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Autore: Bloody Wolf    17/11/2018    11 recensioni
Storia nata da una challenge sul gruppo Boy's Love di FB.
La storia parla di come due atleti si ritrovano a condividere qualcosa di speciale, a capirsi e aiutarsi in un momento difficile per entrambe. La forza di rialzarsi non è sempre così scontata, a volte si ha bisogno di una mano tesa.
Spero che vi piaccia.
Genere: Malinconico, Sportivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti ed eccoci qui con questo secondo capitolo <3
Ringrazio sempre chiunque legge, recensisce e mette nelle liste questa mini long di 4 capitoli.
In questo secondo capitolo verrà introdotto Benedict ovvero Ben (il pattinatore per la cronaca hahahaah), spero di non avervi deluso con questo capitolo, dopo tutte le recensioni che mi avete lasciato sul primo capitolo che era il capitolo di Miguel, sono andata quasi in panico da secondo capitolo XD
Comunque sia ora vi lascio alla lettura e speriamo che vi piaccia <3 

Capitolo 2: Perdere tutto potrebbe spaventare chiunque

“Ben! Che diavolo era quello? Ti sembra un Loop fatto bene? Riparti dall’inizio.”

L’allenatore lo aveva fermato a metà coreografia e lui si era avvicinato alla barriera con calma, aveva portato le mani ad appoggiarsi sui fianchi e aveva aperto la bocca per incanalare una quantità maggiore di aria. Erano già due ore che si allenavano e quel giorno doveva ancora finire del tutto la coreografia, la sua coreografa ogni tanto lo fermava per dargli consigli o per cambiare alcuni aspetti dell’esibizione mentre il suo allenatore aveva deciso che quel giorno sarebbe stato imparziale facendolo fermare ad ogni singolo errore per poi farlo ripartire dall’inizio.

Annuì all’uomo e tornò al centro del ghiaccio, aveva sbagliato la rotazione e, di conseguenza, l’atterraggio era risultato traballante facendolo quasi cadere. Si posizionò nuovamente aspettando l’inizio della canzone muovendo un poco le caviglie e sentendo un leggero dolore in quella di sinistra. Era sicuramente legato a quell’atterraggio fatto male ma non poteva fermarsi in quel preciso momento, non voleva farlo, doveva finire almeno quella parte del programma breve.

La musica riempì l’aria e Ben iniziò a danzare sul ghiaccio, i suoi pattini scivolavano con leggiadria mentre si muoveva ripassando quei movimenti che ormai conosceva a memoria.

Prese velocità mentre si preparava per la prima sequenza di salti ovvero un doppio Axel, dal primo atterrò in maniera perfetta ma, mentre si dava lo slancio per il secondo salto, un dolore lancinante andò a diffondersi dalla caviglia verso tutta la gamba obbligandolo a lasciarsi cadere a terra con un tonfo sordo per rallentare.

Strinse i denti e soffocò un urlo mentre i due preparatori si fiondavano da lui alla ricerca del problema, la donna cercò di rimuovere il pattino ma Ben urlò mentre alcune lacrime scendevano dai suoi occhi.

“Chiama un’ambulanza. Lo portiamo in ospedale. Avanti ragazzo usciamo dal pattinaggio almeno, appoggiati a me”

Ben si ritrovò ad afferrare la giacca del proprio allenatore, si tirò in piedi senza appoggiare quella gamba offesa, fare quel breve tragitto sul ghiaccio gli sembrò difficilissimo.

Si ricordava le prime volte che aveva messo dei pattini, ogni metro che faceva sul ghiaccio si ritrovava a terra sbattendo il sedere con forza, non aveva mai avuto una soglia del dolore elevata ed era iniziato tutto da quella semplice costatazione: non voleva più sentire il dolore della caduta e così aveva iniziato, giorno dopo giorno, a pattinare migliorando fino ad arrivare al mondiale.

Si sedette su una delle panchine aspettando i paramedici dell’ambulanza, la caviglia pulsava ininterrottamente mentre lui si stringeva una gamba appena sopra al ginocchio in un inutile tentativo di lenire quel dolore atroce che pareva diffondersi in tutta la gamba. Stava iniziando a sudare freddo mentre il suo respiro si era mozzato obbligandolo ad aumentare l’intensità della respirazione. Nella sua mente si formò un unico pensiero, si fissò come un cancro nelle sue meningi obbligandolo a negare con il capo, era un pensiero razionale e giusto ma che, in quel preciso momento, era terrorizzante per l’atleta

“Tyler non voglio andare in ospedale! Tyler ti prego!”

L’uomo si avvicinò a lui afferrandolo per le spalle nel momento stesso in cui lui cercò di alzarsi dalla panca, Ben aveva gli occhi lucidi e in volto gli si poteva leggere il panico, aveva gli occhi sgranati ed era pallido.

“Ben calmati. Perchè non dovrei portarti in ospedale?”

Il giovane respirò intensamente prima di leccarsi le labbra mentre lasciava che i suoi occhi saettassero a destra e a sinistra del palazzetto del ghiaccio, ancora una volta il ragazzo cercò di alzarsi ma fu bloccato dalla presenza di due grandi e forti mani

“Perchè mi impediranno di pattinare e io non posso, non ora che c’è il mondiale”

Tyler si ritrovò a spalancare gli occhi di fronte a quell’insensato discorso, quel giovane stava davvero pensando al peggio senza però mettere per scontato che, se in quel preciso momento non si fosse fatto curare, sarebbe peggiorato fino a perdere l’uso dell’intera caviglia. Poteva essere slogata o rotta ma andava comunque medicata da qualcuno di esperto.

“Tranquillo, Ben.”

 

L’ospedale si era prodigato a sedare il giovane per poter rimuovere quel pattino, avevano dovuto tagliarlo per via della caviglia che si era gonfiata impedendone la rimozione manuale.

I medici dovettero fare una piccola operazione di un ora per fare in modo che quella parte lesa potesse tornare ad essere forte ed elastica come prima.

“Lei è l’allenatore se non erro? Una caviglia malridotta come quella del giovane Benedict non sarebbe mai tornata ad essere la caviglia di prima quindi abbiamo ricostruito la parte lesa in modo che possa tornare a gareggiare tra qualche mese, servirà tantissima palestra ma non penso che ciò sia un problema per un atleta.”

L’uomo annuì in parte sollevato da quelle parole, i medici prima di intervenire gli avevano spiegato a cosa andava in contro se non avesse firmato per quella breve operazione e, una volta che aveva parlato anche con i genitori del giovane, si era ritrovato a decidere che era meglio rischiare che perdere tutto.

 

Ben si svegliò sbattendo le palpebre, mugugnò dolorante e girò la testa verso destra. Addormentata di fianco a sè c’era sua madre, allungò una mano accarezzandole la testa con amore. I suoi occhi si appannarono di lacrime mentre le gocce, traditrici, iniziavano a sgorgare da quegli smeraldi preziosi.

Aveva fallito, aveva mandato tutto a rotoli solo per il suo maledetto ego, se si fosse fermato invece di andare avanti ora non sarebbe in quel letto d’ospedale ma soprattutto non avrebbe deluso sua madre.

“Perchè piangi, mio principe?”

Aveva preso gli stessi colori della madre, aveva gli stessi occhi color smeraldo e quei capelli castani che, uniti alla delicatezza dei loro tratti, li rendeva belli.

Ben dovette spostare lo sguardo mentre stringeva una mano della madre nelle proprie, cercando di contenere quelle emozioni che lo stavano affondando minuto dopo minuto.

“Ti ho deluso, ora non potrò mai più farcela… scusami”

Chantal chiuse gli occhi e negò con il capo alzandosi da quella sedia su cui si era addormentata per abbracciare il figlio che, in pochi secondi, scoppiò in un pianto isterico e disperato. Gli accarezzò i capelli sussurrandogli parole dolci per farlo tranquillizzare ed infine parlò poggiando le labbra sulla fronte dell’atleta

“Non mi hai delusa, i medici dicono che se farai fisioterapia nel modo corretto la tua caviglia tornerà quasi come nuova. Dovrai stare qui per un paio di settimane e…”

Negò il giovane mentre i medici entravano per medicarlo e per vedere come stava facendogli le classiche domande di rito. Sua madre se ne andò lasciandolo solo ad affrontare quella difficile prima giornata d’ospedale, consapevole che la donna non potesse affiancarlo sempre per via del lavoro.

 

“Merda!”

L’infermiera che aveva vicino si fermò dall’aiutarlo ritirando le proprie mani e portandosele al grembo mentre, sul suo viso, nasceva una smorfia di compassione per quel giovane uomo.

Ben odiava la compassione, non voleva che la gente lo guardasse così, si sentiva ridicolo ma nonostante tutto era una di quelle emozioni che tornava, prepotente e perenne, in qualsiasi persona che lo riconosceva.

Il fato, pensava Ben, aveva ben pensato che non bastasse il pensiero fisso di aver chiuso con il pattinaggio no, servivano anche i “fans” che glielo ricordavano, giorno dopo giorno.

“Sto bene, vado in bagno e basta. Grazie Laila”

L’infermiera annuì e si defilò mentre lui saltellò fino al bagno, si risciacquò il volto guardandosi allo specchio, si ritrovò a negare deciso verso il proprio riflesso...

Sarebbe stato un ricordo, un potenziale andato sprecato finito ad insegnare a qualche idiota come stare in equilibrio su dei maledetti pattini.

Sapeva che doveva solo crederci, era consapevole che doveva solo impegnarsi ma la forza scemava sempre di più, si sentiva sempre più stremato e senza uno scopo che lo obbligava a combattere…

 

Laila gli sorrise mentre lo accompagnava nella sala giochi, lui sbuffò negando con la testa guardando la ragazza da sopra la spalla. Era difficile abituarsi alle stampelle ma trovarsi in quella sala era molto peggio, era circondato da persone anziane che giocavano a carte e che gli raccontavano esperienze del loro passato che a Ben non interessavano minimamente.

“Ancora? Non devi smistare le siringhe? E’ una settimana che sono qui ed è già la terza volta che mi porti qui… Sii sincera, mi vuoi morto per noia?”

La ragazza ridacchiò per poi farlo accomodare vicino ad alcuni anziani che giocavano a scala quaranta, li presentò a grandi linee e poi appoggiò le mani sulle sue spalle per avvicinarsi con il volto al suo orecchio e sussurrargli di restare lì che, per quella volta, gli avrebbe trovato compagnia. La donna sparì nel corridoio opposto a quello da cui era venuto lui tornando dopo un poco accompagnata da un ragazzo sulle stampelle.

Ben si perse a guardarlo da lontano, aveva la pelle olivastra e i capelli neri, ridacchiava con la giovane infermiera con leggerezza nonostante fosse infortunato, aveva una spessa fasciatura a livello del femore ma era coperta da quei pantaloni larghi in tuta.

Lo fece sedere di fianco a lui e quel giovane subito salutò educatamente sia gli anziani che lui con una naturalezza che lo fecero rimanere a bocca aperta

“Piacere Miguel e tu sei?”

Imbambolato e sbalordito dal carisma che quel ragazzo emanava, non bastava che fosse anche bello…

“Benedict piacere mio.”

Il silenzio calò sovrano, era quasi imbarazzante avere di fianco un ragazzo così, Ben iniziò a pensare che era illegale avere un sorriso così disarmante, era da carcere.

“Giochi a carte, Benedict?”

La domanda arrivò imprevista, obbligandolo a girare il volto spalancando gli occhi meravigliato, trovandosi a specchiarsi in quegli occhi colore del cielo, annuì quasi in maniera meccanica mentre sorrideva in risposta a quel giovane sconosciuto.

Passarono l’intero pomeriggio a giocare a carte, a parlare del più e del meno ma nello stesso momento parlarono di cose senza senso, e se ne accorse solo quando Laila,l’infermiera, arrivò per accompagnarli nelle rispettive camere.

Ben aveva appena imboccato il corridoio quando si fermò per girarsi, si ritrovò quegli occhi puntati su di sé e si sentì quasi il respiro mancare mentre sorrideva nella sua direzione tornando a camminare.

Quanto poteva essere bello incontrare gente a caso in ospedale? Improvvisamente era diventata meravigliosa quella prospettiva.

Gli erano sempre piaciuti gli uomini ed aveva avuto un paio di storie ma, per via del suo sport a livello agonistico e, di conseguenza, del poco tempo a disposizione, erano tutti scappati a gambe levate…

 

[...To Be Continued...]



Per la cronaca mi manca il quarto capitolo da scrivere quindi dovrei essere in tempo però non sono molto sicura... 
 
   
 
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