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Autore: BlueButterfly93    24/11/2018    2 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
-
Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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Capitolo 29

La Sirena dai capelli ramati








Canzone del capitolo: 🎶 Ross Copperman - Hunger 🎶

Uno sguardo e non riesco a respirare

Due anime in una sola carne

Quando non sei vicino a me, sono incompleto

lasciami guardare nel tuo cuore tutte le crepe e le parti rotte

Ci sono ombre nella luce, Non c'è bisogno di nasconderle

 

***


CASTIEL

Cosa mi fosse preso quella sera sul terrazzo dell'hotel non ne avevo idea. Miki aveva la capacità di spegnere la mia mente, di non farmi ragionare ogniqualvolta si trovava al mio fianco. Non doveva accadere. Lei non poteva, non ne aveva alcun diritto. Era pericolosa. Come avevo fatto a non pensare alle conseguenze dei miei gesti? Mi ero giurato di starle lontano, maledizione! Se Debrah fosse venuta a conoscenza di quei nostri momenti sarebbe stata la fine. Eppure nonostante il pericolo corso non riuscivo a pentirmi di quell'ora passata vicino alla mia Sirena. 

Sì Sirena. Micaela Rossi altro non era se non una sirena tentatrice, ammaliatrice. I suoi capelli ramati e ondulati non facevano altro che chiamarmi per essere accarezzati. Erano lucenti e morbidi, di quel colore particolare; mi era capitato qualche volta di sfiorarli solo per pochi secondi e non mi era bastato. La sua bocca carnosa poi, era un invito a morderla, baciarla, mangiarla come se fosse il cibo più prelibato. Il suo odore. Il suo cazzo di profumo alla vaniglia al contatto con la sua pelle emetteva un odore mai sentito prima, un qualcosa di afrodisiaco e spietato allo stesso tempo; Perché non lasciava via d'uscita. Per non pensare ai suoi occhi.. I suoi occhi scuri come il cielo notturno brillavano dentro i miei, emettevano una luce abbagliante unicamente quando era io a guardarla. 

Il buio svaniva mentre lei aveva le stelle negli occhi.

Mi parlavano, esprimevano emozioni che preferiva non far fuoriuscire a voce.. D'altronde le era bastato il modo in cui avevo reagito davanti alla sua ammissione di provare qualche specie d'interesse per me per zittirla. Ero stato uno stronzo con lei, ma era necessario. Come potevo definire degli occhi scuri affascinanti? Come diavolo ero finito a pensare tutte quelle cose di lei? Non sapevo cosa mi stesse accadendo, l'aria italiana mi faceva male. Ero sicuro che una volta atterrato nel mio paese avrei riacquistato la solita supremazia e Miki non avrebbe avuto più alcun potere su di me. L'avere solo e soltanto lei a disposizione, l'averla perennemente affianco, nella stessa stanza, mi aveva reso vulnerabile e sempre più voglioso di lei. In Francia mi sarebbe bastato chiamare una delle mie amiche di letto per risolvere il problema e Miki a quel punto sarebbe diventata solo un lontano ricordo. 

Perché se volevo salvarmi il culo dovevo a tutti i costi tenerla distante. Per il suo bene dovevo allontanarla. Debrah era pericolosa così come anch'io lo ero per Miki. 

L'avevo provocata in quella settimana di permanenza a Roma per capire fino a dove sarebbe arrivata senza rivelarmi della sua verginità. Non ero stupido, l'avevo intuito sin da subito che non avesse esperienze, ma avrei preferito che si fidasse a tal punto da confidarsi con me.  Leggere il suo diario segreto era stata solo una conferma ad un aspetto che la mia praticità mi aveva già portato a comprendere. Il modo in cui s'irrigidiva quando le sfioravo la pelle, il suo rossore sulle guance in segno d'imbarazzo, erano stati tutti dei campanelli d'allarme. Anche per quell'aspetto avevo capito di non andar bene per lei. Miki non era come Debrah sebbene all'apparenza volesse dimostrare il contrario. Lei avrebbe avuto bisogno di delicatezza, di qualcuno che potesse darle di più del semplice piacere sessuale. Miki aveva bisogno di essere guarita, necessitava di qualcuno che le potesse riparare il cuore ed io non ne sarei mai stato in grado. Perché io ero anche più rotto e disastrato di lei. E due cuori rotti non potevano andare da nessuna parte insieme. Ci saremmo solo distrutti a vicenda a causa del nostro passato, della nostra mancanza di fiducia nel mondo, per la fonte del nostro vuoto. Come potevano riempirsi a loro volta due insiemi vuoti? 

Quindi altro non avrei dovuto fare se non resistere alla tentazione. Non avrei più ceduto davanti ai richiami della mia Sirena. Ma lei era stata così brava su quel terrazzo. Come le sirene con Ulisse, cantò per indurmi a fermare la mia nave. Sapevo avesse utilizzato quella canzone per provocarmi, per illudermi che noi insieme ce l'avremmo potuta fare, ma si sbagliava. Avevo ceduto per metà con il baciarla, con il sfiorare il suo corpo, però riuscii a fermarmi in tempo prima di...

Ma chi diavolo volevo prendere in giro? Se non fosse stato per lei, che mi bloccò con la sua voce candida, io sarei stato capace di prendermi tutto ciò che aveva da offrire. Avrei preso persino la sua purezza lì su quel vecchio terrazzo di un hotel romano, senza arrivare a pensare che meritasse di più sia come luogo che come persona. Meritava di meglio, ma in quel momento nell'anticamera del cervello non passò nessuno di quei pensieri. Perché ero incapace di resisterle; io non ero Ulisse, non ero un fottuto eroe, sarei rimasto sempre e soltanto uno stupido ragazzo incapace di riflettere prima di combinare casini. Proprio per quel motivo avrei dovuto tenere Miki distante da me e dalla mia follia.

Da quel momento per davvero. Non avrei più ceduto, mi promisi tra me e me mentre ponevo le ultime cose in valigia. Lo avrei fatto per il suo bene.

Eppure nell'attimo in cui mi bloccò dall'andare oltre su quel prato finto, era scattata qualcosa dentro di me, mi sentii offeso, rifiutato, come se non le scaturissi lo stesso effetto che invece lei provocava al mio corpo. Perché Miki era stata in grado di fermarsi in tempo mentre io avevo completamente scollegato il cervello dal resto del corpo? E preferii scappare come il codardo che ero piuttosto di affrontare la verità, ma forse era meglio così. Probabilmente più giocavo il ruolo dell'ottuso più lei si sarebbe allontanata da me, salvandosi.


Da: Debrah

Sono dovuta rientrare a Parigi prima del previsto, ma non cantare vittoria... Ho chi ti controlla ;) quindi tieni quelle mani al loro posto o al massimo muovile sul tuo cazzo mentre pensi a me. Basta che tu stia lontano dalla puttanella.

 


MIKI

Castiel aveva ricominciato ad ignorarmi. Evidentemente aveva assimilato male il rifiuto di non concedermi la sera prima in terrazza. Peggio per lui. Non ero una bambola gonfiabile pronta a sottostare alle sue esigenze. Non ero pronta per fare quel passo, ne valeva del mio orgoglio femminile, del mio pudore. Non potevo concedermi per la prima volta ad un ragazzo impegnato con un'altra donna. Sapevo di aver detto che la mia verginità mi pesasse, di avere tutte le intenzioni per eliminare quella debolezza, ma quei mesi trascorsi a Parigi mi avevano cambiata. Mi ero resa conto di quanto anch'io fossi capace di provare dei sentimenti, delle emozioni; durante quei mesi alcune delle mie maschere erano cadute e tutto mi aveva influenzato, condizionata a mutare il mio modo di vedere alcuni aspetti, compresa la verginità. E quella piccola parte di me era diventata un valore, non solo un peso. Ma quella testa di pomodoro non poteva comprendermi fino in fondo; lui non era a conoscenza della mia verginità, ma anche qualora lo fosse stato fui sicura che non avrebbe capito ugualmente. Non avevamo gli stessi modi di vedere le situazioni. Io stessa avevo cercato di nascondere la mia ingenuità in ambito sessuale mostrandomi sicura di me con tutti compreso lui, avevo sbagliato o forse no ma fatto stava che Castiel non aveva alcun diritto d'innervosirsi per la banalità di essermi rifiutata di andare oltre. 

Così neanch'io gli parlai, feci il suo stesso gioco. Preparammo le valigie nello stesso momento, prima di lasciare l'hotel per il nostro ultimo giorno di visita guidata in giro per la città eterna. 

Quella settimana trascorsa a Roma mi aveva lasciato tanto. Avevo scoperto altre verità sul mio passato che a Parigi non avrei mai saputo. Avevo rivisto Teresa, mia madre, dopo otto anni. Avevo subito un ricatto da parte di una diciassettenne diabolica. 

E poi c'era stato Castiel. Il rosso scorbutico e a tratti gentile, il Castiel passionale e a tratti dolce, il Black lunatico e a tratti sincero. Mi aveva regalato un dipinto creato da un pittore che ci ritraeva. Avevamo riempito la cucina dell'hotel di sapone a causa della nostra battaglia infantile. Avevamo fatto un bagno nella fontana di Trevi insieme senza essere arrestati. Che grande traguardo! Aveva di proposito perso la scommessa ed io come prima penitenza gli avevo chiesto di rispondere a qualche domanda, come secondo sacrificio l'avevo obbligato ad ascoltare una delle mie canzoni preferite che invece lui odiava profondamente. Mi ero ubriacata a causa sua dopo avergli rivelato il mio interesse, dopo avergli rivelato che mi piaceva. Gli avevo confessato la parte più dolorosa del mio passato, gli avevo permesso di entrare sotto la mia corazza, lì dove non avevo mai lasciato entrare nessuno. E poi c'erano stati i nostri momenti; quei momenti magici in cui i nostri corpi si toccavano, le nostre mani si sfioravano e le nostre bocce si desideravano. Inconsciamente, involontariamente in una settimana avevamo aggiunto un altro tassello al nostro rapporto. Un mattone indistruttibile, che aveva chiarito almeno un aspetto del nostro rapporto: non saremmo mai potuti essere amici, non lo eravamo mai stati e non lo saremmo mai diventati. C'era quel qualcosa di più tra noi d'innegabile, ormai. 

Ripensai a tutti quei momenti nostri mentre sistemavo con cura quel ritratto prezioso dentro la valigia per evitare che si rovinasse. Lo avrei incorniciato e appeso nella mia stanza a Parigi, lo avrei custodito con premura come se fosse l'oggetto più prezioso di mia proprietà, ed evidentemente sin da quando lo avevo ricevuto lo era diventato. Anche più importante dei miei abiti firmati, delle scarpe o dei gioielli. 

Dopo aver chiuso momentaneamente il bagaglio presi il cellulare per mandare l'ennesimo messaggio a Ciak. Durante quella settimana non era passato un giorno senza che io gli scrivessi, gli chiedessi come stesse ma non avevo mai ricevuto risposta. Avevo tentato in tutti i modi di salvare il salvabile di quell'amicizia andata a rotoli cinque mesi prima, ma non c'era stato verso. L'unico modo per riavere Ciak sarebbe stato quello di stare insieme a lui come sua ragazza, ma non potevo mentire a me stessa, non potevo mentire a lui. 


A: Ciak

Buongiorno, come va? 

Dobbiamo parlare.

Domani tornerò e non potrai più ignorarmi.


Non feci in tempo a scrivere e inviare il quarto messaggio che la vibrazione del cellulare mi segnò l'arrivo di una decina di sms da parte di un altro mittente. Sapevo già di chi si trattasse. Sorrisi al pensiero del suo imminente interrogatorio quotidiano. Non avevamo smesso un giorno di sentirci, sebbene non le avessi rivelato quasi niente di tutte le vicende accadute. Attendevo di parlarle di persona. 


Da: Rose<3

Buongiorno splendore, com'è il tempo in Italia?  

Qui oggi piove e sono triste. 

Mi manchi :(

Finalmente domani torni e potrò sapere cos'hai combinato di così scandaloso da non avermelo potuto rivelare per telefono.

Spero per il tuo amato pomodoro secco che si sia comportato come si deve, altrimenti vedrà la versione RosalHulk e sono sicura che non gli converrebbe.

Rosal= Rosalya; Hulk= omone gigante verde della Marvel che spacca tutto.

Rosalya+Hulk= RosalHulk (ovviamente in versione rosa e stilosa, con tutina aderente da supereroe)

Miki:

Buongiorno RosalHulk, qui c'è il sole. 

Mi manchi anche tu. 

Per quanto riguarda il soggetto rosso in effetti ci sarebbe da prenderlo a mazzate!

Da: Rose<3

Cosa ha fatto? Dimmi tutto. 

Intanto ho già pensato alla morte migliore per lui:

Lo prendo a padellate in fronte talmente forte da rincoglionirlo. 

Poi stacco gli occhi e li cucino alla coque in padella.

Poi taglio il suo pisello e lo dò in pasto ai pesci d'acquario di Lysandre. 

E quel che resta del suo corpo lo getto nel Senna. Tutti i pesci hanno diritto di mangiare!

Miki:

Ma dai sei troppo crudele ahahah

Ti racconterò tutto al mio ritorno, ora non posso. 

Dobbiamo partire per la visita guidata.

A dopo Hulk!

 

Rosalya aveva idee particolari e tutte originali per vendicarsi dei torti di Castiel. Non le era mai stato simpatico, ancor di più dopo esser venuta a conoscenza dei suoi modi scontrosi e lunatici usati con me. Ma nonostante ciò, non avrebbe mai messo realmente in azione i suoi modelli di omicidio o forse sì... 

 

***

Il quinto ed ultimo giorno di visita guidata previde la visita del quartiere Trionfale, permettendoci di godere di una vista spettacolare su una parte di Roma, e non solo. Ripercorremmo il tragitto compiuto dagli antichi guerrieri romani sull'omonima via Trionfale. Quella strada era infatti, quella sulla quale passavano i condottieri romani rientrando da una battaglia vittoriosa per ricevere gli onori del popolo. Una cosa inusuale da fare in una visita guidata, ma proprio per quel motivo mi entusiasmò. Poi visitammo un'ulteriore chiesa: San Lazzaro in Borgo famosa perché nei tempi antichi, i pellegrini erano obbligati a sostare prima di esser ammessi in città. Inoltre Stefania ci portò all'interno di un parco catalogato come area protetta. Purtroppo però quel giorno non ero attenta come invece era accaduto in tutte le altre visite guidate, per cui persi metà delle spiegazioni scrupolose, dateci dal nostro tutor, o anche più. 

Quando Stefania ci lasciò rilassare sul prato di quel parco immenso, approfittando delle ultime ore di sole, -come capitava spesso- mi persi ad ammirare il ragazzo annoiato e brontolone accanto a me. Mi ero promessa di lasciar perdere, di osservare alla lettera le richieste di Debrah fino a quando avrei trovato un modo per scolpare Castiel e incastrare la vipera, ma il richiamo verso di lui era più forte. 

La fronte corrucciata e l'espressione afflitta a testimonianza della perdita di qualche partita in qualche assurdo gioco, iniziato durante le spiegazioni noiose della Signora Lamberto e proseguito anche nella pausa prima di rientrare in hotel. Alcuni ciuffi di capelli rossi e lunghi che ricadevano sugli occhi grigi, il labbro inferiore tra i denti; tutti quegli aspetti mi fecero perdere la testa. 

Pranzammo in silenzio con dei panini comprati prima di recarci in quel parco, sotto indicazione di Stefania. La nostra guida ci aveva lasciati momentaneamente da soli, andando a pranzare altrove con la scusante di dover rispondere ad una chiamata importante al telefono. Odiavo quel silenzio, quel mutismo dopo ciò che soltanto la sera prima avevamo condiviso. Forse per lui non era stato importante, ma per me sì e non riuscivo proprio a fare finta di nulla. Ero un caso perso.

Lui non aveva alzato neanche per sbaglio lo sguardo dal suo telefono, così ne approfittai per continuare a fissarlo indisturbata convinta che lui non se ne accorgesse. Si era sdraiato tranquillamente sull'erba con la schiena poggiata ad un piccolo muretto di marmo, ed io invece mi trovavo poco distante da lui seduta su quello stesso piccolo muretto, che aveva la funzione di recintare degli alberi dalle forme tonde e graziose. 

«Quando deciderai di smettere è sempre ora...» se ne uscì dal nulla infastidito.  

«Che-»

«Fissarmi. Questo hai fatto» concluse senza alzare lo sguardo da quell'aggeggio che aveva ottenuto la sua totale attenzione. 

Aveva forse degli occhi nascosti accanto alle orecchie? Veniva da un altro pianeta? Come aveva fatto ad accorgersi del mio sguardo puntato su di lui? Nonostante non riuscissi a spiegarmi quell'aspetto, lasciai cadere il discorso. Non gli risposi. In quel momento avevo solo intenzione di distrarlo da quello stupido cellulare, quelle sarebbero state le ultime ore in cui avrei potuto averlo tutto per me, perché quando saremmo tornati a Parigi stare in sua compagnia sarebbe stato più complicato se non impossibile... Da qualche mese aveva sempre alle calcagna Debrah, e dopo il nostro patto fui sicura che lo avrebbe tenuto al guinzaglio ancor di più. Ma allora perché non aveva iniziato a farlo già a Roma? Ci stava forse concedendo gli ultimi giorni? O aveva altro in mente? Scossi la testa davanti a quelle domande. Non era tempo di pensare alla ragazza diabolica, avevo altre prerogative in quell'istante. 

«Facciamo un gioco...» fu quella la prima cosa che mi venne in mente per ricevere la sua attenzione. 

Finalmente, dopo chissà quanti minuti, si scomodò a puntare lo sguardo sulla mia figura ma a quel punto sarebbe stato meglio se non lo avesse fatto. Mi squadrò dalla testa ai piedi, spogliandomi del maglione e dei jeans aderenti solo con lo sguardo. Improvvisamente mi sentii nuda, in imbarazzo. Quella fu la prima volta che lo fece dopo mesi di conoscenza e non ne seppi capire neanche il motivo. Che avesse frainteso la mia richiesta?

«Hai presente il gioco delle venti domande?» specificai tutto d'un fiato.

«Che cazzata...» fu la prima cosa che gli sentii dire. Non apriva bocca da ore, mi mancava il suo modo di stuzzicarmi continuamente. 

«Facciamo una domanda ciascuno. Si danno risposte secche e schiette» insistei. 

«Sono impegnato in questo momento» rispose agitando il cellulare nella mia direzione. 

«Ci conosciamo da mesi, ma infondo non abbiamo mai parlato sinceramente senza mezzi termini. Possiamo chiedere qualsiasi cosa, anche la più imbarazzante» ero pronta a tutto pur di convincerlo. Mi restavano poche ore da passare a Roma e avrei voluto passarle con lui per collezionare altri ricordi, per portarli con me quando sarebbe tutto finito. 

Avevo semplicemente bisogno di altro tempo con lui, ce n'era stato concesso poco.

«Ho detto di no. Non faccio queste cose da bambini. Non può neanche essere definito gioco questo..»

«Bene, inizio io. Fammi pensare» feci finta di non aver sentito il suo rifiuto e con indice e pollice sul mento -dopo aver battuto le mani per l'entusiasmo- strinsi gli occhi per farmi venire in mente una qualsiasi domanda da porgli. 

«Quanto sei cocciuta» sbuffò scuotendo la testa «Non risponderò alle tue stupide domande!» si voltò e riprese a giocare al suo cellulare, ma io non demorsi. 

«Colore preferito?» gli chiesi allegra e convinta che avrei ottenuto risposta. Non gli sarebbe costato nulla.

«Nero. Il tuo?» esultai mentalmente quando rispose tranquillamente senza però staccare gli occhi dallo schermo dello smartphone «Non pensare di averla avuta vinta, anzi a dirla tutta hai delle pessime tecniche di persuasione, sono solo stato io a cedere di mia volontà. Altrimenti mi faresti venire il mal di testa a furia di straparlare cercando di convincermi».

Sorrisi per il suo modo continuo di brontolare, adoravo il suo broncio. Ai miei occhi appariva quasi come un bambino tenero in quelle occasioni.

«Da qualche mese il rosso.. Un tempo pensavo di odiarlo, invece da un po' mi sono ricreduta» 

"Per te" avrei voluto aggiungere, ma evitai, era già palese il motivo del mio cambio di colore preferito. Ero patetica, ma non potevo farci nulla. Non riuscivo a mentire dell'influenza che aveva su di me e sui miei pensieri. 

«Chi è la persona che più ami al mondo?» gli chiesi spontaneamente. 

Castiel era un tipo che non amava parlare di se stesso, di chi amava, di cosa lo appassionava. Parte del suo passato lo avevo conosciuto grazie ad Adelaide, non di certo grazie a lui. Con la sottoscritta si era sbilanciato solamente il giorno di Natale, quando mi aveva confidato parte delle vicende accadute con Debrah, quando mi aveva consigliato di non innamorarmi, quando un pezzo di cuore lo lasciai nel salotto di casa sua..

«Demon» mi stupì la sua risposta. Un tempo avrebbe risposto "Debrah" probabilmente, ma evidentemente qualcosa era cambiato con il passare dei mesi e forse addirittura degli anni.

«Non Debrah? Mi hai stupito Black. A proposito come sta Demon? Non lo vedo da un po'...» lui non sapeva che io sapevo. Non era a conoscenza che in piccola parte avevo contribuito anch'io a quella rischiosa operazione che avrebbe potuto uccidere il suo amato cane. 

«Non era una domanda a testa? Aspetta il tuo turno, Ariel!»

«Ariel? Ma che...» corrugai la fronte. Cos'era un nuovo nomignolo? O mi aveva scambiato per un'altra ragazza? Chi diavolo si chiamava Ariel oltre alla Sirenetta nonché principessa Disney?

Come se nulla fosse si alzò dal prato, mi raggiunse posizionandosi difronte alla mia figura e abbassandosi all'altezza del mio volto «Sei vergine?» mi chiese sollevando un angolo di bocca e guardandomi dritto negli occhi. 

«Che razza di domande sono queste?» diventai paonazza e lui se ne accorse.

«Hai detto che queste domande sarebbero servite per conoscerci nel profondo, e be', più profondo di questo...»

«Io n-non ho d-detto que-» 

«Guarda che lo so, non c'è bisogno che tu ti nasconda ancora. Non è necessario con me» mi rassicurò, ma io ero totalmente paralizzata. Sapevo che quel gioco mi si sarebbe ritorto contro. Dovevo stare zitta, maledizione!

«Cosa sai?» il mio tono di voce risultò quasi impaurito. 

«Che sei vergine. L'ho capito da un botto!» rispose con nonchalance accomodandosi nuovamente sul prato, ma questa volta difronte a me e poggiando entrambe le braccia sull'erba per reggersi. 

D'istinto abbassai il volto, non riuscii più a sostenere il suo sguardo, non su quell'argomento. 

«Non devi vergognartene, ognuno ha i suoi tempi..»

Era realmente tutto d'un tratto comprensivo?!

Ma non avevo alcuna intenzione di discutere oltre sulla mia verginità, non con lui e non durante l'ultimo giorno di permanenza a Roma. Non volevo che nessuno dei due iniziasse ad essere di cattivo umore. 

«Come sta' Demon?» chiesi nuovamente perché precedentemente -avendoglielo chiesto quando non era il mio turno- non avevo avuto risposta. 

In altre circostanze non avrebbe risposto, quindi ne approfittai.

«Benino» il suo viso divenne improvvisamente preoccupato e cupo, nonostante la sua risposta. Abbassò il volto per un istante. Qualcosa non era andato per il verso giusto, o Demon doveva essere ancora sottoposto all'operazione? Maledissi il non poter sottoporgli ulteriori domande per non far capire della mia conoscenza dei fatti. 

«Cos'hai provato nel rivedere tua madre?» mi chiese rialzando il volto mutando prontamente discorso; non mi aspettavo quel genere di domanda da un menefreghista incallito come lui. 

«Stupore, rabbia, malinconia, angoscia, confusione, nostalgia, amore..» non riuscii a guardarlo negli occhi, lasciai in sospeso la frase sull'ultimo sentimento, non mi andava di specificare il motivo di ogni sensazione sentita. Non ero semplicemente in vena di parlare della mia vita, del mio passato. Mi avrebbe inevitabilmente condizionato di temperamento e non volevo. Non quel giorno.

«Da quanto non ami più Debrah?» passai alla successiva domanda riprendendo a guardarlo in viso e beccandolo a sussultare davanti alla mia richiesta. 

Una domanda scomoda in cambio di un'altra domanda scomoda, era lecito. 

«Non ho mai detto di non amarla, anzi...»

«Abbiamo detto risposte secche e schiette, senza se, senza ma e senza forse Castiel!»

«Da quando mi ha lasciato la prima volta, due anni fa» non si fece problemi a ribattere. 

La franchezza, l'apertura nei miei confronti in tutte quelle risposte non me la sarei mai aspettata. Credevo s'infastidisse per quelle domande, che mi spedisse dritta a quel paese, invece non lo aveva fatto. Era una continua sorpresa. Da Lysandre e da Adelaide avevo sentito dire che Castiel riuscisse a confidarsi solamente con i pochi di cui nutriva fiducia. E se finalmente, dopo cinque mesi, avesse imparato a fidarsi di me? Certo, era riuscito a farlo soltanto quasi sotto costrizione, sotto forma di gioco, ma lo aveva fatto, e quel momento si aggiunse ai sempre più numerosi momenti preziosi trascorsi con lui.  

«E perché sei tornato con lei allora?» davanti a me si stavano aprendo spiragli. Non avrei mai e poi mai immaginato quelle realtà e arrivati a quel punto volevo avere un quadro completo di quella coppia. 

«Avevamo detto una domanda a testa..» cercò di mostrare falsa resistenza.

«Dopo ne farai due di seguito tu» ebbi subito la risposta pronta. Ero estremamente desiderosa della verità e volevo approfittare della temporanea disponibilità di Castiel. Solitamente era ambiguo e di poche parole. L'aria di Roma giovava al suo carattere. 

«Inizialmente pensavo di non aver mai smesso di amarla, poi mi è bastato qualche giorno trascorso insieme per capire che invece la mia non fosse nient'altro che nostalgia dei vecchi tempi, di quando eravamo una vera coppia.. O almeno lo eravamo ai miei occhi» mi spiegò amareggiato ma sincero.

«Cosa c'è stato realmente tra te e Nathaniel?» fu la sua domanda. Non riusciva a mantenere l'attenzione puntata sulla sua vita per più di un minuto di seguito, ma fu già un traguardo ciò che gli strappai di bocca.

«Credevo mi piacesse, è un bellissimo ragazzo. Ho provato a frequentarlo per qualche settimana, ma poi ho capito che non era il ragazzo giusto per me e quindi siamo rimasti amici, credo».

«E chi è il ragazzo giusto per te?»

«Credo di averlo difronte», ammisi schietta ma arrossendo. Non aveva senso nasconderlo dopo essermi dichiarata a lui solamente qualche giorno prima. 

«Credi male. Io non sono il ragazzo giusto per te, Miki» e fece incredibilmente male il modo con il quale lo disse. La convinzione che lessi nel suo sguardo, nelle sue parole mi fece tremare il cuore. Mutò tutte le convinzioni avute fino a pochi istanti prima.

Un passo avanti e due indietro, Castiel e Miki erano anche quello. Un passo avanti nell'essere sinceri l'uno con l'altra; due indietro a causa del rosso, per il suo continuo modo di abbattere ogni speranza.

«Perché?» gli chiesi senza aggiungere altro per non far notare la mia delusione sebbene si leggesse negli occhi. Ma d'altronde cosa mi aspettavo dopo la serata sul terrazzo, che mi giurasse amore eterno? 

Si alzò velocemente restando in piedi con entrambe le mani in tasca e a pochi centimetri dalla mia figura «Litighiamo continuamente, quanto tempo passiamo senza azzannarci, mezz'ora? Non è abbastanza. Siamo incompatibili. Siamo completamente diversi. In più non sono alla ricerca di una storia stabile, preferisco cambiare letto ogni sera. Aggiungici il rapporto complicato con Debrah e la mia storia con lei ancora in sospeso e... Cosa potrei darti Miki? Cosa potresti dare tu a me? Abbiamo entrambi dei passati di merda alle spalle, io non sono in grado né di supportarti né di sopportarti come credo anche tu, quindi...» 

A quel punto mi alzai anch'io e replicai puntandogli il dito contro «Impara a parlare solo per te stesso. Non puoi sapere di cosa sarei in grado di fare io. Non ti ho mai chiesto d'iniziare una storia seria, non ho mai preteso nulla da te, francamente non capisco il tuo discorso. Ho solo detto che tu sei il ragazzo giusto per me, non farne una tragedia ora. Tieniti il rapporto in sospeso con quella troia di Debrah e con tutte le altre, nessuno ti dice di non farlo. Prima o poi troverò un altro stronzo come te, mi piacerà e via.. tu diventerai solo un lontano ricordo. Non ti piaccio, ok, me ne farò una ragione, non sono la tipica ragazza che sta ferma a guardare fin quando il ragazzo dei suoi sogni si accorge finalmente di lei.. Come si suol dire, morto un papa se ne fa un altro. E poi fino a qualche mese fa neanche lo volevo un ragazzo, quindi figuriamoci..», dovevo difendermi in qualche modo ma in realtà finii per incazzarmi sul serio sparando a raffica menzogne su menzogne. Quando terminai avevo il fiato corto tanto dalla foga che impiegai nel vomitargli quelle frasi.

Non sopportavo quel suo continuo trovare giustificazioni. Non gli piacevo? Bene, avrebbe potuto dirlo senza discolparsi cercando scappatoie con discorsi assurdi.

«Benissimo!» sembrò addirittura infastidito dal mio discorso invece di ringraziarmi per averlo definitivamente sollevato da qualcosa che secondo lui poteva essere un peso. 

Dopo la sua risposta mi resi conto di essere pericolosamente vicina al suo corpo. Il dito indice ancora puntato sul suo petto, io con il fiato corto per il discorso acceso appena concluso e lui... 

Be' lui... era semplicemente ed irresistibilmente lui. Alzai il volto per guardarlo negli occhi, vista la sua altezza, mentre lui abbassò lo sguardo per guardare i miei. 

Bum-bum, bum-bum il cuore prese a battere forte intraprendendo la sua corsa verso il cielo. Entrambi sapevamo cosa accadeva quando sorpassavamo la distanza di sicurezza imposta da entrambi per evitare di complicare le cose. Ma ultimamente pareva non importare a nessuno dei due. Ci bastava guardarci negli occhi, respirare il respiro dell'altro per eliminare ogni litigio, promessa o discorso fatto precedentemente, e la stessa cosa accadde quel pomeriggio.

«Maledetto stronzo!» lo maledii per il suo essere così irresistibile, così impossibile, cocciuto e sensuale. 

Fu il turno mio, in quell'incontro ravvicinato, ad accorciare le distanze. In punta di piedi arrivai al suo volto, posizionai entrambi le mani dietro la testa -tra i suoi capelli rossi- e poggiai le labbra sull'angolo della sua bocca senza chiudere gli occhi. Mi piaceva ammirare le sue pupille da quella distanza inesistente. I suoi occhi diventavano i miei e viceversa. Il suo respiro si fondeva col mio diventando un unico soffio caldo. E non esisteva freddo, non esisteva caldo; non esisteva né il fruscio delle foglie tra gli alberi, né gli schiamazzi dei bambini intenti a giocare nel parco. 

Due anime in una sola carne.

Feci per allontanarmi, per non rischiare di svenire a causa dell'alternarsi delle emozioni, ma lui non me lo permise. Con un braccio avvolse la mia schiena spingendola leggermente e facendo aderire completamente il suo corpo al mio. Subito percepii la durezza sul basso ventre. Era eccitato per me. Per me e nessun'altra. 

«Senti quanto non mi piaci, quanto mi fai schifo, quanto non mi attizzi. Lo senti?» respirò sulla mia bocca -per rispondere al mio ragionamento di qualche minuto prima- mentre io rischiai di andare in escandescenza. 

Non mi diede il tempo di replicare che subito si avventò sulla mia bocca togliendomi il respiro. Fu un bacio passionale, invasivo, di quelli che non potevano essere dimenticati facilmente. Non esitai a ricambiare, d'altronde come potevo evadere dal mio inferno preferito? 

Le fiamme del suo inferno bruciando mi guardarono negli occhi confessandomi che anche lui volesse me. E avrei tanto voluto guardare tra le crepe del suo cuore, guarirle per fargli capire che dopotutto io e lui insieme non eravamo poi così male.

Le lingue saettarono facendo mille acrobazie l'una sull'altra. Le nostre bocche si perlustrarono, si esplorarono così a fondo da vergognarsi persino, quasi come se stessero scopando tra loro. Castiel fece scivolare entrambi le sue mani lungo la spina dorsale fino ad arrivare ai miei glutei, li strinse e spinse maggiormente il mio bacino contro il suo. 

E la sentii.. La sentii quell'elettricità tra noi. Più volte ci baciavamo, più ci univamo e più aumentava. Prima o poi saremmo rimasti elettrizzati dalla stessa forza dei nostri corpi. Ma nessuno dei due voleva più scappare nonostante a parole ci fossimo espressi altro.

Non c'importò dei passanti, di chiunque potesse vederci. Eravamo nuovamente nella nostra bolla, cercando quella volta di essere più bravi a non farla scoppiare. 

 

***

Quell'ultima giornata passata a Roma trascorse velocemente, in un battito di ciglia ci trovammo all'aeroporto in procinto di fare il check-in per rientrare in Francia. Il cuore aumentò i suoi battiti quando davanti alle porte, prima dell'imbarco trovai mia madre Teresa. 

«Volevo salutarti...» disse, quando fu davanti a me, imbarazzata. Stranamente era sola, senza alcun cagnolino al seguito e senza Flora. Un po' mi dispiacque; quella bambina aveva iniziato a starmi simpatica, mi avrebbe fatto piacere salutarla. 

Accennai un sorriso come risposta per farle capire che dopotutto la sua presenza lì era ben accetta. 

Dopo avermi osservata per qualche istante, mi sorpassò dirigendosi verso la figura di Castiel. Gli si posizionò difronte e strizzandogli una guancia gli parlò sottovoce per non farsi udire da me. Cosa mi ero persa? Da dove proveniva quella loro confidenza? Il rosso ovviamente le lanciò un'occhiataccia come risposta per poi iniziarsi a massaggiare la guancia. Accennò un "sì" con il volto per replicare al segreto raccontato da Teresa e poi la superò senza neanche salutarla. Il solito scostumato!

 «Cosa mi sono persa?» raggiunsi velocemente mia madre per cercare di fiutare qualcosa in più sulla scena appena assistita. 

«Oh niente di che..» mi liquidò con un cenno delle mani come per accentuare che fosse qualcosa di poca importanza. Ma io non me la bevvi quella menzogna. 

Aggrottai la fronte e incrociai le braccia in attesa di ricevere una spiegazione più esauriente, ma quella non arrivò. Fui però distratta da un colpo di tosse proveniente da Stefania ancora lì in attesa di portare a termine il suo lavoro con noi. Il suo ruolo di guida si era appena concluso.

«Bene, io andrei...» 

«Grazie al cielo non vedrò più la tua faccia e finalmente posso dirti ciò che penso» la interruppe Castiel che si trovava dietro di me.

«Sei stata il peggior tutor della storia dei tutor.. Sei ignorante n-» lo interruppi saltandogli quasi addosso per poter tappare la sua bocca, ma lui continuò imperterrito nonostante la mia mano posizionata sulle labbra morbide. «Non conosci nessuna lingua, conosci appena l'italiano. Ti sembra normale per una guida turistica? Va' a studiare, ne hai bisogno! E poi cazzo... Ma ti guardi mai allo specchio? Somigli ad un divano coi piedi. Impara a vestirti ed inizia ad andare dall'estetista, le scimmie hanno meno peluria di te!» finì i suoi insulti soddisfatto e con un ghigno. 

Che senso aveva essere così cattivo con una povera donna che in una settimana già aveva sopportato troppo da parte sua? Lo maledii in quel momento. 

«Ma ti pareva il caso di essere così cattivo con lei?» lo sgridai quasi come se fosse un bambino, mentre gli tolsi la mano dalla bocca. Gli mollai un buffetto sul braccio e poi mi allontanai di scatto; quella vicinanza per noi era pericolosa, lo sapevamo già. 

«Sono un tipo sincero, non riesco mai a tenere la lingua apposto. Dovresti saperlo bene tu..» emise un ghigno malizioso. Era una frase a doppio senso, la sua, e mi fece irrimediabilmente arrossire. Che stronzo!

Scossi la testa ed evitai di rispondere. Spostai invece lo sguardo sulla Signorina Lamberto che fissava Castiel allibita. Trascorse qualche secondo di quiete ricoperto solo dal brusio delle voci della gente presente nell'aeroporto e dai rumori prodotti dai tanti trolley trascinati, poi la buffa ormai ex guida rispose. 

«Il problema della razza umana è che gli idioti sono assolutamente sicuri, mentre le persone intelligenti sono piene di dubbi, c'insegna Russell. Rifletti su questa frase, Castiel, sii meno scontroso, apprezza le cose semplici e belle, non sentirti superiore a nessuno. Non serve. Buona vita!» al contrario di come fece i cinque giorni passati, non si riscaldò, anzi al contrario restò pacata. L'apprezzai. Quello sì che fu un atteggiamento da donna matura e -contrariamente da ciò che aveva sostenuto Castiel- saggia. 

Il rosso da ragazzo immaturo come pochi, voltò le spalle mentre ancora Stefania stava rispondendo alle sue offese gratuite e si mise in fila per il controllo bagagli. Era odioso quando si metteva. 

Così cercai di rimediare io stessa ai danni provocati dal suo cervello bacato.

«Piacere di averla conosciuta, Signora Lamberto. Grazie per la disponibilità e gentilezza che ci ha mostrato in questi giorni. Mi hanno affascinata molto le sue spiegazioni, in ogni parola si percepisce la passione che ci mette in questo lavoro. Spero di rivederla un giorno» l'adulai e le sorrisi con dolcezza, mi avvicinai a lei e le stampai un bacio sulla guancia. Ero stata sincera in quelle parole, non era stata severa come credevo anzi si era dimostrata anche premurosa nei miei confronti. 

Lei come risposta ai miei gesti e frasi mi strinse a sé sbilanciandosi più di quanto avesse fatto dal nostro arrivo. «A presto Miki!» e con quelle ultime parole si voltò e s'incamminò confondendosi pian piano nelle persone. Un senso di malinconia mi occupò lo stomaco, mi sarebbe mancata quella Signora tanto stramba quanto goffa. Era un personaggio che non poteva in alcun modo passare inosservata tra la folla. Era unica nel suo genere. 

Mia madre aveva osservato quella breve scenetta quasi con divertimento per il comportamento spocchioso di Castiel. Molto matura anche lei.

«Direi che con Castiel non hai pericolo di annoiarti», rise tra le parole. 

«è un caso perso», scossi la testa.

«Ma anche per questo ti piace.» aggiunse.

Maledizione era così prevedibile che mi facesse impazzire per ogni suo aspetto?

«Adesso io vado..» dirottai il discorso, non avevo alcuna intenzione di spettegolare sui ragazzi con una madre che era entrata nuovamente nella mia vita solo da qualche ora. 

«Sì certo» apparve leggermente delusa dalle mie risposte brusche. Non poteva esigere di essere perdonata dall'oggi al domani, necessitavo di tempo per riflettere su tutto. «Ma non sparire. Promettimi che ci sentiremo e rivedremo. Ho bisogno di recuperare il tempo perso, sai già le mie intenzioni, è inutile che io te le ripeta. Ti prego, pensaci Miki!» mi scongiurò con gli occhi lucidi mentre cercava di abbracciarmi, ma io mi scostai irrigidita. 

Ero felice del fatto che si fosse presentata all'aeroporto cogliendomi di sorpresa, ma quello non significava il doverla perdonare all'istante per tutto il male provocatomi. Quello nell'aeroporto era stato solo il primo dei mille gesti che avrebbe dovuto compiere prima di essere assolta dai suoi peccati. Aveva sedici anni da recuperare. 

«Ci proverò», sussurrai sottovoce prima di volgerle le spalle verso i controlli e sparire dalla sua vista e forse anche dalla sua vita. 



 

CASTIEL

Ero un fottuto bugiardo. Uno dei peggiori bugiardi sulla piazza. Mentivo persino a me stesso. Avevo mentito quando mi ritenevo in grado di stare lontano dalla ragazza coi capelli ramati, avevo barato quando ero convinto che lei non avesse alcun potere su di me. Avevo mentito spudoratamente ogni volta, ogni giorno che le facevo credere di non volerla.. Ma alla fine ogni bugia era venuta a galla ed era bastato un solo bacio per mostrarle la verità. 

Quell'ultimo bacio scambiato in un parco qualunque di Roma aveva mutato le cose tra me e lei. Lo sentivo quel cambiamento nel mio corpo, percepivo le sensazioni che la sua vicinanza mi dava. Quel tremolio dei miei organi che solo una ragazza prima di lei era stata in grado di farmi provare era addirittura superiore a quello nutrito per Debrah due anni prima. Cosa mi stava facendo quella Sirena ammaliatrice?

E avevo fatto benissimo a chiamarla Ariel il giorno prima, perché altro non era che quello. Miki non sapeva il significato di quel nomignolo, gliel'avrei rivelato solo a distanza di anni, ma da quel famoso pomeriggio presi a chiamarla come la Sirena della Disney. Le somigliava un po'. Certo, i capelli di Miki erano più chiari, gli occhi più scuri, ma restava pur sempre una Sirena dal corpo sinuoso e dalla personalità tentatrice. 

"Come dite?! Volete sapere com'ero finito per diventare un pappa-molle? Be' questo dovete chiederlo a Miki. Io sono stato solo vittima del suo incantesimo.. Perché credetemi, non mi ritenevo neanch'io in grado di affibbiare nomignoli del genere ad una donna. E ancora all'epoca, quando avevo diciotto anni, non ci arrivavo col mio cervello bacato a pensare quanto già quella cosa fosse pericolosa e di doverla considerare un terribile campanello d'allarme per la mia salute mentale."

E sua madre poi aveva solamente peggiorato le cose. Come le era venuto in mente di farmi promettere in un aeroporto affollato, con Miki a pochi passi, di prendermi cura di sua figlia?  «Promettimi che ti prenderai cura di lei..» aveva detto e preteso. Ma come potevo accudire qualcosa di così unico e raro se non ero in grado neanche di far durare un sorriso sul suo viso tondo e perfetto? Quella sirena dai capelli ramati mi avrebbe condotto alla follia, ne ero già consapevole. 

«Castiel devo parlarti» mi distolse dai miei pensieri la voce di mia madre appena rientrato a casa. 

L'aereo era atterrato a Parigi solamente qualche ora prima. Già iniziavo a sentire la mancanza di quella ragazza disastrata, ma non lo avrei mai ammesso ad alta voce. Perché insomma... avevo pur sempre una reputazione da difendere e Castiel Black malinconico, angosciato, che necessitava della presenza di una ragazza come dell'aria per respirare non poteva di certo esistere. Eppure senza di lei mi sentivo incompleto.

«Ciao anche a te Adelaide, il viaggio è andato bene. Sono ancora vivo, grazie per esserti preoccupata così tanto per me in questi giorni!» la derisi per il suo disinteresse nei miei confronti.

«Non sono in vena del tuo sarcasmo, ora. Ma se... Mi lasciassi spiegare, capiresti tutto» comparì quasi impaurita, stanca e scocciata.

Aveva superato il mio esser ritornato insieme a Debrah ed aveva ripreso a vivere con me nella nostra casa, forse solamente perché la ragazza dagli occhi di ghiaccio non frequentava più assiduamente la mia camera da letto come un tempo. Mamma Adelaide aveva lasciato la compagnia aerea dove lavorava insieme ad Isaac per stabilirsi saldamente a Parigi; quel lavoro non le era mai piaciuto, aveva accettato di svolgere quell'attività solo per amore. Amore.. che parola terribile. E pensare che prima di tutti quegli accaduti ci credevo un minimo. Ma ero soddisfatto di aver aperto gli occhi. Per aver capito che quella parola stava ad indicare solo e soltanto il male. Qualcosa che non avrei voluto mai più provare.

«Va bene parla pure» le comunicai arrendevole. Uno strano senso d'inquietudine s'impossessò del mio stomaco nell'osservarla. Era successo qualcosa? 

«Ciò che sto per dirti è davvero difficile per me..» sospirò «è da giorni, anzi da settimane che cerco il coraggio di parlartene, non è semplice» 

Perché temporeggiava così tanto? Perché il suo volto era così scavato, stanco e dimagrito? Cazzo!

«Sai quanto odio i giri di parole» riuscii a malapena a mormorare angosciato. Non ero per nulla preparato ad acquisire notizie spiacevoli. Mia madre era stata sempre una tipa allegra e vederla in quelle condizioni mi fece già temere il peggio.

«Quando saprai tutto promettimi che cercherai di ragionare, che capirai le mie ragioni per averti rivelato la verità solo a pochi giorni..» era in procinto di piangere ed io di spaccare qualunque cosa mi capitasse a tiro. 

«Hai avuto il coraggio di mentirmi ancora?» mi portai le mani tra i capelli, avrei voluto strapparmeli. Perché la mia vita non poteva essere normale e tranquilla come un normale diciottenne? «A pochi giorni da cosa? Per cosa mancano pochi giorni?» me lo sentivo, mi sentivo che quella verità mi avrebbe per sempre cambiato la vita. 

«Promettimelo e basta Castiel!»

«Come faccio a prometterti qualcosa che non posso prevedere?» l'aria divenne tesa ogni secondo di più.

«Va bene, va bene. Tanto qualunque sarà la tua reazione devi saperlo, quindi te lo dico» trasse sospiri per agguantare un po' di coraggio.

«Direi che sarebbe ora.. Mi sto cacando in mano» come il solito espressi il mio stato d'animo con parole delicate.

Mia madre accennò un sorriso per un breve istante.

Si portò le mani dinanzi al viso disperata, dopo sputò quella crudele verità tutta d'un fiato

«Ho un cancro al fegato».

 

 

 


 

 

 

 



🌈 Note Autrice 🌈


Già, già, già. Quasi tutti i capitoli li termino in bei momenti, vero?

Lo so, perdonatemi. Ma siate contenti per l'aggiornamento fatto prima del previsto🤗

Come la prenderà Castiel questa notizia? Spaccherà l'intera casa o sarà comprensivo?

E quando saprà che anche Miki sapeva della malattia di Adelaide?

Ma soprattutto.. Come andrà l'operazione di Adelaide? Si salverà?

In questo capitolo ho voluto inserire un altro po' di momenti tra Castiel e Miki, che pian piano si stanno avvicinando sempre di più. Finalmente Castiel sta iniziando a fidarsi di lei, ma come abbiamo visto è confuso e abbattuto ancora per colpa di Debrah e per la sua fissazione di non essere abbastanza per Miki. 

A proposito... Debrah Scoprirà di questi momenti intensi tra i due piccioncini? Come finirà la faccenda dei video e della pubblicità con Rabanne? Castiel e Miki riusciranno ad incastrarla?

E Miki? Riuscirà a perdonare definitivamente Teresa? Mentre con Kate cosa accadrà durante il loro confronto?

E Demon? Avrà già subito l'operazione, ci sono speranze per lui o abbandonerà Castiel?

Ci sono ancora tante cose da scoprire, spero che la storia vi stia continuando a piacere, intrigare e incuriosire. 

Io ho finito con le mie domande, giuro che vi lascio in pace ora.


Alla prossima,

All the love💖

Blue🦋

  
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