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Autore: heliodor    10/12/2018    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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La spada

 
"Stern" disse sua madre. "Devi fare qualcosa per quel ragazzo."
Stern era un uomo sui trent'anni, alto e massiccio. Sedeva in un angolo mentre passava una pietra sulla lama della spada.
Sua madre era in piedi davanti al focolare e sorvegliava qualcosa che bolliva in un pentolone di rame. "Mi hai sentito, Stern? Devi fare qualcosa per..."
"Sì, sì" disse Stern spazientito. "Ti ho sentito, donna. Devo fare qualcosa per il ragazzo."
Era tipico di sua madre parlare in sua presenza come se non esistesse. Oren ci era abituato e a nove anni compiuti, non ci faceva più tanto caso.
"Deve imparare un mestiere" ribadì la donna.
Stern sollevò gli occhi dalla spada. "Un mestiere? Non è abbastanza grande per indossare l'armatura nera."
La donna lo guardò scandalizzata. "Io non voglio che diventi come i tuoi fratelli. Voglio che sia una persona onesta e tranquilla."
Stern le sorrise. "È la tradizione di famiglia. Diventerà un guerriero nero."
"No" disse la donna. "Guarda i tuoi fratelli. Guarda Haren. Per non parlare di Mythey."
"Che ha che non va Mythey, Nascha? Credevo ti piacesse."
"È un mercenario" rispose lei con le mani sui fianchi. "Lo sai che come vivono quelli lì."
"Come vivono?"
"Donnacce, vino, saccheggi. Non voglio che il mio Oren faccia quel tipo di vita."
Stern rise. "A me invece piacerebbe. Papà era così. E anche il nonno."
Nascha scosse la testa affranta. "Devi fargli un bel discorso. E devi farlo adesso. Il vecchio Bidza sta cercando un garzone."
"Chi? Il fabbro?" fece Stern disgustato. "Quello non sa nemmeno come si impugna un'arma."
"Ma è l'uomo più ricco del villaggio. E ti deve qualche favore. Perché non gli chiedi se..."
Oren ne aveva abbastanza di sentirli parlare. Si alzò e andò alla porta senza dire una parola.
"Dove vai?" gli chiese sua madre.
"Non lo so" rispose richiudendosi la porta alle spalle.
Attraversò il prato e raggiunse la spiaggia. La casa dove abitavano era a pochi passi di distanza dalla battigia, dove i marinai avevano tirato in secca le barche per ripararle e preparare le reti per la stagione successiva.
In quel momento il cielo era nuvoloso e lo sarebbe rimasto fino alla luna successiva, quando i venti del sud avrebbero spazzato via le nubi portando il bel tempo.
Suo padre si avvicinò zoppicando. Oren non ci faceva quasi più caso alla sua andatura, ma sapeva che lo rendeva ridicolo. I ragazzini del villaggio ridevano alle sue spalle chiamandolo sciancato o gambacorta.
Oren a volte li sentiva e litigava con loro. Qualche volta riusciva ad avere la meglio e quelli la smettevano, altre tornava a casa con un occhio nero o il labbro spaccato.
A sua madre raccontava di essere caduto mentre dava la caccia a qualche animaletto e lei fingeva di credergli.
"Oren" disse suo padre. "Non ti avevo dato il permesso di uscire di casa."
Sedette sulla sabbia. Era fredda e umida. "Non andavo da nessuna parte."
"Vuoi andare a lavorare per Bidza?" gli chiese. "È un gran idiota, ma non ha figli. Quando lui non ci sarà più potrai diventare tu il fabbro."
"La spada" disse Oren. "Perché ce l'hai? Tu non sei un guerriero."
"È un ricordo di mio padre. Me la regalò lui."
"Tu fai il pescatore."
Suo padre non aveva una barca sua, ma lavorava per quelli che ce l'avevano e riceveva una parte del pescato come paga. Con quella sfamava la sua famiglia e il resto lo rivendeva al mercato per procurarsi la frutta e la carne.
Stern annuì. "È vero, ma vengo da una famiglia di guerrieri. Tuo padre lo era e anche tuo nonno. E i tuoi zii..."
"Non me li ricordo neanche."
"Sono andati via molti anni fa, quando eri piccolo."
"E se sono morti?"
"Lo avrei saputo, non credi?"
"E se anche io volessi diventare un guerriero come loro?"
"Nessuno te lo impedisce" fece suo padre. "Ma prima devi superare una prova."
"Prova?"
"È quella che devono affrontare quelli della nostra famiglia prima di diventare guerrieri."
"Voglio farlo" disse Oren saltando in piedi.
Suo padre lo prese per mano. "Allora vieni."
Tornarono in casa, dove sua madre aveva finito di cucinare lo stufato di verdure. L'odore di carote e carciofi lessi aleggiava ancora in giro.
Oren arricciò il naso.
Stern sedette al tavolo.
"E la prova?" chiese.
"Dopo" fece suo padre. "Ora mangiamo."
Oren divorò la zuppa.
Sua madre lo guardò stupita. "Strano, di solito non è così entusiasta della mia zuppa. Che gli hai promesso?"
Stern fece spallucce. "Niente."
"Stai mentendo."
"Papà mi farà sostenere la prova" disse Oren.
"Che prova?" chiese sua madre.
"Una sciocchezza" rispose Stern.
"La prova per diventare guerriero, diglielo anche tu papà."
Sua madre scosse la testa. "Che grossa sciocchezza. Non esiste alcuna prova del genere."
"È vero" protestò Oren. Guardò suo padre.
Stern annuì. "La prova è vera, donna." Si alzò e zoppicò fino alla spada che poco prima stava lucidando. "Vieni, ti faccio vedere una cosa."
Oren lo seguì fino alla stanza che usavano come piccolo magazzino dove tenere le cose che non usavano tanto spesso. In un angolo c'era un grosso baule che suo padre aprì facendo scattare un lucchetto. Vi infilò dentro le mani e ne tirò fuori una spada dalla lama così scura da essere lucida.
Era l'arma più grande che Oren avesse mai visto. Persino suo padre che aveva mani enormi faticava a impugnarla.
L'elsa era avvolta in strisce di cuoio consumato dal tempo e il pomolo era una semplice sfera di metallo.
Suo padre appoggiò la punta della spada al pavimento. Superava Oren di una spanna e mezzo e arrivava al petto dell'uomo.
"Questa era la spada di mio padre" disse Stern con orgoglio. "E di mio nonno prima di lui. Come figlio maggiore l'ho ereditata alla sua morte, ma come vedi non l'ho mai usata. Tuttavia, è in perfetto stato. Vedi il metallo? Non è macchiato ne scheggiato e la lama ha un filo perfetto. Potrebbe tagliare in due un cavallo, se maneggiata nel modo giusto."
"Posso prenderla?" chiese Oren affascinato.
Sua padre gli porse l'elsa della spada. "Se ne sei capace..."
Oren afferrò l'elsa con entrambe le mani, ma non riuscì a sollevare la spada di un millimetro. Era così pesante che dopo un paio di minuti cominciò a sentire dolore alle spalle e alle braccia.
Suo padre gliela sfilò prima che cadesse a terra. Con delicatezza la ripose nel baule da dove l'aveva presa e lo richiuse.
"Ti piace?" domandò. "Bella arma, vero?"
Oren annuì.
"Solo un vero guerriero degno di questo nome potrebbe brandirla. Non è una cosa da tutti. Sei d'accordo con me, vero?"
Oren annuì di nuovo.
"Bene, ora torniamo da tua madre."
"E la prova?" chiese.
"Era quella" disse suo padre.
"Ma io non sono riuscito a..."
"Se fossi stato capace di sollevarla, l'avresti superata."
"Io non ero pronto."
"Nessuno lo è mai" rispose suo padre. "Domani chiederò a Bidza di prenderti come aiutante, così metterai su un po' di muscoli."
 
Bidza era un omaccione muscoloso e sudato. Le enormi braccia ricoperte di cicatrici impugnavano tenaglia e martello come se fossero dei giocattoli.
Oren lo aveva già visto altre volte, ma sempre da lontano. Tra i ragazzi del villaggio incuteva un certo timore per i suoi modi rudi e la voce tonante.
"Stern" disse accogliendoli nella sua bottega. "Vedo che ti sei portato dietro anche il tuo cucciolo."
Suo padre zoppicò verso una mensola dove erano allineati degli elmi. "Ho sentito dire che cerchi un aiutante. Stai diventando vecchio?"
Bidza diede un colpo di martello alla lama che stava lavorando facendo sobbalzare Oren. "Vecchio? Io? Forse mi stai confondendo con qualcun altro, maledetto sciancato."
Suo padre diede una rapida occhiata a degli scudi appoggiati alla parete. "Eppure mi era sembrato di capire che avevi bisogno di una mano, ora che Gerny ha preso moglie e ha ereditato la terra del suocero."
Bidza diede un colpo ancora più forte col martello. "Quell'idiota ha deciso di fare il contadino, così all'improvviso. Non mi ha nemmeno avvertito."
Stern scosse la testa affranto. "Che brutta cosa. È davvero un peccato."
"Non dirlo a me" disse Bidza. "Ora devo fare tutto da solo."
"Però il lavoro non ti manca a quanto vedo."
"È un buon periodo. Ci sono molte guerre e altre se ne vedono all'orizzonte" rispose il fabbro. "Vuoi comprare qualcosa?"
"Che hai da offrirmi?"
"Ho della roba adatta alla pesca. Tutta di prima qualità."
"Ti dispiace se ne parliamo dopo? Ora vorrei concludere un altro genere di affare con te."
Bidza riprese a martellare il ferro. "Che genere di affare?"
"Forse ho l'aiutante che stai cercando."
"Chi?"
Stern indicò Oren.
Bidza gli gettò un'occhiata veloce. "Quello lì? Si spezzerà in due solo a prendere in mano una pinza."
"Mettilo alla prova. È forte."
"Non è vero. Ho sentito dire che è un mollaccione."
"Come ti permetti?" fece suo padre offeso. "Chi ti ha detto una cosa del genere?"
"È il figlio di uno sciancato. Chi mi assicura che non abbia anche lui qualche difetto?"
"Mio figlio è sano" disse Stern.
Bidza sospirò. "E poi ho sentito dire che hai pagato un erudito per insegnargli a leggere e scrivere."
"E anche a fare di conto" disse suo padre con orgoglio. "Un vero uomo deve saper fare anche queste cose."
Era successo un paio di anni prima, quando suo padre aveva condotto a casa un giovane erudito che si era trovato a passare in città. In cambio di vitto e alloggio, il ragazzo aveva insegnato a Oren a leggere e scrivere e fare di conto.
Lui aveva imparato in fretta e quando aveva cominciato a sentire il desiderio di saperne di più, suo padre aveva ringraziato l'erudito e lo aveva messo alla porta.
Oren si era rimasto male, ma aveva fatto finta di niente. Ogni tanto, di nascosto da tutti, andava al tempio dell'Unico per leggere qualche libro dalla biblioteca.
Il monaco che gestiva il tempio era felice di vederlo e lui in cambio svolgeva qualche semplice lavoretto come pulire la minuscola navata o passare lo strofinaccio sull'altare.
Era bello leggere le storie raccontate nei libri. A volte gli sembrava di essere un'altra persona e si ritrovava a immaginare di vivere le imprese di quelle persone.
Bidza emise un lungo respiro. "E va bene, va bene. Lo prenderò con me. In prova. Per una decina di giorni. Se resiste, lo prenderò come aiutante. D'accordo?"
"Mi sta bene" disse suo padre. "Andiamo a casa, Oren. Lo diremo a tua madre."
Quella notte, non riusciva a chiudere occhio. Non aveva paura di lavorare nella bottega del fabbro. A dispetto del carattere rude, Bidza sembrava un brav'uomo e si diceva che la moglie fosse una donna simpatica che amava i bambini, lei che aveva perso gli unici che aveva avuto quando erano ancora in fasce.
Il suo sonno era disturbato da un altro pensiero che lo turbava.
Scese dal giaciglio e camminò in punta di piedi passando davanti alla porta dei suoi genitori, quindi scese le scale e raggiunse lo stanzino.
Gli bastò poco per capire come far scattare la serratura del baule. All'interno, racchiusa in un sudario di pelli e stracci, vi era un'armatura color carbone e, accanto a essa, la spada di suo nonno.
Oren l'afferrò con entrambe le mani e cercò di tirarla su, ma era troppo pesante e dovette desistere. Richiuse il baule e tornò nella sua stanza.
Il giorno dopo iniziò a lavorare alla bottega di Bidza, ma ogni notte, per i due anni successivi, aprì il baule e provò a sollevare la spada del nonno.
Al compimento del dodicesimo anno, riusciva a sollevarla sopra la testa e tirava dei gran fendenti, anche se alla cieca.
Fu all'inizio della bella stagione che al villaggio arrivò l'epidemia che avrebbe ucciso un terzo degli abitanti, compresi i suoi genitori.

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