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Autore: Jasmine_dreamer    23/10/2018    1 recensioni
"Veronica?! Veronica, cazzo!"
Giaceva sul pavimento, il vomito in bocca, ma che cosa diavolo avevo fatto?
Non avevo idea di cosa fare.
Presi il telefono tra le mani e digitai il numero di emergenza.
"Pronto?! La mia ragazza è andata in overdose, aiuto!"
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“Amore, sono a casa!” esclamai io.
Non ricevendo risposta, la chiamai per nome.
“Veronica, ci sei?”
Ancora silenzio.
Allora andai in camera da letto e la trovai.
"Veronica?! Veronica, cazzo!"
Giaceva sul pavimento, il vomito in bocca, ma che cosa diavolo avevo fatto?
Non avevo idea di cosa fare.
Presi il telefono tra le mani e digitai il numero di emergenza.
"Pronto?! La mia ragazza è andata in overdose, aiuto!"
Tremavo, ero agitatissimo, le parole mi morivano in gola.
Mi chiesero come stava.
“Non respira, non sta respirando!” urlai io in preda al panico.
Loro mi dicevano cosa fare ma io non capivo niente.
La presi per le spalle e cominciai a scuoterla.
“Veronica, Veronica, Veronica…” continuavo a ripetere il suo nome, sperando che si svegliasse, ma non si muoveva, la sua pelle era bianca, il vomito era andato dappertutto.
La riappoggiai per terra e provai a farle le compressioni, niente Veronica non riprendeva a respirare.
Ripetevo continuamente il suo nome, non riuscivo a smettere di dirlo.
Ero confuso, agitato, vedevo tutto sfocato attorno a me, non riuscivo a capire che cosa stava succedendo.
L’ambulanza arrivò pochi minuti dopo.
“Si riprenderà, vero? Starà bene, vero?” ripetevo come se fosse un mantra, ma nessuno accennava a darmi una dannata risposta.
“Mi dispiace” mi disse poi un medico.
“No, dovete rianimarla, voi potete farlo, dovete rianimarla, non può morire!” le lacrime mi offuscarono gli occhi.
“Ci dispiace, è morta presumibilmente mezz’ora fa”.
A quel punto realizzai: la parola “MORTA” mi risuonava in testa come un eco.
La presi tra le braccia e iniziai a urlare: “Veronica! NO!”
Piansi sul corpo senza vita dell’unica donna che avessi mai amato, sul corpo della donna che io avevo ucciso.
“La causa è un’overdose da eroina” fece un paramedico dopo aver esaminato la droga sul comodino.
Guardai il suo viso e le accarezzai la guancia: “Ti avevo detto di lasciare perdere l’eroina, Veronica perché non mi hai dato ascolto?”
Arrivò anche la polizia in casa mia, mi fecero alcune domande, e poi mi lasciarono in pace.
Tutti mi guardavano come se fossi un criminale, e lo ero, Veronica era morta per colpa mia.
Il suo corpo fu portato via, io ero invece rannicchiato in un angolo con le ginocchia contro il petto.
Doveva essere un incubo, la mia Veronica non poteva essere morta.
Raggiunsi i medici che stavano portando via la mia ragazza e chiesi se potevo andare con loro.
Mi risposero che potevo seguirli con la macchina.
Quando arrivammo in ospedale, mi fecero sedere nella sala di attesa, mentre le facevano l’autopsia.
Dopo molto tempo, o forse poco, non lo saprei dire visto che avevo perso totalmente la cognizione del tempo, qualcuno uscì e mi chiamò.
“La sua ragazza era incinta”.
A quel punto persi la forza, quelle parole riecheggiavano nella mia testa.
Il medico continuava a parlare, ma non riuscivo a capire quello che stava dicendo.
Caddi a terra in preda a un dolore che non credevo potessi mai provare nella vita e urlai.
Urlai così forte che tutte le persone lì presenti si girarono a guardarmi.
Perché? Veronica, perché?!
Perché non sono morto io? Perché la donna più splendida che potesse esistere al Mondo?
Perché la donna che portava in grembo mio figlio? Una creatura che non aveva nessuna colpa, se non quella di essere stato generato da un mostro come me.
Perché questo ero: un mostro.
I genitori di Veronica entrarono correndo.
Io li guardai, Stefano si bloccò e poi in preda a un attacco di collera mi si lanciò addosso.
“Tu, figlio di puttana, è colpa tua se mia figlia è morta, lei non aveva mai toccato droghe prima di conoscere te!” urlò prendendomi per il collo della maglietta.
Io non feci nulla, fissavo il vuoto inerme, avrebbe anche potuto uccidermi, la mia vita non aveva più senso di esistere ormai.
Marina gli mise una mano sul petto e lui mi lasciò.
Percorsero il corridoio e mi lanciarono uno sguardo furioso, prima di scoppiare a piangere.
“È soltanto colpa mia” dissi io sedendomi sul pavimento.
Appoggiai le spalle contro al muro e attesi qualcosa, qualcuno.
Ma nessuno fece niente, tutti mi passarono davanti fingendo che io non esistessi.
Rimasi lì per ore ad attendere, magari un miracolo, magari di svegliarmi da quell’incubo, magari di morire anche io, ma non accadde nulla, fino a quando non arrivò Calvin.
“Forza, andiamo a casa” disse costringendomi ad alzarmi.
Appoggiai il mio braccio sulle sue spalle: “è morta”.
“Lo so” rispose.
“Era incinta” dissi ancora.
“So anche questo”.
Calvin guidò fino a casa dei miei genitori, mi abbracciarono non appena entrai in casa.
“Tesoro, mi dispiace tanto” fece mia madre.
Io annuì, sentivo i miei occhi che si erano spenti, la luce che Veronica aveva acceso nel mio cuore aveva cessato di brillare, il mio mondo stava svanendo poco a poco.
Non avevo più motivi per respirare, non avevo più motivi per sopravvivere.
Ogni cosa che aveva importanza nella mia vita se n’era andata per sempre, una parte di me era morta con lei e nessuno avrebbe mai potuto restituirmela.
Quel vuoto mi riempiva lo stomaco come se fosse un pugno.
Andai a distendermi sul divano, fissai il soffitto mentre sentivo gli altri che ne parlavano in cucina.
Avrebbero dovuto tenere la voce più bassa, così riuscivo a sentire quello che dicevano.
“Deve andare in comunità, mamma” fece Calvin.
“Sì, ma come possiamo convincerlo?” chiese mio padre.
“Dovremmo aspettare un po’, il tempo di superare almeno un po’ la perdita” disse mia mamma.
“E se fosse troppo tardi? Potrebbe rimetterci la pelle da un momento all’altro” disse papà.
“Anche io penso che sarebbe meglio farlo andare subito, ora che Veronica è morta potrebbe avere un cedimento emotivo ed esagerare” mormorò Calvin.
“Gliene parleremo domani, una volta finito il funerale” concordò mia madre.
“Ma tu credi che lo lasceranno entrare in chiesa?” domandò Calvin.
“Io credo di no, ma ci sarò lo stesso” feci io ad alta voce.
Una volta accorsi che li stavo ascoltando si zittirono.
Io chiusi gli occhi e mi imposi di addormentarmi e sognare Veronica, e così fu.
   
 
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