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Autore: Opal636    14/07/2009    3 recensioni
Mulder e Scully vengono convocati dalla Crimini Violenti per essere infiltrati in un caso di efferati omicidi.La ff si colloca alla fine della sesta stagione. Questo è il mio primo case file. Avrò modo di farlo anche in seguito, ma volevo ringraziare per le bellissime recensioni che mi avete scritto! Spero vi piaccia anche questa!
Genere: Drammatico, Thriller, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dana Katherine Scully, Fox William Mulder, Walter S. Skinner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Secondo capitolo

 

FBI Headquarters

Venerdì, 3.38 p.m.

 

La porta dell’ufficio del vicedirettore Walter Skinner si aprì e Mulder e Scully, assieme agli altri quattro agenti assegnati all’operazione, ne uscirono con alcune carte in mano.

La seconda riunione era durata un paio d’ore abbondanti, ma erano servite per apprendere fino in fondo i dettagli dell’intera azione.

I sei agenti che si sarebbero infiltrati alla festa, nelle vesti di coppie innamorate, avrebbero alloggiato direttamente al Waldorf Astoria Hotel, in camere matrimoniali –indispensabili per avvalorare la finzione- dotate di salottino, comprensivo di divano letto, in modo che i due partner non fossero costretti a condividere il letto.

Si sarebbero recati all’hotel in tre diversi orari, durante la mattinata e il primo pomeriggio, del giorno seguente.

Finnigan e McErny si raccomandarono di trascorrere il tempo rimanente prima della festa, restando in camera a ripassare il caso, o, se proprio volevano uscire, di iniziare fin da subito a recitare la parte della coppia sposata, per non destare sospetti in caso i Fresty fossero stati nei paraggi, a studiare la situazione.

Verso le 8.30/9.00 di sera si sarebbero recati, vestiti in modo formale, al sesto piano dell’hotel, dove un’enorme sala, dotata di balcone panoramico, sarebbe stata decorata a festa. Un servizio di camerieri e maitre, sarebbe stato al servizio degli ospiti, e il buffet e il bar avrebbero offerto leccornie degne di un party d’alto livello.

La sala sarebbe stata costellata di telecamere a circuito chiuso, mimetizzate nell’ambiente, collegate ad alcuni monitor, situati in una stanza adiacente, dove l’agente Skinner e l’agente Fowley avrebbero coordinato, assieme agli altri agenti preposti al caso, le azioni delle coppie infiltrate. Le telecamere avrebbero coperto l’intera superficie della sala e della balconata, in modo da avere la situazione costantemente sotto controllo.

Gli infiltrati avrebbero indossato sofisticati micro microfoni, con i  quali avrebbero ascoltato le direttive di Skinner.

Sperando che i Fresty cadessero nella trappola, la parte più pericolosa sarebbe toccata agli agenti adescati, che avrebbero dovuto accettare di avere altri incontri con loro e si sarebbero lasciati rapire. Purtroppo, il distaccamento di New York non era in possesso di prove sufficienti per preparare gli infiltrati al rapimento, perché non conosceva per certo il metodo utilizzato dai criminali, ma l’agente donna avrebbe indossato un paio d’orecchini in cui sarebbe stato incastrato un rilevatore satellitare, in modo che i responsabili del caso, assieme a Skinner, Fowley e alle altre due coppie non adescate, fossero stati in grado di seguire i loro spostamenti.

Mulder aveva ascoltato tutto con estrema attenzione, lanciando di quando in quando occhiate a Scully, che stava seguendo la riunione con la medesima concentrazione.

Mano a mano che l’agente McErny aveva proseguito nella spiegazione dell’operazione, si era sentito sempre più elettrizzato alla prospettiva di fare qualcosa di concreto per assicurare alla giustizia quei due criminali, ma allo stesso tempo aveva avvertito una strana inquietudine ogni volta che aveva posato gli occhi su Scully. Un vago presagio di tragedia si era insinuato in tutto il suo essere ogni qual volta gli occhi della collega erano guizzati verso i suoi. La sensazione, ad un certo punto, si era fatta talmente soffocante che aveva avuto la tentazione di tirarsi fuori dall’operazione, obbligando lei a fare altrettanto, visto che, almeno in questo caso, erano utili solo se insieme.

Prima di scattare in piedi e rovesciare la sedia nell’impeto della sua follia, col rischio di far sbattere fuori sia lui che Scully, aveva smesso di guardarla, e pian piano l’opprimente angoscia era svanita.

Alla fine della riunione, si erano diretti verso il loro ufficio nel seminterrato, in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.

Scully continuava a sfogliare le pagine con tutti i dettagli di cui avevano parlato nell’assemblea, sembrava quasi che stesse ripassando prima di dare un esame orale all’università, mentre Mulder si guardava i piedi, le mani piantate nelle tasche dei pantaloni, interrogandosi distrattamente sulla strana ansia che l’aveva colpito prima e che ora sembrava sparita, come se non fosse mai arrivata ad attanagliarli il cuore.

Quando arrivarono in ufficio, Mulder posò i suoi fogli sulla scrivania e si girò verso di lei, aspettandosi che iniziasse a fare il punto della situazione, invece si stupì di vederla indossare il cappotto.

Perplesso le chiese dove stava andando.

Lei gli rivolse un sorriso ammiccante. “Vado a comprarmi un vestito per domani!” rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. E detto questo imboccò la porta facendogli un segno di saluto con la mano.

“Ci vediamo domani!” gli urlò quand’era già nel corridoio.

Mulder, ancora un po’ scioccato dal repentino congedo di Scully, si sedette alla scrivania, dondolando pericolosamente con la sedia. Dopo aver rischiato di cadere di schiena almeno un paio di volte, si mise composto e dette un’occhiata all’orologio.

Sbuffò.

Non gli andava di starsene in ufficio a studiare l’operazione da solo. Almeno, se Scully fosse stata lì, avrebbero potuto confrontarsi, decidere insieme alcune strategie, ridere degli aneddoti sulla loro storia.

Gli piaceva quando Scully rideva, aveva una risata cristallina che lo ipnotizzava.

Quando ebbe compreso che non aveva senso stare in ufficio a rigirarsi i pollici senza combinare nulla, e voglia di prendere in mano qualche X Files in quel momento non ne aveva - era troppo concentrato sul caso dei coniugi Fresty - decise di andarsene a casa. Avrebbe potuto ripassare i dettagli dell’operazione anche seduto sul divano.

Stava giusto per alzarsi per andare a prendere il soprabito, quando l’agente Fowley bussò alla porta, ed entrò senza aspettare nessun cenno di consenso.

“Ciao Fox…” disse con il suo solito tono di voce strascicato.

“Ciao Diana!” rispose allegramente Mulder, senza alzarsi, “Cosa ti porta nei sotterranei? Nostalgia?” la canzonò.

Diana Fowley si avvicinò alla sedia su cui era ancora seduto e si appoggiò alla scrivania, incrociando le braccia sul petto.

“Pronto per l’operazione dei prossimi giorni?”.

Mulder la osservò attentamente. “Sei venuta veramente qui solo per chiedermi se sono pronto a fare il mio lavoro?”, fece una smorfia scettica mentre lo diceva.

“Sei solo?” gli chiese Fowley. Lui fece un rapido cenno affermativo con la testa.

“E’ che sono un po’ preoccupata” esordì lei, dopo un momento di silenzio, in cui abbassò la testa evitando di guardarlo, “Prima, in riunione, mi sei sembrato teso, nervoso… e mi sono interrogata se la scelta del vicedirettore Skinner sia giusta…”, si interruppe guardandolo.

Mulder aggrottò le sopracciglia. “Non capisco cosa vuoi dire”, ammise.

Fowley fece un respiro profondo. “Voglio dire…” proseguì guardandolo negli occhi, “… che ho l’impressione che nemmeno tu sia molto convinto che l’idea di affidare il ruolo dell’infiltrata al tuo fianco a Scully sia adeguata. Ho visto come la guardavi prima, sembrava quasi che avessi paura…”.

Mulder sbarrò gli occhi, sorpreso e un tantino infastidito. Alzò la mano per bloccare il flusso di parole di Fowley.

“Ferma, ferma, ferma! Vorresti insinuare che Scully non è all’altezza del compito che le è stato assegnato? E che io la penserei così?”. Dalle labbra gli uscì uno strano suono, come una risata amara appena accennata. “Credimi…”, aggiunse, con una nota dura nella voce, “… sei completamente fuori strada”.

Diana si era accorta, evidentemente del suo strano stato d’animo di prima, ma era arrivata ad una conclusione completamente sbagliata. Scully era l’unica persona di cui si fidava così ciecamente da affidarle la sua vita. Non si sarebbe sentito così al sicuro con nessun altro, non si era sentito così protetto nemmeno quando stava con Diana.

Fowley lo osservò per qualche istante.

“Non mi permetterei mai di giudicare il lavoro di una collega” disse infine, con un tono di voce dolce e mieloso, sporgendosi provocatoriamente verso di lui, “pensavo solo che sarebbe stato meglio se la parte dell’infiltrata l’avessi fatta io… in fondo… la parte della coppia di amanti dovrebbe venirci naturale” e concluse con una risata leziosa.

Mulder la fissò immobile, un’espressione indefinita stampata sul viso.

Il sorriso aleggiò sulle labbra di Fowley per qualche altro istante, ma, quando comprese che lui non si sarebbe mosso, né avrebbe commentato l’allusiva proposta che gli aveva appena fatto, si spense e le sue labbra si imbronciarono leggermente. Si riappoggiò alla scrivania e incrociò nuovamente le braccia sul petto, in un gesto insolente.

Mulder si alzò e prese a camminare per l’ufficio.

“Diana…” iniziò, fermandosi al centro della stanza. Lei non si mosse e continuò a dargli le spalle.

“Onestamente, io non ti capisco. E’ vero, abbiamo scoperto gli X Files assieme, in coppia abbiamo anche lavorato bene, abbiamo avuto una relazione, ma… è stato anni fa, Diana! Ne è passata di acqua sotto i ponti! Non capisco perché tu continui a tirare in ballo il passato così di frequente”.

Vedendo che lei rimaneva immobile, non accennando a rispondere, Mulder proseguì.

“Pensavo di conoscerti, e invece non ti riconosco più. A volte ho l’impressione che il tuo unico scopo sia quello di mettermi i bastoni tra le ruote nel mio lavoro, altre volte, invece, sei collaborativa e disponibile… onestamente non riesco a seguirti!”.

Diana Fowley non rispose, ma si staccò dalla scrivania e si diresse verso la porta, passandogli accanto senza guardarlo. “Buona fortuna per domani”, disse semplicemente, prima di sparire al di là della porta.

Mulder abbassò la testa, fino a sfiorarsi il petto con il mento e si passò, stancamente, una mano sugli occhi.

Sbuffò sonoramente, sentendosi vagamente in colpa.

Forse era stato troppo duro con lei, in fondo erano ancora amici.

Forse non avrebbe dovuto essere così sgarbato… ma quello che le aveva detto corrispondeva al vero.

Scully aveva cercato innumerevoli volte di metterlo in guardia nei confronti di Diana, ma lui non l’aveva mai voluta ascoltare fino in fondo, rifiutandosi ostinatamente di credere che una persona che era stata così importante nella sua vita, potesse fargli del male deliberatamente.

Ma, in fondo al suo cervello, dove la ragione è libera dai condizionamenti del cuore, lui sapeva che le paranoie di Scully avevano un fondo di verità. Fowley era ambigua.

Sembrava che fosse sempre alla ricerca di riallacciare un qualche tipo di rapporto extra lavorativo con lui, seppure non era più innamorata di lui, e di questo Mulder era certo, com’era certo che nemmeno lui provava più sentimenti di tipo appassionato nei suoi confronti.

Eppure non perdeva occasione per fare allusioni al loro vecchio rapporto, nonché per fargli delle avances più o meno esplicite.

A volte aveva la netta impressione che tra lei e Scully corresse una sorta di rivalità, di gelosia, che però non comprendeva. Sarebbe stata quanto meno ovvia se lui e Scully fossero stati amanti, ma visto che così non era, non capiva quella tensione palpabile che permeava le stanze dove erano costrette a sostare insieme per più di due minuti.

Mulder rimase immobile al centro della stanza per qualche altro istante, poi scosse la testa, come per scrollarsi di dosso i pensieri, prese il soprabito e uscì.

 

Da qualche parte a Washington

Venerdì, ore 5.26 p.m.

 

“Grazie e arrivederci”, ringraziò Scully, prendendo il suo sacchetto e rivolgendo un sorriso alla commessa.

Uscì dal negozio, soddisfatta del suo acquisto, godendosi il sole pomeridiano. Anche quel giorno la temperatura era mite, infatti il cappotto rimase piegato sul suo braccio.

Stava incamminandosi verso la metropolitana, quando il suo cellulare squillò nella borsetta.

Spostando cappotto e sacchetto, tutto su di un braccio, estrasse il telefonino e rispose.

“Scully”, disse cercando di sovrastare il rumore delle auto che passavano.

“Ti serve un consiglio per il vestito?”, chiese la voce, leggermente metallica, di Mulder dall’altro capo.

Scully sorrise leggermente. “No, grazie. L’ho appena comprato” e mentre lo diceva, alzò inconsciamente il sacchetto, come per mostrarlo a qualcuno.

“Peccato!” disse lui con voce delusa, “Volevo darti qualche consiglio da intenditore”. Scully fece una smorfia poco convinta.

“Però…”, proseguì Mulder, “… potresti venire con me e consigliarmi tu un vestito. Mi sono appena accorto che il mio vecchio smoking è tutto tarlato!”.

Scully ridacchiò. “Mi trovo sulla 14esima strada. Ti aspetto al bar all’angolo”.

E chiuse la comunicazione.

 

Waldorf Astoria Hotel

Sabato, ore 1.12 p.m.

 

Mulder spense il motore dell’auto, una Ford Taurus grigio metallizzato, data in dotazione dall’FBI, nel parcheggio sotterraneo dell’hotel.

Uscì dall’abitacolo e aprì il bagagliaio per prendere le loro valige. Per un momento, osservò accigliato quella di Scully.

Mentre si assicurava d’aver chiuso le portiere, le rivolse uno sguardo accusatorio.

“Non è corretto, però!”, le disse, “Tu hai visto il mio vestito!”.

Scully sorrise. “Non te l’ho mica chiesto io!”, ribatté astutamente, mentre lo precedeva verso la porta di servizio, che nascondeva le scale che conducevano alla hall dell’albergo.

Gli tenne aperta la porta, permettendogli di passare anche se aveva le mani occupate dai bagagli.

Mentre le passava accanto, le sussurrò un “rompiscatole” vicino all’orecchio.

Scully ridacchiò divertita. “Ovvio!”, gli rispose, mentre lo seguiva lungo la scalinata, “Sono tua moglie!”.

Mulder si voltò a lanciarle un’occhiata di traverso, e inciampò sull’ultimo gradino, facendo cadere una delle valige. Scully lo oltrepassò mentre la raccoglieva, trattenendo una risata di scherno.

, almeno non è caduta la mia, altrimenti avrei pensato che l’avevi fatto apposta!”.

Dopo aver ultimato tutte le formalità alla reception, Mulder e Scully salirono al dodicesimo piano, quello della loro stanza, assieme al fattorino con le loro valige.

Il corridoio era estremamente elegante, la moquette era morbida e pulita, di un tenue azzurro rilassante, le pareti erano di un bianco candido, con battiscopa neri e lucidi.

Mulder si guardò intorno, mentre il fattorino apriva loro la porta della stanza numero 462, notando come le piante, che costeggiavano tutto il corridoio, fossero rigogliose e vitali, e si chiese distrattamente come mai lui non era mai riuscito a farne sopravvivere una per più di qualche giorno.

Quando il fattorino ebbe posato le valige all’interno, gli dette una mancia e lo ringraziò, congedandolo.

“Niente male, eh!”, disse avanzando verso Scully, che era ferma al centro della stanza e si guardava intorno con aria estasiata.

“Decisamente tutto un altro mondo rispetto ai motel a cui siamo abituati”, concordò con un sorriso.

La porta d’entrata dava sul salottino, che era arredato in modo elegante, ma sobrio. Un tappeto dall’aria indiana era posato sotto un tavolino in legno, dalle tonalità scure, e due poltrone e un divano dall’aria estremamente comoda, lo circondavano su tre lati. Il tutto era corredato da immense finestre, protette da tende di una leggera tonalità rossa, che infondevano all’ambiente un tangibile senso di comodità e riservatezza.

Mulder provò ad armeggiare con le leve del divano, per vedere quanto grande era l’estensione che lo avrebbe fatto diventare il suo giaciglio per la notte, mentre Scully si dirigeva nell’altra stanza, quella dove si trovava il letto matrimoniale.

Un sorriso di soddisfazione le attraversò il viso quando vide che si trattava di un’alcova a baldacchino, con nuvole di tende bianche raccolte in fondo alla testiera del letto. Morbide e candide lenzuola, sovrastate da un bellissimo copriletto con motivo floreale, nascondevano un materasso molto comodo, o almeno così parve a Scully, quando ci premette sopra una mano. Sotto i piedi la moquette beige era calda e morbida e le finestre, che guardavano su un suggestivo panorama di New York, lasciavano entrare la luce del sole, rendendo l’ambiente luminoso e allegro.

Il bagno, al quale si accedeva solamente attraverso la stanza da letto, era spazioso e pulito, le superfici in ceramica risplendevano e nell’aria aleggiava un buon profumo di lavanda.

Mulder arrivò alle spalle di Scully, guardandosi attorno soddisfatto.

“Il divano-letto sembra comodo, ma dopo aver visto questo…” e lanciò un’occhiata al baldacchino, “… mi sa che a metà notte ti verrò a svegliare per avere il cambio!”.

Scully non replicò, pensando, tra sé e sé, che non avrebbe rinunciato a passare una notte su quel letto nemmeno se glielo avesse chiesto Albert Einstein in persona!

“Che dici se andiamo a pranzo?” chiese per cambiare argomento.

Come previsto, Mulder non se lo fece ripetere due volte e scesero nel ristorante, dove si trovava un’altra delle due coppie di agenti infiltrati. Ovviamente, fecero finta di non conoscerli e si accomodarono ad un tavolo lontano da loro. La sala era abbastanza piena, e un allegro chiacchiericcio la riempiva di voci e risate.

Mulder e Scully pranzarono con calma, assaporando le pietanze che venivano loro portate da solerti camerieri, e chiacchierando, per lo più del caso, ma anche di argomenti frivoli e personali.

Passarono il pomeriggio a passeggio per le strade di New York. La giornata era troppo bella per sprecarla chiusi in camera, e comunque avevano passato la notte a ripassare ogni dettaglio dell’operazione, perciò non stavano nemmeno scansando il loro dovere.

Furono molto attenti a dare l’impressione di essere la tipica coppia a passeggio per le strade di una nuova città.

Mulder fu molto bravo ad interpretare la parte del marito esasperato da una moglie che si sofferma su ogni vetrina di scarpe  e vestiti, con lo sguardo brillante e acceso di eccitazione, mentre lei dovette fare uno sforzo per interpretare quel tipo di donna, perché, seppure non disprezzava una giornata d’acquisti ogni tanto, non era una persona ossessionata dallo shopping.

Mentre passeggiavano, guardando le imponenti costruzioni che si innalzavano, come immobili giganti, intorno a loro, di tanto in tanto si prendevano per mano, e, quando si fermavano, Mulder accarezzava spesso la base della schiena di Scully, in un semplice gesto che esprimeva, però, una certa possessività. L’agente Finnigan si era raccomandato di utilizzare quei piccoli e innocenti gesti anche al di fuori dell’hotel, ma per Mulder non fu affatto una costrizione.

Si rese conto che era piacevole passeggiare tenendo tra le dita la piccola e morbida mano di Scully, e gli piaceva anche passare il palmo sull’incavo della sua schiena, perché ne percepiva l’inebriante calore attraverso il maglioncino. Scully, dal canto suo, non si lamentò delle sue carezze, le trovava rilassanti e gradevoli, e, almeno un paio di volte, le provocarono un insolito brivido lungo la schiena, che le fece venire la pelle d’oca sulle braccia.

Imputando, con poca convinzione, il fenomeno all’abbassamento della temperatura mano a mano che il pomeriggio lasciava il posto alla sera, propose di tornare in albergo a prepararsi.

Così si incamminarono, nuovamente mano nella mano, verso l’hotel, avvertendo i primi sintomi dell’inevitabile agitazione che precede un’operazione piuttosto delicata.

  
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