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Autore: LyaStark    07/10/2018    4 recensioni
Erano quindici anni che la nave Realgar solcava la rotta tra Veran e Encondida, trasportando il rame da quest’ultima alla capitale. Il dirigibile tracciava la sua strada nel cielo battendo la bandiera della Compagnia dei Mercanti, la più potente gilda commerciale di tutto il mondo conosciuto.
Qualsiasi capitano che desiderasse trasportare merci all’interno dell’Impero doveva sottostare alle sue regole.
I furti e le truffe erano severamente puniti.
Dai dirigibili in partenza dalla capitale si potevano vedere i cadaveri dei ladri, penzolanti da lunghe funi attaccate ai moli del porto. C’erano capitani, marinai semplici, timonieri e macchinisti. La Compagnia non perdonava nessuno, non accettava nessuna giustificazione. Quei corpi non erano nient’altro che un monito.
Chi ruba verrà punito, dicevano. Ricordate a chi dovete la vostra lealtà.
Era la legge, e la legge valeva per tutti.
O perlomeno per quelli che venivano scoperti.
Seconda classificata al contest "Racconti al profumo di frutta” indetto da Dollarbaby sul forum di EFP
Prima classificata a parimerito al contest “Bionica mente” indetto da molang sul forum di EFP.
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CARDS SPEACK FOR THEMSELVES

LA SCOMMESSA
 
“Wild card up my sleeve
Thick heart of stone
My sins my own
They belong to me, me”

Gloria, Patti Smith
 
La prime luci del mattino la trovarono sveglia, già attiva. Si fece un bagno caldo, districando quella massa informe che erano i suoi capelli. Doveva in ogni modo possibile fare una buona impressione. Decise di vestirsi con cura, lasciando da parte i suoi soliti vestiti sporchi di olio per motori. Mise la camicia più pulita che aveva, stringendo bene i lacci del corpetto al di sopra. Abbandonò i suoi cari, vecchi pantaloni ammorbiditi dall’uso per una gonna pesante e barocca, più corta sul davanti, che aveva comprato in preda a una qualche forma di follia. Mettere le gambe in mostra non le avrebbe fatto del male. Avrebbe potuto aiutare a distrarre quei contabili fissati della Compagnia dalla sua storia. Lasciò a casa il suo fidato monocolo e la spada, prese la sacca di soldi e uscì.
Camminò spedita, diretta verso la sede principale della Compagnia. Una pioggerellina leggera le cadeva addosso, donando un’aria grigiastra e opaca a ogni cosa. Nonostante ciò la città era un incredibile miscuglio di persone, odori e colori, brulicante di vita già dalle prime ore del mattino. Commercianti gridavano le proprie offerte, i banchi addossati uno all’altro sulla via principale. Compratori si contendevano stoffe e pentole, orologi e cappelli. Le case erano basse e curate, ben diverse da quelle dei rioni più poveri ma non belle come quelle della zona ricca.
L’aria era satura dell’odore di gas e dei vapori di scarico, talmente densi che sembrava quasi di berli. Nonostante le fabbriche di ingranaggi fossero distanti le loro emissioni continue intasavano la città. Era impossibile respirare aria pura senza uscire da Venar.
Attraversando uno dei fiumiciattoli che tagliavano la capitale, Sheridan lanciò nell’acqua il sacco con tutti i soldi che aveva. Si costrinse a rimanere impassibile vedendo tutti i suoi guadagni affondare nell’acqua torbida. Era per sopravvivere. Era necessario.
Il cielo sopra di lei era solcato dalle scie della tramvia, piccole navi che andavano da un lato all’altro di Venar. Era a una delle stazioni che era diretta. Da lì sarebbe andata fino alla collina di Carina, dove si trovava la sede principale della Compagnia. Era la zona ricca dei mercanti, abbastanza vicina al porto ma comunque sufficientemente lontana per rendere chiaro che la gilda commerciava, non si sporcava le mani scaricando casse.
Quando finalmente arrivò alla sede della Compagnia mancava poco a mezzogiorno. Era un miracolo che il trabiccolo volante che l’aveva portata fin lì non si fosse schiantato sulla città. Attraversò la strada lastricata e fissò l’enorme palazzo. Un’alta scalinata portava a un portico di pietra grigia, interrotto qua e là da colonne. Uomini e donne in abiti eleganti si affrettavano per le scale, entrando e uscendo dal palazzo. Al piano superiore si aprivano delle enormi finestre mascherate da tende rosse. Sul timpano, in grosse lettere ramate, campeggiava la scritta “Compagnia dei Mercanti”.
Sheridan rimase ferma sulla strada, sentendosi all’improvviso piccola e stupida. Non sarebbe mai riuscita a ingannarli. Non lì dentro, nel loro campo di gioco, dove erano loro a dettare le regole. Si fece forza per salire i gradini, un passo dopo l’altro, fino sulla soglia dell’enorme porta di legno. Ai suoi lati c’erano due guardie armate, perfettamente vestite nelle uniformi della Compagnia.
Per la seconda volta si bloccò. Non ce l’avrebbe fatta. Sarebbe morta.
– Miss? –
La voce di una delle guardie la fece sussultare.
– Sì? –
– Non potete fermarvi qui. O entrate o ve ne andate. –
Sheridan deglutì, sforzandosi di ricordare perché era lì. Era l’istante prima della scommessa, quando guardavi la verità delle tue carte e ti accorgevi di che mano avessi davvero. Pensava di poter vincere?
Sheridan fece un lungo respiro. – Sì – mormorò. – Entro. –
Poi con un passo superò la porta e fu dentro.
 
▪▪▪
 
La sede della Compagnia trasudava ricchezza. Al pian terreno c’era un’enorme unica stanza attraversata da scrivanie, dove i clienti concludevano i propri affari con la gilda. C’era silenzio, rotto solo dal mormorare sommesso dei mercanti e dal tintinnio dei registratori di cassa. Si vedevano ovunque vestiti eleganti, portamenti orgogliosi, sorrisi soddisfatti e borselli pieni.
Una grande scalinata portava al piano superiore, di cui si intravedeva solo una balconata. Sul camminamento intervallato da colonne qualche figura avvolta nell’oscurità guardava con attenzione la scena che si svolgeva al di sotto. Quello era lo spazio dedicato ai clienti più importanti, agli investimenti maggiori. Era lì che si realizzava il vero guadagno della Compagnia.
Sheridan si diresse sicura verso la base della scalinata. Due uomini, impettiti e con i muscoli in bella mostra, ne impedivano l’accesso. La macchinista era sicura che le spade che portavano alla vita non fossero ornamentali.
– Avete un appuntamento? – disse l’uomo di destra, squadrando Sheridan con supponenza.
– No, ma credo che dovrei. Devo denunciare un furto. –
La guardia strabuzzò gli occhi. – Dovete denunciare cosa?
– Un furto – Sheridan sostenne lo sguardo senza farsi intimidire.
– Se è uno scherzo, sappiate che è di pessimo gusto. –
– Non lo è. Voglio parlare con qualcuno. –
Le due guardie si scambiarono un’occhiata rapida, poi quella di destra parlò: – Bene. Seguitemi. –
La scortò su per le scale senza più dedicarle uno sguardo. Arrivati al ballatoio procedette fino all’ultima porta, poi bussò piano.
– Aspettate qui – disse a Sheridan prima di entrare.
La macchinista rimase ferma, osservando meglio il pavimento di marmo, le statue dorate, i tendaggi di broccato del ballatoio. Persino l’aria profumava di soldi. Prese un bel respiro e chiuse gli occhi, godendosi quell’odore. La calma che aveva minacciato di abbandonarla prima di entrare era tornata.
– Mr. Greville vi attende. –
Sheridan riaprì gli occhi. La guardia la stava fissando.
– Grazie – la macchinista entrò nella stanza, lasciando che la guardia le chiudesse la porta alle spalle. Era entrata in una sala spaziosa, illuminata dalla luce che entrava da un’ampia finestra alle spalle dell’imponente scrivania. Lì campeggiavano un mappamondo, un registratore di cassa e una clessidra. Il tempo è denaro.
– Accomodatevi, prego. –
Un uomo di mezza età, pelato, con un paio di occhiali a mezzaluna la stava fissando con aria bonaria da dietro la scrivania. Le indicò una delle due sedie imbottite davanti a lui.
– Non credo di avere l’onore. –
– Nossignore – Sheridan inclinò il capo. Meglio mostrarsi servile. – Sono Ella Sheridan, capo macchinista della Realgar.
– Incantato, Miss Sheridan. Perdonerete la mia fretta, non ho tempo da perdere. Il mio uomo mi ha già detto perché siete qui ma tendo a non fidarmi delle voci. Cosa volete? –
Sheridan prese un lungo respiro e piegò le labbra in una smorfia. – Voglio denunciare un furto. –
Ecco, era fatta. La partita era iniziata.
Greville sbarrò gli occhi, le sopracciglia alte sulla fronte e gli occhiali sulla punta del naso. – Un furto. Siete sicura? –
– Sissignore, sulla Realgar. La nave trasporta… –
– Trasporta rame e tessuti da Encondida alla capitale. Sì, Miss Sheridan, lo so. Mi perdonerete se faccio fatica a credervi ma è molto difficile rubare alla Compagnia. Siamo molto attenti. –
– Non abbastanza, se permettete, signore – Sheridan parlava in fretta, come intimorita. Sentiva il sudore inzupparle la schiena. – So per certo che sta succedendo qualcosa sulla nave. –
Greville si appoggiò più comodamente sulla sua poltrona, chiudendo con un colpo secco il libro mastro davanti a lui. Non avrebbe potuto liquidare in fretta la questione. Il furto era una cosa seria.
– Permettete che vi fermi un attimo, Miss Sheridan. Quello che state insinuando è grave. Ne siete sicura? –
Sheridan annuì lentamente. – Purtroppo. E so anche che, se fossi al corrente di un furto e non lo denunciassi, la mia posizione a bordo sarebbe in pericolo. –
Greville incrociò la punta delle dita. – Questo è il regolamento, sì. Non c’è pietà per i ladri o per gli omertosi, nella Compagnia – l’uomo fissò Sheridan da sopra gli occhiali per qualche istante. – Ditemi quello che sapete. –
La macchinista si mise più comoda. – So per certo che il capitano Chapman è in combutta con un gruppo di ladri di Encondida per rubare il rame. Sono sicura che abbiano già preso alcune casse. –
Greville ascoltava impassibile. – E da dove vi viene tutta questa certezza? –
Sheridan rimase in silenzio per qualche secondo. Quella era la parte più delicata dell’intera faccenda. Se il mercante le avesse creduto sarebbe stato tutto in discesa.
– Il capitano mi ha portato a un incontro con la banda, a Encondida. Sperava che potessi unirmi a loro, hanno bisogno di paio di braccia in più. –
– E come mai il tuo capitano si sarebbe fidato così tanto di voi? –
– Sono la sua seconda da cinque anni, signore. Sono la figlia di un suo vecchio amico e mi ha aiutato ad entrare nella compagnia quindici anni fa. Probabilmente ha creduto che non potessi tradirlo. Gli devo molto. –
– Non abbastanza a quanto pare – Greville fissava Sheridan con intelligenza. Sotto all’espressione seria, la macchinista capì che era disgustato dal suo tradimento. Un mercante di buon cuore, che cosa rara.
– In più – continuò Sheridan. – Ho un problema con le carte. Mi piace giocare. –
Greville annuì e la macchinista lo fissò di rimando, in attesa delle domande. Non avrebbe fatto l’errore di inondarlo di dettagli. Doveva sembrare che fosse stata appena introdotta nel giro dei ladri.
– Come avverrebbero questi furti? –
– È un metodo ingegnoso. A Encondida, un complice carica sulla nave una cassa di rame in più segnandola come trasporto di tessuti. In pieno viaggio il capitano va in stiva, apre il portellone e sostituisce il rame con la stoffa che gli viene portata dai ladri. Poi loro se ne vanno con il metallo, Chapman chiude la cassa con dentro il tessuto e il gioco è fatto. Nessuna traccia nei libri mastri. Semplice e veloce. –
Greville aveva lo sguardo perso di chi sta ragionando furiosamente. Sheridan trattenne un sogghigno, convertendolo in un sorriso mesto. Doveva sembrare affranta da tutta quella situazione. Solo così le avrebbe creduto.
– E come mai nessuno ha trovato strano che il capitano scendesse così spesso in stiva? –
– È il capitano – Sheridan si strinse nelle spalle. – Nessuno lo sorveglia, soprattutto non di notte. E poi è a lui che spetta controllare il carico. –
Greville annuì lentamente. Sheridan sapeva di aver toccato il tasto giusto. Quello era uno dei principali crucci della Compagnia: il capitano della nave aveva il compito di sorvegliare l’equipaggio e le merci, evitando i furti. Per quello erano pagati tanto. Ma chi poteva controllare i capitani, se avessero deciso di rubare?
– I ladri. Chi sono? Dove si ritrovano? –
Anche qui, Sheridan sapeva di non poter esagerare. Prudenza.
– Il capitano Chapman mi ha portato in una casa, vicino all’osteria “Tre Boccali” a Encondida. È nella zona più malfamata della città. A cento metri dall’osteria, in un vicolo sulla destra. La terza porta a sinistra. –
Greville inarcò un sopracciglio. – Sono molti dettagli per una che c’è stata una volta sola. –
Sheridan cercò di sembrare intimorita. – Posso essere sincera? Avevo paura. Ho pensato che un’idea di dove mi trovassi non mi avrebbe fatto male. In più, non si diventa capo macchinista a venticinque anni se non si ha una buona memoria. –
Greville annuì piano. – Proseguite. –
– Dentro c’erano cinque persone. Il capo, quello con cui ho parlato, si chiamava Renard. Mi ha spiegato i dettagli, mi ha proposto un guadagno, ci siamo stretti la mano – Sheridan si sforzò di far tremare la voce. – Dovete capirmi, signore. Avevo paura che se non avessi accettato mi avrebbero uccisa. Non voglio morire. –
L’espressione di Greville si addolcì. – No, certo che no. E poi cos’è successo? –
Sheridan scosse la testa, una smorfia di terrore in volto. – Io… –
– Avete fatto la rapina, non è vero? –
Sheridan scoppiò in un pianto dirotto. Avrebbe dovuto fare l’attrice. – Sono stata costretta. Il capitano mi ha detto che mi avrebbe uccisa se mi fossi rifiutata – singhiozzò. – Ho dovuto aiutarlo! –
Greville la lasciò piangere per qualche minuto, poi le porse un fazzoletto. Sheridan lo afferrò, tamponandosi gli occhi.
– Capisco la vostra situazione, Miss Sheridan. Vi siete ritrovata tra due fuochi – Greville la fissava bonario, ogni traccia di sospetto e disgusto svaniti. – Se quello che avete raccontato è vero, non dovete temere. Avete denunciato subito il fatto e sono sicuro che restituirete anche quanto avete guadagnato da questa attività illecita. Ma se mi avete mentito... – l’espressione dell’uomo si fece più torva. – Se mi avete mentito nemmeno la buona volontà nel denunciare i vostri complici vi salverà dalla forca. –
Sheridan annuì, ancora scossa dai singhiozzi. – Ve lo giuro signore. Restituirò tutto quello che mi ha dato il capitano – le sue dita corsero al borsello che teneva in vita e lanciò tremante due aurei sulla scrivania. – Non voglio saperne niente di questo denaro. –
Greville fissò i soldi sul tavolo, poi si alzò, controllò l’orologio che portava al taschino e si diresse verso la porta. – Miss Sheridan, quello che mi avete raccontato merita dei controlli. Sentirò i miei colleghi della Compagnia a Encondida, per controllare se c’è stata effettivamente una sparizione di partite di rame. Senza di voi ce ne saremmo accorti con ritardo e non saremmo riusciti a risalire alla Realgar. Tuttavia – Greville si fermò sull’uscio, fissando Sheridan con attenzione. – Tuttavia, mentre verranno fatte queste verifiche, voi dovrete aspettare qui. Ci vorranno delle ore. In questo tempo non potrete allontanarvi dall’edificio. Carson, l’uomo che vi ha accompagnata qui, rimarrà di guardia davanti alla porta. Spero che capirete. –
Sheridan annuì. – Sissignore. –
– Molto bene – Greville si allontanò rapido, chiudendosi la porta alle spalle.
La macchinista fece un lungo sospiro, stravaccandosi sulla sedia. La tensione era sparita. Greville le aveva creduto. Si asciugò meglio gli occhi, osservando il fazzoletto del mercante. Era di lino e le iniziali dell’uomo campeggiavano in un angolo. Pregiato, molto pregiato.
Le verifiche di Greville le avrebbero dato ragione. Le partite di rame erano sparite dalla miniera, caricate sulla Realgar. Se poi la Compagnia avesse trovato i ladri, questi sarebbero semplicemente scomparsi. La gilda sapeva essere spietata. Non rimanevano tracce del suo operato, non un’anima viva.
Sheridan non riuscì a trattenere un sorrisetto. Una volta sistemati i ladri rimaneva solo Chapman. Sentiva di averlo in pugno. Era il pensiero più bello della giornata.
Prudenza, si ricordò. Non doveva fare l’errore di credere di aver vinto. La partita si stava ancora svolgendo. Si sedette più composta e aspettò. I secondi divennero minuti e i minuti ore. Un cameriere in livrea le portò da mangiare e da bere. Lesse uno dei libri che Greville aveva nella libreria. Camminò su e giù per la piccola stanza, fece girare il mappamondo. Si annoiò e si agitò quando l’idea che il mercante avesse scoperto il suo inganno le si affacciò alla mente.
Finalmente, quando ormai aveva perso le speranze, la porta si aprì e Greville marciò all’interno della stanza.
– ­Miss Sheridan – esordì mettendosi seduto. – Perdonatemi, ma questa attesa era necessaria. Avete detto la verità. A Encondida sono sparite più di quaranta partite di rame in un periodo di due anni. Abbiamo mandato la nostra polizia privata dove ci avete indicato, sperando di trovare i ladri. Così è stato. Purtroppo hanno, come si dice, opposto resistenza – l’espressione di Greville lasciava intendere che non era per niente dispiaciuto. – Nessuno di loro è sopravvissuto. –
Sheridan dovette costringersi a trattenere un sorriso. Nascose il volto nel fazzoletto soffocando sul nascere un urlo di gioia.
– Non siate affranta – il mercante aveva interpretato quel gesto come sofferenza. – Quei ladri hanno avuto ciò che si meritavano. Ora toccherà al vostro capitano. Ma prima ci siete voi. –
Sheridan sollevò il capo, improvvisamente sull’attenti. – Signore? –
Greville si appoggiò allo schienale e incrociò le mani. – Avete reso un grande servizio alla Compagnia, Miss Sheridan. Ci avete risparmiato centinaia di aurei di perdite e avete aiutato a sgominare un pericoloso circolo malavitoso. Ho parlato con i miei colleghi e superiori e siamo tutti concordi: meritate una ricompensa. Cosa volete? – prese un libretto degli assegni e intinse la punta di una stilografica d’oro nell’inchiostro. – Trenta aurei? Cinquanta aurei? –
Sheridan rimase impietrita. Era una cifra inimmaginabile. Si costrinse a deglutire, immobile sulla sedia. Aveva i brividi.
– Non voglio denaro – gracchiò. Aveva la gola secca. Dio, quanto avrebbe voluto dell’alcol in quel momento. Chiuse gli occhi, pensando a quanti soldi stava buttando.
– Come? – Greville si fermò, la stilografica a mezz’aria, gli occhi fissi su Sheridan.
– Non voglio denaro. Ma ho due richieste. –
Greville sorrise. – Sentiamo. –
– Voglio le spalline di capitano. –
Il mercante la guardò incuriosito. – Ne avete le competenze? –
Sheridan si concesse un timido sorriso. – Nossignore, ma navigo sulla Realgar da più di dieci anni e credo di aver afferrato una cosa o due. Affiancatemi un secondo ufficiale esperto e vi dimostrerò che imparo in fretta. –
Greville si prese qualche istante per pensare. – Rischioso, ma si può fare – annuì. – Sì, si può fare. E la seconda cosa? –
Sheridan sorrise dentro di sé. Quella era la ciliegina sulla torta, l’asso calato a fine partita. La vittoria del gioco.
– Voglio esserci quando catturerete Chapman. Voglio che quel bastardo capisca che è per merito mio che morirà. –
Greville la fissò, immobile. Poi schioccò la lingua sul palato e si aprì in una risata che rimbalzò contro le pareti della stanza. – Affare fatto – allungò la mano sopra la scrivania. – Sarete un ottimo capitano, Miss Sheridan. –
La macchinista ebbe la prima reazione sincera da quando era entrata in quella stanza. Fece un sorriso feroce e strinse la mano del mercante. – Grazie, signore. –
 
▪▪▪
 
Il mattino dopo c’erano due guardie della Compagnia davanti alla sua porta di Sheridan. Si capiva che erano vestite per affrontare qualsiasi problema gli si fosse parato davanti. Alla vita avevano una spada e un manganello. Entrambi davano l’idea di essere stati usati più di una volta.
– Miss Sheridan – disse il primo uomo. – Mr. Greville ci ha pregato di portarla con noi oggi. –
– Mr. Greville è un uomo di parola – la macchinista uscì nella strada assolata. – Verso la locanda o verso la Realgar? –
– Verso la locanda. –
– Molto bene – Sheridan fece un inchino alle due guardie. – Fate strada. –
Camminarono nell’aria fresca del mattino. La macchinista aveva tutta l’intenzione di godersi la giornata: i suoi problemi stavano per giungere alla fine e Chapman stava per morire. Non poteva succedere niente di meglio.
Quando arrivarono alle Sette Sorelle il sole era ormai alto nel cielo. La locanda si trovava nella zona ricca della città, poco distante dalla collina dove c’era la sede della Compagnia. Era un grande edificio a tre piani, imbiancato di fresco, con finestre luminose e un grande orologio dorato sopra la porta d’ingresso. Era il posto preferito di capitani e mercanti, dove potevano ingannare il tempo prima di risalire sulle navi.
Le guardie fermarono Sheridan prima che potesse entrare.
– Miss, dovrete stare dietro di noi. Non possiamo permettere che vi capiti qualcosa. Gli ordini sono chiari. –
La macchinista fece il sorriso più innocente del suo repertorio. – In verità avrei un consiglio per voi. –
– Un consiglio? – i due uomini si guardarono. – Di che tipo? –
– Non credo conosciate il capitano Chapman. Io sì, e da molto tempo. Non verrà con voi senza combattere. –
– Siamo attrezzati in merito, Miss Sheridan – il soldato ridacchiò. – Fidatevi. –
– E voi fidatevi del mio giudizio – la macchinista sapeva di non poter strafare. Un solo piccolo errore e avrebbe perso la partita. – Fatemi entrare per prima. Lui ha fiducia in me. Se gli dirò che c’è bisogno di lui sulla Realgar, lui uscirà dalla stanza. Appena varcherà la porta potrete puntargli le vostre belle spade alla gola e prenderlo senza rischi e senza causare problemi alla locanda – i due uomini sembravano ancora titubanti. Sheridan mise su un’aria pensosa. – Lo sapete vero che questa locanda è di Leandro, uno degli uomini più influenti di tutta Venar? Non credo gli farebbe piacere avere una stanza mezza distrutta per un combattimento. E non credo nemmeno che alla Compagnia farebbe piacere pagare i danni. –
Quelle ultime parole sembrarono convincere le due guardie. Sheridan capì di aver vinto quando una delle due sbuffò. – Molto bene allora, faremo come dite voi. Ma a una condizione. –
– Sono tutta orecchi. –
– Avrete cinque minuti, non di più. Passato questo tempo faremo irruzione. –
Sheridan sorrise. – Cinque minuti sono più che sufficienti. –
Quando entrarono nella locanda ogni attività sembrò cristallizzarsi. Il rumore di chiacchiere e le risate cessarono all’improvviso. L’oste li guardò con occhi spalancati lasciando quasi cadere il boccale che stava pulendo. Sheridan sentiva su di sé gli sguardi perplessi delle persone: vedere due uomini armati fino ai denti guidati da una donna era un’immagine particolare. In più nessuno era troppo tranquillo quando si parlava della Compagnia. Le guardie portavano le insegne della gilda sul petto.
– Signori – mormorò l’oste incredulo. Sugli occhi aveva delle grosse lenti che lo facevano assomigliare a un insetto. – Posso aiutarvi? –
– In realtà sì – Sheridan si avvicinò alle scale senza degnarlo di uno sguardo. – La stanza del capitano Chapman? –
– La dodici. Secondo piano. –
– Molte grazie – Sheridan salì i gradini, seguita dai due uomini. Sentiva l’adrenalina scorrerle nel sangue. Le sembrava che tutto si stesse svolgendo al rallentatore ma in un batter d’occhio erano davanti alla stanza del capitano. Il numero dodici brillava dorato sulla porta.
– Miss… –
Sheridan si girò verso i due uomini, osservandoli bene per la prima volta. Erano più vecchi di lei e preoccupati, lo capiva da come stringevano le mani sull’elsa della spada. Uno dei due aveva dei baffi corti che la macchinista, nella sua euforia, trovò ridicoli.
– Solo cinque minuti, lo so. –
L’uomo annuì, nascondendosi con il suo collega dietro allo stipite, le lame sguainate. Sheridan bussò.
– Capitano? Sono Ella. –
Un suono attutito le fece capire che poteva entrare. Spalancò la porta e se la chiuse alle spalle. Che le due guardie pensassero quello che volevano.
– Ella. A cosa devo il piacere? –
Il capitano Chapman era seduto su una bassa sedia di cuoio, aveva delle mappe sul tavolino basso davanti a sé e un bicchiere colmo di un liquido dorato nella mano. Aveva la camicia stazzonata e i capelli spettinati.
Sheridan si aprì in un sorriso sensuale. Si avvicinò ancheggiando al tavolino dove c’erano i liquori, versandosi da bere. Poteva quasi sentire fisicamente lo sguardo del capitano addosso a sé.
– Sono qui per parlare del nostro piccolo accordo – disse, sorseggiando dal suo bicchiere.
– Ho ricevuto i soldi – Chapman si alzò prendendo il suo bastone. – Sei stata molto puntuale –
– Grazie – Sheridan si avvicinò al capitano. Aveva poco tempo. Camminando si assicurò di sentire contro l’avanbraccio la lama che teneva nascosta nella manica. – Ma non era di questo che volevo parlare. –
– E di cosa? – Chapman la fissava guardingo. Non si fidava di lei.
– Ho pensato a tutta questa faccenda – Sheridan si avvicinò ancora, fermandosi a pochi centimetri dal capitano. Fece un sorriso malizioso. – Sono giunta alla conclusione che non c’è motivo di farci la guerra. Anzi, potremmo andare d’accordo – alzò gli occhi, guardandolo dal basso. – Molto d’accordo, se capisci quello che intendo. –
Negli occhi eccitati del capitano si accese una scintilla di sospetto. La prese per i capelli tirandole la testa indietro, chinandosi sul suo collo. Sheridan sorrise nonostante il dolore.
– Se mi stai mentendo, Ella… – l’alito caldo di Chapman le accarezzava l’orecchio. – Se mi stai mentendo, sappi che all’inferno c’è un posto con il tuo nome. –
In tutta risposta Sheridan girò la testa e lo baciò. Lasciò che le mani del capitano la stringessero, tirandole i capelli. Lasciò che la sua lingua entrasse nella sua bocca, rispondendo al bacio come se fosse quello che aveva sempre desiderato. Poi lasciò che il coltello le cadesse in mano e lo pugnalò al collo.
Il sangue iniziò a sgorgare come da una fontana, macchiandoli di rosso vivo. Il capitano si staccò da lei sguainando la spada, gorgogliando, premendo sulla ferita con una mano cercando inutilmente di fermare l’emorragia.
– Brutta… puttana… – 
Sheridan sorrise feroce, gioiosa, mentre guardava il capitano cadere in ginocchio. – A quanto pare il posto all’inferno è tuo, bastardo. Dì a mio padre che ti mando io. –
Poi urlò, con tutto il fiato che aveva in corpo. La porta si scardinò e le due guardie irruppero nella stanza, armate.
– Cosa cazzo… –
Una guardia si precipitò sul capitano, ormai accasciato sul pavimento in una pozza rosso cupo. Il sangue usciva con getti sempre meno potenti dal suo collo.
Sheridan scoppiò in un pianto a dirotto, crollando a terra, lasciando che il coltello insanguinato cadesse dalle sue mani e rimbalzasse sul pavimento. L’altro uomo le si inginocchiò di fronte, scrollandola.
– Cosa cazzo è successo qui? –
– Ha detto che non si fidava di me… – Sheridan scosse la testa, le spalle sussultavano per i singhiozzi. – Ha cercato di uccidermi! –
I gorgoglii che provenivano dalla gola del capitano si fecero sempre più lievi fino a svanire del tutto.
– È morto – disse la guardia, alzandosi. La sua divisa era sporca di sangue. Si inginocchiò vicino a Sheridan, tirandole su il mento. – Ascolta quello che faremo: non possiamo dire a Greville che l’hai ucciso tu. Diremo che si è rifiutato di venire con noi, che ha lottato ed è rimasto ucciso. D’accordo? – Sheridan singhiozzò. La stretta dell’uomo sul suo viso si fece più forte. – D’accordo? –
Sheridan annuì, sapendo che doveva continuare a piangere per essere credibile. Dentro di sé si sentiva scoppiare dalla gioia. I ladri erano stati distrutti, la Compagnia la riteneva una salvatrice. Chapman era morto, l’omicidio coperto. Lei era libera.
Libera e capitano della Realgar.
 
▪▪▪
 
Il sole del mattino brillava sulla nuova divisa da capitano di Ella Sheridan. Era al porto e stava verificando che tutte le operazioni di controllo della nave procedessero come dovevano. La Realgar era vecchia e c’erano diversi dettagli da sistemare. In più doveva prendere possesso della cabina del capitano e cercare di scassinare la dannata cassaforte.
Sheridan si concesse un sorriso, sciogliendosi le spalle indolenzite. Quelli precedenti erano stati giorni difficili. Greville non era stato contento della morte di Chapman e le guardie avevano ricevuto delle sanzioni. Sheridan non era sicura che il mercante si fosse bevuto la loro storiella, ma oltre a guardarla con aria un po’ più sospettosa non l’aveva trattata in maniera diversa. Dopotutto aveva fatto risparmiare alla Compagnia centinaia di aurei di danni.
Ora, dopo aver risolto la burocrazia, aveva quello che aveva richiesto. Non pensava che la nomina a capitano le avrebbe dato tanto piacere, ma guardando le spalline decorate sentiva un brivido di orgoglio. Quando gliel’aveva detto, sua madre era quasi morta per lo stupore. Ghignò al pensiero di come era diventata “Ella cara” da un secondo all’altro.
– Attento con quelle corde! – urlò al povero malcapitato di turno, che stava praticamente legandosi da solo all’albero maestro. Scosse la testa, guardandolo cercare di sciogliere tutti i nodi che aveva creato.
Il rumore di passi sull’impianto di legno la fece girare. Greville le stava venendo incontro.
– Mr Greville – Sheridan inclinò il capo. – A cosa devo il piacere? –
– Capitano Sheridan – il mercante era molto più allegro rispetto all’ultima volta che si erano visti. Camminava spedito sul molo, le code della giacca che si agitavano verso di lei. – Purtroppo questa volta c’entra il dovere, anche se è sempre un piacere vedere una bella donna come voi – le si avvicinò, abbassando la voce. – Ho bisogno del vostro aiuto. –
Sheridan guardò la faccia serena del mercante. – È per la Compagnia? –
Greville annuì. – Venite con me, per favore. –
Sheridan lo seguì sul molo, verso i primi edifici del porto. – Di cosa si tratta? –
– Lo scoprirete quando arriveremo. –
Sheridan lo seguì in silenzio, sentendo il sospetto farsi strada nelle sue ossa. Aveva scoperto qualcosa? Com’era possibile? Tutti quelli che avrebbero potuto denunciarla erano morti.
Seguì Greville attraverso le viuzze del porto, calmandosi notando che non c’erano guardie nei dintorni. Se avesse voluto catturarla il mercante non sarebbe venuto da solo. Stava pensando a quello quando si accorse che erano quasi arrivati al grosso spiazzo che sporgeva dalla collina sul vuoto sopra la città. Sapeva che era il posto dove si affacciava il magazzino della Compagnia. Sapeva anche che era il posto dove si impiccavano i ladri.
Si bloccò sul posto, un sudore gelido che le scorreva su tutto il corpo. Le ginocchia iniziarono a tremarle. Fece un passo indietro, pronta a scappare, ma Greville la prese sotto braccio, stringendola.
– Di cosa avete paura, Sheridan? – il mercante sorrideva, felice. – Fidatevi di me come io mi sono fidato di voi. –
Sheridan si costrinse a camminare, un sorriso falso le tagliò il viso. Girato un angolo furono nello spiazzo.
Davanti al magazzino della Compagnia c’erano una cinquantina di persone tra clienti, mercanti e guardie armate. Gli occhi di Sheridan scivolarono su tutti loro, attirati dal patibolo che si alzava in piena piazza. Lassù, con già il collo nel cappio, c’era Sarin. Era livido in volto, i vestiti sporchi di terra e sangue.
– Ehilà, Sheridan! – le urlò, sputando un grumo rossastro verso di lei. – Pensavi di essere più intelligente di tutti noi? E invece anche tu finirai appesa! – la sua risata si spense in un gracchiare convulso.
Sheridan si liberò dalla presa di Greville. Fece due passi di corsa prima di essere fermata da due uomini in divisa. Si dibattè, lottò, ma non la lasciarono andare. Si prese una gomitata in piena pancia e rimase senza forze, sentendosi trascinare di peso. Fu issata sul patibolo, al fianco di Sarin, che la fissava con un sorriso macchiato di sangue.
Sheridan stava tremando. Rimase in piedi, fissando la folla accalcata sotto di lei.
– Ella Sheridan – urlò una voce. – Siete condannata a venire appesa per il collo finchè morte non sopraggiunga. I vostri crimini sono: furto ai danni della Compagnia dei Mercanti, omicidio del capitano Luther… –
Sheridan smise di ascoltare. Aveva paura, una paura fottuta. Stava per morire e non poteva salvarsi. Alzò gli occhi al cielo, lasciando che il sole glieli ferisse per l’ultima volta. Non poteva incolpare nessuno per quello che le era successo. Aveva scommesso e aveva perso. Capitava. Era l’ordine delle cose. Almeno, come promesso, aveva portato Chapman con sé.
Si accorse che l’uomo aveva finito di leggere i suoi capi d’imputazione per il silenzio che cadde sulla piazza. Trattenne il fiato. Greville la guardava dal basso con aria severa, ogni traccia di gioia sparita.
Chi ruba verrà punito – le sillabò, sicuro che avrebbe colto le sue parole.
Lei chiuse gli occhi. Chi ruba verrà punito. L’aveva sempre saputo. Nessuno sfugge alla Compagnia.
Sentendo le lacrime scorrerle sulle guance, Ella Sheridan mise la testa nel cappio.

 

Ciao a tutti :)
Questa è la fine della mia piccola storia. Spero che il racconto vi sia piaciuto e che il colpo di scena alla fine non fosse scontato. Mi mancherà Ella Sheridan, devo dire che fino all'ultimo sono stata indecisa se farla sopravvivere o farla morire... quello che ho scelto alla fine lo sapete anche voi. Grazie a chi è arrivato fin qui e soprattutto un grazie speciale a mystery_koopa, a Little_Rock_Angel5 e a Angel Texas Ranger per le bellissime (e utili) recensioni che mi hanno lasciato.
Spero di tornare presto a scrivere qualcosa ^^
Lunghi giorni e piacevoli notti

Lya
   
 
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