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Autore: BlueButterfly93    10/12/2018    1 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
-
Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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Capitolo 31

The diary







🎶 P!NK - Blow me (one last kiss) 🎶

Occhi in fiamme, e il bruciore derivato da tutte le lacrime.
Ho pianto.

Sono morta standoti dietro.
Faccio un nodo alla corda, cerco di resistere,
Ma non c'è niente da cui afferrarsi, così mi lascio andare

Penso di averne avuto abbastanza di tutto questo. 

Proprio quando pensavo che le cose non potessero andare peggio, 

ho passato una giornata di merda.

Non mi mancheranno tutte le nostre liti

Pagherai per i tuoi peccati, sarai dispiaciuto, mio caro
Tutte le menzogne, verranno a galla!

 

 

***


MIKI

Le ore dopo l'abbandono di Castiel erano state tutte un alternarsi di emozioni contrastanti, come d'altronde accadeva ogni volta. In un primo momento mi ero colpevolizzata pensando che -come aveva sostenuto anche lui- se avessi voluto, avrei potuto cambiare le cose; nelle successive ore però ero giunta alla conclusione che non avevo tutto quel potere. Non avevo alcun diritto di raccontare a Castiel della malattia di Adelaide, in quel modo avrei solamente alimentato la sua ira nei confronti della madre ed io non ero quel genere di persona, non potevo prendere il posto di sua madre. Dopo quella consapevolezza si era sollevato il peso che mi opprimeva il petto sin da quando il ragazzo dai capelli rossi mi aveva detto addio. Poi però passai alla fase finale, quella devastante, quella in cui rimuginai sulle parole tremende che mi aveva urlato in faccia. 

"Ho già perso troppo tempo dietro alla bambina del cazzo che sei, non sei neanche stata in grado di farmi svuotare le palle.. E sai cosa? Cancella tutto di me. Il mio numero, la mia faccia. Finisce tutto qui, non mi servi a niente!"

La sua faccia?! La sua faccia? Come potevo dimenticare i suoi occhi grigi, la sua bocca sottile, le sue smorfie, i suoi capelli, il suo corpo? Se prima del viaggio a Roma sarebbe stato difficile, in quel momento era diventato addirittura impossibile. Obliavo tra i nostri ricordi, tra la sensazione di sentirlo addosso, di sentirlo dentro di me senza neanche esserci mai stato realmente. E non osai immaginare l'emozioni che avrei provato se la parte più potente di lui avesse avuto accesso alla mia più fragile. Di sicuro avrebbe decretato la mia fine. In quelle ore mi ritrovai a ringraziare me stessa per essere stata in grado di fermarlo in tempo nelle occasioni in cui ero ad un piccolo passo dal concedermi completamente alla sua mercé. Perché quello mi avrebbe inevitabilmente legata a lui per sempre. Perché quello mi avrebbe ubriacata completamente, incondizionatamente di ogni sua parte, anche della più primordiale. 

"Insegnami tu a dimenticarti perché io non lo so fare", avrei tanto voluto urlargli contro con la stessa intensità utilizzata da lui, ma non potevo più farlo. Non avevo avuto la possibilità di replicare perché come era solito fare aveva preferito proseguire per la sua strada con le sue convinzioni senza mai voltarsi indietro.  

Avrei volentieri voluto dimenticarlo dopo l'odio sprigionato dalle sue parole. Era bastata una piccola scintilla per scatenare il fuoco del suo inferno. Ed io... Io che ci avevo impiegato mesi per entrare nel suo mondo, io che avrei tanto voluto salvarlo, non meritavo quel trattamento. Grazie ai numerosi momenti trascorsi insieme mi stava pian piano dando accesso al suo regno, quella sera in cui aveva invaso col suo profumo la mia camera mi stava per consegnare la chiave, stava per farmi aprire uno spiraglio della sua porta, ma quella si era chiusa bruscamente solamente mezz'ora dopo. Perché era incapace di ascoltare e più che altro comprendere le ragioni degli altri. Se solo avesse provato a immedesimarsi in me, se solo avesse capito che esistevano altri colori oltre al grigio, altri modi di vedere le cose oltre al suo, allora mi avrebbe capita. Avrebbe cercato di lavare via il dolore insieme a me, e avrebbe trovato conforto tra le mie braccia. 

Aveva preferito scappare ancora, ma io non lo avrei rincorso. Non più. Non quella volta. Anch'io avevo un cuore, anch'io ero stata ferita dai suoi comportamenti, dalle sue parole. Mi aveva usata considerandomi un oggetto del piacere, dei suoi bisogni. Ed io non avevo alcuna intenzione di giustificarlo sebbene sapessi che quei termini erano dettati dalla delusione e rabbia, sebbene sapessi che forse quei pensieri di me non li aveva più. 

E fu inevitabile piangere. Piansi per la consapevolezza che forse il nostro tempo era passato, era stato sprecato dagli innumerevoli litigi. Piansi perché forse aveva ragione lui. Non eravamo capaci di supportarci, consolarci, abbracciarci senza avere dopo delle conseguenze. 

Mi gettai per terra sfinita, di spalle alla porta sbattuta da Castiel solo qualche ora prima. E piansi ancora per il vuoto sentito dentro, per il freddo percepito fuori. La stessa pelle sfiorata con delicatezza precedentemente era ora cosparsa di lividi invisibili ad occhio umano, e visibili solo da colui che il male lo aveva provocato.

Sobbalzai quando udii il campanello del cancello suonare. Mi trascinai fino al citofono con la telecamera incorporata -in alto e di lato alla porta- e quando sullo schermo mi apparve la figura di una persona che conoscevo bene in bianco e nero, pensai di star dormendo e sognando un incubo. 

Debrah Duval a casa mia. Non persi neanche tempo per cercare di capire come sapesse dove abitavo vista l'evidenza del suo essere diabolica nel trovare sempre una soluzione. Riflettei piuttosto sul da farsi. 

Aprirle o non aprirle. La coscienza ribelle mi suggerì di uscire di casa armata di padella e colpirla alle spalle nascondendo poi il cadavere tra i cespugli, ma io -più razionale- optai di aprire semplicemente il cancello, la porta e farla entrare per capire cosa volesse da me a quell'ora di così urgente da portarla a recarsi addirittura nella tana della sua pedina. 

Aveva forse scoperto dei momenti trascorsi con Castiel? Tanto piacere. Castiel avrebbe dovuto pensarci due volte prima di filmare i suoi atti sessuali con quella vipera, avrebbe dovuto pensarci due volte prima di far uso di sostanze stupefacenti e addirittura di venderne a dei bambini di dodici anni. Come gli era venuto in mente e quando era accaduto? Avrei tanto voluto conoscere il nesso cronologico tra l'accaduto del suo tentato suicidio e la sua voglia improvvisa di divenire temporaneamente uno spacciatore. Più volte dopo aver visto quei video nella stanza d'hotel di Debrah, ero stata tentata di fare quelle domande scomode al rosso, purtroppo però mi ero dovuta trattenere, non potevo far sapere a Castiel che conoscevo l'esistenza e il contenuto di quei video. La ragazza dagli occhi di ghiaccio era stata chiara a riguardo. Avrei voluto saperne di più, di quanto tempo Castiel aveva trascorso in quel giro illegale, ma come già detto non potevo e più che altro non dovevo. Non dovevo immischiarmi nella sua vita privata perché ne ero stata chiamata fuori da lui stesso. Non dovevo più tentare di salvarlo. Non spettava a me quel ruolo. Se fosse finito in galera non sarebbe stato di certo a causa mia, ma per i suoi comportamenti sbagliati. Anzi meno lo avrei visto, meno avrei avuto a che fare con lui e più c'erano possibilità di dimenticarlo. In quegli attimi che precedettero l'entrata di Debrah in casa fu la rabbia ad insinuarsi dentro la mia mente, a mente lucida non avrei mai pensato quelle cose.

Asciugai le lacrime prima che arrivasse di fronte a me. Non davo a nessuno la soddisfazione di vedermi piangere, ancor meno a lei.

«Che ci fai qui?» fu la mia brusca accoglienza appena la vidi sulla soglia della porta. 

«Neanch'io sono felice di vederti, sta' tranquilla» incrociò le braccia al petto guardandomi con superiorità dai suoi quindici centimetri di tacco. Indossava dei pantaloni striminziti di pelle, degli stivali, una giacca anch'essa di pelle. Aggressiva anche nell'abbigliamento.

Indossavo un pigiama fucsia di pile con un fiocco di raso al lato sinistro del petto mentre lei era la perfezione in persona, ma non mi feci intimorire da quell'aspetto. Anch'io spesso indossavo capi di vestiario striminziti simili ai suoi, prima di levare la maschera. Dopo i vari conflitti avuti con me stessa avevo finalmente compreso che l'aspetto esteriore contava davvero poco. Chi aveva voluto conoscermi realmente non si era fermato davanti alle apparenze ed al fatto che sembrassi una ragazza facile e superficiale a causa dei miei vestiti, era andato oltre perforando la mia corazza e frequentando la vera Miki, permettendo a me stessa di conoscermi. Certo, quello non sarebbe stato il caso di Debrah perché la sua personalità, il suo essere era tale e quale al suo modo di vestire. Meschina, diabolica, troia. Nel suo caso l'abito faceva perfettamente il monaco. 

«Quindi?!» imitai la sua posa iniziando a pestare impazientemente i piedi sul pavimento marmoreo della soglia. Non mi preoccupai di farle spazio per entrare in casa, al costo di gelare anch'io lì fuori insieme a lei, non avrebbe messo piede dentro nessun mio spazio personale. Aveva avuto già Castiel. Bastava e avanzava. Non avrebbe più ricevuto niente di mio

«Nè tu, né Castiel avete rispettato i patti. Siete stati dei bimbi cattivi!» allungò la bocca in un sorriso disgustosamente malvagio. Aveva un anno in più di me, uno in meno di Castiel, come faceva a comportarsi da donna vissuta perennemente era un mistero. 

Dalle sue parole intuii che anche Castiel era stato ricattato da quella strega. Era pazza. Rabbrividii per il guaio in cui senza volerlo ero finita anch'io. Stava diventando ogni giorno più pericoloso, pauroso. Tuttavia mi limitai a inarcare le sopracciglia e a piegare le labbra in una smorfia disgustata. Non le diedi la soddisfazione di vedermi tentennare. Non le risposi a parole, non meritava alcuna mia reazione. 

«Quindi...» continuò lasciando le parole in sospeso per qualche secondo finché non prese dei fogli bianchi piegati dalla tasca interna del suo giubbotto. Cos'era? «Per cominciare.. Per far capire ad entrambi che faccio sul serio. Questo non è un gioco!» finì seria senza una frase di senso compiuto, ma porgendomi quei maledetti fogli. 

L'ansia si fece subito sentire, avevo una brutta sensazione e non sapevo neanche il motivo. Afferrai quei fogli quasi a rallentatore, con la paura di quello che avrebbero potuto contenere. Solitamente la mente immaginava, faceva ipotesi, quella volta non avevo proprio la minima idea di cosa aspettarmi. Di sicuro sarebbe stata qualcosa riguardante me o Castiel e già quello era soddisfacente per accrescere l'agitazione. 

«Avanti su, aprili!» m'incitò Debrah quasi divertita dalla mia incapacità di nascondere le emozioni. Se dapprima avevo reagito freddamente, riuscendo a mascherare ogni sensazione, in quel momento mi era impossibile farlo. «Non ho intenzione di perdermi la tua faccia per nulla al mondo quando vedrai cosa contengono quei fogli, quindi me ne starò qui buona buona senza disturbare. Sarò ben lieta di darti delucidazioni a riguardo..» schernendomi girò il dito nella piaga. Era brava a torturare le persone, un'altra sua dote nascosta.

Lei m'istigava, mentre io rimasi ammutolita. Sembrava quasi che qualcuno mi avesse incollato la bocca con della colla acrilica. Avrei tanto voluto urlare per la sovrabbondanza di turbamenti provati dentro il mio corpo. La mano sinistra reggeva quei fogli che a prima vista parevano essere una decina, erano leggeri ma in quel momento parvero pesare una tonnellata. 

Avrei voluto strapparli, preferivo non sapere cosa nascondessero. Avevo la sensazione che il contenuto avrebbe mutato ogni cosa. Tuttavia la curiosità e il bisogno continuo d'iniziare ad avere chiarezza ai troppi dubbi che mi assalivano da sempre, mi portarono ad aprire quei dannati fogli.

Il respiro si fece corto, fitte lancinanti mi colpirono lo stomaco. Avvertii il senso di nausea risalirmi. 

Il primo foglio era una foto scattata da un cellulare. Era raffigurato un cassetto con dentro un malloppo di fogli fotocopiati di quello che sembrava essere un quaderno scritto a mano.

Il secondo foglio conteneva anch'esso una foto, ma questa volta si leggeva alla perfezione quel quaderno fotocopiato.  

Non era un quaderno qualsiasi, non era una scrittura a mano qualsiasi.

Quello era il mio diariola mia scrittura

Come aveva fatto a prenderlo e fotocopiarlo? Lo custodivo gelosamente in un cassetto nascosto dell'armadio, nessuno poteva trovarlo. Ma soprattutto.. nessuno doveva leggerlo. Lì, dentro quelle migliaia di parole era racchiusa Miki, la piccola e ingenua ragazzina, le sue paure di bambina, i maltrattamenti subiti, il suo passato, le sue sventure, le sue giornate terribili. Tutto. Debrah aveva toccato il fondo con quel furto. 

Mi sentii violata, nuda. Ebbi freddo non per i due gradi di quella notte di fine Gennaio, non perché ero fuori casa senza essere coperta abbastanza.. Quello fu un freddo diverso, un gelo interiore incolmabile. Uno sgomento mai provato prima, paragonabile solamente alle botte subite da Luis dieci anni prima. 

«Queste fotocopie si trovano nel cassetto inferiore della scrivania nella stanza di Castiel. La chiave è sotto il materasso. Se non mi credi vai a constatare tu stessa!»

Quel nome accostato a quel fatto bastò per rompere definitivamente ciò che era rimasto del mio cuore. Si sbriciolò e cadde sul marmo di quella soglia della porta, nessuno se ne accorse, nessuno era pronto per salvarmi. Solamente una persona era stata in grado di soccorrermi fino a quel momento, ma d'allora non avrebbe più potuto farlo, non ne avrebbe avuto più il diritto. Come aveva potuto tradirmi fino a quel punto? Ero incredula, non potevo credere ad una cosa del genere. 

«Non è vero...» riuscii a malapena a sibilare. 

«Oh, sì che è vero invece. Anzi, facciamo una bella cosa..» era sicura di se stessa, troppo per essersi inventata tutto. «Adesso chiameremo insieme il diretto interessato e glielo chiederemo. Ci sarà da ridere!» le brillarono gli occhi per l'eccitazione. Godeva del male degli altri.

Non terminò neanche il monologo che subito afferrò il cellulare dalla tasca dei suoi pantaloni di pelle, premette sul viva voce e avvio la chiamata. 

Non ebbi il tempo di metabolizzare, di recepire ciò che proprio a me stava accadendo all'improvviso. Rispose al quinto squillo e i pezzi di cuore rimasti ancora nello sterno presero a battere senza sosta. 

«Che cazzo vuoi? Non è momento!» la sua sgarbataggine, la sua voce avevano ancora potere su di me. Il battito aumentò, le mani mi sudarono. Maledetto farabutto di un pomodoro. 

«Oh niente di ché! Non ti disturberò per molto. Sono qui con un'amica» accentuò quell'ultima parola guardandomi e sollevando l'angolo della bocca «e lei vorrebbe tanto ricevere conferma da te. Hai fotocopiato il suo diario cinque mesi fa, vero Castielluccio mio?!» la sua voce divenne stridula, io per poco non caddi per terra sfinita dal dolore.

Era giunto il momento della verità. Se prima avevo potuto concedergli il beneficio del dubbio, da quella risposta tutto sarebbe stato chiarito. O nero o bianco; o carne o pesce. Castiel amava stare al centro. Amava il grigio; preferiva mari e monti piuttosto che prendere posizione.

«Miki?! Porca puttana Debrah, avevamo un patto. Se io avessi rispettato le condizioni, tu non avresti aperto quella fogna di bocca che ti ritrovi. Non sei leale, vaffanculo!» imprecò ed ebbe il coraggio d'incazzarsi invece di fornire una buona spiegazione. 

Ma avevo capito tutto ugualmente. Non avevo bisogno di un disegnino. Era finita. E facevo bene prima di trasferirmi a Parigi a non affezionarmi, a non credere agli uomini, nei sentimenti. Rischiare, mettere in gioco se stessi, aprire il proprio cuore erano la peggior cosa che si potesse mai fare quando si scopriva di esser stati ingannati.

E fece incredibilmente male quella verità. 

Il cuore si sgretolò, ferito, faceva male ad ogni respiro. Castiel non lo aveva riparato, non se n'era preso cura come solo qualche ora prima gli avevo implorato di fare, tacitamente. Aveva fatto tutto il contrario. Traditore! Era tutto vero. Aveva stipulato addirittura un patto per non far rivelare a Debrah la verità. Cosa le aveva promesso? Il suo uccello in cambio di silenzio? Ero talmente disgustata, talmente amareggiata da sentire il bisogno di vomitare ogni nostro attimo. Avrei volentieri persino cancellato la sua faccia dai ricordi. 

«Parli proprio tu di lealtà, Castiel? Noi due stiamo ancora insieme -se non ricordi ti rinfresco io la memoria- ma non ci hai pensato due volte prima di tradirmi con la solita troia che ti ronza sempre intorno!»

«Non dire cazzate...», mi sembrò di assistere ad una consueta lite tra due fidanzati gelosi. Avevo il disgusto, volevo urlare, sbatterli entrambi fuori dalla mia vita, ma tutto ciò che feci fu guardarla allibita e incredula di ciò che avevo appena scoperto.

«Ti sembro scema, forse?! Eri stato avvertito Castiel. Avevi un ultimatum e visto che non sei stato capace di tenertelo tra le gambe, questo è il primo conto che hai dovuto pagare, per farti capire che tutto questo non è un gioco. Quanto sei disposto a perdere ancora per la tua troia?» era brava nel ricattare le persone, sembrava addirittura parecchio più grande della sua età. Aveva imposto anche a lui di starmi lontano?

«Fammi parlare con lei..» sospirò senza replicare alle accuse di Debrah. Lo immaginai intento a strofinarsi il volto per la frustrazione. «Miki, mi senti?! Dobbiamo parlare, non è come sembra. Cioè sì, ho fatto la cazzata ma non ho letto quasi niente. Devi credermi..» apparì affannato, preoccupato, ma lo era davvero? Non lo sapevo più. Non lo conoscevo più. 

Ogni certezza si era tramutata in dubbio.

Volevo piangere, urlare, schiaffeggiare sia lui che la sua amata, ma tutto ciò che feci fu continuare a fissare sbigottita il microfono dello smartphone, il punto dal quale proveniva la voce di Castiel.  

«Il tempo è scaduto», replicò Debrah sul punto di chiudere la chiamata, ma prima che lo facesse sul serio trovai la forza per porre immediatamente fine ad ogni cosa.

«Noi due non abbiamo più niente da dirci!», mi rivolsi a Castiel che trattenne il respiro dall'altra parte della cornetta. La voce mi risultò roca e quasi rotta per lo sforzo immane che stavo facendo di parlare senza scoppiare in lacrime. «Tu mi hai ascoltata quando ti ho chiesto di farlo qualche ora fa?! No. E allora tieni per te ogni teoria. Cancella ogni cosa di me, la mia faccia, la mia bocca, il mio odore, la mia pelle. Cancella ogni nostro momento. Tutto. Io farò lo stesso con te, proprio come mi hai suggerito tu stesso di fare. Sei caduto così in basso, Castiel..» furono le uniche cose che riuscii a dire e seppur con voce tremante sperai di restituirgli un po' di dolore. Sapevo non gli importasse niente di me, ma meritava di soffrire in quell'istante e sperai di esserci riuscita.

«Ora puoi chiudere la conversazione» mi rivolsi direttamente a Debrah alzando il volto su di lei, la trovai con la tipica espressione vittoriosa di chi aveva vinto tutto nella vita. E forse era realmente così.

«No Miki, asp-» non sentimmo terminare la parola pronunciata da Castiel, perché Debrah concluse la chiamata.

«Visto?!» riprese con il fare da donna vissuta. 

«Sì.. Senti, io adesso sono stanca. Mi chiamo fuori da ogni cosa che vi riguarda, hai vinto tu. Io non lo voglio più. Castiel è tutto tuo!» mi squarciò il petto pronunciare quelle sillabe, ma dovevo farlo per il mio bene. «Farò in modo di farti fare quella pubblicità e poi sparirò dalle vostre vite. Buonanotte!» non le diedi il tempo di replicare perché mi voltai di spalle ed entrai dentro casa chiudendo la porta e facendola sparire dalla mia visuale. 

Accartocciai quelle foto incriminanti -che tenevo ancora strette tra le mani tremanti- finendo per creare dieci palle e prendendo a lanciarle dappertutto. Dovevo sfogare in qualche modo la rabbia. Successivamente raccolsi ogni palla di carta, la aprii e la ridussi in mille pezzettini che divennero a loro volta coriandoli. Strappai via la falsità, la menzogna, l'illusione, l'amore, il sapore di un ragazzo che non mi aveva mai meritata, che non mi aveva mai voluta realmente. 

Si era permesso di giudicare me per avergli mentito quando lui aveva fatto decisamente di peggio. Che ipocrita!

Dopo aver terminato il lavoro con quei fogli, salii velocemente le scale e mi rintanai tra le coperte, finalmente avrei potuto dedicarmi alla parte finale dello sfogo. Nessuno avrebbe avuto la soddisfazione di vedermi piangere.

E insieme alle lacrime, la consapevolezza mi sbatté in faccia violentemente.

Castiel mi aveva usata per chissà quale causa. Forse aveva fotocopiato il mio diario per passare il tempo libero, per il gusto di farlo o per leggerlo al posto di un libro con barzellette. Chissà quante risate si era fatto sulle mie sventure. Chissà... Magari poi aveva ben pensato di usare una povera orfana, di farmi credere -anche se in momenti rari- che esistesse la vera felicità, come buona azione per la sua redenzione dagli innumerevoli peccati commessi. Erano tanti i pensieri cattivi vorticanti nella mente, nessuno positivo verso quello che oramai era divenuto uno sconosciuto. 

Credevo di aver imparato a conoscerlo, ma anche quella era stata una dolce bugia. Il Castiel che avevo conosciuto, di cui avevo imparato ad adorare anche i difetti, non sarebbe stato capace di un'azione del genere. E invece.. Proprio lui che odiava le bugie me ne aveva detta una talmente grossa da superarle tutte. Mi aveva mentito per mesi, si era dimostrato interessato alla mia storia, dispiaciuto, aveva addirittura tentato di consolarmi mentre in verità altro non faceva se non pugnalarmi alle spalle. E rideva di me, violava il mio passato, i miei segreti, la mia persona ogni volta rientrato a casa, ogni volta che apriva quel cassetto per leggere le mie pene. 

Nonostante il mio status però dovetti dargli atto di una cosa. Con quell'azione finalmente era uscito vincitore dal suo intento di allontanarmi da lui. 

Pensavo che avessimo costruito un legame speciale, ma all'improvviso ero finita col ritrovarmi da sola con il cuore vuoto e quel filo spezzato in mano.

Perché da quella sera non sarebbero più esistiti Castiel e Miki. Nessun tuffo pazzo nella Fontana di Trevi, nessun dipinto nostro appeso sulla parete, nessun bacio rubato, nessun litigio dopo un abbraccio, nessuna parola dolce sorprendentemente pronunciata da lui. Era finita ogni cosa, sparito ogni bel ricordo. Fino a quel giorno ero stata io a tenere la luce della speranza accesa, non avevo mollato, non avevo permesso a nessuno di distruggerci.. Ma dopo quel tradimento decisi fosse giunto il momento di mollare la presa. Non eravamo stati creati per completarci, viverci, ripararci, ricucirci. Qualcuno da lassù aveva fatto incrociare i nostri cammini solo per metterci alla prova, per vedere fino a che punto ci saremmo distrutti. E ne era uscito un capolavoro disastroso.

Soffiai sulla luce della candela e così come con la cera, ogni mia speranza, ogni nostro momento si sciolse. 

Diventammo trasparenti come l'acqua. Non esistevamo più. 

Perché quella sera lo lasciai andare per davvero, scivolò via come ogni nostro attimo, come cera, cadde da ciò che ormai era divenuto un cuore vuoto. 

Sin dall'inizio della nostra conoscenza, Castiel era stato perennemente sospeso in aria, appeso ad una corda, in procinto di cadere fin quando non giunsi io a reggerlo -sul tetto- propensa a salvarlo. Nei mesi la corda si era affinata e a furia di tirare avevo le nocche bianche, ma non avevo mai osato allentare la presa. Stringevo i denti, gli occhi si arrossavano, il cuore acquisiva sempre più crepe eppure non mollavo. Poi, un capovolgimento di situazione. Castiel sul tetto, io sospesa in aria al suo posto, ma lui non era svelto e pronto ad afferrarmi come invece lo ero stata io per tutto quel tempo; Castiel non ci aveva neanche provato a tirarmi su, al sicuro. 

Non ebbi alcuna via di scampo. Così mi lasciai cadere entrando in un mondo senza di lui.

Addio Castiel!

 


 

CASTIEL

Avrei dovuto immaginarlo che Debrah avesse pronta qualche bomba da far scoppiare. Non era da lei sparire, farsi ingannare. Avrei persino dovuto immaginare il contenuto del pacco bomba, ma da stupido non avevo riflettuto abbastanza. 

O meglio.. avevo pensato solo a trascorrere ogni momento libero in sua compagnia. Facevo bene a chiamarla Ariel, come la Sirena. Quando lei era nei paraggi, o quando era inclusa nei discorsi, non capivo più niente. Divenivo uno stolto. E dei miei innumerevoli errori ne avrei pagato le conseguenze incominciando da quella sera. 

Sapevo bene di aver perso la sua fiducia, così come lei aveva perso la mia. Pari. Solo qualche ora prima della rivelazione di Debrah avevo finito di urlarle contro. Solo qualche ora prima ero tra le sue braccia, con il capo poggiato sul suo stomaco, inutile dire quanto ci stavo bene. Ma... lei sapeva della malattia di mia madre e non me lo aveva rivelato, mi aveva ingannato così come tutte le donne della mia vita. Non si era distinta dalle altre come ci tenevo facesse. E pensare che mi ero quasi convinto di darle la possibilità di guardarmi e leggermi dentro. Per fortuna mi ero fermato in tempo. 

Quella volta, però, sarebbe stato tutto diverso. Quella volta non era stato uno dei nostri innumerevoli battibecchi. Mi aveva detto addio per davvero. Ancora non riuscivo a descrivere l'effetto che mi avrebbe provocato la sua mancanza perenne, era troppo presto per dirlo, ero troppo incazzato anche solo per ammetterlo. Meglio così. Per un po' non avrei avuto altri dilemmi da aggiungere al mio cervello già in procinto di scoppiare. Non sarei finito in galera per l'incapacità di resisterle, per non aver rispettato il patto con quell'arpia di Debrah. Tutto sarebbe filato liscio senza la presenza costante di Miki nella mia quotidianità. Mi portava solo guai quella ragazzina. 

Non sapevo neanche perché cinque mesi prima ero finito per fotocopiare il suo diario segreto. Forse volevo sollevarmi leggendo che qualcuno aveva una vita simile alla mia, mi sentivo meno solo al mondo. Forse semplicemente per passa-tempo. Fatto stava che non avrebbe mai dovuto scoprire quel particolare. Maledetta Debrah e la sua furbizia. 

Che stronza, poi, era stata Miki nel tenere il segreto sulla malattia di Adelaide. Io ero tenuto a saperlo da lei, per lealtà, fiducia, per rispetto del legame che c'era tra di noi. Miki, fino quella sera, per me era l'emblema di persona perfetta. Pura, senza peccati e sfortunata nell'esser finita a scontare quelli degli altri. Sebbene non l'avessi mai ammesso neanche a me stesso, avevo più fiducia in lei che in me stesso. Mi aveva salvato già così tante volte che avevo perso il conto. Ciò che mi aveva colpito sin da subito di lei era quel particolare. Una ragazza dall'aspetto superficiale e da troia ma dal cuore grande e buono non capitava tutti i giorni. Al contrario di tutti gli altri non si era fermata alle apparenze, non aveva creduto alle dicerie sul mio conto per quella dannata violenza, anzi si era addirittura sacrificata per salvare il mio culo. L'avevo apprezzata sebbene non sembrasse, o non lo dessi a vedere. Per tutti quei motivi, una donna di tali valori non poteva cadere così in basso. Per quello non sarebbe stato facile ricominciare da zero, perdonarla. 

Si era insinuata lentamente sotto la mia pelle, nel mio cervello, portandomi per la prima volta -dopo anni- ad avere nuovamente fiducia in qualcuno e dopo neanche un anno mi aveva già tradito. Bastarda. 

Scossi la testa dopo esser sceso dalla moto per evitare di pensarla ulteriormente. Non meritava di padroneggiare i miei pensieri. Io ero padrone di me stesso, e nessuna Sirena avrebbe capovolto o mutato i fatti.  

Il giorno dopo il rientro a Parigi, non tornai a scuola, avevo affari più importanti da sbrigare. Quella mattina avrei potuto rivedere Demon. 

Dopo aver sistemato il casco all'interno del veicolo, entrai inquieto nella clinica veterinaria che mi stava costando un occhio della testa. Ma per Demon quello e altro. 

I muri della struttura erano parecchio colorati. Ogni parete era di colore diverso dall'altro. 

Mi fermai al bancone della reception e chiesi dove avrei potuto trovare Demon. La segretaria mi diede indicazioni e subito la congedai senza perdere ulteriormente tempo. 

Salii una rampa di scale mentre l'ansia mi divorava. L'avrei trovato diverso? O sarebbe stato sempre il caro, vecchio e forte Demon?

Camminai lungo il corridoio e quando trovai il numero della sua stanza entrai, senza aspettare ancora. Non eravamo mai stati così distanti io e lui. 

La scena che mi si presentò davanti però non fu delle migliori, anzi avrei preferito di gran lunga sborsare altri soldi per non dover assistere e vederlo in quelle condizioni. 

La camera in cui si trovava era piccola, ma con tutti i comfort di cui necessitava un cane. Il letto era una specie di poltrona bassa all'apparenza parecchio morbida. 

Demon era deperito più di quanto già non lo fosse l'ultima volta in cui lo avevo visto, aveva perso persino parte del suo pelo nero e lucente, bellissimo, che solitamente lo distingueva dagli altri cani. E come se non bastassero quei punti, sopra gli occhi, gli infermieri avevano attaccato un filo collegato ad una flebo con dentro chissà quale medicinale. Era debilitato ai massimi, il mio cagnone. Maledetto Dio che seguitava a prendersela con le persone più importanti della mia vita! Demon era un fratello, per me, non un cane. E Dio non doveva farmi anche quell'affronto, non doveva neanche minimamente permettersi a provarci. Lo avrei volentieri preso a cazzotti se lo avessi avuto davanti.

Comunque nonostante il suo essere moribondo, appena mi riconobbe cercò di mettersi in piedi, prese a scodinzolare e ad emettere dei strani versi, come ad incitarmi ad avvicinarmi e a coccolarlo. Non era da lui. 

Lo accontentai, perché mancava parecchio anche al sottoscritto, così mi accostai al lato di cuccia  su cui era sdraiato e mi accovacciai su di lui. Avvicinò la parte di testa libera dalla flebo e mi fece le fusa. 

Le fusa? Era diventato un gatto, per caso? La malattia lo aveva decisamente rammollito, tuttavia mi fece sorridere quella sua manifestazione di affetto. Gli ero mancato anch'io. 

«Ehi amico, sei diventato un pappa-molle», sdrammatizzai sui suoi gesti comuni nei gatti e cercai di consolarlo con una leggera pacca sulla schiena. 

Per il resto del tempo trascorso in quella stanza cercai di non parlare ad alta voce con Demon -com'ero abituato a fare-, eravamo in un luogo trafficato e avevo pur sempre una reputazione da mantenere. Dialogare con un cane avrebbe potuto far pensare ad una mancanza di qualche rotella d'ingranaggio del cervello. E non era il mio caso. 

Strano anche solo da pensare, in quello strano giorno dialogammo con gli occhi. Non saprei descrivere a parole il nostro legame speciale, ma era davvero forte. Mi trasmise paura ma anche coraggio. Strano anche solo da immaginare, ma Demon sembrava essere consapevole di ciò che avrebbe dovuto affrontare. Era intelligente, per quel motivo lo avevo amato sin dal primo giorno.

Trascorsi circa mezz'ora in sua compagnia, ma quando sbirciai l'ora dal cellulare mi ricordai di dover andare a parlare con il chirurgo veterinario che lo avrebbe dovuto operare. Salutai Demon con un cenno del capo e, con un'ultima carezza al suo manto rovinato, abbandonai quello spazio che lo avrebbe ospitato ancora per qualche altra settimana. 

Scesi nuovamente in reception e chiesi informazioni sul dottor Bernard, dopo averle ricevute quasi mi misi a correre per l'agitazione. Mi avrebbe comunicato quante possibilità di riuscita dell'intervento ci sarebbero state, era il minimo essere in trepidazione.

Arrivato difronte allo studio indicatomi dalla segretaria, sospirai e cercai di prendere coraggio. Nelle ultime settimane anch'io mi ero rammollito come Demon, ero divenuto troppo suscettibile alle emozioni. Non andava bene. Dovevo tornare ad essere il Castiel Black apatico di sempre.

Bussai alla porta di vetro trasparente e dopo un deciso «Avanti!» abbassai la maniglia, entrai senza proferire parola. 

«Buongiorno Signor Black» la voce del dottore -che avevo già avuto modo di conoscere qualche settimana prima- riempì il silenzio di quello studio. Era seduto dietro la scrivania con il suo camice bianco e i suoi capelli brizzolati. Aveva circa cinquant'anni. 

«Buongiorno», risposi cercando di mantenere la calma.

«Prego, si accomodi» feci come mi disse e mi sedetti di fronte a lui, sulle sedie di vetro e alluminio coordinate con l'ambiente. «Come lei già sa l'iperadrenocorticismo più comunemente chiamata sindrome di Cushing, è una malattia che colpisce le ghiandole surrenali o l'ipofisi. A causa di quest'ultima, Demon dovrà subire un intervento delicato al cervello. In questa settimana abbiamo provveduto a prepararlo somministrandogli dei medicinali appositi per la sua malattia. Adesso è arrivato il momento di procedere con l'operazione. Se per lei va bene, vorremmo fissarla per prossima settimana».

«Certo, va benissimo. Quanto tempo ho a disposizione per portarvi il resto dei soldi?» una delle mie preoccupazioni principali.

«Non me ne voglia ma... entro il giorno dell'operazione dobbiamo avere tutti i soldi!»

Le cure, la permanenza in quella clinica, la fase di preparazione all'operazione mi avevano fatto spendere già tutto l'anticipo concessomi da Rabanne. Non sapevo cos'altro inventarmi per completare il pagamento. Dovevo trovare un modo, all'istante. I problemi nella mia quotidianità non finivano mai, anzi se ne accavallavano sempre di nuovi. Se non avessi provveduto al compenso non avrebbero proseguito con l'operazione di Demon, lo avrebbero lasciato morire, il medico era stato crudele ma schietto. Dannazione! Come avrei risolto quella situazione? Avrei tanto voluto strapparmi i capelli per la frustrazione. 

«Perfetto. Ma... Quante possibilità ci sono affinché Demon la superi?» domandai infine l'aspetto fondamentale, e fingendo di non avere preoccupazioni relative al pagamento. Non avrei di certo pianto come una femminuccia, non ero il tipo. 

«Abbiamo calcolato il sessanta percento di riuscita dell'intervento, ma non si preoccupi. Demon si salverà, è in buone mani. Stia tranquillo!»

 

 

 

 

 

 

 


🌈 Note Autrice 🌈


Hello, oggi parto con il chiedervi scusa se questo capitolo non è scritto chissà quanto bene e perché è più corto rispetto agli altri, ma sono stata sottotono in questa settimana e questo è il massimo che sono riuscita a fare. Spero vi piaccia ugualmente.

Bene, ora veniamo a noi. 

Dopo l'ansia e la tristezza di tutto il capitolo, finalmente una notizia positiva. Demon dovrà subire un intervento, ma ci sono buone probabilità che si salvi. Almeno una gioia xD.

Be' poi.. come già poteva comprendersi dal titolo del capitolo, Miki ha scoperto -grazie alla nostra cara e amata Debrah- delle fotocopie del suo diario segreto fatte da Castiel. Vi è sembrata esagerata la sua reazione o giusta? 

Mentre scrivevo quella parte di capitolo mi sono emozionata, percepivo la stessa ansia, lo stesso dolore di Miki, spero di avervi trasmesso le stesse mie sensazioni. 

Inoltre Miki per essersi sentita tradita e violata ha deciso di allontanarsi definitivamente dal rosso. Ci riuscirà?

Inoltre nel Miki's pov è stato finalmente svelato il contenuto del secondo video che Debrah aveva mostrato a Miki a Roma. Castiel dopo l'abbandono di Debrah era realmente divenuto uno spacciatore? Cosa c'è dietro?

Ci sono ancora tante situazioni da risolvere all'interno della storia, spero che abbiate voglia di scoprirle insieme a me.

Ora vi saluto,

All the love💖

Blue🦋

  
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