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Autore: DiamanteLightMoon    22/11/2018    4 recensioni
-FANFICTION INTERATTIVA- ISCRIZIONI CHIUSE-
Vi siete mai chiesti come sia possibile che un'intera civiltà scompaia da un giorno all'altro? Vi siete mai chiesti che fine hanno fatto i Cretesi? Vi siete mai chiesti che cosa li avesse travolti di così tanto violento da farli estinguere? Io sì ed era una di quelle domande a cui pensavo di non trovare mai risposta, almeno finché non ho scoperto questo.
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Hermia è figlia di Poseidone ed è la principessa di Atene. Enea è suo fratello, ma è figlio di Zeus. E il loro destino sarà deciso dalla volontà di un pazzo.
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Enea correva nei corridoi del Palazzo, i piedi scalzi e il petto ancora sudato dall'allenamento. Non riusciva a comprendere le parole del messaggero.
-Padre- urlò attraversando l'imponente porta aperta. Con passo veloce si avvicinò alle sorelle in piedi accanto al re e alla regina.
- Akakios non può fare una cosa del genere. È un suicidio per il suo popolo-
-No- disse il padre- Non se fa questo-
E gli mostrò la condanna a morte di due anime innocenti.
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Semidei Fanfiction Interattive, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XI

 

Arcadia – giorno 15, ore 11.10

 

Non ci sono altre possibilità: o troviamo quell'uscita, o moriamo tutti”

 

Quelle parole continuavano a rimbalzare nella testa di Melissa. Non avrebbe mai dovuto origliare quella conversazione, lo sapeva. Eppure l'aveva fatto. Quando Enea ed Hermia erano rimasti nella Grande Stanza il primo giorno, solo la sacerdotessa di Estia se n'era accorta. Era tornata sui suoi passi per capire se era successo qualcosa e li aveva sentiti parlare. Non aveva pensato alle conseguenze quando aveva deciso di rimanere ad ascoltare. Ora, più di una settimana dopo se ne pentiva amaramente.

Non avevano trovato niente che potesse anche solo somigliare ad un indizio sulla posizione del passaggio. Melissa aveva paura di morire. Ma quello che la spaventava ancora di più era la presenza costante della paura stessa. Non era abituata ad avere paura, non era abituata a vivere costantemente un'emozione. Lei aveva un modo particolare di percepire i sentimenti: arrivavano tutti insieme, violenti come un'esplosione di fuoco greco e poi scomparivano fino a diventare una piccola fiammella. Erano ventidue giorni che il fuoco della paura bruciava dentro di lei, non si era affievolito e non si sarebbe spento fino al suo ritorno a casa. O alla sua morte. E questo la terrorizzava. La paura annebbia la ragione, la paralizzava impedendole di fare ciò che doveva. E Melissa non poteva permettersi il lusso di tentennare. Se avesse esitato ad agire sarebbe morta. Voleva evitare tutto ciò. Non capiva come alcuni di loro fossero così calmi e composti. Non solo Hermia ed Enea, ma anche Ariadne, Cassiopea ed Epeo sembravano immuni alla situazione. O forse fingevano e basta.

Melissa non era sola nel suo vagare nei bui corridoi della loro prigione. Quel giorno insieme a lei c'era Callimaco. Il figlio di Afrodite non era di certo il suo compagno preferito, era enigmatico e silenzioso. La sua espressione era sempre piatta, Melissa non riusciva mai a capire a cosa stesse pensando. Un attimo sembrava la persona più innocua del mondo, quello dopo aveva l'espressione di un predatore che ha messo all'angolo la sua preda. Non si fidava di lui, era senza ombra di dubbio capace di nascondere in maniera eccellente molte, troppe, cose.

 

Arcadia – giorno 15, ore 11.15

 

L'unico che probabilmente si stava godendo anche solo un po' il fatto di essere divisi in coppie per poter cercare una via d'uscita quasi sicuramente inesistente o crollata da tempo immemore era Kosmas. E quel solo un po' era dovuto alla presenza di Hilarion accanto a sé. Da quando aveva avvertito il tocco della sua mente più di una settimana prima, l'unica cosa che desiderava era poterlo avvertire di nuovo. In quanto figlio di Demetra Kosmas aveva un legame particolare con la natura e le piante, ma aveva anche l'abilità di avvertire il profumo delle emozioni altrui. Non aveva idea del perchè, forse era dovuto alla presenza di un figlio di Afrodite tra i suoi antenati. Tuttavia anche se non ne comprendeva le origini era un potere che amavo molto. Tutti sono in grado di capire lo stato d'animo delle persone, l'importante è osservare attentamente le reazioni del corpo. Ciò che una persona non dice è molto di più di quello che dice. Questo l'aveva imparato molto tempo prima, quando era solo un bambino e l'aveva coltivato in tutti gli anni in cui era stato cresciuto come una fanciulla di buona famiglia. Non era in grado di controllare le emozioni che avvertiva, ma una volta che sapeva cosa gli altri stavano provando era facile agire di conseguenza. Per questo Kosmas amava quel potere più di ogni altro che possedeva, all'apparenza sentire fragranze nell'aria può essere considerato qualcosa di inutile, ma dopo averlo allenato dava a Kosmas una sicurezza stabile e decisa. E ora lo stava spudoratamente usando su Hilarion. Da quando aveva sentito il profumo della sua anima non riusciva a togliersi di dosso l'odore di fuoco e muschio. Desiderava sentire di nuovo quella fragranza che lo attirava così tanto. Kosmas sapeva che a volte le persone possedevano dei profumi che per altre erano impossibili da ignorare. Erano inevitabilmente attratte verso di loro. Il figlio di Demetra si sentiva così verso Hilarion, voleva avvertire tutte le sue emozioni, voleva sentire il calore del suo corpo di fianco al suo. Quel suo corpo massiccio e muscoloso non stava facendo niente per impedirgli di pensare a lui, anzi peggiorava la situazione.

 

Dal canto suo Hilarion ignorava la battaglia che si stava svolgendo in quel momento nella testa del suo compagno di ricerche. Le sue esigenze erano semplici e non si faceva problemi a lottare per ottenerle. In quel momento, la spada che aveva lasciato ancora incandescente sulla sua incudine era un chiodo fisso. Le sue mani vibravano dalla voglia di prendere impugnare il martello, ne sentiva la necessità fisica. Strinse i pugni, flettendo le dita, come se avesse tra i palmi l'impugnatura del martello e della spada che stava forgiando. Notò che Kosmas lo stava guardano in modo buffo, come se non riuscisse a capire che stesse facendo. Cosa molto probabile.

-Stai bene?- gli chiese dopo qualche minuto Kosmas. Hilarion si voltò a guardarlo prima di annuire. Era un ragazzo di poche parole, se c'era un modo di rispondere senza aprire bocca allora lui lo afferrava al volo. Kosmas continuò a guardalo come un cucciolo guarda l'adulto, con occhi curiosi e brillanti.

-Allora perchè hai le spalle così tese?- era vero, non si era accorto che teneva ancora le mani strette a pugno e aveva irrigidito i muscoli delle spalle talmente tanto che avevano iniziato a fargli male. Ma nonostante tutto si rifiutò di rilassarli. Kosmas si fece un passetto più vicino e senza preavviso gli afferrò la mano destra. Hilarion si voltò sorpreso. La pelle del figlio di Afrodite era fredda e incredibilmente morbida contro quella ruvida e piena di calli del figlio di Efesto. La sua tonalità chiarissima risaltava su quella scura di Hilarion come perle in un mare nero. Delicatamente iniziò a passare le dita sui tendini tesi e sulle nocche. Aveva le mani minuscole in confronto a quelle del diciannovenne. Hilarion avrebbe mentito se avesse detto che questo fatto non gli piaceva. Lentamente Kosmas fece in modo di liberare il palmo dalla morsa delle corte unghie del fabbro. Poi poggiò la punta del proprio indice al centro di suddetto palmo e premette. Hilarion non aveva la minima idea di cosa Kosmas stesse facendo, eppure già sentiva la tensione andare via. Stettero in quella posizione per pochi secondi prima che il figlio di Demetra interrompesse il contatto. Fece una giravolta su se stesso sorridendo.

-Andiamo!- esclamò quando si fermò. E si incamminò tutto contento verso la fine del corridoio che stavano percorrendo. Hilarion abbassò lo sguardo sulla sua mano. Dove prima Kosmas lo aveva toccato ora era disegnato un piccolo papavero che scomparve sotto i suoi occhi come se non fossa mai esistito. Quando riportò la sua attenzione al corridoio lo spazio di fronte a lui era deserto. Per un attimo si allarmò poi però sentì il rumore dei passi di Kosmas poco più avanti. Scuotendo la testa si affrettò a raggiungerlo.

 

Arcadia – giorno 15, ore 9.00

 

Callimaco non si stava impegnando minimamente nella ricerca di una qualche misteriosa porta segreta. Non che la sua mente non stesse lavorando, anzi era impegnatissima. Solo che il motivo per cui era impegnata non era di certo giocare a nascondino con la suddetta misteriosa porta segreta. Era abbastanza intelligente da capire che pensare a come sedurre un bellissimo principe non era di priorità massima in quel momento. Non che a Callimaco importasse molto della priorità delle cose, per lui sentire quei muscoli sotto le dita era di urgenza immediata. Scommetteva che sarebbe stato come sentire dura roccia sotto un velo di preziosa e morbida stoffa. Aveva già l'acquolina in bocca al solo pensiero. Ora doveva soltanto trovare un modo per rimanere solo con lui. Cosa alquanto complessa, non si staccava mai dalla sorella. Che poi come era possibile che fossero gemelli con genitori divini diversi, Callimaco non ne aveva idea. Avrebbe dovuto chiedere ad Enea, non era certo timido. Erano passati quindici giorni da quando avevano deciso di intraprendere quella ricerca ed erano quindici giorni che Callimaco sperava di ritrovarsi in coppia con il figlio di Zeus. Ma ovviamente il giovane principino doveva stare con l'amata sorellina. Il diciassettenne fece un'espressione acida, sapeva di essere irrazionale in quel momento, se si fermava a pensare un momento riusciva a capire il perchè della sua scelta. Sapere il motivo non lo aiutava certo a combattere l'attrazione che provava nei suoi confronti.

Quel giorno era di cattivo umore, peggio del solito cattivo umore, molto peggio. Poiché quel giorno Enea non gli aveva staccato gli occhi di dosso quando si erano riuniti per mangiare e quando si erano divisi aveva avvertito il suo sguardo sulla sua schiena. Callimaco aveva sperato fosse la volta buona e che finalmente avesse la possibilità di strapazzarselo per bene, ma ovviamente era troppo bello per essere vero. Il figlio di Afrodite sapeva benissimo che il broncio che gli decorava il volto era totalmente irrazionale e altamente inutile. Con lui c'era Melissa, la dolce, silenziosa Melissa. La sacerdotessa di Estia, pura e casta. E con un pessimo gusto nei colori, non che lui potesse fare niente, era lei ad andare in giro con una mantellina dai toni terrosi e tristi. Fatto sta, che anche se era irrazionale e molto infantile Callimaco non poteva impedire di sentirsi insoddisfatto, triste e vagamente offeso.

 

Arcadia – giorno 15, ore 9.30

 

All'insaputa di Callimaco, il soggetto dei suoi desideri stava avendo una profonda crisi esistenziale.

-Gah, Hermia!- esclamò Enea stringendosi la testa tra le mani. La sorella lo ignorò ispezionando la parete anche con la vista oltre che con la mente. Teneva una mano appoggiata alla roccia in modo da esaminare con attenzione la sua superficie. Enea non la stava aiutando minimamente, troppo preso a reagire in maniera esagerata a qualcosa di perfettamente fisiologico.

-Non stai nemmeno provando ad aiutarmi- fece Enea rivolto alla sorella. Hermia lo guardò.

-Chi è che deve aiutare chi esattamente?- rispose.

-Questo non è il momento di cercare una via d'uscita la cui esistenza è assai discutibile. Io qui, sto avendo un problema che mi fa sapere della sua presenza prendendomi a calci nel sedere. Ora, tanto bisogna tornare indietro comunque, quindi adesso mi aiuti e dopo guardi- non si era fermato per parlare continuando a camminare. Per sottolineare il suo discorso stava muovendo le mani in maniera molto teatrale ed estremamente eccessiva. Hermia si fermò, senza tuttavia staccare la mano dal muro. Sospirò molto profondamente, non riusciva proprio a capirlo Enea. Aveva la straordinaria capacità di creare problemi dove non ce n'erano.

-Ascolta. Te lo ripeto da tutta la vita. Fregatene delle opinioni altrui e prendi quello che vuoi. A patto che questo non causi una guerra. Ora ascolta bene: Callimaco ti vorrebbe nel suo letto da quando ti ha visto -a quella frase Enea emise un suono strozzato che assomigliava al verso di un'anatra morente -e da quel che vedo te vorresti essere nel suo di letto da quanto tu hai visto lui. E dato che è un sentimento reciproco e parecchio visibile, io, in quanto sorella e in quanto persona che vorrebbe vivere senza la presenza di due idioti sessualmente repressi nella stessa, ti dico di andare da lui ed essere chiaro e coinciso- aveva staccato la mano dalla parete, dato che ora aveva l'indice puntato contro il suo petto. Enea indietreggiò finchè la sua schiena non toccò la pietra dell'altra parte del corridoio. Hermia faceva veramente paura con lo sguardo che aveva in quel momento. Sapeva anche che aveva ragione, ma conosceva se stesso. Se avesse permesso a Callimaco di avere un contatto così intimo, sarebbe inevitabilmente entrato nel suo cuore. Ed Enea non poteva permettersi di innamorarsi di lui. Specialmente in quel momento così critico e perchè sapeva che il figlio di Afrodite non avrebbe provato per lui gli stessi sentimenti; quello che Callimaco voleva era un rapporto fisico per fingere che andasse tutto bene con il proprio di cuore. Enea era capace di leggere nelle persone, aveva visto che il cuore di Callimaco apparteneva a qualcun'altro, qualcuno che non poteva avere. E per non soffrire ricercava il piacere fisico. Non voleva un rapporto così. Enea sapeva che avrebbe dovuto sposare una giovane donna se fosse tornato a casa, era l'erede al trono di suo padre. Non era sicuro che sarebbe stato capace di consumare un rapporto fisico con una ragazza dopo aver assaporato il piacere di giacere con un uomo. Per questo Enea teneva a freno il suo stesso desiderio. Non poteva permettersi di innamorarsi di Callimaco. Se non avessero trovato quel passaggio avrebbe dovuto sopportare la morte di Hermia, non avrebbe retto la morte di una seconda persona amata. Abbassò la testa.

-Il mio problema non è le opinioni altri Hermia. E questo lo sai bene. Non posso innamorami di lui, capisci. Non reggerei il peso della sua morte-

-Chi ha detto che deve morire?- chiese Hermia dolcemente. Enea sentì le sue dita fredde contro la pelle bollente delle sue guance.

-Me lo avevi promesso, ricordi. Che avresti vissuto. Se non troviamo quel passaggio, moriremo tutti comunque, te compreso- lo disse con tono leggero, cercando di stemperare la gravità delle sue parole -tanto vale rischiare il tutto e per tutto. E lottare per quel che si vuole. Sapevo che saremmo finiti in questa situazione, lo sapevo da quando ho visto Callimaco scendere da quella nave. E sapevo anche che tu non mi avresti detto nulla riguardo ai tuoi sentimenti, nonostante io sia praticamente parte di te. Ho dovuto tirartela fuori con le pinze quella confessione! Per una volta lascia perdere i tuoi doveri di principe e fai quello che desideri. Se non vuoi andarci a letto così su due piedi, impara a conoscerlo. E chissà, magari alla fine nel suo letto ci arrivi lo stesso- sogghignò Hermia. Poi lasciò andare il fratello e si incamminò lasciando Enea spiazzato e con il viso dello stesso colore dei chicchi di melograno. La figlia di Poseidone sorrise soddisfatta.

 

Arcadia – giorno 15, ore 12.00

 

L'unico motivo per cui Ariadne non si stava lamentando era perchè avrebbe dovuto aprire bocca. E forse perchè quello era l'unico modo per uscire di lì e tornare vincente da suo padre per sbattergli in faccia la sua superiorità. Ma questo Ariadne lo dava per scontato. Si era resa conto che anche nel caso in cui lei a casa non ci fosse più tornata, a perdere era sempre suo padre. Questo rendeva la morte un po' meno spaventosa. Il che non voleva certo dire che Ariadne volesse morire, anzi, aveva un desiderio estremo di vivere. Lei se ne sarebbe andata, in un modo o nell'altro, anche a costo di tornare a Tebe a nuoto. Perciò sopportava quelle ore di attività poco principesche, anche in compagnia di persone con cui non voleva avere minimamente a che fare. Sopportava lo sporco, che odiava, la possibilità di incontrare malaugurati insetti disgustosi, che odiava ancora di più dello sporco e sopportava la presenza di persone mediocri e assolutamente inutili per i suoi scopi.

Quel giorno era in coppia con Thaddaios. Per quanto il figlio di Ermes non gli piacesse, era sempre meglio dei principi di Atene. Hermia in modo particolare la infastidiva talmente tanto che non riusciva a guardarla senza sentire la rabbia montarle dentro. All'inizio non capiva il motivo, ma più i giorni passavano più si era resa conto che Hermia era più simile a lei di quanto volesse ammettere. Non sarebbe stata in grado di aggirarla. Inoltre su di lei il suo potere non funzionava, come non aveva nessun effetto su Enea. Non riusciva a capire perchè. E questo la mandava su tutte le furie. Mentre cercava quella fantomatica via di uscita stava mettendo a punto il suo personale piano per uscire. La differenza principale tra lei e Hermia era che la figlia di Poseidone era altruista. Metteva gli altri prima di se stessa. Ariadne considerava l'altruismo una debolezza. “Porta solo all'annichilimento di chi siamo come persone” era una frase che ripeteva spesso. Il suo popolo la considerava egoista e deplorevole, ma lei li prendeva come complimenti. Significava che avevano paura di lei. Non poteva negare che amava avere un potere assoluto sugli altri. Ovviamente si era ripromessa che la maggior parte del lavoro sporco sarebbe toccato a qualcun'altro. Tra tutti i ragazzi che avevano fatto coppia con lei Thaddaios si era rivelato quello più adatto al suo scopo. Non che fosse estremamente forte o intelligente, ma perché era il più malleabile tra tutti gli altri semidei. Aveva paura di tutto, la sua mente era debole e facilmente controllabile. Inoltre era un sempliciotto, a suo parere. Non sarebbe stato difficile portarlo dalla sua parte. Un paio di battiti di ciglia, qualche oscillazione dei fianchi, una scollatura che lasciava poco all'immaginazione ed era fatta. Non vedeva l'ora che le conseguenze delle azioni di suo padre gli esplodessero in faccia.

 

Ovviamente Thaddaios non aveva idea di essere stato scelto per diventare una marionetta. Se ne stava tutto concentrato analizzando ogni singola parte dei quei maledetti muri di pietra. Non vedeva l'ora di andarsene da quel luogo. Lo terrorizzava a morte, il gioco di parole non era esattamente voluto e purtroppo veritiero. Ariadne aveva ragione su una cosa: Thaddaios si spaventava facilmente. Ma Ariadne non si era resa conto che non possedeva solo un lato codardo e debole. Tra tutti i semidei presenti in quella fortezza Thaddaios era l'unico il cui egoismo era pari a quello della sacerdotessa di Era. Poteva essere diabolico e se avesse dovuto scegliere tra la propria vita e quella di centinaia di altre persone avrebbe scelto la sua senza esitazione. E senza rimorso. Sarebbe arrivato persino a tradire i suoi compagni pur di sopravvivere. Perchè temeva la morte sopra ogni altra cosa. Avrebbe fatto di tutto per andarsene e sopravvivere, anche a costo di essere un fuggitivo per tutta la vita. O di passare dalla parte di Akakios. Conosceva un paio di figli di Ermes che avrebbero potuto sostituirlo, non si sarebbe di certo fatto scrupoli a fornire dei nomi. Sperava solo che il re di Creta ci mettesse molto tempo a fare quello che aveva in mente di fare perchè altrimenti non avrebbe avuto modo di trovare una scappatoia. Credeva all'esistenza del passaggio di cui avevano parlato Hilarion ed Enea, doveva crederci, altrimenti sarebbe impazzito. Eppure sapeva che non l'avrebbero trovato con la stessa facilità con cui i bambini trovano le conchiglie sulla spiaggia. Ci sarebbero voluti giorni, settimane per riuscire a individuare l'uscita. Senza contare il fatto che non potevano andare troppo lontano, per ora se l'erano cavata dato l'enorme numero di possibili corridoi. Ma presto i corridoi sarebbero finiti e loro avrebbero dovuto rischiare e inoltrarsi più a fondo. Thaddaios sperava davvero che Akakios ci mettesse tanto tempo e che non fosse lui il primo a morire.

 

Arcadia – giorno 15, ore 11.45

 

Agape non aveva la minima idea di dove Orion trovasse l'energia per schizzare avanti e indietro per quel corridoio. Erano ore che saltellava, non si era fermato un attimo. E la cosa peggiore era che mentre saltellava, parlava. Mai nella sua breve vita Agape aveva incontrato qualcuno la cui parlantina eguagliava quella del giovanissimo figlio di Dioniso. Per la prima ora l'aveva sopportato, anche perchè era curiosa di conoscere come vivevano nella città di Salonicco, così a Nord rispetto a Rodi. Prima di essere scelta come sacrificio Agape non si era mossa dalla città in cui era nata. Era cresciuta con la consapevolezza che da lì lei non se ne sarebbe mai andata. Sarebbe morta sull'isola che la teneva in gabbia. Agape aveva sempre considerato il fatto di trovarsi su una terra circondata dal mare una fortuna per il padre adottivo. Così tutte le giovani che si offriva di aiutare e che costringeva a lavorare per lui non sarebbero mai scappate. Non avevano abbastanza soldi per pagare qualcuno che le portasse via, non potevano di certo imbarcarsi clandestinamente altrimenti il loro destino sarebbe stato peggio di quello che avevano sulla terraferma e Hippolotus non aveva mai insegnato loro a nuotare. Per cui la scelta era rimanere o morire annegate. Nessuno aveva mai scelto quello strada. Ora Agape stava iniziando a pentirsi di non averlo fatto, di certo morire annegata era molto meglio che morire in qualche modo orribile per gli scopi di un vecchio pazzo.

Per questo aveva ascoltato con interesse i racconti di Orion sulla sua vita prima della partenza. Su come avesse due madri, una biologica e una “adottiva”, su come le amasse entrambe con tutto se stesso, su come nessuno lo beccava mai quando rubava qualcosa da mangiare al mercato. Poi però la mancanza di silenzio aveva iniziato a farsi sentire e ora l'unica cosa che desiderava era che Orion stesse zitto e camminasse come una persona normale. Aveva trovato un modo per rendere la voce squillante un sottofondo, ma si era resa conto che in entrambe le situazioni la malinconia la dilaniava. Voleva rivedere il panorama dall'alto della collina, addormentarsi di nuovo sotto gli ulivi e sentire ancora la fresca leggerezza della brezza marina sfiorarle la pelle come un bacio di un amante delicato. Eppure nel suo cuore sapeva che non sarebbe mai più riuscita a farlo. E questo la dilaniava, perchè anche se fosse sopravvissuta non avrebbe mai rimesso piede nella casa di Hippolotus. Agape si chiese se mancasse a qualcuno. Forse alle ragazze come Kalomira e Demetra, le stesse ragazze che aveva tirato fuori dal baratro in cui erano cadute dopo la loro prima sera. La figlia di Apollo sperò che la sua assenza non avesse distrutto quel poco di libertà che aveva ottenuto per loro.

 

Orion saltellava per il corridoio come se niente lo preoccupasse. Senza pensieri e senza dolori. Parlava veloce e automaticamente, raccontava episodi salienti della sua vita, di come amasse le madri e di come si divertiva a fregare i commercianti avidi che vendevano la loro merce a prezzi decisamente alti. Quasi tutti i semidei con cui aveva fatto coppia gli avevano intimato di starsene zitto e aprire bocca solo per comunicare qualcosa di estremamente importante e necessario. Agape gli stava permettendo di parlare a ruota libera. Orion aveva bisogno di farlo, era la sua valvola di sfogo. Alcuni tirano di scherma, altri riempono un bersaglio di frecce e altre ancora coprono di lividi un corpo. Lui parlava. Ne aveva bisogno, doveva tirare fuori l'energia che gli ribolliva dentro e saltellare non bastava. Era iperattivo quando era calmo e tranquillo, la situazione non faceva assolutamente nulla per renderlo docile. Anzi la paura aumentava la sua energia e la malinconia rendeva necessario tirarla fuori. Ad Orion mancavano la madre ed Eulalia, gli mancavano come se loro fossero la sua aria e lui stesse annegando. In quel momento aveva dimenticato tutto il rancore che ancora sapeva di provare verso sua madre Ninphadora, per via di come lo avesse cresciuto di nascosto. Conosceva le ragioni del suo gesto e lo comprendeva, ma non poteva fare a meno di pensare che avrebbe potuto trovare un'altra soluzione. Ora perdonava ogni cosa e il suo unico desiderio era poterla riabbracciare, lei ed Eulalia, la sua balia, la sua seconda mamma.

Orion era infantile sotto molti punti di vista. Il suo aspetto fisico per prima cosa, nonostante avesse quattordici anni era piccolo e magro, tutti lo vedevano come un bambino e lui aveva iniziato a comportarsi come tale. Poi c'era il suo rifiuto di crescere, crescere avrebbe voluto dire abbandonare la casa in cui era cresciuto e questo Orion non voleva farlo. Infine amava giocare e correre, inseguire gli animale nei loro giri e recitare ruoli a teatro, amava fingere di essere famoso e importante. Aveva imparato a correre veloce anche per questa sua passione oltre al fatto che rubacchiava in giro. Per questo Orion voleva tornare a casa, per poter ritornare a vivere come faceva prima.

 

Arcadia – giorno 15, ore 10.00

 

Cassiopea ed Epeo stavano avendo una conversazione più o meno civile. Non si erano ancora uccisi per cui la figlia di Ares la considerava tale. Certo sarebbe stato compromettente farlo proprio in quel momento. Poi avrebbe dovuto portare il corpo del figlio di Atena fino all'ingresso principale. Ovvimente dava per scontato che sarebbe stata lei a vincere, dopotutto erano poche le persone che erano in grado di batterla sul campo di battaglia e anche in quei casi era solo perchè avevano una conoscenza migliore del terreno. Fatto sta che Epeo non aveva ancora detto niente che potesse anche solo lontanamente suscitare la sua rabbia. E parlavano da ben quindici minuti, non si sarebbe mai aspettata tale risultato. Forse era dovuto all'argomento di sudetta conversazione: entrambi volevano tornare a casa, per motivi diversi, certo, ma lo scopo finale era lo stesso. Cassiopea non si sarebbe mai arresa. Non era nel suo carattere e anche se non fosse stata così testarda di suo, di certo non si sarebbe mai sottomessa ad un uomo come Akakios. Aveva giurato a se stessa che se mai si fosse trovata nell'improbabile circostanza di non poter combattere l'uomo che avrebbe scelto per se stessa sarebbe stato un uomo d'onore, leale e che la capisse abbastanza da lasciarla libera. Sapeva di chiedere molto, ma sapeva anche che l'eventuale caso di matrimonio era anche minimo. Non era una di quelle ragazze che pregavano per avere qualcosa che ancora non possedevano o per evitare situzione spiacevoli, eppure in quel momento capiva per la prima volta le emozioni che spingevano quelle giovani alle preghiere disperate a dei che molto probabilmente se ne sarebbero altamente fregati.

-Il colore della roccia cambia a seconda di vari fattori. A seconda della sua vecchiaia oppure per via di infiltrazioni di altri elementi. Il passaggio che cerchiamo sappiamo che esiste solo grazie al fatto che abbiamo trovato un'uscita, ma non conosciamo nulla delle sue gallerie interne; potrebbero essere crollate, potrebbero anche non esistere affatto e quello che Enea e Hilarion hanno visto è lo sbocco di un diverso passaggio. Sono cose che non sappiamo per certo e che aprono le porte a infinite possibilità non molto piacevoli- stava dicendo in quel momento Epeo. Era da un bel po' che blaterava fatti completamente a caso sperando di fare luce sulla faccenda.

-Sei troppo fissato sulle possibilità future Epeo, non serve a niente pensare al futuro se non sappiamo nemmeno cosa ci riserva il presente- disse interrompendolo.

 

Epeo si voltò a guardarla. Il figlio di Atena odiava non sapere le cose, come ogni figlio di Atena che si rispetti. E ritrovarsi con così poche informazioni lo stava facendo impazzire piano piano. Il fatto che non si potessero minimanente collegare tra di loro rendava peggiore il suo stato mentale. Epeo amava tutto ciò che era legato alla logica. Non c'era niente di logico nella situazione in cui si trovava in quel momento. Il loro destino era nelle mani di un re pazzo. Ovviamente essendo pazzo non poteva ragionare come tutti gli altri. La loro unica possibilità di salvezza era rappresentata da una fantomatica via d'uscita di cui conoscevano solo l'esistenza grazie ad un buco a strapiombio sul mare. Decisamente non logico, avrebbe potuto essere qualsiasi cosa. Hermia ed Enea avevano deciso che cambiare il compagno ogni giorno era un'idea eccellente. Cosa assolutamente non logica, come fai a imparare a conoscere qualcuno se lo vedi una volta sola? Per cui Epeo aveva bisogno di qualcosa di logico su cui concentrarsi. Aveva deciso che la malinconia che provava verso casa era perfettamente logica. Erano giorni che Epeo rifletteva sulle conseguenze nel caso in cui non fosse tronato. Evitava di pensare al caso opposto perchè avrebbe dovuto fare i conti con i suoi sentimenti, Epeo non era bravo con i sentimenti, proprio per niente. Per tenere la mente occupata parlava. In quel momento, prima che Cassiopea lo interrompesse con una frase sorprendentemente saggia, stava blaterando riguardo ai vari colori della roccia e le possibiltà che quel che stavano così affannatamente cercando non esistesse nemmeno.

-Pensare al futuro è una cosa perfettamente logica e razionale. Se a te ti tranquillizza pensare ai vari modi di uccidere un nemico, a me tranquillizza pensare cose logiche- fu la sua piccata risposta, nonostante sapesse in fondo in fondo che Cassiopea aveva ragione. Pensare al futuro lo faceva soffrire più di quando fosse disposto ad ammettere.

-Beh, allora pensa e basta al tuo futuro- disse la figlia di Ares, stressando il tono sulla parola pensare.

 

Arcadia – giorno 15, ore 13.30

 

Ilektra e Glykeria si erano parlate il minimo indispensabile. Non perchè si stessero antipatiche ma perchè non avevano niente da dirsi. Entrambe osservavano attentamente la parte di parete che si erano assegnate. Non sentivano la necessità di iniziare un discorso.

 

A Glykeria non dispiaceva il silenzio, era abituata a stare zitta per ore quando andava a caccia. Le mancava profondamente la sensazione dell'arco fra le dita, l'adrenalina che le scorrava nelle vene quando addocchiava la sua preda, i movimenti felini e silenziosi che faceva per prepararsi al lancio perfetto. Ma più di tutti le mancavano le sue compagne. Di notte rivedeva i loro volti, intorno al fuoco o al chiarore della luna e delle stelle, nella penombra di una giornata nuvolosa o sotto il sole accecante in mezzo ad una radura. E i volti di Danai e Isidora erano quelli che la tormentavano di più. Rivedeva Danai stesa a terra, una freccia in mezzo alle scapole, immobile. Rivedeva il dolore sbocciare sul viso di Isidora mentre il suo ventre si colorava di rosso. Non l'aveva vista morire. Rimpiangeva di non averlo potuto fare, avrebbe voluto almento stare con lei nei suoi ultimi momenti. Allo stesso tempo però desiderava che al suo posto che fosse Isidora, che fosse stata lei la prescelta per sopravvivere un po' più a lungo. Isidora sarebbe riuscita ad andarsene, Glykeria ne era certa. Se ne sarebbe andata e avrebbe portato ad Artemide almeno il nome di coloro che avevano osato far loro del male. Glykeria non era come Isidora, non aveva la stessa forza interiore. Certo era forte, ma la sua forza non veniva dalla solitudine. Lei era forte insieme alle sue compagne, non era portata per brillare in prima linea. Lei era una persona da retrovie, il tipo che ti aiuta di nascosto e non desidera altro che vederti avere successo. Non aveva bisogno di riconoscimento, considerava il lavoro stesso come tale. Per questo odiava la sutuazione in cui si trovava. Non poteva svolgere il solito ruolo che di solito aveva. Per poter tornare dalle Ccacciatrici doveva brillare più forte di quanto avesse mai brillato in tutta la sua vita. Non poteva essere l'ombra dietro a tutti. Invidiava un po' le persone come Enea, Hermia o Ariadne, così a loro agio sul piedistallo in cui si trovavano. Se fosse stato per le sul piedistallo non ci sarebbe mai salita, odiava stare al centro dell'attenzione, era decisemente più brava ad eseguire gli ordini piuttosto che ad impartirli. Ed ora doveva prendere il comando di se stessa e risplendere al fianco di altre stelle. Forte e luminosa. Non poteva stare dietro la loro luce, non più ormai. Era un freno più che sufficiente per lei.

 

Ilektra odiava essere chiusa in gabbia. Lo era stata per mesi e quando l'avevano liberata credeva di non dover tornarci mai più. E invece era finita in una gabbia ancora più profonda di quella in cui era prima. Almeno ad Olimpia vedeva la luce del sole e respirava aria fresca. Ora sembravano dei miraggi. Sapeva di essere nata nell'epoca sbagliata, o per lo meno nel popolo. Ad Olimpia arrivavano persone provenienti da centinai di luoghi doversi. Come una famiglia che aveva conosciuto quando aveva a malapena otto anni. Avevano le pelle molto più scura della sua e i loro occhi erano neri come le olive mature. Da dove venivano loro le donne avevano molto più libertà, potevano addirittura rifiutare un matimonio se erano di classe elevata. Ilektra sapeva che la ragazza che si era negata al suo promesso sposo qualche anno prima aveva fatto una brutta fine. Lo sapeva perchè l'ultima volta che l'aveva vista aveva il viso bagnato di lacrime e un livido scuro su una guancia. Si era uccisa poco dopo aver scoperto di aspettare un bambino dallo stesso uomo che l'aveva costretta a concepirlo. Ilektra si era rifiutata di piangere quando aveva appeso la notizia. Aveva tredici anni, Galatea ne aveva appena compiuti quindici. Fu anche per quello che quando un Ilias aveva dichiarato di amarla, lei aveva chiaramente detto di no. Poi Ilias l'aveva tradita smascherando il suo travestimento di fronte a tutta la città e aprendole la strada verso quello che lei considerava il Tartaro in terra. E ora si trovava sepolta viva in attesa di morire per mano di un pazzo sclerato assetato di potere. Quasi quasi preferiva la prigione a casa sua. Almeno sua madre aveva il permesso di farle visita una volta alla settimana per qualche ora. Ilektra sapeva che sarebbe stata tra i primi morire. Suo padre era Ade, non solo Re degli Inferi ma anche il più facile da colpire. Se Akakios l'avesse uccisa incolpando uno qualunque degli dei abitanti dell'Olimpo, Ade non sarebbe stato di certo con le mani in mano. Aveva pochissimi figli, avrebbe sicuramente percepito la sua anima entrare nei suoi domini. Akakios sapeva benissimo che non bastava uccidere un semidio per attirare l'attenzione del genitore divino, seriviva qualcosa di molto più subdolo e meschino per farlo. Ilektra aveva la sensazione che Akakios conoscesse il modo perfetto per far arrabbiare a morte gli dei.
E non le piaceva affatto.

 

 

 

Angolo Autrice

I'M SORRY. Lo so mi odiate, avevo promesso che avrei tuenuto un aggiornamento regolare e non l'ho fatto. Faccio schifo a mantenere questo tipo di promesse. Siete autorizzati ad insultarmi pesantemente in qualsiasi lingua e moto ritenete necessari. So anche che non serve avere scuse perchè è inutile, ma posso dirvi che veramente non l'ho fatto apposta a ritardare così tanto. Questo file Open Office è aperto sul mio computer da quando ho pubblicato il capitolo 10. Non l'ho mai chiuso ( e si non ho mai spento il mio computer, credo mi odi anche lui per questo) e l'ho scritto a pezzi. Forse ve ne siete accorti. Ogni coppia o quasi è stata scritta in giorni diversi. So che non succede praticamente niente ed è anche per questo che è stato così difficile scriverlo. Non avevo idea di che far fare loro. Il prossimo capitolo sarà molto più movimentato. Si concentrerà per lo più su un personaggio poiché, signori e signore, sarà il capitolo del primo sacrificio (Provate un po' ad indovinare chi è? A chi indovina invio tanti palloncini e un unicorno rigorosamente blu. È possibile anche scegliere un pandacorno o un qualsiasi altro animale fantstico tipo: drago, viverna, leviatano, grifone, kitsune... insomma avete capito). Vi avviso già in anticipo che ci vorrà un po'. Spero di postarlo per le vacanze di Natale. Lo so che è tra più di un mese e vi chiedo scusa, ma farò tutto il possibile per fare in modo che l'attesa sia ripagata. A quelli che si chiedono: “Ma come mai non aggiorni prima, lazy ass?” : sono al primo anni di università e non è particolamente vicina a casa mia. Ci metto circa un'ora e un quarto ad arrivare e altri dieci minuti dalla stazione all'università. E ovviamente gli orari delle mie lezione fanno assolutamente schifo. Esco di casa alle 7.30 del mattino e ci rientro alle 8.00 di sera. Comodissimo. Odio profondo a chiunque abbia pensato agli orari. Fatto sta che quando sono a casa ricopio gli appunti o faccio i compiti, perchè certo che ho i compiti anche all'università... -.-”””. Per cui vi lascio immaginare in che stato mentale io possa essere in questo momento, By the way, posso pubblicare oggi solo perchè il mio professore di letteratura è stato carino e gentile e ha finito il programma nella lezione di ieri.

Comunque, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Fatemi sapere chi sospettate che possa essere il primo sacrificio... sono curiosa. Se mi dite anche perchè mi fate un favore, almeno io capisco come vengono percepiti da voi i personaggi.

Baci

Dia

  
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