Videogiochi > Danganronpa
Segui la storia  |       
Autore: Chainblack    28/09/2018    1 recensioni
In fuga dalla disperazione dilagante della Hope's Peak Academy, sedici talentuosi studenti vengono rapiti e rinchiusi in una località sconosciuta, costretti a partecipare ad un nuova edizione del Gioco al Massacro senza conoscerne il motivo.
Ciò che sanno è che, per scappare da lì, dovranno uccidere un compagno senza farsi scoprire.
Guardandosi le spalle e facendo di tutto per sopravvivere, i sedici ragazzi tenteranno di scoprire la verità sul loro imprigionamento sapendo che non tutti potrebbero giungere illesi fino alla fine.
Ambientata nell'universo narrativo di Danganronpa, questa storia si svolge tra i primi due capitoli della saga.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Furono necessari diversi attimi per metabolizzare la comparsa di quell'inquietante schiera di androidi proprio davanti al passaggio appena aperto; l'unica via di uscita era sbarrata da una folta massa di Monokuma grossi almeno un metro e mezzo, con occhi scarlatti e gli artigli sfoderati.
Michael osservò quella scena terrificante con occhi sbarrati e gli arti paralizzati dalla paura; aveva finalmente ceduto ad un festeggiamento precipitoso e ciò era costato caro al suo animo, vagamente crogiolato in un senso di sollievo dopo l'annuncio della fine del gioco.
Ma quell'esercito meccanizzato portava con sé novità poco rassicuranti: il gioco al massacro non era ancora concluso. Mancava ancora l'atto finale.
I Monokuma rimasero fermi, immobili, e in silenzio. Il solito chiassoso chiacchiericcio dell'orso aveva fatto posto ad una miriade di volti inespressivi e taciturni.
June si sarebbe aspettata di udire le loro grasse risate miste a sogghigni di scherno, ma non proferirono una sola parola.
L'arciera capì: quei Monokuma non erano venuti lì per i soliti giochetti mentali che avevano sapientemente sfruttato nel corso dell'ultimo mese.
La loro apparenza e il loro approccio emanavano un'aura del tutto diversa.
La ragazza lo sapeva: erano lì per uccidere. 
Judith e Michael fecero istintivamente un passo indietro, e un altro ancora. Spiazzati dall'elevatissima differenza di numero, il loro corpo suggerì loro di trovare immediatamente riparo altrove, in un luogo più sicuro del piazzale. Il trovarsi lì in mezzo non faceva che accrescere in loro la sensazione di essere bersagli facili.
Il loro piano fu bruscamente interrotto, però, da un cenno della mano di Pearl, la quale intimò loro di non abbandonare le proprie postazioni e, soprattutto, di non eseguire movimenti sospetti che avrebbero potuto attirare le attenzioni dei nemici su di loro.
- ...non muovetevi - ordinò la bionda - Non fate un solo passo, o rischiamo di trovarceli addosso -
- E che cosa dovremmo fare, allora!? - gridò Michael con esasperazione - Q-quei mostri ci sbarrano la strada! E l'unica via di fuga è da quella parte! -
Il chimico indicò il lungo e largo corridoio che si estendeva oltre l'apertura, abbastanza spazioso da poterci far passare un intero furgone.
Si prolungava così tanto che era difficile scorgerne la fine, soprattutto a causa delle numerose sagome di Monokuma in mezzo che costituivano una folla cospicua.
- ...non avremmo comunque dove nasconderci - osservò June - Il resto della scuola è un enorme vicolo cieco, e quegli affari possono sicuramente connettersi alle telecamere... -
- Non possiamo scappare, in pratica... - mormorò Judith, tastandosi nervosamente il fermaglio.
- M-ma perché...? - Michael affondò le unghie della mano nel braccio opposto, fino ad arrossarsi la pelle - Abbiamo vinto... la sfida è finita... ma allora perché!? -
Nessuno riuscì a dargli una risposta; in quella circostanza, neppure esisteva.
- ...questo non fa che dimostrare ulteriormente quanto, per chiunque sia dietro questa faccenda, noi non siamo altro che pedine con cui dilettarsi - il tono di Pearl era neutro, ma al contempo pregno di un'energia furiosa - E questo... è a dir poco snervante -
Judith le squadrò istintivamente il viso; vi era una rabbia inaspettata che scaturiva dalle pupille di ghiaccio di Pearl Crowngale, una furia tacita che attanagliava la sagoma dell'Ultimate Assassin. Judith la aveva già vista arrabbiarsi diverse volte; ma lì le parve completamente diverso.
Un'ira che superava qualunque confine.
Ad un tratto, un rumore cigolante costrinse tutti e quattro ad alzare lo sguardo volgendolo in avanti.
Mettendosi immediatamente in guardia, Michael Schwarz si sporse per capire di che cosa si fosse trattato.
Il suono meccanico proveniva dalla zampa del Monokuma più in avanti, quello che guidava la folla in maniera simile ad un leader, che aveva mosso il primo passo in avanti.
Vi fu un breve silenzio, poi ne mosse un secondo e un terzo.
June osservò la scena con una sensazione di orrore e spavento. Il cigolare si moltiplicò in pochi attimi, divenendo un'orchestra di passi robotici di pari lunghezza e intensità.
Come a seguire l'esempio del condottiero, i Monokuma immediatamente dietro iniziarono a muoversi in avanti, come una vera e propria marcia militare.
Si stavano avvicinando, coprendo lentamente la distanza che intercorreva tra loro e il piccolo gruppo di sopravvissuti.
Era accaduto ciò che Michael sperava vivamente non succedesse: che il nemico facesse la prima mossa sfruttando il numero.
L'istinto di scappare, ignorando le parole di Pearl, si fece sempre più forte e intenso fino a che il suo cervello non lo pregò urlando di darsela a gambe.
Fu necessaria una salda stretta di June al suo polso sudaticcio per costringerlo a rimanere al loro fianco.
Michael osservò i suoi occhi supplichevoli da oltre le lenti degli occhiali; tremavano entrambi come foglie, ma nell'arciera pareva essersi manifestata una consapevolezza più marcata, più salda. June Harrier decise che non era più il momento di fuggire, e lo avrebbe fatto capire anche a lui.
- Mike... lo abbiamo già detto... - gli disse, allentando la presa e passando gentilmente il palmo della mano sulla sua guancia - Ti prego... rimani con noi. Abbiamo bisogno di te -
Pearl si voltò per dare un cenno di assenso. A sua volta, pur essendo combattuta e spaventata, Judith aveva mantenuto il proprio posto.
Michael dovette andare contro ogni proprio principio per convincersi a rimanere solo qualche secondo di più.
- ...siete forse impazzite...? Credete di poter fare qualcosa in questa situazione!? - strepitò lui - Guardateli! Saranno almeno DUECENTO! Cosa sperate di combinare se...!? -
- Mike - la voce dell'Ultimate Assassin si fece più profonda - Nascondersi e chiudere gli occhi funziona con le persone, non con i mostri. Niente potrà salvarti, se fuggi adesso. Inoltre, non è ancora finita. Lo hai forse dimenticato? Siamo armati -
Lo sguardo dell'Ultimate Chemist andò al mucchio di lame e affini che Pearl aveva racimolato poco tempo prima; scintillavano di una luce nuova che Michael non aveva  colto fino al momento del bisogno, quello dell'imminente necessità. 
Ma non bastò a soffocare le ansie del chimico, che di certo non si lasciò andare ad uno speranzoso buon umore a causa di alcuni utensili affilati.
- E credi che basteranno per un'orda simile!? -
- Michael non ha tutti i torti... - asserì Judith - Ma abbiamo davvero altra scelta? L'unica possibilità è di... combattere -
- Non è neppure una scelta... - sospirò June, imbracciando l'arco - Combattere o morire, Mike. Scegli -
Il ragazzo si massaggiò la fronte sospirando; non era neppure una scelta, anche se posta come tale. 
- Inoltre, Mike... mi permetto di farti notare un dettaglio non di poco conto -
Le parole di Pearl suscitarono in lui una certa curiosità, ma quando alzò lo sguardo per rivolgerle gli occhi Pearl era svanita.
Michael sussultò; era certo di averla appena udita parlare, ed era stata di fronte a lui per tutto il tempo per non accorgersi della sua assenza.
Si guardò lateralmente, notando come anche Judith e June avevano iniziato a cercare la figura della bionda con espressioni confuse.
Era come svanita nel giro di un attimo.
Poi avvertirono un rumore secco, e si voltarono all'unisono.
Il Monokuma condottiero, dall'andatura più spedita e avanzato più rapidamente degli altri, aveva appena perduto la testa.
La videro schizzare in aria in un movimento verticale, per poi ruzzolare rovinosamente sul pavimento, emettendo scintille elettriche e producendo rumori di cavi spezzati.
Era accaduto tutto così rapidamente che non avevano neppure realizzato che, alcuni secondi dopo, Pearl era di nuovo vicino a loro.
Judith sgranò gli occhi e fu costretta a voltare più volte il capo per seguire la scena nella sua interezza.
Il corpo del Monokuma era rimasto in piedi, per poi cadere all'indietro pochi attimi dopo a circa dieci metri dal gruppo. 
La testa era stata recisa con una precisione impressionante.
Davanti a loro, Pearl teneva stretto tra le dita un coltello affilato sporco di un sostanza viscosa e verdastra, probabilmente olio; la stessa che i resti del Monokuma stavano secernendo insozzando il pavimento.
Passarono alcuni secondi; persino l'avanzata del resto dell'esercito si era arrestata in virtù di quanto appena accaduto.
- Ma... come hai...? - balbettò Michael.
- Dal mio punto di vista, ragazzi... - sibilò la bionda - Sono SOLTANTO duecento -
Un segnale acustico partì da tutti i Monokuma presenti; i loro occhi rossi si attivarono nello stesso istante.
Avevano rilevato un imprevisto, e avrebbero agito di conseguenza; fu ciò che June Harrier pensò quando vide l'intera flotta di orsi androidi accelerare senza preavviso.
I loro movimenti si fecero irregolari e sconnessi, guidati solo da ferocia e dal perseguimento di un obiettivo: loro.
Pearl afferrò istintivamente una seconda lama e assunse una posa da combattimento, gettando occhiate sdegnose sui mostri che, di lì a poco li avrebbero assaliti.
Inspirò quanta più aria possibile nei polmoni, e poi gridò con tutto il fiato che aveva in corpo.
- RAGAZZI! Non è finita! NON. E'. FINITA! - urlò, lasciandosi trasportare - SE C'E' UNA TENUE SPERANZA, AGGRAPPATEVI AD ESSA CON LE UNGHIE E CON I DENTI! SPUTATE IN FACCIA ALLA MORTE! Vi prego... solo per questa volta... SEGUITEMI! COMBATTETE CON ME! -
Infine, scattò. Corse verso l'orda caricandola a testa bassa, decisa a toglierli di mezzo uno ad uno.
Avrebbe sfogato la propria rabbia su quei pupazzi utilizzando ogni briciolo della propria forza, sfruttando tutta la frustrazione scaturita da quella sfida di oltre un mese.
Pur volendo imprimere nei propri coltelli tutto il proprio odio, Pearl si vide costretta ad arrestare il proprio impeto nel momento in cui un oggetto rotondo non identificato la sorpassò dall'alto, lanciato a gran forza verso i Monokuma in carica.
Si riparò la vista appena in tempo; il corpo misterioso esplose in una miriade di colori portando con sé i corpi di una decina di malcapitati Monokuma.
Una schiuma viscosa prodotta dalla detonazione bloccò l'avanzata del resto delle forze, che si ritrovò a dover superare il nuovo ostacolo.
Pearl si voltò alle spalle; Michael Schwarz aveva slacciato la camicia rivelando al di sotto dei vestiti ben due file di esplosivi chimici attaccati a delle cinture in cuoio.
Ne teneva stretti un paio tra le mani, e ansimava affannosamente con una punta di eccitazione.
Judith rimase impressionata da quello sfoggio di armamentario, mentre June lo rimirò con una certa fierezza compiaciuta; quasi non riconobbe il piccolo chimico che correva a nascondersi alla prima occasione.
Pearl li raggiunse in pochissimo tempo. Non furono necessarie parole per accertarsi della determinazione di Michael Schwarz, poiché quest'ultimo avanzò di propria spontanea volontà, con armi alla mano.
- E va bene... VA BENE, CRISTO! - gridò, rabbioso - Se proprio devo morire qui, vedrò almeno di portarne all'inferno qualcuno! -
- Ti copro le spalle! - June Harrier lo seguì a ruota - Se provano ad avvicinarsi, gli pianto una freccia in mezzo agli occhi...! -
Imbracciando arco e faretra, anche Harrier si mise in posizione. 
Pearl rivolse loro un sorriso caldo, ma malinconico. 
Lo sapeva bene, così come anche loro lo avevano realizzato: le loro munizioni non sarebbero mai bastate per tutti i Monokuma.
Dovettero compiere un atto di fede e coraggio per lanciarsi in quell'impresa, che di alternative non ne dava.
Non mancava molto all'arrivo dell'ondata di nemici; andavano ultimati i preparativi.
Si chinò frettolosamente verso il mucchio di armi ed estrapolò la katana, porgendola a Judith.
Il perché di quella scelta fu ignoto all'avvocatessa, che però accettò il dono seppur con mani tremanti.
- Sai usarla? - le domandò Pearl.
Deglutì.
- No -
- Perfetto - disse, spingendo la spada orientale tra le dita della compagna - Il raziocinio e la tecnica ti sono spesso di intralcio quando hai bisogno di un po' di sana furia cieca. Stammi vicina e affettane il maggior numero possibile. Non importa come: distruggili. Pensi di farcela? -
Judith Flourish diede un'ultima occhiata al borsone con tutte le lame e gli oggetti accumulati e ammassati sul terreno.
Il pensiero che non fossero stati raggruppati col solo scopo di fungere da diversivo non riusciva ad abbandonarla.
Era certa che quelle armi erano state portate lì con un significato ben preciso: quello di combattere per sopravvivere. 
"Lui vuole che sopravviviamo... deve essere così! DEVE!"
Si rivolse a Pearl; sorridendo con una lieve malizia.
- Devo solo scotennare qualche orso, giusto? - mormorò, ostentando una falsa fiducia - Credo di essere abbastanza incazzata per farlo -
- Non volevo sentire altro -
Presero posizione a propria volta, di fianco agli altri due.
Si ritrovarono in quattro a fronteggiare un esercito di centinaia; nessuna via d'uscita e nessun compromesso.
Solo un'armata di Monokuma che li stava lentamente circondando. Ma videro il loro essere con le spalle al muro come un obbligo a proseguire solo in avanti.
Seguendo il grido di battaglia di Pearl Crowngale, i quattro sopravvissuti si lanciarono contro morte certa.





Torpore. Pesantezza. Malessere. La testa di Xavier parve quasi andargli a fuoco durante i primi istanti in cui iniziò a recuperare lucidità.
Lo avvolgeva un buio profondo; anche solo aprire l'occhio lo faceva stare male. Preferì dunque rimanere nell'oscurità, fino a che quel fastidioso malore non si fosse deciso ad andarsene.
Pian piano, mentre la stanchezza del sonno iniziava ad affievolirsi, i suoi sensi captarono varie sensazioni confuse.
Vi erano dei rumori indistinti; forse un vociare di due o più persone, uno stridio lento su una parete, più una serie di passi a tratti lenti e rapidi.
Scuotendo lievemente la testa si rese conto di averla appoggiata su qualcosa; le sue stesse braccia.
Le aveva posizionate a fare da cuscino e ci si era sprofondato concedendosi del sonno. La sensazione di liscia durezza sotto di esse gli fece pensare di essersi appisolato su di un tavolo, o qualcosa di estremamente simile.
Eppure, pur pensandoci su diverse volte, Xavier non riusciva proprio a ricordare come, quando e dove si fosse addormentato.
Era una situazione strana, ma la sonnolenza continuava a cingere la sua mente, spostando i pensieri altrove.
Si lasciò cullare dal buio ancora per alcuni minuti, vinto da quella piacevole indolenza che tutto sommato non gli dispiaceva.
Il sopore continuò indisturbato fino al momento in cui non avvertì una lieve scossetta alla spalla destra, seguita da un suono.
- ...vier! -
Ebbe un lieve sussulto.
Tentò di aprire la palpebra, ma la luce filtrante lo infastidì a tal punto che lo richiuse. Era così brillante che faceva quasi male.
Si domandò come mai risentisse di un tale effetto; del perché quel buio pareva così invitante.
La voce che aveva udito aveva un che di familiare, ma la parola pronunciata era ancora indefinita.
- ...Xavier! -
La udì di nuovo, stavolta in modo perfettamente chiaro.
Era un nome; il suo. Impiegò più tempo del previsto per capire che, chiunque fosse, stava interpellando lui.
Lo aveva dimenticato: quello era il nome che aveva scelto, l'identità che oramai lo accompagnava da diverso tempo.
Gli fece strano sentirsi chiamare in quel modo, ma dopotutto era da una vita che continuava a cambiare viso e nome.
Eppure, quello in particolare sembrava avere un significato e un suono diversi. Come se quella esatta combinazione di lettere avesse un che di unico.
Ad un tratto, una moltitudine di voci differenti si unirono al coro; alcune, come la prima, lo stavano chiamando.
Altre sembravano intente in conversazioni differenti, altre ancora bisbigliavano qualcosa di incomprensibile a bassa voce.
Avvertì un altro colpetto sulla stessa spalla; Xavier aggrottò le sopracciglia, farfugliando qualche brontolio nervoso.
Non gradiva che il suo riposo venisse disturbato in quel modo, e preferì ignorare del tutto la faccenda.
La testa faceva ancora male, e i suoi pensieri erano in completo disordine.
Con la speranza di venire lasciato in pace, emise uno sbuffo e tornò a dormire.
Lì, nel buio, cullato dal nulla più assoluto.
- Xavier! Svegliati! -
Stavolta fu una pacca di proporzioni ben maggiori.
Xavier si svegliò di soprassalto, spalancando l'occhio buono. Inondato dalla luce della stanza, lo socchiuse subito.
Si abituò pian piano all'ambiente che lo circondava, massaggiandosi la spalla dolorante.
Un'espressione contrariata era comparsa sul suo volto stanco e assonnato, e quel brusco risveglio rientrava tra le cose che meno preferiva.
Nonostante ciò, riconobbe che lo scossone aveva sortito l'effetto di diradare la nebbia nella sua mente.
Xavier ricordò tutto, fin nei minimi dettagli.
Aveva tentato invano di schiacciare un pisolino sul banco, ma aveva scelto il momento meno adatto. Era certo che qualcuno sarebbe venuto a disturbarlo.
E quel certo qualcuno che aveva ipotizzato fosse l'artefice di quella sveglia scortese era alla sua destra, a braccia conserte, che gli rivolgeva un'espressione imbronciata.
Lui ricambiò, ostentando come non avesse affatto gradito quel gesto, ed emise un sospiro di stanco sconforto.
- ...maledizione, Refia! Cosa diavolo vuoi...!? -
- Ti pare forse il caso di dormire, Xavier!? - l'Ultimate Cyclist gonfiò le gote - Siamo nel bel mezzo di un meeting importante! Devi partecipare anche tu! -
Si stiracchiò un'ultima volta, grattandosi la nuca. Notò come gran parte degli sguardi della classe erano diretti verso di lui.
Deglutì; Refia non aveva tutti i torti, ma era innegabile che la stanchezza avesse avuto la meglio su di lui.
- Che fai, amico? Ronfi della grossa a quest'ora del giorno? - lo schernì Rickard, ridacchiando di gusto.
- Non abbiatene a male... - si giustificò Xavier - Si tratta di un po' di sonno arretrato; tutto qui -
- Bah! Abbi almeno la decenza di rimanere attivo fino alla fine! - sbottò Michael, puntuale con le ramanzine - Non lamentarti se poi il programma non ti soddisfa! -
- Suvvia, lasciatelo respirare - Karol riportò tutti alla calma - Xavier, faresti bene ad andare a dormire un po' prima, la notte. Del sonno regolare è imperativo per chiunque -
L'accusato alzò le mani in segno di resa.
- Sarà fatto, Prof. Promesso - affermò, rassegnato - Allora? Che cosa manca da decidere? -
- Il punto più importante! - Refia gli diede una scrollata con tutto il braccio - La meta! -
Il ragazzo assunse un'aria demoralizzata.
- Ma come...? Ancora non si è stabilito dove andremo in gita!? - si lamentò lui - Credevo fosse il primo punto da mettere in chiaro -
- Oh, tranquillo, è già quasi tutto organizzato - lo rassicurò Vivian con un sorriso - Ciò che intendeva dire Refia era che il posto dove andremo offre sia località di montagna che lidi balneari. Dobbiamo scegliere in base alle nostre preferenze -
Kevin parve alquanto sconsolato da quel dubbio.
- Accidenti... non vi è modo di trovare un compromesso? - optò il botanico - Sembra quasi un peccato dover rinunciare ad uno dei due. Ho sentito che quel posto offre magnifici panorami sia costieri che alpini -
- Eh, no, vecchio mio! - Lawrence scosse la testa - Abbiamo a malapena una settimana; non ci basterà per fare tutto -
Nella classe calò un breve silenzio meditativo.
- Mare o montagna, dunque. Scelta ardua - commentò Pearl - Che sia necessaria una votazione? -
- Non amo dover accontentare solo la maggioranza... - ammise Karol, allargandosi il colletto della camicia.
- Allora propongo di enumerare i pro e i contro di ciascuna opzione e di raggiungere un comune accordo - dal retro della classe, il capoclasse Alvin espresse il pensiero più logico e ragionevole - Siete d'accordo? -
Nessuno parve avere nulla da ridire. Una mano si alzò immediatamente per prendere parola: quella di Hayley Silver.
- Beh, direi di iniziare con i punti più ovvi! Io propongo la montagna! - esclamò, e nessuno si sorprese di quella presa di posizione - Possiamo fare lunghe passeggiate, arrampicate, immergerci nel verde più incontaminato... ah, e il campeggio! -
- Oh, il campeggio mi piace - Rickard appoggiò l'idea, allettato.
- Sì, sì! La montagna è decisamente più avventurosa! - Refia non mancò di farsi sentire - Potremmo partire alla volta di sentieri non battuti! Sarà un'esperienza nuova, diversa. Vedrete, sarà magnifico! -
- Mhh, con l'Ultimate Hiker a farci da guida non vedo perché rifiutare - osservò June - Anche a me l'idea piace. L'aria di montagna è gradevole -
Rincuorate dall'approvazione di June, Refia ed Hayley si presero per mano e si misero a saltellare allegramente, pregustando la vittoria.
L'arciera non poté fare altro che ridere con un'espressione stupida davanti ad un entusiasmo così genuino.
Nel frattempo, Karol aveva iniziato ad appuntare sulla lavagna tutte le opinioni della classe, in modo da avere un quadro più chiaro degli interessi di ciascuno.
- U-un momento... - intervenne flebilmente Pierce - La m-montagna non è anche un luogo un tantino... rischioso? Io credo che il mare sia molto più tranquillo... -
- Dai, Pierce, non esagerare! - ribatté Hayley - Cosa vuoi che ti accada? -
- Odio dover essere pessimista, ma devo dare ragione a Pierce - sentenziò Michael - Il pericolo di frane e incidenti vari non è del tutto assente in posti simili, e voi due siete proprio i tipi da portarci a sperdere su chissà quali altissimi picchi! In virtù di una vacanza più tranquilla, io proporrei il mare -
Michael ignorò la linguaccia di Refia e si rivolse agli altri membri della classe.
Il timore sembrava aver attecchito anche su Kevin, per quanto quest'ultimo pareva essere più incline ad una gita montana.
- Uhm... credo che mi terrò neutrale, per stavolta... - asserì Claythorne.
- Mi accodo a Kevin - esclamò Xavier, dondolandosi sulla sedia - Non credo mi faccia molta differenza, quindi potete decidere voi -
- Spero che ciò non si tramuti in un pretesto per poter tornare a sonnecchiare, Xavier - la voce di Alvin alle proprie spalle lo colse alla sprovvista.
Si girò per notare la sua sagoma torreggiare in modo inquietante su di lui. Si rimise subito composto e scosse il capo.
- No, no di certo... - sbuffò.
- Magnifico - fece il guardiano, compiaciuto - Io, personalmente, opterei per la montagna. Trovo che il clima, lì, sia corroborante. E, sarò sincero, sono poco avvezzo alla calura - 
- Ah... a-anche io non sopporto il caldo... - si aggiunse Pierce, che stava rivalutando la propria opinione - E le insolazioni... e le scottature... -
- Pierce, con quell'atteggiamento tutto diventa un'apocalisse - lo rimproverò Pearl.
- Io invece trovo che una vacanza al mare sarebbe splendida - sopraggiunse Vivian, con aria quasi sognante - La spiaggia al tramonto, il profumo dell'aria salata, e un continuo azzurro a perdita d'occhio... -
- Ooh! Una vena poetica destata dal pensiero delle onde che si infrangono sulla spiaggia...! - esclamò Lawrence con tono teatrale - Non posso che concordare! -
- Andiamo, Lawrence! Il tuo giudizio è completamente di parte! - lo stuzzicò Rickard, ridendo sotto i baffi.
Il violinista spalancò gli occhi con aria battagliera.
- Co-come!? Quali illazioni vai farneticando!? -
- Ammettilo: vuoi solamente vedere un certo qualcuno in costume da b-... -
Un rapido calcio allo stinco mise definitivamente a tacere l'Ultimate Voice Actor che, pur dolorante, vedendo l'espressione imbarazzata dal compagno non trovò ragione di pentirsi del proprio operato.
Anche Vivian arrossì brevemente, ma scostò subito lo sguardo verso le file più indietro.
- E tu, Hillary? Che cosa preferiresti? - domandò.
La piccola orologiaia trasalì per un istante. Tutti sapevano che non avrebbe parlato se non interpellata prima da qualcuno, e il fatto che fosse stata Vivian accelerò le cose.
- E-ecco... io... - deglutì - Vorrei... andare in montagna -
Un rumore di gesso secco; Karol annotò anche quello.
- Mi associo alla piccoletta - sorrise Pearl - La montagna offre possibilità più stimolanti -
- Siamo quasi al culmine della votazione - osservò Alvin - Chi manca, ancora? -
Tutta la classe si guardò attorno, attendendo quei pochi pareri mancanti.
All'improvviso, la porta della classe si spalancò catturando l'attenzione di tutti.
Elise entrò in tutta fretta portando con sé un borsone largo e capiente.
- Eccomi qui, gente...! - disse, ansimando - Ho trovato tutto! -
- Hey, spilungona! Perché ci hai messo tanto!? - chiese Michael, irritato.
- Ah... - Elise rimase ferma a pensare per alcuni attimi - ...credo di aver sbagliato classe per un paio di volte, mentre tornavo -
- "Credi"...? - mormorò Xavier, incredulo.
- Elise, vieni in questa classe oramai da un anno! - la redarguì June - Quando ti deciderai ad imparare la strada!? -
L'Ultimate Camerawoman si grattò la fronte con fare apologetico, chinando il capo.
- Giusto, giusto... prometto che farò più attenzione - promise lei - Ma sono riuscita a reperire tutto ciò che mi occorre -
- E di che si tratta? - domandò Kevin, indicando la borsa che trasportava.
Gli occhi di Elise guizzarono, e rivelò il contenuto con entusiasmo.
- Ecco qui... abiti sportivi, pezzi di ricambio per la videocamera, accessori vari da campeggio e... un pratico elmetto! - disse, tutta contenta - Posso attaccarci la videocamera sopra ed utilizzarla durante le arrampicate! Comodo, no? -
Calò un silenzio generale. 
Più di una persona si passò una mano sul volto, mentre il resto della classe iniziò a ridere; l'eco delle risate di Rickard si sparse per tutta l'aula.
L'Ultimate Camerawoman osservò impassibile la scena, ancora compiaciuta dal proprio equipaggiamento.
- Elise... - sospirò Pearl - E' ancora tutto in corso d'opera -
- Eh? In che senso? -
- B-beh... non abbiamo ancora deciso se andare al mare o in montagna... - Pierce non trovò modo di indorare la pillola - Diciamo che... sei stata un po' troppo preventiva... -
Elise ci pensò su per alcuni attimi.
Girò il capo verso la classe, e poi verso Karol. Questi la stava fissando con un sorriso circostanziale, ma al contempo stranito.
- Ah, uhm... - mugugnò lei - Allora scelgo... uhm, la montagna -
- E dovevi anche pensarci!? - esplose definitivamente Michael.
A quelle parole, l'Ultimate Teacher mostrò un cenno di assenso e rimarcò col gesso la scritta "Montagna" sulla lavagna.
- Allora immagino sia deciso - esordì - Nessuna obiezione? -
La votazione fu così conclusa; Xavier fu sollevato nel sapere che quell'incombenza era giunta al termine.
Tutto sommato, però, dovette ammettere a se stesso che l'idea della partenza non gli dispiaceva, e l'entusiasmo dei compagni era riuscito a contagiare anche lui.
Si guardò attorno: Hayley e Refia stavano festeggiando la vittoria iniziando a prendere appunti su tutto ciò che avrebbero fatto in gita, senza tralasciare alcun dettaglio.
Nonostante il loro baccano, anche June si unì alle loro elucubrazioni. La squadra si riunì per escogitare la migliore linea di azione da utilizzare nel poco tempo a loro disposizione.
Pearl e Alvin si erano messi a discutere affabilmente di una chissà quale esplorazione boschiva che avevano in mente di fare; nel bel mezzo della conversazione la bionda tentò di trascinare anche Hillary, rimasta in disparte per quasi tutto il tempo.
I continui tentativi di Pearl di allacciarsi all'Ultimate Clockwork Artisan parevano aver dato i loro frutti, poiché Hillary sembrò trovarsi a proprio agio.
Dall'altro lato della stanza, Vivian consolava un Ultimate Musician piuttosto a terra e sul cui volto era mostrata una cocente disfatta emotiva.
L'Ultimate Painter gli cinse il collo in un abbraccio e lo baciò sulla fronte; fu ciò che il resto dei compagni definivano come "il miracolo di Vivian", poiché era in grado di ribaltare l'umore di Lawrence nel giro di appena un istante. Anche quel giorno non fu diverso.
Pierce e Kevin si erano radunati attorno al banco di Michael, dove quest'ultimo si stava esibendo in uno dei suoi classici sermoni sulla sicurezza personale e collettiva da adoperare in situazioni di pericolo. Xavier notò come il lato paranoico della classe si fosse concentrato attorno a quell'area.
Kevin stette a sentire con notevole interesse; Pierce stava addirittura prendendo appunti.
Rickard si era seduto sulla cattedra e, facendo dondolare le gambe, osservava divertito i vani tentativi di Karol di dare un senso a tutte le cianfrusaglie che Elise si era portata dietro.
Il modo con cui la ragazza cercava di convincere il Prof dell'importanza vitale di ogni singolo oggetto contenuto nella borsa aveva un che di fenomenale.
Xavier li osservò tutti, dal primo all'ultimo. E sorrise.
"E' proprio una classe di pazzi" pensò, appoggiandosi allo schienale della sedia "Sarà per questo che mi trovo così bene"
Stette ad assaporare il clima festoso dei compagni per un po', fino al punto in cui si accorse che in tutta quella piacevole atmosfera vi era uno strano sentore.
Come un qualcosa di discordante, una sensazione strana e fuori posto.
Si rimise composto, investigando silenziosamente su ciò che poteva essere. Non sembrava esserci nulla di strano sui volti sorridenti degli altri, né nell'aula stessa.
Avvertì uno strano brivido alla schiena.
Qualcosa non quadrava; o, per meglio dire, mancava.
Trasalì in un istante, realizzando.
"...Judith!"
Un forte senso di colpa lo avvolse; non aveva notato la sua assenza.
Non trovò giustifiche nella propria sonnolenza, né nel clima allegro e confusionario che si era venuto a trovare.
Quella sensazione di mancanza e di inquietudine trovarono conferma nell'assenza dell'Ultimate Lawyer. 
Si alzò in piedi di scatto, girandosi da ogni lato.
Con sua enorme sorpresa, la vide.
Si stropicciò la pupilla, credendo di avere un'allucinazione, ma era lì.
La trovò seduta ad un banco vicino alle finestre che davano sul giardino della scuola, con lo sguardo perso nel proprio tenue riflesso sul vetro traslucido.
Sembrava immersa in chissà quale pensiero, ma a Xavier parve ancora più strano che non si fosse messa in discussione durante il dibattito sulla meta.
Ed era raro, da parte sua, non accennare nemmeno un'opinione. 
Judith amava comunicare col prossimo, soprattutto con i propri amici e compagni, e ciò andava ben al di là di una mera deformazione professionale. I suoi momenti taciturni erano in genere giustificati da un cattivo umore, e Xavier sentì il bisogno di vederci chiaro.
Le si avvicinò lentamente superando una fila di banchi, e le si sedette appena di fianco.
Osservò il lento e delicato muoversi dei suoi capelli corvini tenuti assieme dal fermaglio floreale, il cui biancore risaltava come fosse una stella nel cielo notturno.
Non riuscendone a visualizzare perfettamente l'espressione, Xavier dovette andare per tentativi.
- ...hey, Judith - le disse - Qualcosa non va? -
Lei si voltò lentamente verso di lui. Aveva un'aria triste, come presagito.
- Oh, Xavier... - sospirò lei - Non è nulla -
- Ne sei certa? - la incoraggiò lui - Ti conosco bene. A me sembra che ci sia qualcosa che ti angusti -
Lei si strinse tra le spalle, mordicchiandosi il labbro.
- E'... una situazione un po' triste -
- Immaginavo - fece lui - Per distogliere la tua attenzione dalla riunione per la gita deve essere qualcosa di grosso -
- Ah, non fraintendere... ho seguito tutta la conversazione - lo rassicurò lei - Vedo che la montagna è stata l'opzione più gettonata -
Xavier annuì, contemplando la scritta sottolineata alla lavagna.
- Così pare - asserì lui - Te ne dispiace? -
- Assolutamente no! - esclamò Judith - Anzi, piacerebbe moltissimo anche me! Sarebbe... davvero fantastico -
Lui annuì, ma ebbe subito un ripensamento.
Si rese conto che vi era un dettaglio strano in ciò che Judith aveva appena detto.
Si voltò nella sua direzione, rimirandone il volto amareggiato.
- Mh? A cosa... ti riferisci? -
- Alla gita, no? - rispose - Andare tutti assieme in montagna a divertirsi. Sarebbe stupendo, non credi...? -
- Suvvia, partiamo la settimana prossima! - rise lui, carezzandole la spalla - Ne parli come fosse un sogno irrealizzabile -
- Ma lo è. Non ricordi? -
Xavier si bloccò per un istante. Una goccia di sudore fugace gli colò lungo la tempia.
Il tono di Judith si era fatto improvvisamente duro, quasi freddo.
A quel punto era andato ben oltre l'essere strano.
Le scrutò il viso: era spento, privo di energie e colore. Un volto che Judith Flourish non aveva mai indossato, un qualcosa che non le apparteneva.
- ...J-Judith...? Ma che stai...? -
Lei girò il collo di novanta gradi con un movimento rigido, quasi meccanico.
Lo scrutò dritto nell'anima con un'occhiata penetrante.
- ...sono tutti morti per colpa tua, Xavier -
Silenzio.
Lo stomaco del ragazzo si ribaltò. La sua schiena era rigida e il sudore freddo.
Ricordi di realtà differenti iniziarono a mescolarsi tra loro in un vortice confuso e privo di senso logico.
Si alzò di scatto dalla sedia, allontanandosi da quell'automa dalle sembianze di Judith Flourish.
Indietreggiò spaventato fino a che non urtò una sedia, quasi cadendo all'indietro. Provocò un forte rumore.
Si era reso conto solo in quell'attimo di discordanza sonora che il vociare del resto dei compagni era cessato di colpo.
Si girò istintivamente verso sinistra.
Il fiato gli morì in gola.
Dove poco prima si stava consumando una normale e piacevole conversazione era comparso il corpo di Alvin Heartland.
Era seduto a terra, accasciato alla parete, con il corpo pieno di fori di proiettile che grondavano sangue fresco.
Appena di fianco, sul banco, era accasciata Hillary Dedalus. Perdeva sangue da ogni orifizio del volto, e gli occhi erano rossi e gonfi, fissi in un'espressione terrorizzata.
Riuscì a stento a trattenere un conato di vomito, ma distaccò subito la sua mente da quella visione. Si voltò, e tentò di correre via.
A fare da ostacolo vi fu un'altra fila di banchi; Hayley Silver era distesa sopra di essa, perforata da spuntoni in ogni parte del corpo.
A terra, appena sotto, era seduta Refia Bodfield con una freccia ben piantata nell'addome.
Le superò facendo di tutto per non guardarle in volto.
Oltrepassò il corpo di Kevin Claythorne, disteso sul pavimento in mezzo a dei fiori insanguinati, per poi trovarsi di fronte un Pierce Lesdar il cui cadavere era stato misteriosamente cucito alla parete stessa dell'aula. Sulla stessa fila, Vivian e Lawrence erano distesi a terra, l'una sull'altro, ricoperti di cocci di vetro conficcati ovunque.
Corse via, oltre la cattedra dell'insegnante. 
Il cadavere bruciacchiato di Rickard Falls era rimasto lì, steso, con gli occhi ancora spalancati.
Finalmente, riuscì ad arrivare alla porta d'uscita.
Davanti ad essa, quasi come a fare da ostacolo, vi erano distesi Karol Clouds ed Elise Mirondo in posizioni simili.
Il primo aveva la testa aperta sulla fronte, con viscere cerebrali visibili; il collo di lei, invece, era stato quasi reciso da uno squarcio lungo fino al petto.
Chiuse l'occhio in lacrime e corse oltre, gettando disperatamente la mano sulla maniglia della porta e spingendo con ogni briciolo della sua forza.
Era chiusa, sigillata, ma il suo cervello sragionante non se ne curò e continuò a spintonare l'uscita con forti spallate.
- No, NO, NO! FATEMI USCIRE! - gridò a pieni polmoni - FATEMI USCIRE! -
Consumò ogni stilla di energia rimasta per buttare giù quella porta, e quando improvvisamente smise di incontrare resistenza da essa fu troppo tardi.
Spinse a piena forza e si ritrovò fuori, sul corridoio.
Ansimò, e alzò lo sguardo. Si impietrì per l'ennesima volta.
Il corpo di Kristen era stato messo in posizione prona con un coltello ben piantato nella schiena.
Era distesa sulle gambe di Ewan, che presentava uno squarcio alla gola e una miriade di altre ferite sul petto.
Xavier indietreggiò per lo spavento, cadendo all'indietro all'interno della classe. 
La porta gli si chiuse in faccia con un tonfo sordo.
- No... io non... non volevo tutto questo...! - pianse, rimettendosi in piedi - Non volevo che morissero... NON VOLEVO CHE MORISSERO! -
Si strinse tra le proprie braccia tremanti, e rimase immobile. 
Non riuscì a stare in posizione eretta per molto, e crollò in ginocchio.
Si guardò in giro, in mezzo al lago di sangue che era colato per tutta la stanza.
Gli occhi erano offuscati dalle lacrime, ma riusciva a vedere ciò che aveva di fronte.
Qualcuno mancava. 
Ebbe un sussulto.
- ...Judith? ...Pearl? - mormorò - ...June? ...Michael? -
Si alzò in piedi una seconda volta, ancora più a fatica.
Avvertì un sensazione di implosione emotiva, che gli provocò un forte malessere. Digrignò i denti, tenendosi la testa con le mani.
Ebbe come la sensazione di stare per saltare in aria da un momento all'altro.
In preda ad una febbrile follia, lasciò che i suoi polmoni e la sua voce espressero le sue ultime, lucide volontà.
- JUDITH! PEARL! JUNE! MICHAEL! - urlò a squarciagola - RAGAZZI! DOVE SIETE!?
VI PREGO! Vi prego...! Tornate da me... non... non lasciatemi... da solo...!
Non lasciatemi da solo...!
...Non lasciatemi da solo...!
......NON... LASCIATEMI... DA SOLO...!
Vi prego... amici miei...
...
...
...

...Dove...siete...? -
 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Danganronpa / Vai alla pagina dell'autore: Chainblack