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Autore: Scarlet Jaeger    28/09/2018    2 recensioni
Dal capitolo 18:
"«Eh sì, io ti conosco bene…angelo sul volto, demone nel cuore!» sorrise, anche se una nuova consapevolezza e una nuova idea iniziò a farsi spazio nel cuore del colpito. Forse fu la disperazione del momento a muovere Kanon. La disperazione fa fare alla gente cose assurde…"
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Gemini Kanon, Nuovo Personaggio
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 17
 
 
 
Galatea aveva diligentemente atteso il tramonto per recarsi al punto di ritrovo che aveva concordato con Kanon quello stesso giorno, prima che lui si recasse all’incontro che lo avrebbe reso protagonista di fronte a tutto il Tempio.
Era estremamente sicura che sarebbe riuscito a prevalere sul suo Gemello e conquistare la Cloth per la quale si sarebbero scontrati. Eppure…
Una strana sensazione di vuoto si stava impadronendo di lei, pian piano che il tempo passava e che il sole spariva al di là del promontorio, rendendo il paesaggio attorno a lei sempre più cupo.
“Arriverà, magari è solo in ritardo…” Iniziò a pensare, finendo poi per preoccuparsi ulteriormente quando le sfumature arancioni iniziavano via via a scemare.
Almeno fino a che non vide una figura famigliare camminarle incontro.
La ragazza si alzò di scatto, sciogliendo un po’ la tensione che aveva iniziato a serrarle lo stomaco e finì di torturarsi l’unghia del pollice mentre si alzava da terra, dove si era seduta con la schiena contro la roccia che, oscurava la sua visuale a qualsiasi persona fosse capitata lì.
Ma c’era qualcosa di strano nell’andatura del nuovo venuto, nonostante fosse fasciato da quella che, riconosceva essere, l’armatura dei Gemelli. Riconobbe l’elmo, adornato ai lati da due facce complementari, come la cascata di capelli biondi che risplendevano sotto il tramonto, incredibilmente simili all’oro della Cloth, che rifulgeva sotto il bagliore del Tempio.
Il volto del ragazzo era in penombra, colpa appunto del grande elmo che gli ricadeva sulla fronte, ma gli occhi verdi non sorridevano nonostante le sue labbra fossero leggermente piegate all’insù.
Galatea rimase ad osservarlo, fino a che non le fu di fronte, a fronteggiarla con la sua quasi imponente altezza. E fu estremamente sicura che quello di fronte a sé non fosse assolutamente Kanon. Non sarebbe giunto così composto. Conoscendolo si sarebbe lanciato verso di lei a braccia aperte, per gioire insieme della sua incredibile conquista.
Non disse nulla però, la sua espressione la diceva lunga sul suo disappunto, ma d'altronde non era colpa di Saga se il suo gemello non era riuscito a batterlo. Ma lei era incredibilmente amareggiata da come erano andate le cose e strinse i pungi mentre cercava di sorreggere lo sguardo quasi dispiaciuto di lui.
«Mi ha detto dove trovarti…» iniziò, senza esprimere il soggetto di quella frase, sapendo che la ragazza avrebbe capito perfettamente di chi parlasse.
«Quindi non ce l’ha fatta» rispose lei, senza un’intonazione particolare nella voce.
Saga rimase in silenzio, scrutandola con uno sguardo in un misto tra la curiosità e la rassegnazione.
«Mi dispiace» concluse poi, dopo qualche secondo, aspettandosi quasi di vederla scoppiare in lacrime. Invece lei rimase ferma al suo posto, rigida come mai era stata prima d’ora, e capì che si stava sforzando non poco di rimanere impassibile. Ma questo agli occhi di Saga le rese onore. Sapeva che stava ricevendo l’apprendistato per diventare un Saint, anche se di rango inferiore al suo, quindi molto probabilmente non si sarebbe mai fatta vedere vulnerabile da lui, o da chiunque altro. Forse si sarebbe sfogata in solitaria, ma lui non volle infierire.
«Lo trovi in infermeria» riprese a parlare il neo Saint, sforzandosi appena di sorridere per non sembrare troppo brusco in quella situazione.
Lei annuì appena, spostando lo sguardo verso il sole oramai quasi del tutto tramontato.
«Sarà la sua ultima notte. Domani mattina dovrà lasciare il Tempio…» asserì di nuovo, spostando anch’egli lo sguardo verso l’orizzonte. «Il suo destino adesso dovrà scriverlo da solo».
«Ti ha chiesto lui di dirmelo?» chiese Galatea, dopo alcuni secondi di silenzio.
Saga sospirò appena prima di rispondere.
«No…mi ha detto solo di venire qua per avvertirti e mi ha detto che ci tenevi a sapere l’esito dell’incontro» iniziò, «di raggiungerlo in infermeria te lo sto chiedendo io. Probabilmente ha più bisogno di te che di me. Non so se le nostre strade si incontreranno ancora, ma mi auguro di sì per le vostre».
«Naturalmente» sentenziò lei, guardandolo appena con la coda degli occhi. La sua somiglianza col gemello, dopotutto, le faceva fin troppo male.
«Questo è il luogo dove potrai trovarlo una volta che avrà abbandonato questo luogo, prendilo» e passò una piccola mappa con un luogo cerchiato di rosso.
«A nessuno dev’essere concesso di sapere dove vengono spediti i Saint reietti, quelli che non hanno superato la conquista della Cloth. Sono riuscito a strappare questa informazione al Grande Sacerdote, quindi se non ti lasci sfuggire chi ti ha passato l’informazione te ne sarei grato» sorrise più bonariamente di quanto non avesse fatto in tutto quel tempo. «E neanche Kanon deve saperlo» concluse categorico.
«Puoi contare sulla mia discrezione e sulla mia lealtà di quasi Saint, perché io riuscirò a conquistare la Cloth, lo giuro anche per lui» rispose lei, forse un po’ troppo duramente, ma al Saint dei Gemelli sembrò non importare del tono impertinente usato dalla ragazza. Capiva perfettamente le emozioni che la muovevano ed era estremamente sicuro che, con quel carattere, sarebbe arrivata lontano.
 
 
°°°
 
 
Elena aveva una strana e vaga sensazione, come se non fosse del tutto padrona del su corpo. Si sentiva quasi astratta, ma il peso che aveva sullo stomaco le ricordava perfettamente dove fosse e, soprattutto, con chi.
Quando aprì gli occhi, trovò davanti ad essi l’ultima scena alla quale avrebbe voluto assistere.
Di fronte a lei, nonostante fosse tutto incredibilmente sfumato e sbiadito, c’erano le lande ghiacciate della sua Siberia, il suo luogo d’addestramento, e nel centro della radura c’era colui che non avrebbe voluto rivedere tanto preso, tanto meno a quell’età. Sì, perché il Saint dell’Acquario era in piedi, baldanzoso ed estremamente giovane, come se tutti gli anni appena trascorsi non fossero per niente passati.
“Non è possibile…” disse tra sé e sé, mentre un’incredibile consapevolezza iniziava a farsi spazio nella sua mente. Osservò distrattamente anche le sue vesti, il suo taglio di capelli e la sua figura nel riflesso che le rimandava la montagna di ghiaccio a non molta distanza dal suo fianco. Voltò leggermente la testa in quella direzione, mentre il tremore del suo corpo iniziava a farsi più intenso.
“Non di nuovo, no!” Imprecò di nuovo dentro di sé, con una rabbia repressa che capiva perfettamente, come il motivo per il quale era stata costretta a rivivere quel momento per colpa di Kanon.
Fosse stato per lei non avrebbe rivissuto quegli attimi, che ancora bruciavano così intensamente ogni volta che riportava la mente a quegli anni, ed era pronta a far vedere al Saint dei Gemelli che, nonostante il suo colpo, lei non si sarebbe piegata.
Ma ben presto dovette ricredersi, perché tutto ciò che stava capitando era fuori dalla sua portata. Aveva pieno controllo della sua mente, dei suoi ricordi e dei suoi pensieri, ma non del suo corpo, perché non stava assolutamente rispondendo ai suoi voleri. Quindi Elena capì cosa stava succedendo e non ne fu affatto contenta. Avrebbe probabilmente fatto una smorfia di contrarietà se avesse potuto muovere i muscoli facciali, ma quelli erano contratti in un’espressione di pura concentrazione. Se avesse potuto sarebbe corsa via da tutto e da tutti pur di non essere costretta a vivere di nuovo quella vecchia esperienza, per di più come spettatore all’interno del proprio corpo. Già era abbastanza fastidioso per lei doverlo ricordare, nelle notti insonni o quando la sua mente le giocava brutti scherzi. O anche solo quando pensava a Camus. Non era ancora pronta a riviverlo in prima persona, senza neanche poter cambiare qualcosa di ciò che era successo. Sicuramente, con il bagaglio di esperienza alle sue spalle e con tutto ciò che ne era conseguito, probabilmente non avrebbe arrestato il colpo ed avrebbe finalmente potuto battere il suo vecchio compagno d’addestramento, riuscendo finalmente a conquistare l’amata Cloth dell’Acquario. Sarebbe potuta diventare la nuova custode dell’undicesima casa, finalmente sarebbe divenuta la prima Gold Saint donna del tempio, sfatando i tanti pregiudizi che continuavano a nascere tra i guerrieri uomini.
“Ne sei proprio sicura?”
Una voce che però era estremamente sicura che non fosse la sua risuonò nella sua mente, come se qualcuno le avesse pronunciato quelle parole all’orecchio. Si sarebbe anche voltata se avesse potuto, per assicurarsi che fosse stato veramente Kanon a parlarle così a ridosso, trovandolo accanto a sé con il suo spregevole sorrisetto stampato sulle labbra. E lo avrebbe preso volutamente a schiaffi se avesse avuto piena facoltà delle sue azioni. Ma lui non era lì, lei lo sapeva bene. Riusciva ad avere possesso della sua mente e dei suoi ricordi comodamente seduto sullo spuntone di roccia del vulcano sull’isola di Kanon.
“Vattene”, si limitò a pensare la ragazza, erroneamente sicura di imporre il suo volere all’uomo, ma la sua risata divertita le risuonò di nuovo nella mente.
“Se pensi di vedermi contorta dalla disperazione come le tue vittime ti sbagli.” Aizzò lei con una nota irata tra i pensieri.
“Ah sì?” continuò lui, ancora più risoluto, “dovresti vedere il tuo corpo qua, di fronte a me, come si regge la testa tra le mani e come il tuo volto è così piacevolmente contorto da sfumature di rabbia e disperazione”.
Rise di nuovo ma Elena non poter far altro che immaginare di stringere il labbro inferiore tra i denti e le nocche, in quello che per lei doveva essere un gesto dettato dalla rabbia che sentiva montarle dentro.
“Puoi sottrarti a tutto ciò se vuoi. È questo il tuo compito. Se per te è troppo sopportare di nuovo la bruciante sconfitta puoi venir meno all’illusione, o modificarla. Quanto è forte la tua mente rispetto al mio controllo?  Sfuggi, e ti lascerò la serata libera prima di iniziare il vero addestramento corporeo, perché, lascia che te lo dica, fino ad ora hai fatto pena!”
Le parole di Kanon la colpirono nell’orgoglio come un sonoro ceffone sul viso e sentiva di voler a tutti i costi uscire da lì per affrontarlo finalmente in uno scontro faccia a faccia. Non avrebbe sopportato il suo tono di voce derisorio ancora a lungo!
I minuti passarono lenti nel lasso di tempo che ci volle prima che i due iniziassero lo scontro. La mente di Elena era avvantaggiata, sapeva cosa sarebbe successo perché tutti quei ricordi erano impressi nella sua memoria a fuoco. Riviverli uno per uno le faceva ancora male, ma lei non si lasciò trasportare da essi e, cercando di prendere in mano la situazione ed almeno le sue facoltà mentali, cercò di concentrarsi al meglio.
Immaginò il contrattacco ancora prima che succedesse ed immaginava i colpi che invece avrebbe voluto lanciare al posto di quelli fatti al tempo. All’inizio i suoi sforzi non sortirono alcun effetto e si ritrovò dolorante di nuovo, come se fosse stata veramente presente in quello scontro. Forse il dolore, sia fisico che non, fece in modo di far scattare una scintilla nel suo animo e mentre arrivava, veloce ed inesorabile la fine, quando sapeva come sarebbe finito il risultato, riuscì nell’impresa impossibile.
Non si distrasse, non pensò a nient’altro che all’incontro, alla Cloth e a battere Camus. La sua mente era concentrata, il suo corpo pronto al contrattacco e riuscì a modificare quel ricordo tanto odiato. Non abbassò la guardia e colpì senza pietà il Saint con una potenza e precisione che neanche lei sapeva di avere.
Lo sforzo di manovrare il suo stesso corpo e la potenza del colpo lanciato da lei stessa distorse la realtà che stava vivendo e si ritrovò circondata dalla nebbia, sentendo il familiare torpore di quando i sensi abbandonavano il suo corpo.
Poi sopraggiunse il buio.
Quando riaprì gli occhi si ritrovò distesa a terra, con gli stessi che bruciavano come se avesse pianto una giornata, le guance rigate dalle lacrime che, era estremamente sicura, non aveva assolutamente versato. In più tutti i muscoli del corpo le facevano male, come se si fosse sottomessa ad uno sforzo fisico al di sopra delle sue reali potenzialità.
Kanon invece era in piedi, a qualche passo di distanza da lei, con le braccia conserte ed un’espressione indecifrabile sul volto. Gli occhi verdi brillavano nella sua direzione, come se non volesse perdersi nemmeno un movimento del corpo della ragazza, le labbra erano una linea sottile e le sopracciglia leggermente aggrottate.
Elena tossì mentre cercava di rimettersi in piedi, la gola le bruciava e si sentiva sotto esame con quegli occhi puntati addosso. Gli avrebbe detto sicuramente qualcosa, se lui non l’avesse preceduta.
«Notevole…» asserì lui, leggermente impressionato da quell’impresa, nonostante la sua espressione rimase pressoché invariata.
«Beh, pensavi che non ce l’avrei fatta? Mi dispiace deluderti, non sono una pivella» rispose lei a tono, incrociando finalmente il suo sguardo.
Lui in un primo mento non rispose, si limitò a squadrarla da capo a piedi, quasi curioso, prima di riportare i suoi occhi color del prato in quelli di Elena.
«Si, in effetti l’ho pensato» rispose, quasi sprezzante, «ma devo ammettere che sono rimasto colpito. Nessuno è mai riuscito a sottrarsi al Genro mao ken, ma se non ti avessi aiutata dicendoti cosa fare, probabilmente la tua mente sarebbe rimasta vittima del tormento» continuò, ma prima ancora che lei prendesse parola per rispondere a quella strana provocazione, lui parlò di nuovo.
«In ogni caso il tuo corpo, qui, ha continuato a contorcersi dal dolore, vittima dell’illusione. Se pensavi di essere risoluta e caparbia mi dispiace, sei stata esattamente come tutte le mie altre vittime. I dolori del tuo corpo possono confermare, colpa della tensione dei tuoi muscoli per cercare di sottrarti all’inevitabile. Ci sono varie parti del cervello che posso intaccare con questo colpo: posso costringerti a fare quello che voglio, liberandoti solamente dopo che hai esaudito la mia richiesta, farti sottostare ai miei ordini a tempo indeterminato, oppure colpire i ricordi, come ho fatto con te, costringendo la mia vittima a rivivere quegli stessi angoscianti momenti del passato. Chiunque abbia messo piede al Tempio, o chiunque si possa gloriare di essere un guerriero non ha avuto un’infanzia particolarmente piacevole. E nemmeno tu.» Concluse perentorio, beccandosi un’occhiata di traverso.
«Ed era proprio necessario colpirmi con il Genro mao ken, non è vero? Non potevi pazientare un altro giorno, no? Perché è chiaro che si diventa Saint in un giorno» fece lei, sarcastica e sprezzante.
«Non ho la pazienza ostentata dai vari maestri, né tempo da perdere. Sto esaudendo il volere della Dea Athena, ma non mi è stato indicato il tempo che ci avrei dovuto impiegare, quindi lo decido io, che tu lo voglia o no»
L’espressione del Saint si fece più seria e pericolosa, cosa che convinse Elena a non replicare, tanto sarebbe stato fiato sprecato. Era inutile parlare con Kanon, il suo ego era troppo pronunciato per poterlo sottomettere con le parole, o anche solo con la forza. In fondo se era diventato un Gold Saint, forte al pari del Gemello, lei non avrebbe potuto avere possibilità di rivaleggiare con lui. Tanto valeva stringere i pugni e ingoiare le parole che lui le avrebbe sicuramente fatto pentire di aver pronunciato.
Ma in ogni caso, la cadetta stava per rispondere un ghignato “d’accordo”, col tono di voce di una che avrebbe sicuramente avuto qualcosa da ridire ma che cercava di tenersi buona, ma lui non le dette il tempo di fiatare. Aveva appena aperto la bocca quando lui riprese parola.
«Continueremo domani all’alba» le disse, con il tipico tono di voce che non avrebbe ammesso repliche, e lei rimase spiazzata da quella strana ostentazione di generosità, visto che ancora non era neanche scesa la notte ed avrebbero avuto tutto il tempo per continuare ad allenarsi.
«Ma…» cercò di controbattere, ma lui le aveva già voltato le spalle.
«Non farmi pentire della mia decisione» le intimò solamente, senza neanche prendersi la briga di voltarsi a parlarle negli occhi. E senza darle il tempo di rispondere di nuovo, prese a camminare verso una rientranza nella roccia dove, un po’ arrabattata, sorgeva la loro precaria dimora.
Lei rimase ad osservare accigliata le spalle di lui allontanarsi, coi lunghi capelli che gli svolazzavano dietro la schiena ad ogni passo.
E si ritrovò inconsapevolmente ad arrossire.
Fine capitolo 17

 
 
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Colei che scrive:
Ma ciao!! Ben trovati finalmente in questa storia dopo…quanto? tre mesi? Ok, sono vergognosa T.T mi dispiace di far passare così tanto tempo tra un aggiornamento all’altro, ma veramente non ho avuto un secondo di tempo tra il lavoro, problemi di salute e l’uscita del mio primo libro <3 Sì, avete capito bene :D libro *_* sono così emozionata! E chi ha seguito Stormy Life nella sua prima pubblicazione in questo sito, se aprirà la mia pagina autore (cliccate sul mio Nik), troverà una piacevole sorpresa, o almeno spero ehehehe
Bene, che altro dire per non annoiarvi? Che ringrazio come sempre chi è arrivato fin qui, chi continua a seguire e recensire questa storia, chi l’ha tra le preferite e tutti i lettori silenziosi che continuano ad aspettare un mio aggiornamento <3 (mi dispiace del tempo che vi faccio aspettare T.T)
Un bacione a tutti, prometto di accorciare i tempi!
Alla prossima!
  
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