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Autore: Luce Lawliet    07/10/2018    2 recensioni
Quella che sta guidando a 95 km/h sotto la pioggia, su una strada isolata e circondata dai boschi è Kaia Birkbeck. Sta piangendo, ma le lacrime non le impediscono di tenere d’occhio la strada, o almeno così crede finché i fari dell’auto illuminano un ragazzo sbucato dal nulla, che cammina proprio sulla carreggiata. Evitata per un soffio la catastrofe e sentendosi in colpa per averlo quasi messo sotto, Kaia gli offre un passaggio, domandandosi chi sia questo misterioso ragazzo incappucciato che gira con solo uno zaino in spalla.
Ma le sorprese non finiscono: quando lui rimuove il cappuccio, rivela di essere affetto da albinismo, che gli impedisce di viaggiare alla luce del sole.
Entrambi hanno dei segreti, così come una destinazione da raggiungere.
A mezzanotte comincia il loro viaggio fatto di risate, equivoci, furti, situazioni imbarazzanti, letti condivisi e dolorose rivelazioni.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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III.

 

 

 

“Ma che schifezza è.” sbotto mentre rimetto a posto il cilindro impacchettato di biscotti che a prima vista mi erano sembrati attraenti. Poi ho letto il gusto: coca cola.

Seriamente? Ma chi li compra? E poi che significa esattamente, li hanno innaffiati nella coca cola e poi li hanno impacchettati? Bello schifo.

Oh, accanto c’è anche una versione peggiore: amarena e aranciata. Mmmh, slurp.

Lascio perdere i cookies e mi dirigo verso le torte. Sento ancora addosso l’amarezza della tensione di prima in macchina, di conseguenza ho bisogno di dolcezza e quindi via libera agli zuccheri.

Mentre sono persa nell’insostenibile leggerezza dell’essere indecisa tra la torta di zucca e quella di ricotta, qualcuno mi urta entrambe le spalle.

“Buuhh!”

Faccio un balzo in aria che perfino Epsilon rimane a bocca aperta. Scoppia a ridere dopo un attimo e io mi tingo di purpureo.

“Sei scemo? Non farlo mai più!” sbotto, per poi lanciare un’occhiata verso il fondo della corsia. Da qui riesco a malapena a intravedere il tizio dietro il bancone che controlla annoiato le registrazioni delle videocamere. Non si è mosso, ma non ha nemmeno riso, il che mi fa sperare che si sia perso il mio salto acrobatico.

“Oh, quindi sei anche-”

“Ti avverto: se stai per sparare un altro aggettivo che finisce con -fobica- ti arriva una testata che ti sbatto per terra. Per questa notte hai fatto abbastanza il saputello.”

“Sissignora!”

Ora che Epsi si è svuotato la vescica, pare di umore decisamente migliore.

“Allora, che si mangia stasera?” si informa, sfregandosi le mani pallide con aria affamata.

Mi giro verso le torte sotto vetro.

“Pensavo di prendere la torta di zucca, ti piace?”

Dalla sua faccia direi che la risposta è no.

“Be’, io l’adoro. Possiamo prenderne due, c’è abbastanza scelta qui!”

“Ti ingozzi sempre di dolci?” mi chiede, osservandomi sospettoso.

“Mh, non direi.”

Balle.

“Lo sai che gli zuccheri industriali sono la principale causa della crescita di tumori?”

“E tu lo sai che sei un tipo veramente spassoso?”

Epsi sbatte le palpebre, stupito. “Wow! Davvero?”

“No.”

Apro l’anta di vetro e tiro fuori una torta di zucca confezionata, per poi superarlo, dirigendomi nella corsia seguente. Epsi mi segue con discrezione.

Meno male che l’autogrill è vuoto, chi ci guarda penserebbe che siamo usciti dalla terza stagione di Stranger Things. In tal caso, Epsi sarebbe il numero…

“Cinque!”

“Mh?”

L’ho detto a voce alta? Ops.

Solo che Epsilon è la quinta lettera dell’alfabeto greco e mi è venuto naturale fare il collegamento.

“Niente” ribatto, imbarazzata, fissando con esagerata attenzione i pacchetti di Smarties “pensavo a Stranger Things.”

“Opporcamiseria, adoro quella serie! E ho anche la mia teoria sulla spiegazione del Sottosopra, la vuoi sentire? Praticamente...”

Ecco che si rimette a blaterare. Faccio il possibile per non ascoltarlo, quando mi rendo conto che la sua cosiddetta teoria è spaventosamente valida e sensata, e in un baleno mi viene la pelle d’oca alle braccia: Epsi ha dimostrato da circa un paio d’ore di essere un tipo sveglio e apparentemente intelligente, e quindi adesso giuro su Dio, se mi ha appena (anche involontariamente) spoilerato il finale di quella serie tv…

“Ehi, guarda qui.” mi sventola davanti alla faccia un pacchetto di...chips di mela.

“Che è questo schifo?” già arriccio il naso. L’immagine è troppo pulita, mi sa di sano. E nutriente. Ho una naturale avversione per i cibi sani e nutrienti.

“Non è uno schifo, di sicuro è meglio di tutto quello che hai preso tu.” replica Epsi, rigirandosi soddisfatto il pacchetto tra le mani. “Credo anche che sia la cosa meno cancerogena che vendano qui dentro, o quasi.”

Ecco, visto? Roba sana. Nope.

“Onestamente, sei tu quello che dovrebbe mangiare un po’ più di schifezze, sei pelle e ossa, un po’ di ciccia addosso non ti starebbe male...” ribatto, osservandolo di sottecchi. È magro come un chiodo, la felpa che indossa sarà almeno tre taglie più grande di lui. Ora che ci penso, non sembrano vestiti suoi.

Ancora non gli ho chiesto da dove sia arrivato; cioè, l’ho raccolto a lato della strada che ero già abbastanza lontana dalla città, quindi se lui era a piedi da dove diamine è partito? Non ci sono case da quelle parti, è una zona isolata e circondata da boschi.

Persa nelle mie cogitazioni, mi accorgo a malapena del: “Al volo!” di Epsi e mi volto smarrita, appena in tempo per vederlo lanciarmi un pacchetto che mi rimbalza contro il petto e finisce per terra.

Epsi solleva un sopracciglio. “Dormi?”

“Eh?” gli chiedo, osservando confusa il pacchetto di carotine pelate abbandonato sul pavimento.

L’albino si mette una mano sul fianco, con un mezzo sorriso. “Non era difficile da prendere. Hai sempre la testa così tra le nuvole o è solo mancanza di riflessi?”

Lo fisso a bocca aperta, incapace di muovermi, tanto che a un certo punto qualunque traccia di scherno scompare dal suo volto e i suoi occhi rossi si spalancano appena.

“Ma stai bene?”

“Senti, vado in bagno anch’io, tu intanto vai alla cassa.”

“Kaia, perché stai…?”

“Ah, e prendimi un succo di frutta, io faccio in un attimo.”

L’istante seguente mi fiondo in bagno senza dargli il tempo di dire altro.


 

 

Esco con calma, dirigendomi verso l’uscita. Vedo Epsi che mi aspetta accanto alla macchina, attraverso il vetro dell’Autogrill.

“Dobbiamo darci una mossa.” dico, sbloccando la portiera “Se non possiamo guidare di giorno perderemo un sacco di tempo e questo è un problema.”

“Perché tutta questa fretta di arrivare a Fort Grove?” mi domanda, mentre si infila la cintura.

“C’è qualcuno che mi aspetta.”

“Chi?”

Vado in retromarcia e mi immetto di nuovo in pista. Epsi è un maledetto ficcanaso. E non lo capisce, oh.

“Allora? Chi devi incontrare?”

“...Lo sai che sei peggio di un carciofo nel culo?” mi sfugge detto, e al diavolo l’educazione.

Epsi aggrotta la fronte. “Mh, non saprei, non conosco la sensazione.”

Mi ha risposto seriamente. Mi ha risposto seriamente.

“Non posso crederci.” sospiro, guardando fuori dal finestrino.

“Ah, quindi tu ci hai provato?”

“Che cazzo?!” torno a fissarlo esterrefatta.

“No perché a me sa di cosa parecchio dolorosa. I carciofi non hanno le spine?” insiste, scrollando le spalle. “Cioè, sono d’accordo con chi afferma che il mondo è bello perché è vario, eh. E non mi tiro mai indietro quando si tratta di sperimentare cose nuove, ma non vedo il motivo per cui qualcuno dovrebbe infilarsi un carciofo nel-”

“Era un modo di dire, che cazzo!” lo interrompo, più imbarazzata che mai. “Ma in che mondo vivi, si può sapere? Me l’hai preso, il succo di frutta?”

“Sì! Te lo do.” si sporge verso i sedili posteriori, dove ha appoggiato la borsa della spesa, per poi porgermi una bottiglietta di plastica. Si attarda ad aprirla, e all’improvviso sento un sibilo e mi arriva in faccia uno schizzo. “Ops, scusa.”

“Attento!” sbotto infastidita dalle goccioline finite sulle lenti dei miei occhiali. “Ma è gasata!”

Epsi mi fissa, curioso. “E allora? È comunque alla frutta, non è buona? Comunque, non mi sembrava un modo di dire. C’è gente che usa roba anche peggiore di un carciofo, per provare piacere.”

Il succo a momenti mi va di traverso.

“Bleah, fa schifo! Che cavolo, e comunque con quell’epiteto non intendevo certo dire che sei uno che piace! In realtà sei tremendamente fastidioso! Tutto quello che dici è fastidioso, perché sei un intollerabile ficcanaso!”

Premo con frustrazione la schiena contro il sedile, dopo quel piccolo sfogo. La strada è buia e l’ora digitale sopra il tachimetro segna quasi le tre del mattino.

Non avverto repliche e per un attimo penso di averlo offeso di nuovo. Però dopo, con la coda dell’occhio riesco a intercettare il suo sguardo e sta ghignando, lo stramboide.

“Be’, se non lo bevi lo metto via, è meglio guidare con due mani, no?” mi sfila la bottiglietta dalle mani e la chiude.

Ed eccolo che torna a fare il presuntuoso quando probabilmente non sa nemmeno come si tiene un volante.

Ma perché cazzo mi sono messa in macchina questo qui?

“Non vedo l’ora di trovare un hotel e mangiarmi quella torta...” sospiro in fretta, un po’ perché è vero, un po’ perché il mio stomaco ha gorgogliato così forte da farmi andare le guance a fuoco.

Epsi tira fuori il suo cellulare dallo zaino logoro per controllare. “Qui ne segna uno a circa sedici chilometri da dove siamo adesso. Ma se te la senti di guidare ancora per un po’ ce n’è uno tra quarantacinque chilometri, che ne dici?”

“Dico che per quarantacinque chilometri non voglio più sentirti cianciare.” replico con un sorrisino. “Apri il cassettino e tira fuori la radiolina.”

Epsi esegue, estraendo una scatolina di plastica, che si rigira tra le mani.

“Rammentami, in che anno siamo?” mi prende in giro, mentre gliela strappo dalle mani, sistemandola sul cruscotto.

“Non insultare la mia radio.” è una delle poche cose che mi sono portata dietro, prima di fuggire per sempre da quella casa. “O te ne torni a fare l’autostop.”

“Questa battuta inizia a diventare barbosa…”

“Non pensi che avrei le palle di farlo?” lo provoco, accendendo la radio e pigiando finché trovo un canale non disturbato.

“Sentiamo un po’ che succede nel mondo...” sospiro, mentre mi sistemo per l’ennesima volta sul sedile scomodo, volando con la mente in un universo parallelo in cui sono una schifosa riccona che governa tutti i mondi del sistema solare, alla guida di una Ferrari spaziale.

La radio inizia a vomitare una serie di notizie allegre, come al solito: una rapina a mano armata in una gioielleria questo pomeriggio; un incendio appiccato da un branco di teppistelli annoiati che poi se la sono fatta sotto e hanno allertato polizia, ambulanza e vigili del fuoco; un paziente fuggito da un ospedale che…

Non faccio in tempo a sentire altro che di colpo Epsi cambia stazione.

“Ehi! Che fai, stavo ascoltando!” rimetto il canale di prima.

“Ma è noiosissimo!” replica lui, cambiando di nuovo. E prima che possa fare qualunque cosa, afferra la radiolina e la piazza dalla parte opposta del cruscotto, lontana dalla mia portata. “Ecco, questa è decisamente meglio, no?” dice mettendo su una trashata di canzone che a momenti mi sanguinano le orecchie.

“Tu…!” mi mordo le labbra dal fastidio. Cristo, ma perché non tiene mai le mani a posto? “Questa è la mia macchina, insomma come te lo devo dire che non puoi fare tutto quello che vuoi?”

Per tutta risposta Epsi aumenta il volume, girando al massimo la manovella e facendomi uscire fumo dal naso. Mi sto incazzando abbestia. Lo sta facendo apposta per non ascoltarmi. Razza di maleducato!

E si è messo pure a cantare! Questo è troppo.

Stringo la mascella fino a sentire male mentre mi sforzo con tutta me stessa di contare fino a cinquanta. Lo faccio, ma la voglia di saltargli addosso e buttarlo fuori dalla macchina a padellate in testa non si attenua, e allora ricomincio da capo.

Faccio un respiro profondo e mi gratto una guancia, dando un’occhiata al paesaggio attorno a noi. Non c’è un cane per strada, a quest’ora. Inoltre, mi logora l’anima ammetterlo, ma questo cesso di musica sparata a palla mi sta tenendo ben sveglia. La verità è che sono stanca e senza forze, l’unica cosa che vorrei è gettarmi su un letto, ancora tutta vestita. Non so come caspita mi sia venuta la malsana idea di viaggiare sia di giorno che di notte con la presunzione di farcela, tutto sommato forse Epsi non ha avuto torto neanche su questo punto.

“Perché continui a grattarti?” mi chiede di punto in bianco, quando sento le guance prudere per la terza volta.

L’intera faccia mi prude, adesso. E anche un po’ il collo. Certo di ignorare la sensazione, ma non ci riesco e mi ritrovo di nuovo a grattarmi la faccia, imbarazzata, sapendo che mi sta fissando. Quanto sono sexy le ragazze che si grattano la faccia? Un sacco, ci scommetto.

“Kaia, ti stai gonfiando.”

“Che cosa?!” esclamo confusa, lanciandogli un’occhiata fugace.

“Smettila di grattarti!”

“Sì, facile parlare!” ruggisco, irritata. “Non sei tu ad avere il viso che sta andando a fuoco! Cazzo, che male!”

Ma che mi sta succedendo, santo cielo?!

Allungo il collo per dare un’occhiata al mio riflesso nello specchietto retrovisore e sbianco. La mia faccia...la mia povera faccia è tutta…

Trattengo il respiro dallo shock. E poi...

“MI HAI DATO DA BERE UN SUCCO DI PRUGNE!!!” urlo così forte da farlo sobbalzare.

“Eh?”

“Il succo che mi hai comprato! Quello che mi hai fatto bere prima, quella schifezza gasata, non mi dire che è al gusto di prugna? Io sono allergica alle prugne, cazzo! Cazzo, cazzo, cazzo!” accompagno ogni imprecazione con un secco colpo di clacson.

Nervosa e dolorante come sono, prendo la prima uscita, e solo mentre Epsi blatera una serie di minchiate sul fatto che devo rilassarmi e che un bravo conducente non dovrebbe giocare con il clacson, mi accorgo di essermi sbagliata.

“Cazzo!! Ecco, visto? Mi hai fatto sbagliare l’uscita!”

“Io? Ah, è di nuovo colpa mia, quindi? Scusa, ma chi di noi sta guidando?”

“No!! Non ci provare nemmeno, capito?! Non dopo quello che mi hai fatto, perché ti giuro, sono a tanto così dall’ammazzarti!”

“Ma non l’ho fatto apposta-”

“E invece sì! Bastardo!”

“Ti dico di no, non avevo letto che era una bibita gasata.” Epsi indugia, indeciso se onorare la sua causa, e naturalmente prende la decisione sbagliata. “E poi tu non mi hai mai informato di essere allergica alle prugne.” borbotta, pentendosene subito quando sembro sul punto di saltargli alla gola. Purtroppo si salva perché al momento non posso accostare.

“Sì e infatti chi cavolo compra una bevanda energetica al gusto di prugna?! Nessuno sano di mente lo farebbe! Compri un succo d’arancia, di mela, di pesca, d’uva, di carciofo, ma non di prugne! Che schifo!”...e che male.

Ho il viso butterato e rosso per via della reazione allergica. Ha iniziato a gonfiarsi subito dopo che Epsi ha aperto quella fottuta lattina, schizzandomi in faccia metà del contenuto e ora sto soffrendo come un cane. E ho lasciato la pomata per emergenze come questa a casa.

Tra gli insulti e gli spergiuri contro Epsi, credo di averlo anche minacciato che di questo passo solo uno di noi raggiungerà Fort Grove tutto intero; a pensarci bene però, visto come sono messa, mi domando chi di noi due.

Non faccio in tempo a chiedermelo che in un baleno il dolore si è fatto insopportabile e il mio compagno di viaggio ha saggiamente proposto di fermarci all’hotel che aveva visto su google maps poco fa. Anche perché ormai ho sbagliato l’uscita, siamo qui e non ho né la forza né l’intenzione di rimettermi a guidare.

La mia pelle frizza e tira. Il mio viso è talmente gonfio che sembra un pallone da basket.

Parcheggiamo nello spiazzo di fronte al modesto hotel a tre piani, di fronte a noi.

Epsi mi cammina a fianco, sforzandosi di non infastidirmi più in alcun modo, ma ciò non mi ferma dal dire tre parole in croce, ben precise: “Ti voglio ammazzare.”

 

Ɛ


 

“Buonasera! O buongiorno, veda lei. Vorremmo una doppia.” esordisce Epsi con un sorriso che non tocca minimamente l’espressione morta e scettica della vecchia dietro il bancone, che molla il suo giornalino di parole crociate e fa saettare gli occhi avvizziti da lui a me, ripetutamente, con aria prevenuta.

Dio santo, so a cosa sta pensando.

Immaginate di essere soli, nel cuore della notte, e all’improvviso nella reception del vostro hotel entrano due personaggi, uno dei due sembra un morto vivente appena uscito da un film di Stephen King, mentre l’altra ha una faccia larga come un pallone, che sembra un piatto di pustole.

Che cosa direste?

“...Le ho finite.”

La risposta della vecchia mi fa chiudere gli occhi, nel più totale sconforto. Che cazzo di nottata.

Ma Epsi non si dà per vinto. “Tutte quante? Non ne è rimasta neanche una?”

La donna si alza sbuffando dalla sedia girevole e si solleva sulle punte per afferrare l’unica chiave rimasta dal tabellone verde appeso al muro, alle sue spalle.

“Questa è l’ultima, una matrimoniale. Ma posso darvela solo per questa notte, una coppia l’ha prenotata da domani per tutto il resto della settimana. Vi sta bene?”

“Certamente!”

“No, col cavolo!”

Abbiamo parlato all’unisono. Ma che coppietta carina, scommetto che la vecchia nasconde un fucile sotto la scrivania che sta seriamente pensando di tirare fuori, lo vedo dalla sua faccia.

Epsi mi guarda come se fossi scema. “Kaia, non mi sembra il momento di fare la schizzinosa. Siamo già stati abbastanza fortunati a beccare l’ultima disponibile.”

Parla con il tono della saggezza nella voce. Odio quel fottuto tono.“Ho detto no.” sibilo, rabbrividendo al solo pensiero. “Non se ne parla.”

“Non la volete? Va bene.” fa spallucce la vecchia signora, per poi rimetterla al suo posto.

“La prendiamo!” decide infine Epsi, ignorando tutte le mie seguenti proteste. “Quant’è?”

“Venticinque dollari in totale.”

Epsi appoggia un paio di banconote sul bancone e prende le chiavi. Il tutto sotto i miei occhi allucinati.

“Primo piano, terza porta alla vostra destra. Niente animali, niente fumatori e soprattutto niente schiamazzi. Quindi regolatevi.” ci avverte l’anziana donna, guardandomi con un’occhiata impossibile da fraintendere, che d’istinto mi sento obbligata a chiarire una cosa.

“Non stiamo insieme!” sbotto mentre al prurito per la reazione allergica ora si aggiunge il bruciore sulle mie guance rosse dalla vergogna. La vecchia mi ignora e torna alle sue parole crociate. “Perché crede volessimo una doppia, altrimenti?” insisto, incapace di controllarmi, quando Epsi mi prende per un braccio e mi tira via.

“È la reazione allergica a farti comportare così? Ha detto: niente schiamazzi. Datti una calmata e rilassati, intanto vediamo la camera, dopo vado a prenderti del ghiaccio.”


 

 

Ovviamente non è una reggia, anzi.

È fin troppo piccola e per raggiungere il bagno dobbiamo farci stretti perché tra il fondo del letto e la parete ci saranno appena otto centimetri di spazio per passare.

Il letto.

Un letto matrimoniale, con pesanti coperte marroni e cuscini bianchi.

Lo guardo e mi assale il panico.

Epsi è uscito da un paio di minuti e io incrocio le braccia al petto, tentando di calmare la morsa che mi stringe il cuore, aumentandone i battiti. Guardo fuori dalla finestra, l’unica della stanza: la luce dei lampioni arancioni illumina quel poco di autostrada visibile da qui, prima che il tutto venga inghiottito dall’oscurità.

C’è ancora un po’ di strada da fare. Non è finita.

E in qualche modo, devo resistere fino a Fort Grove.

C’è solo una cosa che mi preoccupa in questo momento, e non è il disastro che ho al posto della faccia, ma il letto.

La porta della stanza si chiude e mi volto, vedendo che Epsi è tornato con un pacco di ghiaccio secco in mano.

“Tieni.” mi dice. “Nello zaino ho una pomata all’aloe, non so se può aiutarti a sgonfiare il viso, ma dovrebbe almeno attenuare il bruciore.”

Tira fuori una busta di plastica dallo zaino, rovesciando due o tre inalatori per l’asma, una scatola di compresse e antibiotici, un rotolo di bende pulite e cerotti, una boccetta di disinfettante e qualche tubetto di pomata sul materasso. Epsi viaggia portandosi dietro mezza farmacia.

“Il letto è mio!” balbetto imbarazzata, provocando la temutissima reazione interrogativa sul volto di Epsilon.

“Come, scusa?”

“Hai sentito.” rispondo, voltandomi verso la finestra per non doverlo guardare.

Un breve attimo di silenzio, poi: “Ma è a due piazze, ci stiamo comodi entrambi.”

“E invece no!” quasi strillo, ricomponendomi con un lungo respiro. “Io ho... ehm, una sincope.”

“Cos’hai, tu?!”

“Una sindrome! Intendevo sindrome, io ho una sindrome.” mi schiarisco la voce, imponendomi di continuare col massimo della credibilità. “Mi accade sempre di notte, è che ho il sonno molto agitato e la cosa si riflette sul mio...mh… sistema fisico-linfatico, perciò...”

“Ma che stai dicendo.” borbotta Epsi, tutt’altro che incline a cascarci.

“...Perciò, quando dormo, tiro calci a tutto spiano!” concludo, con aria mortificata. “E stiamo parlando di botte belle forti eh, te l’assicuro. Una volta ho colpito la mia sorellina talmente forte che non ha mai più voluto dormire con me.”

“Non credo a mezza parola.”

“Ma è la verità, ti dico!”

L’albino si mette le mani sui fianchi, per poi osservare il letto in silenzio.

“Ok e sentiamo, io dove dovrei dormire?”

Mi volto senza dire nulla, ma quando lui segue il mio sguardo i suoi occhi si incendiano.

“Fai sul serio? Per terra?! Che cavolo c’era in quel succo, hai visto le dimensioni di questa stanza? A momenti non riesco a muovermi in piedi, figurati se riesco a sdraiarmi!”

Non ha tutti i torti, eh.

“Però...” rifletto, più desiderosa che mai di terminare questa conversazione. “Il letto è rialzato e non c’è polvere, sotto dovresti stare comodo.”

La stronzata che ho detto è grossa quasi quanto gli occhi spalancati di Epsi e ovviamente il ragazzo scatta.

“Pensi davvero che dormirò sotto il letto?! Ma tu sei tutta matta! Io ho pagato per questa camera e quindi mi spetta metà del letto, che a te stia bene o meno! Chiaro? Perché non ho alcun’intenzione di strisciarci sotto, come il mostro delle fiabe.”

“Be’” nascondo la faccia dietro il pacco di ghiaccio, mentre mi lascio andare in una risatina imbarazzata “peccato, avresti potuto cogliere l’occasione per spaventarmi mentre dormivo. Non dire di non averci pensato, su!”

Epsi si blocca a fissarmi con una serietà che mi fa congelare a mia volta e in un baleno le mie risatine stupide terminano.

“Quindi è questo che sono io, per te?” mi domanda, senza muovere un muscolo. La fissità dei suoi occhi rossi mi fa scorrere un brivido in tutto il corpo. “È questo che ti sembro quando mi guardi, un mostro.”

Sento la bocca farsi asciutta e secca. D’istinto cerco di deglutire, ho troppa poca saliva in gola e le parole di Epsi mi hanno colta davvero impreparata. Non so come descrivere la sensazione che provo, sotto il suo sguardo che, ad ogni secondo che passa, mi sembra sempre più accusatorio.

“N-no...no no no, assolutamente no, non volevo mica...”

“Perché al momento, ti assicuro che tra noi due la più brutta sei tu.” aggiunge con un ghigno sottile che non riesce a nascondere del tutto e che in meno di un secondo scioglie definitivamente l’atmosfera di ghiaccio che era andata creandosi. Sento il viso tornarmi in fiamme e riparto all’attacco, furibonda.

“Sì e di chi è la colpa se ho questa faccia?! E ti permetti pure di ridere, che faccio se resto così per sempre?!” squittisco terrorizzata, mentre lui alza gli occhi al cielo, rimettendo a posto le cose nello zaino.

“Ma finiscila un po’. È solo una cosa temporanea, domani sarai come nuova. Vado a fare una doccia, continua a tenere su il ghiaccio.”

Lo vedo sparire in bagno, poi faccio una linguaccia alla porta chiusa.

 

 

Ɛ

 

 

Ho deciso che dormirò dalla parte della finestra, perché in quell’angolo c’è anche un minuscolo televisore, che accendo sdraiandomi sul materasso, mentre dal bagno lo scrosciare dell’acqua calda riempie la stanza di un leggero vapore muschiato. È piacevole. Mi aiuta a rilassarmi.

Certo che a Epsi piace starsene sotto l’acqua, è passata già mezz’ora e in tutto questo tempo ho continuato a usare il ghiaccio e ho applicato un po’ di quella pomata che mi ha dato. Il viso si è notevolmente sgonfiato, ma sono piena di macchioline rosse un po’ ovunque, sembra che ho il morbillo.

Al diavolo.

Faccio zapping sui canali e getto un’occhiata mio cellulare, appoggiato sul comodino di fianco al letto, accanto al telefono dell’hotel. L’ho tenuto spento per tutto il viaggio, non volevo rischiare di ricevere una chiamata improvvisa da un padre ancora mezzo ubriaco, che svegliandosi nel cuore della notte non ha più trovato né la figlia, né la macchina. Probabilmente, sarebbe più sconvolto per la seconda.

Quando mi stufo di Tom & Jerry, cambio di nuovo canale e finisco sul notiziario. Stanno parlando dell’incendio che quei quattro dementi hanno appiccato questo pomeriggio. Le mie palpebre tremolano appena, mentre sprofondo un po’ di più nel cuscino, e di colpo chiudo gli occhi. Sento che tra poco crollerò dal sonno.

Nel frattempo, la voce della giornalista mi accompagna nel dormiveglia, sempre più lontana…

Passiamo ora ad un’altra notizia; è avvenuta un’evasione dall’ospedale psichiatrico di Eston, questa notte, verso le undici. Eston è da dove vengo io, ma non presto molta attenzione. Ho troppo sonno. “Uno dei pazienti tenuti sotto osservazione è riuscito a fuggire, disattivando il sistema di sicurezza dell’ospedale. Le autorità sono state avvertite il prima possibile, uno dei medici primari dell’ospedale ha informato i media che non si tratta di un individuo violento, ma è mentalmente instabile e ciò potrebbe portarlo a diventare molto pericoloso per chi gli sta accanto. Ventun anni, un metro e settantotto, affetto da albinismo, risponde al nome di Ingemar Sandström.”

Come se qualcuno mi avesse scrollata con forza per risvegliarmi da un incubo, i miei occhi si spalancano di scatto.

Che cos’ha detto…?

Affetto da albinismo?

Questa è la sua foto. Se vedete il ragazzo, siete pregati di contattare questo numero, in modo da avvisare le autorità.”

Il mio sguardo si posa sul numero che lampeggia sullo schermo del televisore, proprio sotto la foto di Epsi.

Esatto, quello è Epsi.

Punto i gomiti e mi metto a sedere, senza riuscire a staccare gli occhi dalla foto del ragazzo.

Le parole della giornalista mi rimbalzano nella mente come particelle impazzite.

Paziente. Ospedale. Eston. Evasione. Pericoloso.

Mi avvicino al televisore, a quel viso immortalato nell’immagine che mi restituisce lo sguardo con quegli occhi color rubino, rifiutandomi di crederci.

E poi, ci ripenso.

Ho trovato Epsi fuori Eston, che camminava in mezzo alla strada sotto un temporale che avrebbe scoraggiato parecchia gente già solo ad uscire in macchina. Quale altro motivo avrebbe una persona, di vagare da solo sotto un tempaccio del genere e così lontano dalla città, se non...per fuggire?

Deglutisco, avvertendo le mie dita farsi gelide.

Io ho trovato Epsilon.

Io gli ho offerto un passaggio.

Tutte le cose che mi ha raccontato, tutto quello che mi ha detto, erano solo menzogne.

Mi copro la bocca con le mani, terrorizzata, ripensando alle parole della giornalista.

Mentalmente instabile…

Cammino verso il comodino e afferro tremando il cellulare, accendendolo.

Ciò potrebbe portarlo a diventare molto pericoloso…

“Andiamo, muoviti!” sussurro nervosa, mentre il cellulare si prende tutto il cazzo di tempo del mondo per accendersi e quando mi chiede la pin, le mie dita tremano così tanto che la sbaglio per due volte di fila.

Getto un’occhiata al televisore per leggere il numero di telefono da chiamare, quando la voce di Epsi mi ferma.

“Non lo fare.”

Il mio cuore perde un battito e mi volto di scatto. Epsi è uscito dal bagno, con un paio di pantaloni grigio scuro addosso. Ha la pelle umida e i capelli bagnati, sembra una tavola senza colori. Solo i suoi occhi risaltano e sono puntati su di me.

“Kaia. Mettilo giù.”

La mia mano stringe con più forza il cellulare e senza pensarci mi fiondo verso la porta, ma Epsi è più vicino e faccio appena in tempo ad abbassare la maniglia, aprendola, che con un colpo la chiude con violenza, senza più spostare il braccio.

Mi allontano da lui, incespicando contro il letto, per poi appiattirmi nell’angolo vicino alla finestra, il più lontano possibile da lui.

Epsi gira la chiave nella toppa, per poi infilarla nella tasca dei pantaloni, senza perdermi di vista un attimo.

Mi fissa con i suoi occhi contro natura, mi fissa come non ha mai fatto prima e in un istante avverto la paura prendere il sopravvento.

C’è un lungo momento in cui nessuno dei due fa niente; nessuno parla, nessuno si muove.

Poi Epsilon sorride mestamente, sospirando. “Ecco perché non si dovrebbero mai offrire passaggi agli sconosciuti.”

 

 

 

continua

 

 

 


Mi scuso per la lentezza negli aggiornamenti di questa storia, purtroppo tra studio e nuovo lavoro sono stata catapultata in una nuova routine giornaliera alla quale non sono riuscita ad abituarmi subito.

Ma ad ogni modo, eccoci qui.

Una “piccolo” colpo di scena, eh? Vi aspettavate qualcosa del genere?

Spero che il capitolo abbia suscitato il vostro interesse, nel frattempo ringrazio chi ha recensito la storia e arrivederci al prossimo aggiornamento; quale mistero si nasconde dietro il personaggio di Epsilon?

Credete che farà del male alla nostra Kaia?

A presto,

 

LL

 

 

 

 

 

 

 
   
 
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