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Autore: Anya_tara    26/09/2018    2 recensioni
" ... Lo guardo allontanarsi, con quel suo passo fluido ingannevolmente tranquillo, e invece rapido e spedito. La strana sensazione che mi ha preso prima torna, mi prende nel petto, al cuore, facendomi provare un improvviso, intenso calore.
Chi sei davvero, Alejandro? Mi sembra di conoscerti da sempre, eppure di te non so niente ".
La strana coppia in una versione ancora più strana. Almeno secondo la sottoscritta.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Capricorn Shura, Leo Aiolia, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La gamba è ormai di nuovo in sesto, così ho potuto finalmente cominciare da Diego.
Lui è un tipino curioso: ha quasi trent’anni, ma ne dimostra dieci di meno. E’ basso, ha una zazzera di capelli mogano lunga fino alle spalle e due occhi verdi da gatto; sorride sempre, e non perde occasione di lanciare battute spiritose ai clienti abituali, oltre che ai suoi dipendenti.
Appena sono entrato, mi ha teso una delle sue mani forti e abbronzate e ha fatto un’espressione maliziosa. << Benvenuto, Aléxandros. Mi raccomando, lontano dai bollitori, okay? >>.
Inutile dire che sono avvampato come uno scolaretto. Ale, al mio fianco, si è limitato a spingere indietro gli occhiali sul naso. Ma era la scusa per nascondere il sorrisetto sarcastico che gli era salito alle labbra.
Per tutto il tempo Eduardo, l’armadio che ho conosciuto l’altra volta, mi è stato alle costole per controllare che non combinassi casini, ma con una delicatezza tale che mi ha fatto sentire più coccolato che osservato. Come fossi un bambino vegliato dai genitori.
Per qualche strano motivo mi ha riportato alla mente mio fratello. E in un attimo di pausa ho dovuto andare nel bagno dei dipendenti, a tirare su col naso.
Spero che nessuno se ne sia accorto, o chissà che diamine avranno pensato.
A parte questo, è andato tutto abbastanza bene, se non vogliamo considerare le piccole confusioni con le ordinazioni. Ero talmente preso dalla smania di risultare perfetto, che ho finito per farmi carico di troppi tavoli tutti insieme, e ad un certo punto non ricordavo più chi aveva preso cosa, anche se i posti erano tutti numerati.
A quel punto Ale mi ha chiamato, chiedendomi di andargli a prendere le bustine di zucchero nel deposito. Lì per lì mi sono incazzato: come, sono già nel pallone, e mi dai anche altro da fare? Ma non volevo demordere: ho posato il vassoio e sono andato nel retro.
Il rumore della porta che si chiudeva dietro di me mi ha fatto trasalire. 
<< Leo >>, ha detto semplicemente. Avrei voluto mandarlo affanculo, se aveva il tempo di venire avrebbe potuto prendersele da solo, le sue dannate bustine.
Con lo scatolone tra le mani, mi sono voltato di scatto. E appena ho incrociato i suoi occhi senza lenti, tutta la rabbia è sbollita, evaporata.
<< Siediti >>.
<< Ma … >>.
<< Siediti, ho detto >>. Come fossi stato privo di volontà, ho obbedito. Senza lasciare lo scatolo, mi sono piegato sulle casse di acqua minerale.
<< Respira. Riprendi fiato >>.
<< Ho un sacco di … >>.
<< Shh. Respira >>.
Mi è venuto spontaneo reclinare la testa contro il legno, chiudere gli occhi.
Ho sentito le sue mani sulle spalle, le dita che affondavano piano nelle scapole, premendo per massaggiarle.
<< Sta’ tranquillo. Non devi dimostrare niente a nessuno. A Diego piaci, ha già parlato con me per farti un piccolo contratto a termine, ed Eduardo non vede l’ora di adottarti >>. Mi ha pizzicottato una guancia, una cosa che da anni non faceva più nessuno, con me. << Stai andando benissimo. Anche troppo. Se li abitui a questi ritmi sarà impossibile provare ad assumere altra gente >>.
Non lo vedevo, ma percepivo il sorriso sulle sue labbra. avrei voluto aprire gli occhi, ma quella … specie di sortilegio era troppo potente per cedere a una simile debolezza e rovinare quell’attimo.
<< Non preoccuparti. Quando vai ai tavoli, basta che domandi chi ha preso cosa. Non devi fare il prestigiatore, basta questo bel faccino ad incantarli, va bene? >>. Mi ha levato lo scatolo dalle mani, e solo allora mi sono deciso ad alzare le palpebre.
Il taglio di luce che pioveva obliquo dal finestrino sembrava circondarlo di un’aura dorata, bellissima. Anche con quello scatolone tra le mani, col grembiule da lavoro non perdeva nulla del fascino ch’emanava. << Ora vai, e sbranali tutti, belva >>.
E’ uscito, lasciandomi qualche secondo per fare il vuoto nella mia mente. Le sue parole mi hanno rassicurato, sapevo che ormai la prima impressione, quella fondamentale, era più che buona.
Ho sorriso a me stesso e sono tornato fuori. Improvvisamente, quando mi avvicinavo ad un tavolo non avevo più alcuna difficoltà ad associare ogni ordine al cliente: tutto andava a posto quasi per magia.
Serviti tutti i miei tavoli, sono andato persino dietro il bancone ad aiutare Ale con i suoi avventori: mi sono tenuto alla larga dalla macchinetta, ma gli ordini spiccioli, del tipo apri e versa, li ho sbrigati quasi tutti io. E ho anche trovato il tempo di stupire cinque ragazzetti che stavano ciondolando indecisi - facendo innervosire l’imperturbabile Alejandro, incredibilmente-  con un cocktail di mia personale invenzione … un esperimento che ha visto Milo come cavia, ai suoi tempi.
Forse ho un tantino esagerato nel dire il nome con cui l’aveva battezzato il mio compare. Ma quelli ci hanno riso su come dei matti, e ne hanno ordinato subito un altro giro. Dopo dieci minuti chiunque entrasse voleva provarlo, e Ale si è limitato a scuotere la testa.
Finito il turno, Diego mi è venuto accanto, battendomi una pacca sulla schiena che a momenti mi spalmava sul banco. << E bravo Leo >>.
<< Senti, come funziona qui con le mance? Si dividono? >>.
<< Mah, di solito ognuno si tiene le sue. Perché? >>.
<< Be’ … visto che mi è andata bene … come prima serata … mi piacerebbe invitarvi fuori. Che so, prendiamo una birra >>.
Lui ha sorriso, alzando le spalle larghe. << Stasera purtroppo io non posso, ho già un impegno. Ma grazie dell’invito >>.
<< Okay, allora magari sarà per la prossima volta >>.
<< Vedi che ci conto, sai? >>.
<< Certo >>.
Una volta fuori, mi sono accostato ad Ale, che sembrava leggermente alterato. << Ehi, tutto okay? >>.
<< Sì, certo >>.
<< Senti … grazie davvero, per prima. Non so come avrei fatto senza di te. Davvero >>.
<< Di niente >>.
<< Ale. Va tutto bene? >>.
<< Sì, te l’ho detto. Va tutto bene >>.
Però la sgradevole sensazione che ce l’avesse con me persisteva. E si è fatta anche più forte, quando siamo arrivati a casa.
<< Ehi. Che c’è che non va? >>.
<< Non capisco perché ti ostini a insistere. Ho detto che va bene, va bene. Sono solo un po’ stanco >>.
<< No. Ce l’hai con me. Non sono cretino, sai? E’ stato per quei ragazzini? >>.
<< Ma figurati >>.
<< Ehi. Ale. Se non mi dici che c’è, prendo e me ne vado stasera stessa >>. Ho provato un assurdo piacere ad inchiodarlo così, vederlo in difficoltà mi ha messo addosso una sorta di brivido.
Lui ha sospirato. << Nulla. Davvero, Alexandros … è solo che … >>.
<< Che? >>.
Ora è toccato a lui sedersi, prendere fiato. << Non lo so. Vederti … scherzare con quei ragazzi … mi ha dato fastidio >>.
Ho avvertito una morsa allo stomaco. Prima che potessi rendermene conto lucidamente ho buttato fuori: << Ma dai, erano degli sbarbatelli! Non li guardo nemmeno, quelli >>.
Solo un attimo dopo ho realizzato ciò che avevo detto, il modo e il tono, soprattutto, in cui l’ho detto.
Il sangue mi è montato furioso agli zigomi. Mi stavo … giustificando? E perché mai, poi?
<< Non hai capito. Non in quel senso … ci mancherebbe altro. E’ che … perdonami. Non sono affari miei >>.
<< E dai, Ale. Detesto dover tirare le parole con le pinze alle persone. Se ti ha infastidito qualcosa, sono eccome affari tuoi. Avanti. Dì quello che hai sullo stomaco >>. D’impulso, gli ho posato la mano sul ginocchio. La tela ruvida dei jeans era calda per il contatto con la pelle.
<< Io … mi sento sempre a disagio, quando … uno di noi si comporta come se fosse … diverso da ciò che è, ecco >>.
Ho sgranato gli occhi. Non me n’ero minimamente reso conto … ho rischiato di tradirmi in un soffio.
<< Ma come ho detto, non sei tenuto a … >>.
<< Ale. Falla finita >>.
<< Hai ragione, mi dispiace >>.
Ho scosso la testa. << No, falla finita con queste scuse. Se ho avuto degli atteggiamenti poco consoni, ecco, sono io a dovermi scusare con te. Sia che riguardasse … questo … o che semplicemente sia esagerando in qualunque senso. So quanto tu sia riservato, e capisco benissimo che ti avrebbe urtato in qualsiasi caso. Perciò, scusa. Solo, ho notato che ti stavano innervosendo e così … ho pensato … di toglierteli davanti. Ma scusa se sono stato … un po’ … troppo esplicito, ecco. Non l’ho fatto apposta, spesso non mi rendo conto di quando passo determinati limiti. Per cui, conto che sia tu a mettermi in riga >>. Gli ho sorriso, sfregando sulla rotondità della rotula che sporgeva. << Avrei dovuto essere più professionale. Ma mi sono lasciato prendere la mano >>.
Mi ha guardato per un lungo istante. << Sai che mi sto odiando, in questo momento? Mi sento uno stupido >>.
<< E perché mai? Anzi. A me … fa piacere, quando mi … fai partecipe di ciò che senti. Vuol dire che stai iniziando … a fidarti di me, per davvero. Perché vedi, a me … farebbe davvero … un immenso piacere … che non fossimo solo coinquilini. Tu mi piaci molto, Ale. Come persona. E vorrei fossimo amici, sul serio >>.
<< Penso … che lo siamo già. No? >>.
Sentirglielo dire con quella naturalezza mi ha fatto salire il groppo in gola. << Sì. Lo siamo già >>. Mi sono alzato, senza smettere di sorridere. << Allora, penso sia ora di cominciare a prepararci … devo vestirmi come Michael Jackson, o come Madonna? >>.
<< Non lo incoraggiare. Altrimenti ti darà il tormento >>, mi ha ammonito lui, prima di alzarsi anche lui ed entrare in camera sua.
Così, adesso, eccoci qui.
In realtà non è che mi senta proprio a mio agio. A parte che dopo il gelo fuori qui sotto fa un caldo bestiale, essere circondato da uomini che sembrano usciti direttamente dai videoclip di quegli anni, truccati o vestiti con abiti sgargianti, o in tenuta di pelle mi mette addosso un po’ d’angoscia.
In effetti, ho un tantino di mal di stomaco.
Un conto è … be’, immaginare. Supporre. Vedere un video in cui due uomini … si toccano e si baciano.
Un altro è assistere in diretta. In ogni angolo ci sono coppiette tutte intente a infilarsi la lingua in bocca con la complicità della penombra rotta appena dalle luci stroboscopiche. E la pista è gremita di altrettanti baldi giovani, che si strusciano e si muovono a ritmo di musica.
Mi sa che avrei fatto meglio a darmi malato io.
Ma noto con non troppo stupore che anche Ale non è che sia proprio a suo agio. Ogni due secondi si porta una mano alla nuca, si gratta la tempia, tossicchia.
E’ evidente che se potesse, preferirebbe essere mille miglia lontano da qui.
Poi mi sfiora il pensiero che magari possa essere … infastidito dalla mia presenza. Che si senta quasi in dovere di … farmi da guardiano, e quindi abbia poca libertà d’azione.
Quest’immagine non contribuisce a farmi sentire più rilassato. D’un tratto mi sento come avessi mangiato filo spinato, se provo a deglutire ho la gola serrata.
Un velo di sudore mi si forma dietro la schiena, mi appiccica la maglia alla pelle sotto la giacca dando il prurito anche a me.
Per la verità sto sudando parecchio.
Quindi tiro un sospiro di sollievo appena scorgo Angelo farci segno da lontano, da un canapè incastrato in una nicchia del muro.
Non stacco un attimo gli occhi dalla nuca di Ale, mentre raggiungiamo il siciliano. << Ehi, bellezze! >>, ci saluta, battendomi una mano sulla spalla. << Come va la gamba? >>.
<< Ehm … bene >>. Mi sale il dubbio che lo abbia informato Ale. Anche perché io non l’ho fatto certo.
<< Magnus si è disperato un casino, ha piantato una scenata perché voleva venire ad accudirti lui … meno male che aveva questo bordello da organizzare >>, sbotta Angelo, facendoci cenno di sederci.
Ale si schiarisce la gola. << Dov’è, a proposito? Così almeno ci vede >>.
Sembra parecchio teso. Ogni due secondi si tira indietro gli occhiali.
<< Ora arriva … ah, eccolo qui >>.
Credo che non riprenderò mai più l’uso normale della mandibola. Ho sentito chiaramente il “tac” dell’osso che si staccava.
Ha un completo bianco a righe identico a quello che indossava Michael Jackson in “Smooth Criminal”, con tanto di Borsalino. E con quei capelli ondulati biondi …
Oh porco diavolo. Meno male che sono etero. Meno male. << Ehi! >>. Mi strizza in un abbraccio insospettabile per la sua figura minuta. << Come stai? Volevo venire a trovarti ma purtroppo sono stato impegnatissimo … allora, che ne dici? >>.
<< Ehm … >>. Faccio finta di guardarmi intorno. Ma proprio finta. << E’ molto … accogliente >>.
<< Sì vero? E io? Come sto? >>. Fa una giravolta, tenendosi il capello mentre imita una mossa del compianto artista di cui ha preso in prestito i panni, stasera.
<< Una favola >>, commenta Ale, in tono alquanto seccato.
<< Ecco, sempre il solito scontroso. Vestito a lutto, per giunta. Ma non potevi metterti qualcosa di più allegro, per una sera? >>, commenta Dite storcendo le belle labbra.
<< All’ultimo mi ha richiamato Boy George dicendo che rivoleva indietro i suoi vestiti. Quindi ho dovuto mettere la prima cosa che ho trovato >>, sbotta Ale.
Angelo ridacchia, ma si vede che è una cosa forzata. Sembra ci sia una certa aria di maretta, e non voglio pensare sia dovuta all’incidente dell’altra volta.
Mi sentirei troppo in colpa. << Be’, nemmeno io ho dato sfogo alla mia … originalità, stasera >>, dico, sperando di stemperare la tensione.
In effetti ho indossato solo un paio di jeans, stracciati sulle ginocchia, un maglione nero e la giacca di pelle, con gli anfibi. Non molto anni Ottanta, in realtà.
<< Tu stai sempre benissimo, Leo >>, fa Dite strizzandomi un occhio. << Avessi i capelli un po’ più lunghi, saresti un perfetto Jon Bon Jovi prima maniera … >>.
<< Ehi! Perché a lui Jon Bon Jovi e a me Alice Cooper? >>, fa Angelo. Che in effetti è vestito quasi come me, eccetto i calzoni di pelle nera.
<< Perché è vero. Tu non sei bello come lui >>.
<< Mhmm. E vabbe’. Poi me lo ricordo più tardi >>.
<< Scordatelo. Non esiste che stasera torno a casa con te, mio caro >>.  Poi si sventaglia i capelli. << Cosa vi offro da bere, ragazzi? >>, domanda.
Ho come l’impressione che Ale non gradirà questa domanda. Infatti gli lancia un’occhiata obliqua. << Ho capito, per te acqua minerale. Senza limone, che sei già abbastanza acido, stasera >>. Poi Magnus si rivolge a me, tutto trillante come un cardellino. << E tu, Leo? Vodka? >>.
Al solo sentire la parola “ vodka” rabbrividisco come avessi la febbre. << Ehm … penso che prenderò una birra. Leggera, mi raccomando >>.
Angelo e Dite guardano Ale. Che sbuffa, alzando le spalle nel cappotto doppiopetto.
Non pare intenzionato a levarlo. Segno che sì, ci starà davvero molto poco, qui.
Io ho fatto la cazzata epica invece. Adesso ho di nuovo un freddo boia, i morsi del gelo mi stanno ancora devastando gambe e braccia anche se ormai sono dentro.
Oddio. Forse non è l’espressione più felice da usare, in questo posto. Come pure “accogliente” … ma che cazzo ho per la testa?
Evito cautamente di voltarmi in giro a guardare. Non provo ripugnanza, questo no.
Solo una strano, insistente formicolio. Che aumenta, ogni volta che lancio un’occhiata ad Ale, in piedi al mio fianco.
<< Va bene, vado a prendervi da bere. Angelo, vieni con me >>.
<< Perché? Io sto bene qui >>.
<< Angelo! >>.
<< Okay, va bene, vengo … speriamo di farlo anche più tardi … >>.
<< Ma sta’ zitto >>. I due si allontanano battibeccando, e io resto solo con Ale, che ancora non si decide a sedersi.
In effetti un po’ lo capisco. Chissà che accidenti ci è passato da sopra questo divano, prima di noi.
Non è che sia schifiltoso, lo penserei anche di una comune discoteca. E veramente l’ho pensato anche di tutti i posti in cui sono dovuto andare a rintanarmi con Shaina, pur di poter fare sesso in maniera decente.
Ops. Shaina. Non l’ho più richiamata.
Avrei dovuto. Ma il pensiero di farmi coinvolgere in un’altra sessione di … be’, roba telefonica devo ammettere che mi ha fatto passare la voglia.
E non solo quella di richiamarla.
Adesso si ricorda di farsi venire le smanie. Ora che sono qui, a tremila e passa chilometri.
Non sono un tipo crudele, no. ma vendicativo sì. Quindi da un lato sono contento.
Anche se questo vuol dire … che devo soffrire anche io.
Pazienza. Ormai ci sono abituato.
Come anche a non ricevere grandi segnali di vita dai miei. Anzi. Magari ora che sono lontano è anche meglio, perché così puoi sempre fingere che non abbiano avuto tempo, e non che … be’, non gl’importi di te, o che i loro problemi siano più grandi di un figlio.
<< Gesù, che mal di testa >>. Meno male che il mio coinquilino riesce ancora una volta a trarmi alla realtà, salvandomi dal gorgo depressivo. Anche se inconsapevolmente.
Si lascia cadere di colpo sul canapè, sfilando gli occhiali e tenendoli sollevati come per controllare se non siano macchiati.
Non riesco a trattenermi. Dovrei essergli grato, ma non so fare di meglio che pizzicarlo.
Sono proprio stronzo. Sì, a volte mi sa che me lo merito, il modo in cui mi trattano a casa. Non soltanto i miei. << Non capisco >>.
Punta su di me i suoi occhi nudi. E uno strano nodo m’impiglia la gola, per la seconda volta oggi. << Cosa? >>.
<< Perché … perché sei venuto se poi devi tenergli il muso tutto il tempo. Non sarà per quello che è successo, no? >>.
<< Ma che c’entra. Sono sempre così, quando ci sono di questi eventi. E’ più forte di me, mi spiace. Mi mettono l’angoscia, addosso >>.
<< Quindi … non è per me? >>, insisto, però in tono timido.  
Ale mi guarda fisso per qualche istante. Le luci stroboscopiche, fastidiosissime, danno tuttavia ai suoi occhi l’aspetto di un’aurora boreale.
Non che ne abbia mai viste, eccetto che in foto. O in tivù. << Ma no. Certo che no. Tranquillo >>. Stira un brevissimo sorriso storto, infilando di nuovo le lenti. << E poi sei maggiorenne e vaccinato, no? L’hai detto tu >>.
Chino il capo, vergognandomi un po’ di quella risposta categorica. Anche se gli ho chiesto scusa … be’, a me ancora non è passata.
Specialmente visto il modo in cui si prodiga per me. Facendomi sentire … al sicuro. << Già >>.
Angelo torna, posando due birre sul tavolo. << Scusate, ragazzi, ma non posso tenervi compagnia. La belva Dite si è risvegliata in tutto il suo splendore e pretenda che gli dia una mano >>, mugugna tristemente.
<< Come se lo facessi disinteressatamente >>, obietta Ale, prendendo la bottiglia e mandando giù un sorso.
<< Certo che lo faccio disinteressatamente. Cosa credi, che io sono un santo! >>, replica il siciliano con un ghigno ferino. << Anzi, un angelo proprio! Perché credi che mi abbiano chiamato così, altrimenti? >>.
<< Certo. Come no >>. Ale scuote la testa, e l’altro si allontana.
Mi sa che non ho nessuna speranza di indagare su quella sera.
Afferro la mia bottiglia e mando giù, almeno per metà, tanto sto morendo di sete. Poi realizzo che magari Ale mi sta osservando, e facendo collegamenti molto poco opportuni, così smetto subito e la poso sul tavolino, come se non avessi intenzione di svuotarla in un solo sorso per passare alla prossima.
Ma posso stare tranquillo. Leggermente placato, forse complice il fatto che i suoi compari non possono essere dei nostri – malgrado mi abbia assicurato che non è per il sottoscritto, ch’era tanto inquieto- si tira in avanti, allarga le gambe nei calzoni neri e posa i gomiti sulle ginocchia, con un’aria apparentemente distaccata.
Qualcosa di insano mi suggerisce che questa è la sua posizione … di caccia.
Scrutare la preda fingendo indifferenza. Sì, sembra essere una tattica adatta a lui.
Forse ha deciso di divertirsi, giacché c’è. Di cercare qualcuno che gli faccia passare il mal di testa, visto che a quanto pare la scusa più vecchia del mondo è anche la peggiore, dacché uno studio ha dimostrato che le endorfine rilasciate durante il sesso lo facciano passare più in fretta e più a lungo.
Già. Ma a Shaina questo non gliel’ho mai detto, però. Altrimenti sicuro che mi accusava di essere il solito maschio rozzo, sciovinista e ignorante. << Guarda che ti do il permesso, se vuoi farlo >>, sento ad un tratto che sussurra la voce di Ale.
E’ appena un soffio. Eppure mi rimbomba nel cranio peggio di un colpo di cannone. << Che? >>.
<< Se vuoi portare a casa qualcuno. Dico, lo sai che non serve, visto che è anche casa tua. Ma tu sei così scioccamente … bah, insomma >>. Fa un cenno col mento, in direzione di una coppia che sta ballando piuttosto lascivamente, con tanto di mani appiccicate ai rispettivi sederi e passate di lingua così evidenti che persino il buio non riesce a nasconderle.
Così come non riesce a nascondere il fatto che uno dei due stia puntando me. La sarabanda di brividi ricomincia, ma questi non sono granché piacevoli.
<< Credo che qualcuno stia cercando compagnia >>, osserva Ale, ridacchiando.
<< Veramente mi sembra che sia già impegnato. Non è che scatta la rissa, no? >>, faccio io, ridacchiando a mia volta. Ma è una risatina stridula, me ne accorgo io per primo.
E Ale lo stesso. << Forse non lo è abbastanza >>.
<< Ma… >>. Ora anche l’altro mi guarda, e mi pare che sghignazzi allungandosi a parlottare nell’orecchio del primo.
Okay. Mi sa che devo proprio. << Senti, ti spiace se esco a fumarmi una sigaretta? Qui dentro non si respira >>.
Ale torna a farsi indietro nello schienale. << Ma sì. Fa’ pure. Tanto sicuro mi ritrovi qui >>.
Abbozzo un sorriso, e mi rialzo cercando di defilarmi più alla svelta e incrociando meno gente possibile.
Santo cielo, persino sulle scale è pieno di uomini che si strusciano e slinguazzano.
Comincio a non poterne più. Perché ormai sono così … fuori rotta, che tra un po’ mi succederà esattamente quello che stava per accadere con il filmato, solo che qui non posso semplicemente chiudere e andare avanti facendo finta di niente.
M’infilo dietro l’angolo, tirando fuori il pacchetto dalla tasca del giubbotto.
Cazzo, che freddo cane. Ci saranno sei o sette gradi, come minimo.
Effettivamente, anch’io non vedo l’ora di andare via.
I jeans sono diventati improvvisamente scomodi. Tutto quell’odore di sesso che impregnava l’aria … altro che viziata.
Ad un certo punto immagino che non faccia più alcuna differenza. In guerra … per dirla molto finemente, ogni buco è trincea. E gli ormoni si agitano anche se non si ha quella tendenza.
Se vuoi hai il mio permesso. Una frase del tutto giustificabile che però mi ha infastidito lo stesso. Anche se non so perché.
Forse perché ha visto che ero un tantino elettrico, prima.
E ne ha attribuito la ragione alla causa più ovvia. O almeno, a quella che parrebbe la più plausibile.
Dannata, fottuta astinenza.
Mi auguro che domattina sia soltanto un brutto sogno.
Se ci fosse Milo … non voglio neppure pensarci.
Il mal di testa di Ale mi si è attaccato per proprietà transitiva. Mi porto le mani alle tempie, massaggiandole piano.
Per un attimo si materializza davanti alle palpebre abbassate l’immagine di Alyké. Ma la conosco appena, e inoltre sembra una brava ragazza.
E poi non ho neppure il suo numero di telefono. Ci siamo sempre incrociati per caso, finora.
La tensione alla base della schiena quasi non mi fa stare in piedi.
Ora come ora ci vorrebbe proprio. Un bel cinque contro uno, a casa, nel mio letto, tranquillo.
Ed è proprio quello che ho intenzione di fare il prima possibile. Fanculo alle linee di non ritorno.  
Do un’ultima boccata e rientro. Sento le gambe molli, come gelatina, le tempie adesso sono serrate da un dolore pulsante, che mi annebbia la vista.
Ma non riesco ad arrivare al tavolo. Una mano mi agguanta il gomito, e devo far ricorso a tutta la mia civiltà oltre che ad una calma zen che non sapevo nemmeno di possedere per non partire immediatamente all’attacco, suonando una bella sventola all’incauto.
<< Scusi, credo che … tu? >>. Gli occhi mi sgranano, a momenti mi rotolano fuori dalle orbite.
Non ci credo. Non ci voglio credere proprio, davvero. << Cazzo, avevo visto bene allora >>, borbotta la voce familiare, accompagnata da uno sguardo anche più esterrefatto del mio.
Oh, santa fede … Otto milioni e passa di abitanti e guarda tu chi doveva andare a passare proprio in questo momento. << Milo? Ma … che ci fai qui? >>.
<< No, che ci fai tu, qui >>. Mi fissa come se fossi il coniglietto pasquale uscito dall’uovo di cioccolato.
Vorrei poter dire ch’è un coglione e alle cose non c’arriva, ma purtroppo … per certe cose ci arriva, e parecchio pure.
Purtroppo. << Non dire niente. Leviamoci da qui >>. Con una mossa davvero malsana, lo prendo per il braccio e lo tiro via da qui, prima che mi faccia fare qualche figura di merda.
Ho il terrore che mi veda qualcuno di loro. Allora sarei proprio in un mare di guai.
Così ci infiliamo nei bagni. Mi auguro solo che non ci sia gente anche qui.
Per fortuna hanno le porte. Ne spalanco una a caso, tirando Milo dentro con me.
Ora ci sarà da ridere. O da piangere. Penso più la seconda, in realtà. << Mi spieghi che diavolo ti ha portato qui? >>, sbotto.
<< A me? A te! Io stavo passando, ho appuntamento con dei compagni di corso su all’Old , e sono sceso alla stazione della metro qua dietro. Mentre camminavo ho sentito tutto il pandemonio … mi sono voltato e ti ho visto, che stavi gettando una sigaretta. Pensavo di farti una sorpresa per rimproverarti che non si trattano così gli amici, ma a quanto pare l’hai fatta tu a me, Leo >>. Riprende fiato. A volte riesce a parlare persino più a macchinetta del sottoscritto. Soprattutto quando le altre persone, per ritegno o quanto meno per carità cristiana, starebbero zitte e si farebbero gli affari propri. << Ora sono io che domando a te, cosa diavolo ti ha portato qui? >>.
E .. ed ecco che Mister Logorrea si perde il suo minuto di celebrità. Apro la bocca ma in realtà non ho la benché minima idea sul cosa dirgli.
Dovrei giustificarmi. Dirgli che c’è stato un errore, che è stato un malinteso, che…
E non ho il tempo di dire nulla. << Anzi, no. Non me lo dire. Non lo voglio sapere >>, sbotta immediatamente in tono accusatorio, con un  cambio d’intenzione sconvolgente. Neanche soffrisse di doppia personalità. << Per questo … non  mi hai permesso di venire a vedere dove stai? Abiti con un frocio?! >>.
<< Shhh! E non gridare, porca miseria. Vuoi che ci menino? >>. Mi passo una mano sulla faccia. Sembra l’abbia calata in un secchio, tanto sono fradicio. Parliamo in greco, certo, ma con la fortuna che ho quanto ci vuole a beccarne qualcuno anche qui?
Che sfiga, davvero. Una coincidenza assurda. << E comunque si dice gay, o omosessuale. Frocio è discriminatorio >>, mormoro piano tuttavia con determinazione.
Non permetterò mai a nessuno di parlar male di Ale. Mai, dovranno passare sul mio cadavere, si tratti pure del mio migliore amico, di mio fratello, dei miei o di Shaina.
Milo sgrana gli occhi azzurri. << Kali ouranos … e lo sa che … >>.
Stavolta la questione è un po’ diversa. Difendere Ale è okay, ma per quel che riguarda me … ahio.
Tanto vale essere onesti, a questo punto. << No. Non lo sa. Gli ho fatto credere che … lo sono pure io >>, confesso in un filo di voce.
Ora Milo rischia di perdersi le sclere per strada, sul pavimento molto poco salutare di questo gabinetto. << Cheee???!!! Cioè vuoi dirmi che ti sei fatto passare per … tu, il castigavergini? >>.
<< E zitto! Che mi metti nella merda, sennò. E poi quel soprannome me l’hai dato tu, e te l’ho sempre detto che mi sta sulle palle. Anche perché con le vergini non ci sono mai andato >>. Sospiro, e mi affaccio fuori dalla porta del nostro cubicolo.
Nessuno in vista. Per ora. << C’era un annuncio, nella bacheca dell’Università. Zona ottima, prezzo basso, unico requisito richiesto … >>.
<< Frocio. Ehm, gay >>.
<< Bravo. E comunque è colpa tua, tu mi hai tirato il bidone, mi sono arrangiato come ho potuto. E poi … è simpatico. Mi ha anche trovato un lavoro >>.
<< Immagina >>.
<< Ehi. Non ti permettere. Ale è un bravo ragazzo, che tu ci creda o no. Mi trovo bene con lui, e con i suoi amici >>.
<< Attento, che lo sai come finisce, no? La curiosità uccise il gatto, caro il mio Leo >>.
<< Ma smettila >>.
<< Posso fidarmi a darti le spalle, d’ora in poi? >>.
<< E piantala, coglione >>.
Un trillo si leva dalla mia tasca. Maledizione. Milo non può essere visto che è qui davanti a me.
Basta che non sia Shaina. Sarebbe davvero l’ultima delle rogne assolute. << Oddio, che è? >>.
<< Il mio cellulare. Cosa vuoi che sia? >>. Tiro fuori il telefono dalla tasca, controllo il numero. Ormai lo faccio sempre, dopo aver ricevuto la chiamata di lei.
E’ Ale. Porca troia … << Ehi, Ale >>.
<< Ehi. Stai bene? Marco ha detto che ti ha visto entrare nel bagno, e siccome tardavi … ero in pensiero. Tutto apposto? >>.
<< Eh, sì, sì, certo >>.
Esita. Sembra voglia dirmi qualcosa, ma che il suo naturale riserbo stia facendo a pugni con la necessità impellente di tirarla fuori. << Senti, non che voglia farmi i cavoli tuoi, ma … evita di accettare roba offerta da chicchessia. Purtroppo capitano spesso cose spiacevoli. Poi, ehi, chiaro che sei maggiorenne e vaccinato. Però … è un consiglio, va bene? >>.
<< Sì, certo. Grazie, Ale >>. Forse ho un po’ troppa fretta di chiudere, e la voce mi esce più acuta del solito.
<< Sicuro che è tutto okay, vero Leo? >>.
<< Ma sì, grazie. Va’ pure a divertirti >>.
<< Divertirmi? E’ una battuta, vero? >>. Lo sento ridacchiare con quel suo tono morbido. Un nuovo brivido mi scuote ed evito di guardare Milo, appollaiato alle mie spalle. Con le orecchie aguzzate, c’è poco da scommetterci. << Okay, sono al tavolo. Quando vuoi ce ne andiamo, tanto Magnus a questo punto non si accorge più di chi c’è e chi non c’è >>.
<< O … kay >>. Chiudo, e infilo il cellulare in tasca.
<< E’ lui? >>, chiede Milo.
<< Già >>.
<< E’ carino >>.
<< E come cazzo hai fatto a vederlo? Hai gl’infrarossi? Vedi anche attraverso i cellulari, adesso? >>.
<< Che, geloso? >>.
<< Stronzo >>.
<< Volevo dire ch’è stato carino, a preoccuparsi per te >>.
<< Te l’ho detto. E’ un bravo ragazzo >>.
<< E io invece no, questo vuoi dire, vero? >>, ride lui. << Vabbè, usciamo da sto cesso? >>.
<< E sì, eh >>. Apriamo la porta, e usciamo confondendoci nella calca, anche se sono attentissimo affinché Ale non possa intercettarci, da qui.
<< Be’, comunque, se cambi idea … il numero ce l’hai >>, fa Milo, a voce altissima ma appena decifrabile, nel bordello.
<< Per adesso mi sta bene così. Poi … vedremo. Domani è un altro giorno >>.
<< Hai sbagliato epoca, “Via col vento” è degli anni Trenta. Guardati le spalle >>, è il suo saluto.
Faccio una smorfia. << Certo. Contaci. Ci vediamo >>.
<< Okay >>.
Se il cielo vuole se ne va, e io torno al tavolo, dov’è seduto Ale. Da solo. << Ehi. Dov’è Angelo? >>.
<< Sicuro di volerlo sapere? >>, mi chiede lui di rimando.
Non sono tanto sconvolto da non capire ch’è una domanda retorica.
<< Ce ne andiamo? >>, aggiunge.
Finalmente. Sia lodato il Cielo, almeno adesso.
Anche se dieci minuti fa ha fatto finta di non vedere la mina vagante che passava per strada.
Proprio qui davanti, nel momento giusto in cui uscivo dal buio del vicoletto e rivelavo la mia faccia nella luce al neon multicolore dell’insegna. << Sì >>.
In metro, quasi mi addormento. Mi raggomitolo col braccio sotto la testa, ho ancora nelle orecchie il pulsare frenetico della musica a tutto volume.
Un bip mi fa sussultare, ma sono troppo stanco per aprire gli occhi. << Leo, siamo a casa. Svegliati, dai >>.
<< No … lasciami qui. Poi torno a piedi >>.
<< Ma che dici, muoviti, dai. Ho capito >>. Mi solleva di peso, trascinandomi giù dalla carrozza. << Vuoi un caffè? >>.
<< Voglio un letto. E dormire fino a lunedì … >>.
<< Accidenti. Un vero festaiolo, eh? >>. Un altro bip.
<< Ma chi è che ti scrive a quest’ora? >>.
<< Nessuno. Notifiche di pagine a cui sono iscritto >>, risponde, un po’ troppo prontamente. Ma sono così rincoglionito che la prendo per buona.
Se mi avesse detto che riceve messaggi da una base aliena su Marte, l’avrei presa per valida comunque.
Praticamente mi porta in spalla fino alla porta di casa. Apre, e una volta dentro resisto a malapena all’impulso di buttarmi sul pavimento.
<< Forza … ma sicuro che non hai preso nulla, vero Leo? Mi stai facendo preoccupare. Dobbiamo tornare in pronto soccorso? >>.
<< Ma che pronto soccorso … etciù! >>.
<< Salute >>. Mi tira fin sopra il divano, posandomici sopra. << Ehi, ma tu sei caldo >>.
Ora come ora verrebbe facile fare una battuta, ma sono troppo fuori. << Noooo … >>.
<< Fa’ sentire? >>. Posa le nocche sulla mia fronte, poi due dita al lato della gola, sotto l’orecchio.
Sentire il palpitare del mio cuore contro i suoi polpastrelli … fa un effetto strano. Ma forse sono talmente frastornato che tutto mi appare insolito. << Sì, sei caldo sul serio. E il polso è spostato >>.
<< Ah sì? Strano. Mi pare sia ancora qui, attaccato al braccio … >>.
<< Scusa, modo di dire. Volevo dire che il battito è accelerato. Mal di gola? Di stomaco? >>.
<< No, ho solo sonno … >>.
<< Aspetta. Vediamo se riesco a trovare … >>. Se ne va, e d’un tratto i brividi di freddo mi crollano addosso tutti assieme, facendomi battere i denti e tremare le gambe. << Eccolo. Avanti, apri la bocca >>.
<< Sempre meno gentiluomo … >>, ridacchio, obbedendogli.
<< Com’è che riesci a fare lo spiritoso anche così, per me rimane un mistero >>. Sospira. << Non penso sia una qualche conseguenza della scottatura, ormai è passata. Dev’essere l’influenza. C’è il picco, in giro >>.
<< Ehhhh … che gioia >>.
<< Zitto, che altrimenti non prende >>. Il tintinnio non promette bene. << Cazzo >>, si lascia sfuggire, guardando l’aggeggio.
<< Che? Sto morendo? >>.
<< Non penso, ma hai quasi trentanove. Come hai fatto a reggerti in piedi fin qui con questa febbre? >>.
<< Magia … >>.
<< Sì, Harry Potter, ora però ti porto a letto. E non un’altra battuta, o febbre o non febbre, le prendi >>.
<< Io non ho detto niente >>.
<< Certo. Come no. Ormai ti conosco >>. Lo sento sospirare. << Okay, vado a recuperarti del paracetamolo >>. Mi lascia, diretto al bagno.
Sembra che soltanto adesso mi sia reso conto di quanto sia messo male, accidenti. Batto i denti, e le gambe mi si sono fatte di cemento, non riesco a muoverle.
E il commento che sento provenire dal bagno è il giusto sottofondo per la mia situazione attuale. << Merda >>.
<< Che c’è? >>, domando.
Ale torna in soggiorno, con la scatola in mano e un’espressione di disappunto. << E’ scaduto. Il mese scorso >>.
<< Embé? Le date di scadenza sono una truffa. Anche col cibo è così, lo sanno tutti >>.
Fa quel verso con la lingua, schioccandola contro il palato. E sbuffa. << Mi auguro tu non abbia intenzione di seguitare quest’abitudine anche al lavoro >>.
<< No, certo che no. Se trovo qualcosa di scaduto, lo metto da parte >>.
<< Bravo >>.
<< Così, se vengono altri ragazzini come quelli di oggi, glielo servo >>.
<< Ma smettila … >>. Si china su di me tirandomi di nuovo su, e rabbrividisco più forte. << Accidenti. Stai tremando come una foglia >>.
<< Già >>. Però non di freddo.
Di disagio, puro e semplice. Perché ripensare a quello ch’è successo nel locale mi fa sentire persino più di schifo di come sto messo.
Ogni volta che si occupa di me, è peggio. La sua premura è una coltellata alla schiena, e colpo dopo colpo mi sembra che la mia mascherata stia perdendo sempre più stabilità. Presto non rimarrà che un sipario stracciato, da cui verrà inevitabilmente fuori la verità.
Trascinandomi come un sacco di patate, mi sdraia sul letto coprendomi con cura. << Ecco. Metodo tradizionale. Con una bella sudata ti sentirai meglio >>.
<< Mhmm. Ma non avresti dovuto togliermi prima i vestiti, allora? >>.
Mi scocca un’occhiata assassina. << Ora dovrei metterti il cuscino in faccia >>.
<< Oh, ma dai, addirittura. Basta spegnere la luce >>.
Mi guarda allibito, forse si sta domandando se questa febbre non sia sintomo di qualche malanno che mi sta fondendo il cervello. In realtà, non capisco neppure io perché sto tirando tanto la corda sapendo che potrebbe urtarlo, e parecchio anche.
O forse lo so. Mi piace terribilmente vederlo allentare il freno, mostrare qualcosa che non sia sempre e solo quella sua serietà, o la sua gentilezza.
Okay, è la febbre. Sicuro. << Farò finta di non aver sentito >>.
<< No, peccato. E io che speravo tenessi fede al tuo proposito di dirmi sempre quando sto esagerando >>.
<< Non stai bene. Magari è la febbre che ti sta facendo delirare >>. Sorride appena, tirando indietro le lenti. << Quindi, se vuoi testarmi come si deve, dovrai aspettare di essere in piedi. Perché tendo a diventare piuttosto flessibile, in certe situazioni >>.
Non è difficile crederlo, osservando il suo fisico agile e scattante. E non è difficile nemmeno leggerci un certo doppio senso, in questi termini scelti con cura e anche nel loro ordine, apparentemente logico e corretto e che invece sembra suggerire tutt’altra cosa. Tant’è che avvampo senza volerlo, anche se non si vede.
Cazzo. Alla fine sono io, quello ch’è stato colpito e affondato.
E sono pronto a giocarmi la testa che lui lo sa, e che sta gongolando dietro la mano che risistema gli occhiali. Le sue sottili frecciate sono lontane anni luce dai miei colpi di zappa, che alla fine mi do sempre sui piedi.
Quindi è comunque una piccola vittoria quella mi prendo alla fine, quando scende al mio livello. << Domani vado a comprarti del paracetamolo che non sia scaduto. Se la febbre è ancora così alta, però, temo non basteranno le pastiglie … >>, mormora in tono filosofico.
Malgrado sia molto poco in grado di connettere intuisco bene il senso celato tra le righe. complice anche il suo mezzo sorriso obliquo, il brillio furbo degli occhi neri.
Così sto al suo gioco. << E dovrebbe essere un male? >>, sputo fuori.
<< Mah, dipende da come la vedi. C’è chi pensa che … avere solo un assaggio di quel che si vuole sia peggio che non averne affatto >>, sentenzia, e io inarco le sopracciglia anche se ho la faccia rigida come una stecca.
Non ho la lucidità necessaria a replicare prendendomi il match point.
Così me ne sto zitto, rimandando a quando sarò in piedi.
E niente battute a doppio senso, stavolta.
Ovviamente è rimandata anche quella certa questioncina che avevo in mente di risolvere una volta a letto. sono troppo stanco, mi fanno male le ossa anche nei polpastrelli, sarebbe proprio uno spreco.
Mi rigiro nel letto, tremando e imprecando a mezza voce. sto quasi per addormentarmi, quando un lampo mi balena davanti alle palpebre chiuse.
Marco ti ha visto entrare nel bagno.
Ma io nel bagno … ci sono entrato … trascinando Milo.
Quindi, se la matematica non è un’opinione … uno più uno, fa due.
Merda.
   
 
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