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Autore: NyxTNeko    09/09/2018    2 recensioni
Roma, 37 d.C.
Una giovanissima schiava proveniente dalla Gallia, abile conoscitrice di ogni tipo di erba, approda nella Città Eterna. Divenuta libera, la sua vita sembra essere destinata a svolgersi nell'ombra della Capitale del Mondo...fino a quando il potere non entrerà dalla porta della sua piccola bottega di filtri e veleni e le stravolgerà l'esistenza risucchiandola inevitabilmente nel suo vorticoso buco nero.
Locusta, la prima serial killer della storia, fu un personaggio enigmatico, quasi leggendario, di cui si sapeva davvero poco anche ai suoi tempi, una cosa, però, era assolutamente certa: la strega di Nerone non sarebbe sopravvissuta a lungo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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"Nunc est bibendumnunc pede libero 
pulsanda tellus, nunc Saliaribus 
ornare pulvinar deorum 
tempus erat dapibussodales"
Orazio, Odi, I, v 37

Anzio, 21 gennaio 63 d.C.

- Altezza! È nata! - riferirono una coppia di ancelle festanti ad un Nerone al culmine dell'emozione e del fermento  - Ed è una splendida bambina! 

- Una bambina? - chiese l'imperatore incredulo. Il suo viso parve incupirsi. 
Quella domanda fece preoccupare le due ragazze, le quali temettero di non averlo rallegrato con quella notizia. Pensarono, per un istante, che si sarebbe infuriato o sarebbe rimasto deluso. E impallidirono.

- Avete già applicato la lustratio?

- S...si, è tutto pronto, altezza - ammisero impaurite.

- Bene, portatemi da lei! - ordinò Nerone stranamente serio. Le due ancelle si lanciarono una lunga occhiata e tra un sospiro di paura e di rassegnazione l'accompagnarono davanti l'entrata della villa, dove la piccola era stata posta ai piedi della porta.

Nerone la vide, piccola, indifesa, piangente per via del freddo invernale;  impietosito dalla sua dolcezza, dalla sua innocenza, tirò giù la maschera dell'indifferenza e, commosso, la prese dal suolo e la strinse amorevolemente a sé - La mia piccola principessa si chiamerà Claudia! - pronunciò non riuscendo a trattenere le lacrime.

Tra le sue braccia la piccola si tranquillizzò. Era diventato padre di una meravigliosa bambina; in parte fu sollevato nel constatare che non somigliasse molto a lui, quanto piuttosto alla sua Poppea. "Non ha ereditato la mia bruttezza".

Le donne al suo seguito scoppiarono a piangere di fronte a quel momento così struggente e delicato; una di esse si fece coraggio e disse - Pensavamo...che non l'avreste accettata, altezza

- Davvero eravate convinte che desiderassi un figlio maschio? - rise Nerone stupito - Se lo avessi voluto avrei spossato ingiustamente mia moglie e poi per l'erede c'è ancora tempo, siamo entrambi giovani e abbiamo tanti anni davanti, al momento serve qualcosa che rassereni lo spirito del popolo, specialmente dopo un periodo del genere - ammise pacatamente. Cominciò a giocherellare con la piccola fino a quando non la restituì alla madre per farla allattare.

23 gennaio

- Siamo venuti qui per far visita ai novelli genitori della nostra già adorata principessa, altezza imperiale - esordì uno degli anziani senatori con fare piuttosto ossequioso.

All'imperatore non sfuggì il mutamento di atteggiamento da parte di quei vecchiacci, i quali fino a qualche mese prima non avevano fatto altro che muovere critiche e rimproveri - Per me e mia moglie è un vero piacere vedervi qui! Non avrei minimamente immaginato che la nascita di un mio erede potesse fremere così tanto al Senato di Roma -  abbozzò un fugace sorrisetto e compiaciuto dalla loro "sottomissione" continuò a mostrargli orgogliosamente la piccola bambina. 

Alcuni dei senatori in fondo cominciarono a provare odio per quella creatura, poiché per colpa sua, erano costretti ad umiliarsi e lodare un uomo per cui provavano solo disprezzo. 

- Io, l'imperatore Nerone - riprese il Princeps spostando il mantello in modo teatrale, scendendo lentamente gli scalini che lo separavano, osservandoli uno ad uno quasi stralunato - Ordino che per tutta la settimana in corso vengano istituiti, in tutto l'Impero, eventi teatrali, giochi circensi e gladiatorii per ringraziare gli dei di questo meraviglioso dono e per concedere al popolo la possibilità di adorare la famiglia imperiale

- Ce...certamente... altezza... imperiale - balbettarono imbarazzati. "L'euforia lo ha reso più sveglio che mai, speriamo solo che duri poco, altrimenti non potremo agire come vorremmo" pensò preoccupato uno di essi.
 

In quella stessa giornata la famiglia imperiale decise di tornare nella capitale per permettere alla popolazione di festeggiare e assaporare il clima festoso del momento facendo dimenticare tutti i problemi di fondo che affiggevano la vita delle classi meno agiate.

Roma

- Locusta! - esclamò Nerone quando la vide aprirgli la porta del suo appartamento sul Palatino.

- Mio...mio imperatore...siete tornato - rispose mestamente la donna. Il viso del Princeps roseo e pieno sembrava splendere al pari del sole.

- Si, però, è da quando sono partito che siete più strana del solito, è successo qualcosa? Qualcuno vi ha minacciata? O vi ha calunniata? - interrogò ansimante Nerone. Era una delle poche persone al mondo alla quale teneva più di se stesso e non voleva vederla afflitta e angosciata.

Locusta sorrise malinconicamente - Non preoccupatevi per me, mio imperatore, sono solo un po' stanca, ormai non sono più giovane come voi, mi basta un niente per..

- No, non dite questo - la frenò seriamente in pensiero per lei - Finché ci sarò io, voi non dovete minimamente pensare alla negativà, alle avversità della vita... - le prese le mani ossute, gliele strinse e la guardò dritta negli occhi - Locusta cara, per me ormai siete più di una semplice amica, siete la madre che ho sempre desiderato avere e vorrei che diveniste una delle balie di mia figlia Claudia

- Cosa? Io? La balia di vostra figlia? - ripeté incredula Locusta; credette che la nascita della bambina lo avesse allontanato irrimediabilmente da lei. Invece non aveva smesso nemmeno un istante di pensare a lei, ad una squallida galla, un'avvelenatrice da quattro soldi. La considerava ancora un essere puro. Sentì un fremito salirgli dalle viscere e si accorse dell'espressione impensierita di Nerone nel quale lesse tutte le domande che si era posto.

Annuì per tranquillizzarlo e l'imperatore, al culmine della beatitudine, la condusse al palazzo per mostrarle la piccola Claudia.

Non appena vide quella minuscola creatura Locusta provò una strana sensazione, all'altezza del ventre, dei sussulti continui e il battito del cuore che accelerò improvvisamente. Non era la bambina a provocargli ciò, quanto ciò che rappresentava: la fertilità di una mamma. Si toccò istintivamente il ventre sterile e cercò di frenare le lacrime che non vollero sapere di placarsi.

- Locusta? Che vi prende? Oggi siete strana?

Avrebbe voluto rispondergli, dirgli che non doveva stare in ansia per lei, tuttavia non riuscì ad emettere nulla che non fossero singhiozzi incontrollati. Poppea, al volo, capì quello che Locusta stava provando: il non aver mai provato la gioia di mettere al mondo una vita che avrebbe potuto rendere grande l'esistenza di ogni famiglia e, soprattutto, dare un vero senso al suo ruolo di donna.

Mossa dalla pietà e dal rispetto involontario che provava per quell'avvelenatrice così devota ed obbediente all'imperatore, le si avvicinò per rassicurarla e le sussurrò - Locusta, anche se non siete mai stata una madre, con questo ruolo di balia potrete, in parte, placare questo desiderio, questo istinto primordiale di amore filiale che vi opprime, so che non è la stessa cosa, però...

- Vi...vi ringrazio...altezza... - riuscì solo a riferirle, forzando le labbra in un sorriso molto sofferto. Con un grande atto di coraggio, spinse in fondo alla gola tutta la sua amarezza: l'armonia della famiglia imperiale era la priorità assoluta, lei era lì per servirli, per mostrare la sua gratitudine, il resto non contava.

Nerone si sedette sullo spalto riservato agli uomini di alto rango, in uno dei tanti anfiteatri presenti nella capitale e attese che vi si riempisse di gente per poter inaugurare i giochi gladiatorii, tanto amati dal popolo, tanto disprezzati dall'imperatore stesso.

- Cercate di mostrarvi sereno, le masse non devono capire che voi non sopportate questi spettacoli cruenti - le ripetè per l'ennesima volta Poppea alla vista del broncio sul viso del marito.

- Infatti è solo per loro che spendo i soldi dello stato per farli rappresentare, per mantenere alto il consenso, anche se non capisco cosa ci trovino di emozionante nel vedere schiavi e guerrieri squartati da bestie e da altri loro simili in duello - controbattè sbuffando, preparandosi mentalmente a resistere alla vista e all'odore di tutto il sangue versato.

- Per la catarsi, tesoro mio - bisbigliò ammiccante - Sapete benissimo di cosa parlo

- Certo che lo so, ma potrebbero provarla anche con una tragedia greca, persino la più insignificante, almeno quel tipo di opera purifica davvero l'uomo, lascia sgomenti, con l'amaro in bocca, questi 'macelli', al contrario, non intaccano il profondo, non lasciano nulla, se non esaltazione iniziale e disgusto alla fine... - il discorso fu interrotto dal boato crescente proveniente dagli spalti. I gladiatori erano pronti per scendere sull'arena e combattere.

Uno alla volta uscirono da uno dei piccoli ingressi presenti ai lati dell'arena, accompagnati da un gruppo di suonatori: i loro elmi e gli scudi luccicanti, le armi scintillanti, i muscoli possenti e tesi, li rendevano simili ad eroi classici; la maggior parte di essi proveniva dai ludi, ossia da vere e proprie scuole, il restante era composto da prigionieri di guerra, schiavi o condannati a morte e perfino uomini liberi che desideravano la gloria e un ricco compenso.

Prima di cominciare i vari duelli sia con le belve sia con altri gladiatori, i guerrieri si misero in riga e pronunciarono il solenne giuramento all'imperatore: - Sopporterò di essere bruciato, di essere legato, di essere morso, di essere ucciso per questo giuramento

Nerone si alzò subitamente e teatralmente recitò - I miei predecessori ed antenati hanno innalzato la guerra, la lotta, come base per la società romana, vivevano in funzione di essa, viste come gli unici strumenti in grado di stabilire il predominio e mantenere l'equilibrio della Res Publica prima e dell'Impero poi...

Io non sono come loro, non ho mai bramato spargimenti di sangue, spade sguainate e scudi squarciati, se non quelli decantati nei poemi, nelle epopee, nelle tragedie, ricordati ed esaltati al pari delle gesta eroiche e irraggiungibili di questi nostri gladiatori. Ho dovuto ricorrere alla violenza per necessità superiori, non certo per mia volontà. Ciò che desidero ardentemente è di riuscire pienamente a rendere la società romana cultrice dell'arte, della poesia vera, come fece l'Ellade, il fulcro di ogni bellezza.

Può sembrare fuori luogo questo mio discorso, sappiate che non è affatto così, poiché si è veri eroi solo se si rispetta l'avversario e perché no, anche il nemico che abbiamo accanto, per questione di onore, affrontandolo alla pari e lealmente, se siete stati istruiti a dovere all'uso delle armi dimostrate di essere non solo bravi gladiatori ma soprattutto dei bellissimi guerrieri, riprendendo il concetto greco di bellezza come sinonimo di bontà, che lo spettacolo cominci solo per voi, o popolo - concluse inorgoglito.

Non fece nemmeno in tempo a sedersi che fu sorpreso da un calorosissimo applauso.

A quel punto si diede inizio alle venationes: furono liberate le belve feroci;  oltre ai notissimi leoni, vi erano tigri, pantere, leopardi, tori, elefanti e addirittura ippopotami. I gladiatori, senza perdere tempo, presero a lottare, impavidi,  attuando prontissime difese e incredibili attacchi.

Un gladiatore dalla pelle nerissima si staccò dal gruppo, arretrò di un paio di passi, s'inginocchiò e pose il suo tondo scudo davanti a se per proteggersi dall'assalto di un toro inferocito che con un colpo di corna riuscì a perforare lievemente la protezione del gladiatore; per nulla intimorito, anzi, più carico di prima afferrò il gladio al volo e si lanciò contro quella bestia impazzita.

Tutti sugli spalti rimasero muti, stupiti dall'assoluto autocontrollo di quel gladiatore color ebano e dall'elmo e scudo dorati. Locusta, accanto al suo Gaudenzio, percepì l'eccitazione di quell'istantaneo momento in cui gli occhi della bestia e del guerriero si incrociarono per poi alla fine decretare il vincitore.

- Perdonami, bestiola, ma devo farlo - rivolse l'uomo a bassa voce mentre gli assestò il gladio dritto nel cuore. Lo ritirò immediatamente. L'animale emise un rantolo e morì, il guerriero, lo sollevò di peso e con un'inaspettata delicatezza lo pose sotto lo spalto imperiale.

- Cosa volete fare con quella carcassa?! - ringhiò Tigellino, fu fermato da Nerone che incoraggiò il gladiatore ad esprimere il suo pensiero. Gli altri guerrieri si bloccarono e gli animali selvaggi calmati.

- Questo è il mio sacrificio divino per vostra figlia, altezza - si tolse l'elmo, si inchinò e a testa bassa aggiunse - Sperando che sia favorevole agli dei...

- Sei un seguace di Mithra, non è così? - fece Nerone sorridendo.

Il gladiatore ricambiò il sorriso - La vostra fama è meritata, altezza imperiale...

Quella voce suonò così familiare alle orecchie di Locusta da sembrarle incredibile, quei lineamenti poi, ricrearono un'immagine sbiadita nei meandri della memoria, da essa riaffiorò un'antica amicizia; non era del tutto convinta delle sue supposizioni, perciò, restò in silenzio.

- Il toro è il simbolo della tua religione, gladiatore - confermò Nerone, sicuro delle sue conoscenze - Hai dimostrato grande umiltà e timore per qualcosa di superiore, ciò ti fa onore, Achaikos è il tuo nome, giusto? 

- Si, altezza imperiale - prontamente rispose.

"Allora i miei sospetti erano veri! È lui! È lui!" si autoconfermò la donna, tutta tremante ed emozionata.

- Un nome molto particolare e dal tuo aspetto mi sembri originario del nord Africa!

- È di Alessandria d'Egitto, mio imperatore - precisò Locusta.

- Come sapete questo? - strabuzzò l'imperatore, osservando Locusta come se fosse la prima volta, come se fosse un'estranea.

- Perché io sono Locusta, Achaikos, non ti ricordi di me? - rivelò la donna.

Achaikos spalancò gli occhi e sconvolto la rimirò attentamente, rivide in quella donna matura, la giovane e affascinante schiava galla che aveva incontrato anni prima, e che mai aveva pensato di rivedere ancora. E per la quale, all'epoca,  aveva letteralmente perso la testa.

   
 
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