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Autore: heliodor    11/12/2018    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Guerrieri neri

 
Il suono della campana si sovrappose per un istante al tintinnare del metallo.
Oren, il braccio sollevato sopra la testa e il martello ancora stretto nella mano, si tese all'ascolto.
Stava per riprendere a martellare, quando la campana suonò di nuovo e poi ancora e ancora.
"Una nave" disse posando il martello. "È arrivata una nave?"
Bidza se ne stava seduto sulla sua sedia di legno, le gambe allungate su un mucchio di elmi buttati alla rinfusa. Il ventre enorme si sollevava e abbassava e gli occhi erano chiusi.
"Bid" disse Oren. "Bid, la senti anche tu?"
Il vecchio fabbro aprì un occhio. "Che?"
"La campana."
"Quale campana? Oggi non è giorno di preghiera. E il vecchio monaco è morto nell'epidemia."
Lerq, il monaco che amministrava il tempio, era morto insieme a molti altri e dalla cittadella non avevano inviato un sostituto.
Da allora il tempio era rimasto chiuso e nessuno ne aveva sentito la mancanza. Dopo l'epidemia molti avevano perso la fede e la speranza.
"Non quella del tempio" disse Oren togliendosi il grembiule. "Quella del porto."
"Il porto? Che sciocchezza. Nessuna nave attracca qui da anni."
"Ti dico che è quella del porto. Non la senti?"
Bidza borbottò qualcosa.
"Io vado a vedere" disse Oren andando alla porta.
"Non hai ancora finito."
"Agli inferi. Nessuno compra più la nostra merce da anni. Il negozio trabocca di armi e armature. Magari riesco a rimediare qualche cliente e lo convinco a comprare qualcosa."
"Fai pure. È solo fatica sprecata."
"Potresti almeno augurarmi buona sorte."
"Buona sorte, idiota" rispose il vecchio fabbro.
Oren pensò a una risposta sgarbata, ma poi ci ripensò. Bidza e sua moglie erano stati la sua famiglia negli ultimi quattro anni e si era affezionato a loro.
Soprattutto a Haki.
Uscendo vide che altri correvano verso il porto. Si unì a quelli che si stavano accalcando sull'unico molo.
Era così malridotto che sembrava impossibile che una nave vi potesse attraccare, eppure il grosso vascello a quattro alberi che aveva gettato l'ancora davanti al villaggio dimostrava l'esatto contrario.
Dalla nave stavano scendendo degli uomini. Quasi tutti indossavano abiti scuri e lunghe spade di metallo brunito legate di traverso sulla schiena.
Uno di loro, il più grosso e imponente di tutti, si guardava attorno come se stesse cercando qualcosa o qualcuno tra la folla.
Aveva un'aria familiare, ma Oren non riusciva a ricordare dove e quando l'avesse visto prima di allora.
Un ometto dall'aria smilza si fece strada tra la folla assiepata sul molo. "Fate lago. Vi prego. Non c'è niente da vedere." Era il capo villaggio.
Oren si fece da parte per lasciarlo passare.
"Sharo" esclamò l'uomo imponente. "Sei proprio tu?"
Il capo villaggio sembrò esitare. "Io vi conosco, signore?"
L'uomo sorrise. "Ma guardatelo. Che sei diventato adesso?"
"Sono il capo villaggio."
L'uomo rise sguaiato. "Tu? E che fine ha fatto Perski?"
Sharo si strinse nelle spalle. "È morto nell'epidemia, insieme a molto altri e..."
"Lo so, lo so" disse l'uomo. "È per questo che sono qui."
"Siete la prima nave che attracca qui dopo tante lune" disse Sharo.
"Ne verranno altre" fece l'uomo indicando l'orizzonte. "Il villaggio rifiorirà. Senti, Sharo, sai dov'è finito mio nipote?"
Nipote? Si chiese Oren. Di chi sta parlando?
"Lavora da Bidza, il fabbro."
"Quel vecchio è ancora vivo?"
Parlano di me, si disse Oren.
Represse l'impulso di farsi avanti e parlare. Invece girò su se stesso e si allontanò a capo chino.
Raggiunse la bottega di Bidza e chiuse la porta a chiave.
"Allora? Chi sono?" chiese il fabbro.
"Niente" disse Oren rimettendosi il grembiule.
"Come nessuno? E la campana?"
Oren stava per rispondere, quando udì dei colpi imperiosi alla porta.
Bidza si accigliò. "Clienti? Gli hai detto tu di venire?"
"Non sono clienti. E non aprire."
Il vecchio fabbro saltò in piedi. "Agli inferi, ragazzo. Non lo voglio perdere un cliente dopo anni. Io apro."
"Biz..." disse Oren, ma rinunciò ad aggiungere altro.
Bidza aprì la porta, ritrovandosi faccia a faccia con l'uomo imponente che era sbarcato dalla nave.
"E tu che ci fai qui?" chiese il fabbro.
L'uomo esibì un largo sorriso. "Non mi fai entrare, vecchio? Sono morte anche le buone abitudini insieme al resto del villaggio?"
"Certo che non ti faccio entrare" rispose Bidza. "Tu non sei il benvenuto."
"Voglio solo vedere mio nipote."
"Puoi guardarlo da lontano."
"È importante. Dico sul serio."
Bidza incrociò le braccia sul petto. "Vattene prima che mi arrabbi sul serio."
L'uomo alzò le mani come in segno di resa. "Non voglio essere scortese e rispetto la tua volontà. Di' a Oren che lo aspetto davanti a casa sua."
Bidza richiuse sbattendo la porta. "Agli inferi. Mi ha messo di cattivo umore." Guardò Oren. "Che vuoi fare? Ormai sei grande per prendere certe decisioni."
"Lui è mio zio Haren?"
Bidza annuì grave.
"Credevo fosse un guerriero."
"Lo è" rispose il fabbro andandosi a sedere sulla sua sedia. "Saranno almeno quindici anni che non si faceva vedere. Speravo che fosse morto."
"È il fratello minore di papà. Forse dovrei..."
"Guarda ragazzo, meno frequenti quel tizio, meglio è per te. Ho promesso a tuo padre di consigliarti quando sarebbe servito e questa è una di quelle occasioni."
"Ha detto che andava a casa. Ma è vuota."
"Qualunque cosa voglia, lascialo perdere. Stammi a sentire."
Oren si tolse il grembiule. "Forse è qui per dirmi qualcosa di importante. Chissà quando e se lo rivedrò di nuovo."
Bidza sospirò affranto. "Fai come vuoi, ma poi non dire che non ti ho avvertito."
Oren lasciò la bottega e si diresse verso casa. Da quando erano morti i suoi genitori, ci tornava solo per dormire e riparare il tetto dopo la stagione delle piogge.
Tra quelle mura c'erano solo ricordi dolorosi.
Mentre si avvicinava notò una mezza dozzina di persone riunite davanti alla porta. Tra di loro c'era suo zio Haren.
Si avvicinò con passo deciso e la schiena dritta.
Haren lo guardò accigliato. "Tu sei Oren?" gli chiese quando fu a una decina di passi di distanza.
Oren annuì.
Haren rise. "Ma guardatelo. È tutto suo padre. A parte la gamba matta. Quella non l'ha ereditata, per fortuna."
Oren represse il senso di fastidio che sentiva crescere dentro di sé. "Tu sei lo zio Haren?"
L'uomo annuì. "Ti ricordi di me?"
Oren scosse la testa.
Haren rise. "Lo immaginavo. L'ultima volta che ti ho visto camminavi a stento e ti facevi la pipì addosso."
"Almeno ha imparato a camminare" disse uno degli uomini che lo accompagnavano.
Gli altri risero di gusto.
Oren li ignorò. "Lo sai che papà è morto, vero?"
Haren annuì di nuovo.
"Sette anni fa" proseguì Oren con tono d'accusa.
"So anche questo, ragazzo. Ma l'ho saputo solo due lune fa, quando mi trovavo a passare per Taloras. Sono venuto qui non appena ho potuto."
Oren lo fissò in silenzio.
"Sei pur sempre mio nipote" proseguì Haren. "Ho delle responsabilità verso di te. Se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, non hai che da chiedermelo."
"Non mi serve niente. Lavoro da Bidza e mi guadagno da vivere nella forgia."
"L'ho visto" disse Haren. "Ma nella nostra famiglia, le armi le usiamo per tagliare in due i nemici, non le costruiamo."
"Io non sono un guerriero" rispose Oren con orgoglio.
"È questo il punto, ragazzo." Indicò la casa. "Non mi fai accomodare?"
"Perché? Che ti aspetti di trovare lì dentro?"
"Una cosa che mi appartiene."
Oren si accigliò. "Cosa?"
"Stern te l'avrà certamente mostrato. È un vecchio baule dall'aria malmessa e antica."
Il baule, pensò Oren. "So di cosa parli."
"Bene. Devo prendere una cosa al suo interno e poi me ne andrò."
"Che cosa?"
Haren si strinse nelle spalle. "È una vecchia spada senza alcun valore..."
La spada del nonno, pensò Oren. "Quella spada era di mio padre."
"E di tuo nonno prima di lui."
"A cosa ti serve?"
Haren sorrise. "Potrei farti la stessa domanda."
"Mi piace. È un ricordo di famiglia."
"La nostra famiglia" disse lo zio. "Vedi, quella spada può appartenere solo a un guerriero. È la tradizione."
"Il nonno l'ha data a mio padre."
"Ed è stato un grosso errore. Io non ero d'accordo, ma promisi a mio padre che avrei rispettato la sua decisione. Stern si sarebbe tenuto la spada e l'avrebbe data a suo figlio, se questi fosse diventato un guerriero degno di brandirla. Ma tu sei un fabbro, ragazzo. E questo non ti rende degno di quella spada. Perciò dammela e finiamola qui con questa discussione."
Oren cercò di mantenere la pazienza. "Guerriero o no, ora quella spada è mia."
Haren rise. "Tutto suo padre, che vi dicevo? Lo sapevo che non sarebbe stato facile. Senti, se vuoi essere pagato posso darti delle monete. Quanto vale per te? Cento? Duecento? Facciamo trecento?"
Oren scosse la testa.
"Sii ragionevole, ragazzo" disse suo zio.
"Ho detto di no." Trecento monete gli avrebbero fatto comodo. Con tutti quei soldi poteva comprarsi una barca e diventare un marinaio e trasferirsi altrove per guadagnare qualcosa in più. Ma la spada era un ricordo di suo padre. Gliel'aveva lasciata, facendogli promettere che se ne sarebbe preso cura. "Ho dato la mia parola che non l'avrei ceduta a nessuno."
Specialmente a te, aggiunse. Sua madre non aveva mai amato lo zio Haren e suo padre non l'aveva mai contestata con forza, così come faceva quando lei parlava male dell'altro zio di nome Mythey.
Nemmeno a lui andava molto a genio.
"È la tua risposta definitiva?"
"Non ne avrai un'altra."
Uno degli uomini di Haren, un tipo curvo con il naso adunco, gli mostrò i denti in una specie di ringhio. "Capo, prendiamocela e basta. Perché stai qui a perdere tempo con questo fabbro da quattro soldi?"
"Taci, Bleva" ringhiò Haren.
"Se oserete rubare dalla mia casa" disse Oren. "Tutto il villaggio lo saprà e la notizia verrà diffusa lungo tutta la costa. Tutti sapranno che Haren e si suoi sono dei ladri."
"Ti chiuderò quella boccaccia, ragazzino." Bleva si lanciò in avanti, ma Haren lo afferrò per la collottola e lo sollevò senza alcuno sforzo.
"Ti ho detto di tacere" disse minaccioso.
Bleva serrò le labbra.
"Bravo" disse Haren depositandolo a terra. Guardò Oren. "Sicuro di non volerci ripensare?"
"Sì."
Haren stava per dire qualcosa, quando un altro di quelli che lo accompagnavano, il più giovane tra questi, si fece avanti. "Non vorrai davvero lasciare la spada a questo incapace?"
"Non ti ci mettere anche tu, Arok."
"Non è neanche un vero guerriero. Dubito che riesca a sollevarla, figuriamoci a brandirla."
"Ci riesco molto bene" rispose Oren.
"Dimostralo" lo sfidò Arok.
"Sì, dimostralo" gli fece eco Bleva.
"Giusto" fece Haren. "Dimostra che sei degno di quell'arma. Solo i veri guerrieri riescono a brandirla in un duello."
"Duello?" fece Oren indeciso.
Arok si batté il petto con orgoglio. "Lascia che sia io a misurarmi con lui."
Haren rise. "Tu sei il peggiore di noi, figliolo. Se ti lasciassi duellare con un guerriero armato di quella spada, non avresti alcuna speranza."
"Vuoi che te lo chieda per favore?"
"Basterebbe un solo colpo per tagliarti a metà."
"Correrò il rischio" ribadì Arok.
Haren lo guardò. "Che ne dici, figliolo? Dimostraci che sei degno di quella spada e te la lascerò. E ti darò anche mille monete."
Mille monete, pensò Oren. Non avrebbe mai visto tanto denaro in tutta la sua vita. Con quella somma poteva comprarsi la barca migliore della costa.
"Che tipo di duello proponi?" chiese allo zio.
Haren rise. "Niente di pericoloso. Tracciamo un cerchio nel terreno e se resisti per un minuto senza farti buttare fuori, vinci tu. Sei d'accordo?"
Oren annuì. "D'accordo."

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