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Autore: heliodor    23/10/2018    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Solo  per la gloria

 
Nel pomeriggio cercò di dormire e conservare le forze per quello che l'attendeva, ma non riuscì a chiudere occhio e attese sveglia che giungesse il momento giusto.
Le luci delle case di Gadero si accesero un po' alla volta al calare del sole e con la stessa frequenza si spensero qualche ora più tardi.
È il momento, si disse.
Respirò a fondo per raccogliere i pensieri e le forze e mormorò la formula del richiamo.
La collina sparì e al suo posto apparve il vicolo buio che aveva marchiato qualche ora prima.
Come si era aspettata era vuoto e silenzioso. Senza perdere tempo si avviò in direzione del tempio dell'Unico.
Le strade erano deserte e le luci spente da tempo. Movendosi cercando di non fare rumore raggiunse la piazza dove sorgeva il tempio.
Davanti al portone d'ingresso tre soldati montavano di guardia. Anche loro indossavano armature scalcagnate e imbracciavano armi dalla fattura rozza e grossolana, ma erano comunque un ostacolo.
Da invisibile poteva scivolare tra di loro ma era impossibile aprire il portone senza far rumore.
Doveva trovare un'altra strada.
In quel momento il portone si aprì e ne uscì una figura umana.
I soldati si voltarono verso il nuovo arrivato. L'uomo indossava un saio marrone stretto in vita da una corda.
Un monaco del culto, pensò Joyce.
"Va tutto bene?" chiese il monaco ai soldati.
"Tutto tranquillo" rispose il più anziano.
"Da questo momento dovete allontanare chiunque tenti di avvicinarsi al tempio" disse il monaco. "Ordini del priore."
"Non lasceremo che nessuno si avvicini" l'assicurò il soldato.
"Ci sarà una ricompensa speciale per voi dopo che questa storia sarà finita" disse il monaco. Rientrò nel tempio e chiuse il portone.
Joyce sentì lo scatto di una pesante serratura.
I soldati si guardarono attorno.
Joyce si spostò dal vicolo, scegliendo strade dalle quali poteva guardare il tempio senza essere vista.
Muovendosi con cautela fece il giro dell'edificio. C'erano altri soldati posizionati lungo il perimetro.
Ne contò una dozzina prima di tornare al punto di partenza.
Quindici in tutto, forse qualcuno in più. E forse qualcuno anche all'interno. La via di terra era sbarrata.
Le sarebbe toccato volare fino alla cupola e poi cercare di entrare da lì una volta atterrata. Ma non poteva essere certa che non ci fosse qualcuno di guardia anche lì.
Studiò il piano con calma. Prima scelse il punto più scoperto del perimetro e poi mormorò la formula della levitazione.
Dandosi lo slancio con le gambe iniziò a sollevarsi nell'aria. Al buio e con il mantello scuro che indossava era quasi invisibile, ma un soldato poteva avvistarla per caso mentre si muoveva contro lo sfondo delle stelle.
Per questo a metà della salita divenne invisibile e si lanciò in una lenta planata verso la cupola.
Era la tattica opposta che aveva usato quando era fuggita dall'accademia di Luska. In quel caso il buio e il silenzio erano suoi alleati.
Atterrò sulla cupola in un punto dove c'erano degli appigli e ne afferrò uno con la mano. Le sue gambe annasparono nel vuoto finché non trovarono un punto d'appoggio sicuro.
Dall'esterno doveva sembrare un grosso insetto che si era aggrappato alla cupola. Pensarsi come uno scarafaggio le strappò una risata.
Tornò seria mentre cercava a tentoni uno dei pannelli mobili che facevano da entrata alla cupola.
Nel buio non era facile muoversi, badare a non fare troppo rumore e cercare il pannello. Per un attimo temette di aver commesso un grosso errore, ma quando mise il piede su una piastra di metallo e questa sembrò cedere, capì di aver trovato quello che stava cercando.
Muovendosi con cautela si posizionò davanti alla piastra e vi appoggiò le mani. Premette con forza, ma questa non si mosse. Doveva essere bloccata dall'altra parte.
Mormorò la formula per la forza straordinaria e ci riprovò. Stavolta il pannello cedette e si piegò verso l'interno con un leggero cigolio.
Fece attenzione a non imprimere troppa forza per non farlo cedere di schianto e ne ricavò un passaggio abbastanza largo da lasciarla passare.
Tenendosi ben salda ai bordi di metallo della botola si lasciò cadere dall'altra parte. Per un istante le sue gambe annasparono nel vuoto e temette di trovarsi troppo in alto, ma poi appoggiò la punta del piede  su qualcosa di solido e si lasciò scivolare verso il basso.
Sotto l'apertura vi era una piattaforma di metallo che correva lungo la cupola. Da lì non riusciva a vedere molto. Il buio era totale. Attese qualche minuto perché i suoi occhi si abituassero.
Era dentro la cupola, nella parte superiore che si chiudeva più in alto formando una cuspide.
Spesse travi di legno sostenevano la struttura. Cinque o sei metri più in basso c'era una seconda piattaforma che sembrava più ampia e solida.
Joyce trovò a tentoni una scala e si calò di sotto, raggiungendo la base della cupola. Lì vicino notò secchi, panni e scope appoggiate al muro. Come pensava quelle piattaforme erano usate dagli inservienti per pulire la cupola sia all'interno che all'esterno.
Per una volta il piano sta andando come previsto, pensò.
Ora doveva trovare il punto preciso del tempio dove si sarebbe tenuta la riunione. L'unico modo era quello di uscire dalla cupola e aggirarsi per i corridoi.
Era rischioso, ma non era venuta sin lì solo per dimostrare a se stessa che poteva farcela.
Jhazar era morto per quelle informazioni. Nonostante Gajza dicesse il contrario, era sicura che lo stregone stesse indagando per conto suo sul circolo supremo, qualunque cosa fosse.
Forse era un nemico e forse le sue intenzioni erano sbagliate, ma non poteva dimenticare come era morto, colpito a tradimento dalla strega di Nazedir.
E non poteva dimenticare la morte di Gastaf.
Anche lui era stato attirato in trappola e usato come esca per Jhazar e poi per attaccare gli alfar con l'aiuto di Rancey.
Doveva farlo per loro e andare fino in fondo a quella questione.
Trovò delle scale che scendevano verso il basso. Il livello inferiore era composto da una sola stanza dalle pareti curve. Doveva trovarsi in cima alla torre rotonda che sorreggeva la cupola. Da lì iniziava una scala a chiocciola che portava verso il basso.
Senza esitare iniziò la discesa verso la base della torre. A metà strada trovò una porta di legno chiusa dall'altra parte.
Valutò se fosse il caso di abbatterla come aveva fatto con la piastra di metallo, ma adesso era dentro il tempio e non voleva far rumore. Qualunque cosa vi fosse oltre di essa doveva aspettare.
Proseguì la discesa e quando fu vicina alla base iniziò a sentire le voci.
Subito si rese invisibile e si appiattì contro il muro, cercando di ascoltare quello che dicevano.
"... la cappella. Non doveva permettere a nessuno di entrarvi" stava dicendo una voce.
"Sì fratello Leeva" disse una seconda voce.
"Adesso andate" fece Leeva con una certa urgenza. "Voi invece non muovetevi di qui."
E adesso che faccio? Si chiese Joyce.
Poteva tornare indietro e provare ad aprire quella porta di legno oppure rischiare tutto e cercare di attraversare il corridoio mentre era invisibile.
Farò più rumore se abbatto la porta, si disse.
Scese le scale a due a due e raggiunse il livello inferiore. Come aveva temuto, c'erano due monaci lì vicino.
Nessuno dei due era voltato verso di lei.
Alle loro spalle il corridoio proseguiva illuminato dalle lampade. In fondo vide un'ombra muoversi.
Leeva, pensò.
Sembrava uno che dava gli ordini. Forse valeva la pena seguirlo e scoprire dove stava andando.
Passando di fronte ai monaci si assicurò di non sfiorarli né di fare troppo rumore. Trattenne persino il fiato finché non raggiunse la metà del corridoio successivo.
Nessuno dei due si voltò né lanciò l'allarme.
Muovendosi con cautela trovò Leeva che sostava di fronte a una porta di legno. Il monaco bussò due volte prima che questa si aprisse.
"Maestro" disse con tono sommesso. "Sono arrivati tutti. Aspettano nella cappella."
"Tutti?" chiese una voce dall'interno.
"Manca solo la donna del grande continente. L'inquisitrice. Ma l'hanno vista entrare nel villaggio e sarà qui a momenti."
"Vengo subito."
Qualche minuto dopo dalla stanza uscì un monaco dall'aria anziana. Camminava trascinando la gamba destra e appoggiandosi a un bastone con la mano sinistra.
Leeva lo seguì a testa bassa.
I due si diressero dalla sua parte. Colta di sorpresa, Joyce si appiattì contro il muro sperando che passassero senza accorgersi di lei.
I due monaci camminarono a pochi centimetri dai suoi piedi e non si voltarono, anche se si mossero in silenzio.
Joyce temette che come Zefyr potessero sentire il suo odore o i battiti del suo cuore, ma non accadde.
 Rinfrancata, lì seguì con passo leggero.
"Siete sicuro che sia stata una buona idea, maestro?" chiese Leeva.
Il monaco sospirò. "Cos'è che ti tormenta, Leeva? Pensavo avessimo già chiarito ogni cosa."
"Mi chiedevo se era proprio necessario esporre il culto a un simile rischio. Voglio dire, sono migliaia di anni che noi siamo neutrali nelle dispute tra i regni dei continenti e trovo strano che proprio adesso questa tradizione venga messa da parte."
"Anche io avevo dei dubbi."
"Allora perché avete acconsentito?"
"Ordini dalla città sacra. Azgamoor vuole la pace, non la guerra."
"Dunque il Gran Priore ha acconsentito?"
"Per quanto ne so, l'idea è stata sua."
"Ma neanche durante le guerra contro i tiranni di Berger..."
"Viviamo in tempi diversi" disse il monaco con voce stanca. "Nella guerra contro i tiranni sapevamo da che parte stare. Non lo abbiamo dichiarato apertamente, perché molti nostri confratelli combattevano nell'esercito di Berger, ma avevamo bene in mente che cosa fosse giusto e cosa non lo fosse."
"Credevo che anche adesso sapessimo che cosa è giusto e cosa non lo è."
"Ne sei certo?"
"Malag è il nostro avversario" disse Leeva.
"Come mai dici questo?"
"Maestro, la sua orda minaccia la libertà delle città del continente" disse Leeva con tono indignato.
"E che mi dici degli eserciti stranieri che marciano per le terre del continente? O di quelli che si stanno radunando a Orfar? O di re Alion di Malinor che sta mettendo insieme un'armata di mezzo milione di soldati? Malag non è così potente da richiedere che una forza così poderosa scenda in campo."
"Allora perché..."
"Io credo" disse il monaco. "E anche il Gran Priore teme la stessa cosa, che questi eserciti servano più a soddisfare i desideri di grandezza dei rispettivi comandanti che a una vera guerra contro Malag. Se davvero fossero decisi a sconfiggere un nemico comune, avrebbero già marciato contro di lui, non ti pare? Invece l'alleanza resta a nord in attesa che l'orda risalga lungo il continente. Orfar aspetta di avere abbastanza forze da poter combattere la sua guerra e Malinor si prepara a colpire una volta che le altre battaglie saranno state combattute."
"Ma che scopo ha tutto questo?" chiese Leeva.
"Mi sembra chiaro. Ognuno di loro pensa di poter continuare la guerra anche dopo che Malag sarà stato sconfitto."
"Voi pensate che una volta eliminato Malag, essi continueranno a combattere tra di loro?"
"Ciò è inevitabile" disse il monaco. "Ma c'è una cosa che mi fa stare peggio."
"Cosa può esserci di peggio, maestro? Comunque vadano le cose il continente vecchio sarà devastato dalla guerra."
"Il peggio" disse il monaco con tono triste. "È che Malag potrebbe uscirne rafforzato."
"Ma avete appena detto che..."
"Quello che ho detto non ha importanza. Ciò che conta è quello che vedo. Può darsi che per re Alion non faccia alcuna differenza dover affrontare prima Malag o poi l'alleanza o viceversa."
"Ma se affrontasse prima l'alleanza..."
"Malag sarebbe lì per raccoglierne i pezzi. E vincere."
No, urlò Joyce dentro di sé. Questo non accadrà mai. Quel monaco si sbaglia.
Né Bryce né suo padre combattevano contro Malag per la loro gloria. Volevano davvero eliminare quel flagello e stavano compiendo ogni sforzo per riuscirci.
Avevano sacrificato ogni cosa per riuscirci.
Avrebbe voluto urlarglielo con tutta la sua forza, ma avrebbe finito col rovinare tutto e rendere vani gli sforzi che aveva fatto fino a quel momento.
No, doveva restare calma e assistere a quella riunione. Se, come temeva, avrebbe scoperto qualcosa di importante che riguardava l'alleanza e Bryce, allora sarebbe tornata di corsa da loro per riferire ciò che aveva appreso.
Solo così poteva rendersi davvero utile.
Doveva avere pazienza e attendere il momento giusto.
Senza rendersene conto si fece superare dai due monaci e li perse di vista. Vedeva ancora le loro ombre proiettate sulle mura. Avevano svoltato un angolo ed erano spariti.
Non erano lontani. Non li aveva persi davvero.
"Oh, oh" udì alle sue spalle.
Si voltò di scatto.
C'era un'ombra a qualche metro da lei. Due occhi brillavano dove c'era la forma di una testa.
"Oh, oh" disse di nuovo.
Dannazione, pensò Joyce. La vista speciale.
"Penso che possa bastare" disse l'ombra. Era una voce femminile  che aveva già sentito prima di allora.
Il solo ricordo la fece fremere.
"Ora" disse la voce. "Vieni con me o sarò costretta a maltrattarti un po'."
Joyce rifletté solo un attimo prima di evocare lo scudo magico.
"Così mi piaci" esclamò Eryen.

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