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Autore: Duncneyforever    06/09/2018    1 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
Capitoli:
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Lui, ovviamente, non c'è. 

Come sempre, non c'è. 

Mi dico che debba essere allergico al letto, perché sono pronta a scommettere che sia già andato ad allenarsi nel bosco, come fa tutte le mattine. 

Stringo a me il suo cuscino, fingendo che non abbia abbandonato le lenzuola per recarsi chissà dove e per chissà quale scopo, dato che, probabilmente, non combatterà più contro altri uomini armati ( almeno per quest'anno e, forse, anche per i due successivi ).

Mi stiracchio in un modo un po' goffo, riaccattorciandomi su di un fianco per la spossatezza: lui aveva trovato sensuale questo mio sgranchirmi le ossa come una gatta e, affascinato, era rimasto a guardare; io, invece, mi ero nascosta, temendo che, dopo essermi strusciata sprovvedutamente sul materasso, il tessuto della canottiera si fosse ritirato, mostrandogli qualcosa di troppo. 

Allora non conoscevo Reiner e la rievocazione di ciò che era accaduto in precedenza influenzava ancora molto il rapporto appena nato tra me e il mio sconosciuto salvatore, i cui pensieri mi erano indecifrabili. 

Avevo paura di tutto. Di lui, della sua forza, dei suoi occhi glaciali, dell'uniforme che indossava con orgoglio e soddisfazione, del totale distacco emotivo con cui impartiva ordini mostruosi.

Ma questo è una parte di lui; il male è talmente radicato nel suo cuore che mi è impossibile pensare di poterlo redimere al bene e indirizzarlo verso la mia causa. 

Solo il desiderio di riuscire a rendermi la felicità riesce a restituirgli quel briciolo di umanità che aveva perso tempo addietro, prima di convertirsi da comandante dello Heer a SS-Totenkopfverbände. 

Ora ho imparato a convivere con il suo culto per il nazismo e mi comporto con naturalezza, convinta di non avere più nulla da temere. 

Mi aggrappo alla sua vocazione militare e mi dico che non era possibile ordinare il paladino ideale consultando il listino prezzi.

Mi dico che il paladino ideale non può esistere perché, altrimenti, verrebbe distrutto. 

La storia di Friederick, il soldato buono, pian piano si perderà nel vento e, di ciò che lui è stato nel corso della sua breve e tormentata vita, non ne rimarrà neppure il ricordo. 

Un eroe dimenticato.

Come tanti altri. 

Mi alzo di malavoglia al solo scopo di rintracciare Reiner, barcollando per il corridoio e aggrappandomi a vari oggetti posti ai lati del tragitto, più instabili di me. 

Mi vedo cadere addosso l'attaccapanni e sommergere dall'enorme divisa nera come fosse il manto della morte; senza troppe storie, decido di arrendermi, sistemandomi sul divano e coprendomi il corpo con la giacca pregna del suo profumo fruttato. 

- Sveglia, Prinzessin... C'è la colazione! - Grugnisco non proprio graziosamente, riacciuffando la giubba che tentava di strapparmi via. - Se ti piace così tanto, puoi tenertela. - 

- Sul serio? - Stropiccio gli occhi con le mani, scombussolata dal torpore del sonno. 

- Non è un problema, ne ho altre. - Struscia il dorso della mano contro la mia guancia ed io, in risposta, scuoto leggermente la testa, approfondendo la carezza. 

- Mi piacerebbe, ma con Rüdiger come la mettiamo? Se lui la vedesse... - Gli mordicchio l'anulare, sulla nocca, senza ottenere alcuna reazione particolare. 

Lui mi guarda cheto, addentandomi la punta del naso, giochicchiando con la cartilagine. Io sobbalzo per la sorpresa, incrociando gli occhi per assistere alla scena.

- Mordo anche io - mi comunica, come non l'avessi già intuito da me. 

Io mugugno qualcosa, sentendolo ridacchiare ad un soffio dalle mie labbra. 

Mi accorgo solo adesso che si è arrampicato sul divano e che ha infossato le ginocchia ai lati delle mie gambe: è grosso in confronto a me, ma non ho paura che possa schiacciarmi.

Inoltre, ho sempre freddo al mattino... E lui mi riscalda. 

Sono così buffa, con i capelli sparsi sul bracciolo imbottito e la sua giacca tirata fin sopra al collo... 

Eppure mi guarda con tanto ardore da farmi dubitare della mia capacità di autocontrollo. 

Trattengo su la finta coperta, tirandola ancora più in alto, all'altezza degli occhi; 

- vuoi sfuggirmi? - Tocca la coscia scoperta, ingannandomi e approfittando della mia distrazione per strapparmela da davanti. Non vorrà mica... No, aveva giurato di no. 

Io gli credo, però tremo comunque, scongiurando il peggio.

- Lasciami ammirare questo visetto italiano - e quale dolcezza nelle sue parole! 

Un fiume di miele dopo il latrato rabbioso di Schneider. 

- Devi essere un angelo del Signore - bacia le mie mani, mettendosi comodo su di me. - Sei tutto ciò che ho sempre desiderato. - 

- Allora dov'eri quando avevo bisogno di te? Perché non sei venuto a cercarmi? - 

- Mi era stato comunicato che eri partita e che non saresti tornata prima di due settimane. - Lo guardo di traverso, non sapendo se arrabbiarmi con lui per non essersi accorto che qualcosa non andava oppure capire la sua posizione e continuare ad ascoltarlo. 

Forse, meglio concedergli una possibilità. 

- Ero in pensiero, chiedevo sempre di te, ma quella troia, puntualmente, diceva di non saperne niente. Il terzo giorno, mentre mi allontanavo, ho sentito una voce chiamarmi: era quell'ebreo, che sgattaiolava dalla finestra e correva verso di me; l'avrei freddato lì sul colpo se non avessi sentito il tuo nome uscir fuori dalle sue labbra. Diceva che non te n'eri andata, che Erika ti aveva rinchiusa in stanza e che non ce l'avresti fatta se non ti avessi aiutata al più presto. - Le sue mani corrono in cerca dei miei fianchi e, dopo averli catturati, stringe a poco a poco la presa, fino a far scontrare i nostri corpi.

È fresco al tocco e odora di buono. 

Annuso il suo profumo, accarezzandogli la nuca, sentendo il cuore scoppiarmi nel petto. Nasce e muore un numero infinito di volte, trasportato da un'incontenibile felicità. 

Vorrei essere incolmabile. 

Lo stringo forte a me, agganciandomi al suo corpo in sospensione. 

- Non sono stato abbastanza responsabile. Perdonami. - Sorrido ad occhi chiusi, sapendo di non avere proprio nulla da perdonargli. 

Dovrei ringraziare Ariel invece, per aver avuto il fegato di rischiare... Mi ha salvato la vita! 

Leone di Dio, di nome e di fatto. 

Ha avuto molto coraggio.

- È per questo che hai acconsentito? - 

- Ha dimostrato di volere solo il tuo bene. Oggi andiamo a prenderlo. - Si rialza piano, mettendosi a sedere. 

Io lo rimiro dal basso, riflettendo sul fatto che ogni sua parola mi provochi un dolore immenso o un sospiro di felicità. 

- Allora andiamo. E Reiner... Questa è una una di quelle cose che posso perdonarti, per cui non serbo alcun rancore per te. - 

                                                                    ...

- Con la tizia come la mettiamo? - Mi mette i brividi pensare di dover rivedere quella donna e, soprattutto, non penso che non proverei nulla nel vederla malridotta dopo la ripassata del comandante. 

Ho un cuore io, a differenza loro. Io so provare pietà. 

Nonostante mi abbia quasi uccisa, mi sento comunque in colpa per lei, perché non trovo giusto che qualcuno debba soffrire per me. 

Inoltre, sotto sotto, è una donna malata d'amore per una persona che la sfrutta e la umilia in ogni modo possibile: è veramente impazzita per lui; si è venduta ad altri nella speranza di farlo ingelosire ma, in cambio, non ha ottenuto niente, se non dolore e lacrime amare al sentirsi chiamare " puttana " dall'uomo che ama. 

Non c'è amore nella vita di Rüdiger, quindi è naturale che non ricambi. 

Lei non lo capisce questo e sfoga la sua rabbia e la sua frustrazione su una ragazzina che non è null'altro se non un'ulteriore pedina sulla scacchiera del rosso. 

- Sono sicuro che non emetterà un fiato. - 

- Aspetta; non vorrai mica lasciarmi sola in quella casa, vero? E poi non posso starmene buona ad aspettarti! Non sono come le altre donne; io so tutto, ho visto il peggio che questo mondo può offrire. Non ho paura di seguirti. Rüdiger ha ucciso un ragazzo proprio davanti ai miei piedi; hai la minima idea di cosa abbia provato in quel momento? Girano voci su di te... Probabilmente non mi farai mai vedere il tuo vero volto, ma vorrei sapere cosa fai quando io non ci sono, che ruolo ricopri all'interno di Birkenau in assenza del Lagerführer. -  

- Alcune cose è meglio non saperle. -

Ora mi preoccupa.

Rüdiger si dedicava spesso a compiti che non gli spettavano ( e con passione anche! ): uccideva quando non era richiesto di uccidere; torturava per divertimento, stuprava per diletto e voglia repressa di saziare la sua indole volutamente perversa. 

Quell'uomo è l'Anticristo, dentro e fuori da Auschwitz e pensare che anche Reiner possa essere così mi fa orrore. 

- È un peso grande quello che porto... Vorrei sbarazzarmene. - 

- Sai che non posso permettere che tu interferisca con il mio lavoro, perciò te ne starai in un cantuccio e mi aspetterai lì, qualunque cosa succeda. Se sarà necessario condannare a morte o punire i prigionieri tu non interverrai e non importa quanto urlerai, piangerai o mi implorerai di avere misericordia per quegli esseri, nemmeno la mano di Dio potrà fermarmi. Sono stato chiaro? - 

Le mie orecchie hanno sentito benissimo; è la mente che vuol negare d'aver sentito queste parole per evitare di rinnovare il dolore. 

Io stessa, dopo un'attenta analisi, ero giunta alla conclusione che l'ignavia fosse il peggiore di tutti i mali; lui ne era al corrente, in quanto presente in quel preciso momento, eppure mi chiede ugualmente di non reagire proprio. 

Potrei non versare nemmeno una lacrima per quelle vite rubate? 

- Io... - Inizio col dire, mortificata dalla sua inaspettata freddezza - ... Ho capito. Farò come dici. - 

Mi sottometto alla sua volontà, autocommiserando la mia debolezza. 

Noi non siamo sullo stesso piano, mi pare più che evidente e, sebbene sostenga di non considerarmi inferiore in quanto italiana, non riesce ad accettare il fatto che sia in grado di influenzarlo in ambito decisionale. 

In servizio non è più l'uomo dei sogni. 

È qualcos'altro. 

- Sei silenziosa - mi dice, fermandosi nei pressi della Judenrampe. 

- Non ho molta voglia di parlare - obietto, tenendo lo sguardo incollato al futuro settore BII, alla mia destra. 

Lui mi afferra grezzamente per il mento, costringendomi a guardarlo negli occhi;

- non puoi odiarmi per questo. - 

- Quindi dovrei amarti? - Mi lancia un'occhiata indignata, piena di rancore, ma anche di delusione. 

Si ricompone alla svelta alla vista delle sentinelle e, senza indugiare oltre, accediamo al settore BI, ormai sicuro e decontaminato. 

I prigionieri sono occupati in svariate attività, incluso il livellamento della terra con grandi ( e soprattutto pesanti ) rulli compressori; tra l'altro, uno dei compiti più faticosi che si possano svolgere all'interno del campo. 

Passiamo proprio di fianco a questi poveretti, assistendo al brutale pestaggio di uno di loro da parte di un kapò. 

Era troppo lento forse, non riusciva a stare al passo con gli altri e quell'uomo gli si è scagliato contro, riempiendolo di calci. 

Il comandante mi tiene saldamente per un polso, affinché non corra in suo aiuto e, poiché era qui che doveva fermarsi, mi costringe anche a guardare. 

E io guardo... Impotente. 

Il detenuto in questione avrà quaranta o cinquant'anni e grida e si dimena come un dannato, tentando di ripararsi la testa. Il kapò si innervosisce ancora di più; estrae il manganello dalla cintura e lo picchia sulle braccia, in modo da fargli scoprire il viso. Accade per una frazione di secondo e il suo carnefice lo colpisce anche lì, imbrattandogli la bocca di sangue. 

Gli altri prigionieri, non potendo far nulla per il compagno, continuano a spianare, chi per egoismo, chi per rassegnazione. 

Emetto un gemito acuto. 

Non reggo più. L'unica soluzione è torcere il collo all'indietro e pregare che finisca presto. 

Appoggio un orecchio al braccio di Reiner e con la mano libera tappo l'altro, schiacciando fino a farle diventare rosse. 

È tutto più ovattato ma, nemmeno in questa dimensione, riesco a non sentirmi responsabile per quanto successo. 

È una cosa stupida, perché so che non ho colpa, però mi torna alla mente e non mi lascia mai in pace. 

Reiner allenta la presa, restituendomi il polso che non sentivo più. 

- Lo hai voluto tu stessa - mi dice - quindi adesso sopporti, perchè non ti riaccompagnerò a casa. - Dopodiché, si dirige verso uno dei soldati che si erano goduti il pestaggio, passando oltre il malcapitato steso al suolo, agonizzante. 

Il biondo non li guarda nemmeno gli " Untermenschen "; cammina spedito come potesse passarci attraverso... Come se non esistessero e non fossero mai esistiti. 

Il suo atteggiamento è distaccato; non si sbilancia, non si cura di loro, nè trae apertamente piacere dalla loro sofferenza.

Io sono una colomba che porge il ramoscello d'ulivo ad una macchina di morte. 

" Licht zu Dunkelheit " mi chiamava Fried. 

" Luce nel buio. " 

Prendo coraggio e mi avvicino al prigioniero nello stupore generale: Reiner subito mi riprende, imponendomi di non avvicinarmi, dicendo che potrebbe avere qualche malattia, ma io lo ignoro, camminando spedita verso il punto in cui giace. 

Mi fermo a pochi passi, arrestandomi sul colpo, constatando con orrore che lui non respiri più. 

Congiungo le mani, portandole al viso in segno di preghiera, piangendo lacrime amare per un'altra vittima della crudeltà nazista. 

Poteva essere mio zio, o mio padre e il pensiero che sia accaduto tutto davanti ai miei occhi mi destabilizza... 

- Ti avevo detto di non avvicinarti! - 

Ordina ad alcuni uomini ebrei di trascinare via il cadavere e poi trascina via anche me, ai margini dello spiazzo, rimproverandomi per non averlo ascoltato. 

I miei occhi sono fissi sul corpo senza vita dell'ignoto olocausto, che ora viene afferrato per le braccia e strascicato sul terreno polveroso, in attesa d'esser posto su di un carro e portato al forno crematorio. 

Una visione orribile. 

- Es wird besser für dich sein, dich daran zu gewöhnen, kleines Mädchen. / Sarà meglio che ti ci abitui, ragazzina. - Mi dice il soldato biondo, che ora riconosco essere il tenente Hoffmann. 

- Warum? / Perché? - Domando, con il volto graffiato dalle lacrime. Lui sorride, cattivo, preannunciando il peggio. 

- Was meinst du mit das? Was gibt es noch?! / Che intendi dire con questo? Cosa c'è ancora?! - Reiner mi trattiene per l'avambraccio, impedendomi di spaccare il brutto grugno di Hoffmann. 

Vengo a sapere che due prigionieri si sono recati alla latrina al di fuori dell'orario consentito e che, di conseguenza, devono essere puniti.

Reiner, in quanto vice-comandante in carica, ha il potere esecutivo delle sanzioni e gli è permesso applicare la punizione che più ritiene consona all'infrazione commessa. 

- Zwanzig Hiebe. / Venti frustate. - È il suo verdetto. - Von meinen. / Delle mie. - Aggiunge, facendo ghignare Hoffmann, il quale, non vede l'ora di veder schizzare in terra un po' di sangue impuro. 

- Venti frustate per essere andati a pisciare senza il vostro permesso?! Ma è assurdo! Non puoi farlo! - E, così dicendo, mi aggrappo alla divisa, strattonandolo per avere la sua attenzione. 

- Ti avevo avvertita. Tu hai accettato lo stesso. - Riesce a schiodarmi, afferrandomi per le braccia e facendomi mollare la presa. 

È la prima volta che lo vedo così; Ariel non stava affatto esagerando nel definirlo un sadico criminale perchè, dal modo in cui ha detto che se ne sarebbe occupato lui stesso, ho capito che lo aveva già fatto in precedenza e che era stato crudele, particolarmente crudele, o il tenente non ne avrebbe riso. 

La vista del mio viso addolorato lo uccide.

È come se volesse piegarsi per asciugarmi le lacrime, ma non ne avesse la forza.

Mi guarda dall'alto e nell'azzurro chiaro, profondo, leggo il mio stesso dolore: non si dispiace per i disgraziati che finiranno frustati per mano sua, ma solo ed unicamente per me, sapendo il male che proverò nel vederlo reincarnare tutto ciò contro cui mi sono sempre opposta. 

- Wo sind die Häftlinge? / Dove sono i prigionieri? - Si rivolge all'altro nazista, impassibile, tentando di distrarsi. 

- Ich habe Anweisung erteilt, sie hier zu führen. Noch etwas Geduld, Kommandant... Sie laufen doch nicht weg! / Ho dato disposizione di condurli qui. Ancora un po' di pazienza, comandante... Non scappano mica! - Ride a vuoto per la pessima battuta, beccandosi un'occhiata riprovevole dal colonnello. 

Bastardo! come può ridere di questo?! 

Quando la guerra si concluderà con la disfatta della Germania non riderà più così tanto! 

La condanna a morte sarebbe troppo rapida, troppo dolce per persone come queste: certi mostri meriterebbero di soffrire, di patire le pene dell'inferno e, se tutti i loro peccati si potessero ritorcere contro di loro, allora sì, che sarebbe una pena equa! 

In ogni modo, devono marcire, invecchiare e morire divorati dai sensi di colpa... Soltanto così, loro potranno avere la pace. 

- Lass sie nicht sehen. / Non lasciarla guardare. - 

Vengono radunati tutti i prigionieri in circolazione nello spiazzo non livellato, affinché assistano all'esecuzione e imparino a valutare le conseguenze delle loro azioni. 

È stato gettato un pugno di sabbia tra gli ingranaggi di un macchinario; il settore B1b si ferma. 

I due, arrivati da poco nel lager ( me ne accorgo dalla corporatura robusta e dai volti pieni ) sono trattenuti da alcuni soldati, che li gettano a terra malamente, infierendo su di loro ad ogni tentativo di ribellione. 

Uno di questi, per orgoglio, è tentato di difendersi, ma si nega anche questa possibilità dopo aver visto il calco del fucile di una SS abbattersi sulla tempia del compagno. 

- Das ist genug! - Ruggisce il biondo, infastidito nel vedere il prigioniero riverso al suolo semi-svenuto. 

Seccato dall'imprevisto, decide di iniziare dall'altro e questi, in men che non si dica, viene spogliato dell'uniforme a righe e legato per le mani ad un palo di legno infisso nel terreno, cosicché non si muova. 

Un soldato gli porge una frusta di cuoio, mentre Hoffmann provvede a coprirmi gli occhi, visto che il comandante, non fidandosi, gli aveva proibito di lasciarmi scorrazzare per il campo. 

Preferisce farmi sentire le urla di uomini innocenti che vengono seviziati per puro divertimento, piuttosto che permettermi di correre il più lontano possibile da tutto questo. 

Una sferzata potente si abbatte sulla schiena del poveretto, tanto che ho sentito la pelle aprirsi in due al primo strappo. 

Un suono terrificante, che mi fa urlare. 

Lui grida, ma in una maniera molto, molto più straziante. 

Il tenente mi sbeffeggia e altri colpi si susseguono uno dopo l'altro, non lasciandogli nemmeno il tempo di riprendere fiato. 

Mi arriva alle orecchie ogni singolo schiocco e, al contempo, lamenti di dolore, urla, le risate dei soldati e i gemiti di colui che sta aspettando la gogna, consapevole di cosa si riverserà su di lui non appena si leverà in cielo la ventesima frustata. 

- Schaut euch! Er weint wie ein kleines Mädchen! / Guardate! Piange come una ragazzina! - Lo offende un tedesco, seguito da un coro di risa. 

Demolire sul piano psicologico, oltre che fisico, è il loro obbiettivo principale, sicché i prigionieri, disumanizzati, assumano le caratteristiche di animali e loro, i carnefici, vedendoli abbruttiti e sottomessi alla loro volontà, non si sentano in colpa per il crimine di cui si sono resi complici.

Poveri illusi... Questa barbarie non gli verrà mai perdonata. 

Al decimo schiocco, mi arriva alle narici l'odore acre del sangue e, con esso, i conati di vomito. 

Hoffmann, senza troppe pretese, mi lascia andare alla prima debole sgomitata, magari, per paura di sporcarsi o, ancora, per farmi guardare la scena di proposito. 

Mi sforzo di liberare lo stomaco, fallendo miseramente. 

L'uomo caccia un urlo agghiacciante, prolungato e mi è impossibile ignorarlo oltre. 

Mi volto a guardarlo nell'esatto momento in cui un'altra, implacabile scudisciata, si abbatte impietosa sulla sua schiena martoriata. 

Lui si contrae, dimenandosi, con la bocca spalancata per il dolore e lacrime amarissime ad annebbiare gli occhi scuri, persi in quella spirale di sofferenza. 

L'occhio mi cade proprio sulla sua schiena, cosparsa di squarci tanto profondi da mostrare la carne viva, poi, sulle sue cosce, su cui defluiscono fiumiciattoli rossastri e, infine, sulla terra umida, sulla quale piovono gocce di sangue. 

Il suo strazio è indicibile, tuttavia, il sadismo di Reneir non trova limite e continua a colpirlo, una volta, un'altra e un'altra ancora, trasportato dall'euforia, volta solo alla creazione di dolore. 

Ad ogni colpo si sparge una nuvola rossa nell'aria, che sembra polvere ma che non lo è affatto. 

Hoffmann mi recupera prima che sia troppo tardi, prima che mi lanci addosso al comandante per impedirgli di proseguire. 

- Halt! Du bringst ihn um! Du bringst ihn um! / Fermo! Lo stai uccidendo! Lo stai uccidendo! - Finge di non sentire e, solo dopo aver finito, mi rivolge uno sguardo di ansiosa inquietudine. 

Si accorge di aver sbagliato, di avermi persa. 

Adesso, guardo anche lui in quel modo... Come fosse un mostro. 

Ho riempito il mio cuore di odio.

Reiner non muove un passo, sapendo che lo avrei respinto. 

Nel frattempo l'uomo, dopo esser stato slegato, casca sulle ginocchia e stramazza al suolo, atterrando nella terra e nel sangue. 

Il suo sangue. 

Il comandante mi lascia andar via, non potendo niente contro la mia rabbia. 

A lato di una delle baracche, vedo un pezzo di terra pulito e asciutto e mi ci lascio cadere su, angosciata. 

Affondo la testa in mezzo alle ginocchia, tra gli spasmi generali. 

Piango tanto, in silenzio, trattenendomi dal palesare la mia presenza, in caso ci fosse ancora qualcuno nei paraggi. 

In effetti, qualcheduno mi sorprende a piagnucolare come una bambina, ma non è chi mi aspettavo di trovare: non è un nazista, no, è un ragazzino; il giovane ebreo ungherese riconoscibile per i capelli riccioluti e voluminosi e per la stella dall'iniziale " U ", che sta ad indicare la sua particolare provenienza. 

Mi chiedo cosa ci faccia lui qui, visto che tutti gli altri sono stati radunati nella piazza dell'appello... 

Il ragazzo, avendo interpretato i miei pensieri, abbassa il viso livido, facendomi intuire che ci sia una ragione ben precisa, ovvero che un nazista stesse punendo anche lui, prima dell'avviso di raccolta da parte di Reiner. 

Deve aver fatto fatica a riprendersi, anche perché zoppica un po' e il suo aspetto non è dei migliori, anzi, confesso che, a primo acchito, non sembra messo molto meglio di quell'altro poverino, essendo anch'egli ricoperto di ferite da " capo a piedi ". 

- Giornataccia anche per te, non è vero? - Asciugo in fretta le lacrime, sforzandomi di non apparire più scossa di quanto non lo sia lui.  

Non risponde.

" Ovvio, Sara, probabilmente ( essendo ungherese ) non capisce la tua lingua; in più, non penso possa avere del tempo da perdere in chiacchiere con una come te, vista la situazione alquanto sconveniente. "

Poi, neanche me la fossi cercata di proposito, sopraggiunge un altro conato e il ragazzo prende subito a correre dalla parte opposta, scomparendo dal mio raggio visivo. 

Ricompare con un secchio di latta tra le mani e me lo porge, guardando in basso per paura di mettermi soggezione. 

Una persecuzione! 

Ancora una volta, non riesco a rigettare nulla. 

- Non so se puoi capirlo, ma grazie. Toda. - L'ultima parola è in ebraico e sono sicura che l'abbia capita. Ha annuito, sorpreso nel sentirla pronunciare da una " gentile ", una non-ebrea. - Perchè non vai con gli altri? - Gli indico un punto alle mie spalle e lui, nuovamente, afferra il concetto, iniziando ad incamminarsi a passo svelto. - Aspetta! - Lo fermo un attimo prima di vederlo sparire, riuscendo ad attirare la sua attenzione. - Ciao lo capisci? - Agito la mano, mentre lui fa cenno di sì. - Allora ciao, ragazzo. Continua a combattere. - 

Questa frase la ripeto per entrambi, convincendomi di potercela fare, dicendo a me stessa di non potermi arrendere così facilmente all'arroganza dei dominatori tedeschi, i miei aguzzini. 

Non mi hanno vinta. Mi hanno spezzata, spingendomi all'interno di un uragano di violenza e di follia criminale dal quale non riesco più a tirarmi fuori. 

Dopo un lasso di tempo che mi pare interminabile, ritrovo Reiner, venutomi a cercare solo, senza l'odioso Hoffmann a fargli da scorta. 

Non voglio vedere nè il suo viso di assassino nè la sua divisa sporca di sangue. 

Cerca anche di parlarmi, di spiegarsi ma, ad ogni scusa, lo ascolto sempre meno. 

- Silenzio, non voglio sentire una parola da parte tua. - Mi rialzo da me, distanziandomi e camminando spedita verso la sua auto. 

" Per il resto se ne occuperà il tenente " mi ha detto, quindi chissà che altro avrebbe dovuto fare... 

- Sara, ti prego! È il mio lavoro, la mia vita! Cosa ti aspettavi che facessi? Che li graziassi? - 

- Vorresti farmi credere che sei stato costretto a farlo?! Ma fammi il piacere! Tu hai voluto farlo! Ti brillavano gli occhi cazzo! - 

- Andiamo! Sapevi che sarebbe successo! -

È vero, lo sapevo, eppure speravo con tutta me stessa che, da soldato, non provasse piacere nel fare del male a delle persone che non hanno neppure la possibilità difendersi. 

Lo immaginavo stoico, impassibile, invece, proprio come Rüdiger, si è lasciato trasportare dal fanatismo e ci ha goduto. 

Ci ha goduto tanto. 

- Non posso sopportarlo... Ich bitte dich. - Si affretta a venirmi dietro, abbracciandomi contro la mia volontà.

- Lasciami - squittisco, pressata dalle sue braccia muscolose. - Ti dico di lasciarmi andare! Lasciami subito! - Grido, scalciando come una puledra. Lui mi rilascia, sconsolato, procedendo dritto verso la Judenrampe. 

- Ora passiamo da Ariel? - Sebbene lui voglia dirmi " no " mi risponde comunque di sì, sperando di poter affievolire man mano la mia arrabbiatura. 

- E dove avresti intenzione di metterlo? Nel bagagliaio? - Domando, una volta lì, constatando la carenza di spazio all'interno della vettura: come quasi tutte le auto sportive, infatti, è dotata di due soli sedili e non è possibile inserirci una terza persona, neanche schiacciandola. 

- È magro, può starci benissimo. - 

Ariel, al mio fianco, deglutisce, pregando di non finir chiuso in uno spazio striminzito e scarsamente aerato, in cui la temperatura può toccare tranquillamente i quaranta gradi. 

- Morirà soffocato! - Esclamo, facendolo impallidire. - No no, io ti verrò in braccio e lui siederà sull'altro sedile. - 

- Va bene. - Risponde, in un modo anche troppo avventato, tradendosi. 

Che non si faccia strane idee! Lo faccio nell'interesse del mio amico. 

Io non ho dimenticato. 

- Vedi che non ha mica la lebbra! - Reiner lo guarda storto, temendo che possa appestargli la macchina. Ridicolo! Rüdiger non farebbe mai entrare in casa sua un prigioniero senza averlo prima passato sotto disinfettante e quant'altro... 

Mi siedo sulle sue ginocchia, provando un disgusto che non ha precedenti. 

Il biondo mi sente rigida e se ne rammarica, sospirando. 

- Ariel, ho trovato tuo fratello l'altro giorno. Gli ho detto che sei vivo e che lo cercavo per conto tuo. Ha pianto di gioia quando lo ha saputo. - Lui mi guarda meravigliato, sorridendo in modo sincero. 

Lui è qui, dietro di me, ma non si esprime, non mi rimprovera, non dice nulla a riguardo. 

Semplicemente tace, immerso nei suoi pensieri. 

Non appena arrivati, il giovane cuoco si mette subito ai fornelli, in vena di cucinare, mancando di chiedere l'autorizzazione al " padrone di casa ". 

- Gliel'ho chiesto io, non ti arrabbiare per questo. - 

- Non mi avevi detto che sapeva far da mangiare. - 

- Sì ed è bravo, ha un vero talento per la cucina. Lo vedrai presto, tranquillo. - Dimostra tutto il suo scetticismo, tuttavia, indugia nel riferirmi quel che pensa davvero, temendo di commettere un qualche errore irreparabile. 

Sono delusa, amareggiata, mi è difficile persino guardarlo negli occhi. Ho preso una " brutta botta ", come diceva quell'altro mezzo farabutto, Andrea. Poche persone sono riuscite a non deludermi da quando sono arrivata qui e lui, Reiner, non è più tra queste. 

E questa delusione mi ha aperto gli occhi, sì, ma mi ha chiuso il cuore. 

Mi sento una stupida per aver creduto in lui, di avergli attribuito un valore che, evidentemente, non ha. Brucia il mio cuore, brucia... Un'altra cocente sconfitta, un fallimento che non mi aspettavo e che, forse, non meritavo. 

Un inganno, un altro, come se non mi fosse bastato sapere che un uomo aveva venduto la mia amicizia per denaro e che un altro, in cui pure credevo, si era servito di uno dei suoi squallidi giochini mentali per potersi approfittare di me. 

Mia era la colpa per lui, non sua.

A questo punto, era serio; lo pensava davvero. 

- Per favore, datti una sciacquata. Sei sporco. - 

Non ho bisogno di frenare le lacrime: vedere un uomo con le vesti pregne di sangue altrui è già di per sè un panorama orrido da far piangere. 

Ci mettiamo a tavola e l'atmosfera è molto tesa; Ariel si tiene fuori, non sa cosa sia successo e non vuole interferire. 

A stento percepiamo la sua presenza. 

- Può sedersi? Mi dà pena vederlo in piedi. - Il biondo, allora, gli fa cenno di sedersi, mentre io lo imploro di pigliarsi un piatto e riempirselo per bene, visto che le sue scapole sembrano star guizzando via dal suo corpo. 

Lui prende comunque poco, impaurito da Reiner. 

A parte qualche commento del comandante sul cibo, le parole si sprecano. 

E così sono i giorni successivi... 

Freddi e vuoti. 

Ariel mi consola, eppure la malinconia abbruttisce le mie giornate al punto d'esser diventata una costante della mia vita. 

Tra me e Reiner non c'è dialogo. 

Viviamo in una casa di fantasmi. 

Fin quando, un giorno come tanti, non giunge la notizia che Schneider sia in dirittura d'arrivo. 

Reiner piomba in stanza e mi stringe, da dietro, ignorando bellamente le mie lamentele. 

Mi bacia i capelli e dal tremore delle labbra capisco che qualcosa lo spaventi. 

Non era mai capitato, che lui provasse paura. 

“ La paura è per i deboli ” enunciava, orgoglioso nel sapersi forte e vigoroso. 

- Ti porterà via da me - sussurra, carezzandomi il viso. - Permettimi di aiutarti, piccola mia, non chiedermi di restare in disparte mentre quel sadico bastardo farà strazio del tuo corpo. - 

- Reiner... - Cinguetto, non sapendo bene come reagire. 

- Es gibt kein Leben ohne dich. / Non c’è vita senza te. -

- Du bist mein Leben. / Sei tu la mia vita. - 

...

- Du bist mein. / Sei mia. - 

 

 

 

  
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