Su cosa?"
Silenzio.
Joyce prese un'altra moneta.
"Non lo so, ti dico. Io a malapena so fare di conto, ma molti di quelli che fanno la prova vengono respinti. Dicono che sia molto difficile."
"Ho bisogno di superarla. È importante."
"Capisco" si limitò a dire l'uomo.
Un esame, pensò Joyce. Ci mancava solo questa.
Lei aveva avuto i migliori eruditi di Valonde, ma era sempre stata una studentessa svogliata. Aveva imparato molto e altro l'aveva scoperto nelle giornate passate in biblioteca, ma quante possibilità aveva di passare quell'esame?
"Che succede se faccio la prova e non la passo?"
"Puoi farla una sola volta" disse il locandiere. "Se fallisci gli eruditi ti sbarreranno le porte per sempre."
"L'accademia è sorvegliata?"
Il locandiere le gettò un'occhiata dubbiosa. "Attenta alle domande che fai, ragazza."
Joyce mise due monete sul tavolo accanto alle altre. "Te lo chiedo solo per curiosità."
"Sono tempi duri."
Joyce temette che volesse altri soldi.
"Anche gli eruditi hanno bisogno di protezione" proseguì invece il locandiere. "Della loro sicurezza si occupano alcune lame askadiane venute da lontano."
"Che cosa sono le lame askadiane?" Era sicura di non averne mai sentito parlare prima di allora.
Il locandiere sbuffò. "Ma da dove vieni? Sono guerrieri scelti che usano armi magiche."
"Armi magiche?"
"Senti la vuoi la stanza o no? Si sta facendo tardi."
"Io devo entrare nell'accademia" disse Joyce.
"Allora dovrai superare la prova. A meno che..."
"Cosa?"
L'uomo gettò un'occhiata alle monete sul bancone.
Joyce me aggiunse una.
Silenzio.
Ne aggiunse un'altra.
Ancora silenzio.
"Posso arrivare a tre" disse Joyce. "Ma non di più." Appoggiò una terza moneta.
Il locandiere le afferrò al volo e se le infilò nella tasca del grembiule. "Io non ti ho detto niente" disse a bassa voce. "Ma c'è un erudito, un certo Hondiss. So che aiuta i questuanti a superare la prova di ingresso."
"Dove lo posso trovare?"
"Ogni giorno va al mercato per acquistare delle provviste per il decano, essendo il suo segretario."
"Come lo riconosco?"
"Fa i suoi acquisti all'emporio della vecchia Jen, proprio al centro del mercato. Gli eruditi indossano sempre una tunica viola o blu, non puoi sbagliarti."
"Grazie."
"Grazie a te" rispose il locandiere.
Joyce si concesse il bagno che aveva pagato prima di andare a letto. Riuscì ad addormentarsi solo dopo un'ora. Cercò di pensare a qualcosa da dire a Hondiss il giorno dopo, ma decise che ne sapeva troppo poco. Avrebbe dovuto improvvisare.
Il giorno dopo liberò la stanza e restituì le chiavi al locandiere.
"Fanno due monete" disse l'uomo.
"Ti ho già pagato ieri sera. In anticipo" protestò Joyce.
"Tassa per gli stranieri" disse l'uomo.
"Non me lo avevi detto."
"Se non paghi dovrò chiamare le guardie."
Joyce non voleva attirare attenzioni su di lei. Prese le due monete e gliele diede. "Dirò ai miei amici di non venire qui" disse prima di andarsene.
Fuori dalla locanda il sole era ancora basso ma le strade erano già piene. Donne e uomini passeggiavano diretti verso il mercato cittadino portando con loro borse e cesti per trasportare la merce.
La maggior parte chiacchierava del più e del meno mentre camminava tra le bancarelle piene di merce colorata.
Joyce cercò di non farsi distrarre dalla merce esposta, ma era difficile non lasciarsi incantare dai tessuti, dai vestiti dai colori accesi e le stoffe vaporose che i mercanti cercavano di offrirle magnificandone le qualità.
Evitò d'un soffio di comprare un vestito da cinquanta monete e solo facendo appello alla sua forza di volontà rifiutò una splendida collana di perle che a detta del venditore le stava regalando per appena venti monete.
Girando per il mercato trovò l'emporio della vecchia Jen. Come detto dal locandiere era al centro della piazza dove sorgevano la maggior parte dei negozietti. Occupava il piano terra di un edifico di mattoni alto tre piani e aveva un ingresso sormontato da un arco.
Joyce vi si diresse con decisione e varcò la soglia. L'interno era fresco e pieno di profumi. Sugli scaffali c'era di tutto: candele, statuine dipinte a mano, attrezzi da lavoro. Negli angoli erano ammucchiati sacchi pieni di gramaglie e legumi dai colori accesi e dai profumi esotici che le pizzicarono le narici.
Si sorprese ad annusare alcuni prima di rendersi conto che aveva un lavoro da fare. Facendo finta di essere interessata alla merce esposta esplorò il negozio, ma non vide nessuno vestito con una tunica blu o viola.
Mezz'ora e una decina di avventori dopo, decise che doveva comprare qualcosa per non dare nell'occhio.
Scelse un bel vestito giallo e rosso e lo portò al bancone.
Dietro di esso sostava una ragazza dai capelli neri corvini e la pelle abbronzata.
"Salve" disse con tono educato. "Quanto costa?"
"Otto monete d'argento" disse lei.
Joyce mise mano alla borsa per prendere i soldi.
"Calma, calma" disse una voce alle sue spalle. "Non vuoi nemmeno contrattare sul prezzo?"
Joyce si voltò di scatto, ritrovandosi di fronte un ometto più basso di lei di una spanna, il cranio lucido come se se lo fosse rasato e poi vi avesse passato sopra la cera e le orecchie più grosse che avesse mai visto.
E indossava una tunica color viola.
Joyce rimase imbambolata a fissarlo per qualche istante, non sapendo che cosa fare o rispondere.
"Allora, non ci provi nemmeno con questa qui?" chiese l'uomo.
"Io..." disse Joyce.
"Si vede che non sei di queste parti" disse. "Devi tirare di più sul prezzo o questi qui penseranno che sei una facile da spennare."
"Io non ho penne" disse Joyce.
L'ometto fece schioccare la lingua. "Lascia fare a me."
"Hon, non ti mettere in mezzo" disse la ragazza dietro al bancone. "La signora stava per pagare."
"Ma sentila" disse l'ometto. "Lo sai che non è nemmeno la vera proprietaria? La vecchia Jen se n'è andata qualche anno fa e lei ne ha preso il posto, ma mica ha cambiato nome all'emporio."
La ragazza sbuffò.
"Allora, è questo il modo di trattare una straniera? Otto monete sono troppe per questo vestito. Non ne vale più di quattro."
"Hon..."
Lui la fissò minaccioso.
"Facciamo sette" disse la ragazza.
"Quattro e ci metto uno scudo di bronzo."
"Sei" fece la ragazza.
"Cinque."
"Cinque e due scudi di bronzo o tu e lei ve ne andate dall'emporio."
L'ometto guardò Joyce. "Ti consiglio di accettare. È un buon prezzo."
"Lo prendo" disse Joyce.
L'ometto la guardò soddisfatto. "Ora lasciamo fare le mie compere, ragazza straniera" disse con un sorriso.
Joyce si fece da parte. Andò all'uscita e attese che l'ometto finisse i suoi acquisti. Quando lo vide uscire gli andò incontro.
"Non c'era bisogno che mi ringraziassi" disse l'ometto. "Ma accetto lo stesso."
"In verità" disse Joyce. "Volevo sapere una cosa."
Lui la guardò accigliato.
"Sei Hondiss?"
"Mi conosci?" fece lui.
"Un amico mi ha detto di te."
Hondiss si guardò attorno. "Cosa ti ha detto?"
"Che aiuti le persone a superare un certo esame."
Hondiss sgranò gli occhi. "Zitta, non davanti a tutti. Vuoi rovinarmi?"
Joyce gettò una rapida occhiata in giro. Non c'era nessuno così vicino da poterli udire. "Mi serve aiuto" disse a bassa voce.
"L'avevo capito" fece Hondiss spingendola via. "Ma non è questo il posto e il momento di parlarne."
"Ma a me serve aiuto subito. Ho poco tempo."
"Tutti abbiamo poco tempo. Io per esempio ne ho pochissimo e me lo stai facendo perdere."
"Posso pagare."
"Molti pensano che con i soldi si risolvano tutti i problemi" disse Hondiss. "Ma in realtà i soldi li causano, i problemi. Quindi ne sono sia la causa che la soluzione. Cominci a capire, ragazza?"
Joyce non capiva ma fece di sì con la testa lo stesso.
Hondiss sospirò. "Come temevo. Allora, dimmi perché ci tieni tanto a entrare nell'accademia di Luska?"
"Per via di questo" disse Joyce mostrandogli il disegno trovato nel compendio.
Hondiss gli gettò un'occhiata dubbiosa. "Sì, il cavallo alato è il nostro simbolo. Ma la donna guerriera che cosa c'entra?"
"Non lo so, ma voglio scoprirlo."
"E pensi di trovare qui le risposte che cerchi?"
"Dove altro potrei guardare?"
Hondiss si grattò il mento. "Che cosa ti serve esattamente?"
"Voglio sapere se l'accademia sa di un certo Arran Lacey."
"Il nome non mi dice niente, ma dovrei consultare i registri."
"Esatto. Potresti farlo per me?"
"No" rispose subito Hondiss. "Ma potrei farti entrare per dare un'occhiata."
Joyce sentì rifiorire la speranza. "Davvero?"
Hondiss annuì. "Ma ti costerà parecchio."
"Quanto?"
"Trecento monete."
"D'accordo, posso pagare."
Lui le scoccò un'occhiataccia. "Sul serio? Accetti così senza nemmeno contrattare sul prezzo?"
Joyce fece spallucce.
Hondiss sospirò affranto. "Non sai davvero niente di affari, piccola mia. Facciamo duecento monete."
"Ma hai detto che..."
"Sì, ma duecento è un prezzo più che sufficiente."
"D'accordo."
"Sei davvero pessima in queste cose. A meno che... tu non l'abbia fatto di proposito per strapparmi un prezzo ridotto. Questo sarebbe molto, molto astuto da parte tua."
Joyce udì dei passi pesanti alle spalle.
"Vostra eminenza, questa ragazza vi sta importunando?" domandò una voce femminile.
Quando si voltò, vide una giovane donna in armatura che sostava dietro di lei, la mano appoggiata all'elsa della spada. Lunghi capelli neri e fluenti le scivolavano sulle spalle ampie. Sul petto era disegnato in rilievo una stella a cinque punte color oro.
"No, no" si affrettò a rispondere Hondiss.
"È il momento di rientrare" disse la ragazza.
"Lo so" rispose Hondiss seccato. "Ti manderò un valletto con le istruzioni necessarie" disse rivolto a Joyce. "È chiaro?"
Joyce annuì.
Hondiss e la guerriera si allontanarono camminando fianco a fianco, ma ogni tanto la ragazza si voltava come temendo che qualcuno li stesse seguendo o potesse colpirli di sorpresa.
Joyce tornò alla locanda, ma solo quando fu in vista dell'edificio le venne in mente che non aveva detto a Hondiss dove alloggiava.
Come farà a trovarmi?, si chiese.
Pensò di tornare al mercato, ma decise di restare dov'era. Aveva perso una buona occasione e non aveva tempo di riprovarci. Ormai era tardi per rimettersi in viaggio. Le sarebbe toccata un'altra notte lì e poi il giorno dopo si sarebbe rimessa in viaggio per Gadero.
Quando entrò nella locanda, lo sguardo basso, notò che era tutto come l'aveva lasciato, compreso il locandiere dietro al bancone.
"Scommetto che ti serve una stanza" disse vedendola arrivare.
Joyce grugnì qualcosa.
"Fanno tre monete."
"Te ne darò due" disse Joyce ricordando le parole di Hondiss.
Il locandiere non cambiò espressione. "Vada per due. Hai parlato con Hondiss, immagino."
"E tu che ne sai?"
"Le voci girano."
"Che voci?"
L'uomo si sporse attraverso il bancone. "Guarda che il tuo arrivo non è passato inosservato. Qui tutti fanno la spia per qualcuno, che sia l'Accademia o il Circolo, non ha importanza."
"Ma solo tu sapevi che volevo parlare con lui" disse Joyce.
Il locandiere scrollò le spalle. "Hondiss mi passa qualche moneta per ogni cliente che gli mando."
"Ecco perché non mi ha chiesto dove alloggiavo" disse Joyce. "E scommetto che sapeva dove trovarmi quando mi ha incontrata al mercato."
Il locandiere fece spallucce.
"E adesso che succede?" chiese Joyce.
"Ti conviene aspettare. Arriverà qualcuno a prenderti. E prepara quanto hai pattuito con Hondiss."
Joyce andò nella sua stanza, prese duecento monete dal sacco datole da Marq e le mise in un secondo sacchetto. Quindi mise le monete restanti nella borsa a tracolla e mise quest'ultima in fondo all'armadio, sperando che nessuno la trovasse prima del suo ritorno. Quindi tornò di sotto.

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