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Autore: Duncneyforever    12/12/2018    2 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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- I tuoi obbiettivi - ripete, con una punta di sarcasmo. - Quindi mi staresti usando? - 

- Usando? Ma ti sei ammattito? Senti un po' chi parla! Sei tu che hai bisogno di attenzioni, non io! - Strattono il polso nel tentativo di liberarmi, fallendo miserevolmente. 

- Cos'hai detto? - Il freddo penetra dentro di me, facendomi intuire che non sia il giorno più adatto per discutere con lui. 

Si china, soffiandomi all'orecchio la stessa domanda. 

- Ho detto che sei tu. - Ripeto, prontamente, sostenendo il contatto visivo. 

Lui sorride alla maniera di Rüdiger, stirando gli angoli della bocca fino alle guance, sghignazzando a scoppio ritardato. 

- Beh? Cosa c'è di tanto divertente?! - Appoggio i pugni sui fianchi, linciandolo con lo sguardo. 

- Quanto sei bambina... - Invece che dare di matto come farei di solito, gridando come una che ha appena sbattuto il mignolino contro lo spigolo del tavolo, rifletto un po' di più su ciò che mi ha detto, arrivando a due conclusioni: ha ragione; so essere veramente infantile a volte, tuttavia, lui non capisce quanto sia difficile per me comportarmi in altro modo che non sia questo; pretende al suo fianco una persona razionale, egoista, apatica, tuttavia, non sono in grado di gestire a piacimento le emozioni, di sopprimerle invece che lasciarle fluire. 

- È l'unico modo per attirare la tua attenzione. Spesso non vuoi sentire altro che la tua voce, minimizzando temi che andrebbero ampiamente discussi. Ora non sei arrabbiato, quindi è il momento giusto per parlarti. Tu stesso mi tratti come una bambina, Reiner; a sedici anni, cosa pretendi? - 

- Hai sul serio quest'impressione di me? - Rispondo subito di sì, spazzando via il sorriso da sfottò sul suo viso. - Meine Süße, non è una colpa essere giovani ma, proprio perché sei così giovane, non riesci a renderti conto del pericolo in cui potresti incorrere. - Alzo gli occhi verso l'alto, sinceramente stupita dalla banalità del suo sermone. 

- La tua insolenza mi fa davvero, davvero incazzare - ribatte, ritirando le labbra, teso nel corpo e duro nello sguardo. 

- Allora picchiami - giro la testa in ambo le direzioni, chiedendogli che lato preferisca. 

Lui, senza pensarci due volte, mi spinge contro la fiancata di un Block, trattenendomi per le braccia. 

- Non è da me che ti devi difendere. - Aggrotto le sopracciglia, diffidente, e Reiner, come a volermi punire, mi afferra con ancora più forza, tormentandomi i polsi.   

- Ahi! - Mi lamento per il dolore, inducendolo a smettere. 

- Non riuscirei a farti male nemmeno volendolo; mi basterebbe sentire la tua voce per desistere. - Passa i polpastrelli sulla parte dolorante, massaggiandola per riattivare la circolazione. 

Ho la tentazione contestare, di dirgli che in realtà me ne abbia fatto, ma non è vero, non è affatto vero perché, in realtà, non sento già più niente. 

Cerco di parlargli civilmente, come una persona matura, finchè non vengo distratta da uno dei soliti rumori molesti, ossia lo scoppiettare del motore di una camionetta, appena fermatasi nei pressi della Judenrampe. 

Che poi... Trasporterà nuove reclute? 

A primo acchito, sembra malmessa e, di sicuro, se ci fossero delle SS ( l'élite! ) a bordo, non si potrebbe certo dire che abbiano viaggiato in " prima classe "!

Magari sono " Mischlinge " come Zohan e, quindi, non sono affatto Schutz Staffeln, ma semplici soldati " mezzo sangue " che non godono delle simpatie dei colleghi " ariani ". 

- Reiner, cos'è quello? - Chiedo, indicando il veicolo militare. 

- Non ne ho idea. - Appoggio un palmo sul suo braccio e accosto la testa al suo petto, disturbata da uno strano senso di malessere. 

Com'è possibile che lui non lo sappia? 

- Ho un brutto presentimento... - Continuo a guardare fisso da quella parte, aspettando, trepidante, di veder scendere qualcuno. - Possiamo andare a controllare? - Lui mi accarezza il viso, rivolgendomi un'occhiata che vorrebbe essere rassicurante, ma che, invece, fa trapelare tutta la sua preoccupazione. 

Lui accetta di accompagnarmi, meravigliandosi nel vedermi tendere la mano verso di lui e stringergliela forte.

È convinto che le mie siano solo paranoie e, sinceramente, anche io vorrei essere della stessa opinione. 

Con Reiner al mio fianco, il cancello ci viene subito aperto e così, senza ulteriori impedimenti, ci apprestiamo a raggiungere il mezzo, sorvegliato anch'esso da due guardie. 

Dopo il saluto di routine, il comandante chiede spiegazioni, sapendo di poter ottenere tutte le informazioni necessarie. 

- Nichts Besonderes, Herr Kommandant. Nur wenige Juden, deren der Standartenführer persönlich die Abschiebung beantragt hatte. / Niente di che, comandante. Solo pochi ebrei di cui il comandante ha richiesto personalmente il trasferimento. - Controbatte quello sulla destra, battendo il palmo sul telo pesante che va a coprire il retro della camionetta. 

Vedendola così, da vicino, è chiaro che non sia ciò che mi era parso all'inizio, ovvero un automezzo militare, bensì è evidente che fosse adibita al traporto delle merci: non ci sono sbocchi per l'aria e, di conseguenza, il " carico " deve aver sofferto molto la mancanza di ossigeno... 

- Da dove arrivano? - Lo dico in italiano, resa incapace di formulare in tedesco una domanda che avrebbe dovuto essere basilare. 

Inizio ad agitarmi.

Non connetto la lingua al cervello. 

Deliro.

La stessa sensazione di prima si fa prepotente dentro di me, inducendomi a respirare faticosamente, al punto di sentir gravare un peso sullo sterno. 

Conficco le unghie nella linea curva che intervalla il suo palmo, rischiando di lacerargli la pelle. 

Reiner si lascia torturare passivamente; mi guarda come se si aspettasse di sentirmi mancare e rovinare a terra. 

- Aus Italien. - Il soldato è confuso; non capisce. 

Io capisco benissimo. 

Mi accorgo di star piangendo quando, dopo aver levato il viso verso l'alto, non percepisco gocce di pioggia cadere dal cielo, ma lacrime scivolar giù dai miei occhi e bagnarmi la pelle. 

Non sento più la mia faccia. 

Porto le mani davanti al volto, coprendole di pianto. 

È un pianto silenzioso; Reiner deve chinarsi per veder sciogliersi in lacrime il mio viso di bambola. 

Le guardie mi fissano allibite: mi vedono cadere sulle ginocchia, dritta e, come una candela, squagliarmi piano piano, fino a riversarmi al suolo, con le mani sigillate al cuore.

- Non è possibile... - Sussurro, quasi toccando il suolo con la fronte. Spalanco gli occhi, la bocca, ma non riesco ad urlare. Le lacrime corrono giù; le vedo zampillare senza tregua e annaffiare la terra sterile, sterile come il cuore dell'uomo che mi ha fatta morire. 

Reiner, dapprima pietrificato, accorre in mio aiuto, tirandomi su e portandomi al sicuro, tra le sue braccia. 

- Che lurido figlio di puttana...  - Mi accartoccio contro di lui, agitando le mani tremanti di dolore e di rabbia e lasciandomi andare ad un lungo, gutturale, rantolio disperato. 

- Sono quelli di cui mi hai parlato... - Proferisce, incredulo, rivoltato nello stomaco dalla bassezza di Schneider. 

- Sono loro - confesso, assolutamente sicura che siano mie " vecchie " conoscenze. 

- Rimandali indietro - lo supplico in ogni modo possibile, eppure lui si nega, si nega e si nega ancora. - Perchè no?! - Caccio un urlo potente, attirando l'attenzione di tutti quanti, persino dall'altra parte del filo spinato. 

- Perchè sono ebrei, cazzo! - Stanco, avvilito, frena le mie mani, avendolo io " picchiato " con fragili pugni nel tentativo di dissuaderlo. - Sono ebrei - ripete, passando i pollici sulle mie palpebre e guardandomi negli occhi, resi ciechi dal velo opaco delle lacrime. 

- Non posso vivere sapendo di avergli distrutto la vita - ammetto, allungandomi sulla pistola nel fodero della sua cintura. 

Non sarebbe dovuta andare così.

Ho causato solo guai alle persone a cui ho voluto bene.

Se non mi avessero conosciuta, tutti loro avrebbero avuto una possibilità; Sam, Fede, la loro famiglia, Friederick... 

Il mio migliore amico si è tolto la vita e loro moriranno per colpa mia. 

Voglio metter fine a tutto questo. 

Mi rialzo con uno scatto, strappandogli la pistola e puntandomela alla tempia. 

Per un attimo, sono il centro di questo piccolo mondo: oltre la recinzione alcuni prigionieri si sono fermati per capire cosa stia succedendo, così come le guardie e i due soldati qui presenti. Reiner, invece, mette le mani avanti e si avvicina, a tentoni, cercando di farmi mettere giù l'arma; i suoi occhi sono lucidi, incredibilmente espressivi e, il pensiero di potermi spegnere immersa nei suoi bellissimi occhi color del mare, mi dà pace; mi riporta a casa, sulle coste della mia Italia, al tempo in cui credevo ancora che la vita potesse essere un'avventura meravigliosa e infinita. 

- Sara, ti prego, no! - 

Chiudo gli occhi. 

Dico addio a tutto ciò che ho amato. 

Premo il grilletto. 

Reiner si getta su me e il proiettile non mette fine alla mia breve vita... 

Il maledetto grilletto si è inceppato. 

Il colpo non è partito. 

- Cosa... - Vorrei riprovarci, provare fin quando quel pezzo di metallo non mi trapasserà il cranio da parte a parte, ma il comandante prende le redini della situazione; combatto per la mia salvezza e riesco a premere, sebbene ormai sia inutile: il colpo parte ed io sono qui, infelice, in questo mondo crudele. 

Grido di nuovo, per la frustrazione, domandandogli disperatamente perché non me lo abbia lasciato fare. 

- Come hai potuto pensare che fosse più facile morire?! Io come avrei fatto senza di te, eh?! Me lo dici, mocciosa irresponsabile che non sei altro! - Vola uno schiaffo da parte sua, che si schianta rumorosamente e dolorosamente sulla mia guancia. 

La sento pulsare tanto mi fa male e, per il principio di azione-reazione, copro la cinquina con il palmo fresco, strabuzzando gli occhi per lo shock. 

Il biondo fuma di rabbia e pendii aridi ricevono acqua dopo anni di siccità. 

Mi risveglio dall'ondata di pazzia che mi aveva spinta a compiere un gesto così estremo e vile, giudicando insensato il mio stesso ragionamento.

Sono stata così egoista! così dannatamente egoista! 

- Reiner, io non merito di vivere. Volevo salvarli e, invece, li ho condannati a morte. Rüdiger sa che farei qualunque cosa per loro... Quel giorno ho rifiutato di concedermi a lui e, adesso, pretende ciò che non ho voluto dargli. Sarò sua per riscattare la libertà dei miei amici, ma sporca per l'eternità; lo avrei fatto comunque e lo farò non appena avrò saldato il mio conto. Lui mi userà finché gli farò comodo; dopodiché, mi sbatterà in un qualche bordello per vendicarsi del torto subito. Questa non è vita, Reiner... Io voglio essere libera. Voglio essere felice. - 

I due uomini, logicamente, continuano a non capire. 

Il comandante, al contrario, comprende per la prima volta quanto grave sia la mia condizione e ne esce abbattuto, commosso tanto da versare lacrime, proprio lui, che non piange mai . 

- Dimmi cosa posso fare - mi dice, stringendomi a sè. 

- Rette sie. / Salvali. - Bacia la mia guancia, abbracciandomi, guardando di traverso gli uomini che mi hanno denigrata, dandomi della matta. 

Eppure hanno ragione, perché io lo sono diventata. 

Il fragile equilibrio su cui basava la mia intera esistenza si è frantumato, aprendo le porte alla pazzia. 

- Voglio vederli. - Indietreggio, rifiutando le sue cure, asciugandomi il viso con i polsi: una scelta priva di significato perché, a questo punto, non c'è più modo di frenare la mia caduta. 

- Hol sie hier runter. / Falli scendere. - Intima al soldato biondo, ricevendo un cenno di assenso. 

L'altro si appresta a " scoperchiare " il retro del cassone, mentre la mia testa tende già verso il basso, per la vergogna. 

Reiner, resosi conto del mio malessere, si allontana, fermandosi ad un metro e mezzo di distanza. 

Bastano pochi secondi per ritrovarmi faccia a faccia con Samuele, il primo, nel mezzo di quel gruppetto impaurito, ad incrociare il mio sguardo dopo settimane dall'ultima volta. 

L'unico a non guardarmi con odio. 

Nessuno di loro lo dimostra apertamente ma, nei loro occhi, scorgo solo ribrezzo, oltre che paura. 

Persino Federico, che mi aveva presa così a cuore, non mi rivolge una sola occhiata, provocandomi dentro un senso di avvelenamento tale da animare in me il desiderio di morire di una morte straziante e prolungata nel tempo. 

- Weg. Ich werde mich um sie kümmern. / Via. Mi occuperò io di loro. - Liberatami dalla presenza opprimente delle guardie, avanzo verso la famiglia Costa, studiando una per una le loro espressioni.

Non osano scendere dal veicolo, tutti e sei ammassati nella penombra, verso il fondo del cassone. 

- Fuori. - Reiner interviene, spazientito, intimandoli di uscire allo scoperto. - Prima che vi faccia scendere io, Juden. - Rimarca quest'ultima parola con disprezzo, facendomi vergognare di portare al collo la croce celtica. 

Intimiditi dal tono perentorio del comandante, vengono fuori uno dopo l'altro, ad eccezione della madre che, affaticata dal lunghissimo viaggio, non è in grado di alzarsi sola. 

- Signora, vi aiuto io... - Suggerisco, flebile, anticipando Samuele e tendendole la mano. 

- Non voglio niente da te, zoccola. - In un primo momento resto immobile, chiaramente offesa, ma decido comunque di ritentare, intenzionata ad offrirle assistenza. - Ma signora! voi ne avete bisogno. - 

- Ho detto che non voglio niente! Sparisci, maledetta, sta' lontana da noi! - Mi spinge via con violenza, buttandomi a terra. 

Alzo la testa e vedo Reiner ardere di rabbia, accedendersi in volto e marciare verso di noi, minaccioso. 

- Mamma, che hai fatto?! Smettila subito! Smettila! - 

- Non farle male! - Gli intimo, sapendo che avrebbe puntato alla donna e che l'avrebbe torturata barbaramente, qui, davanti alla sua famiglia, facendole pentire di aver aver alzato le mani sulla " sua " ragazzina. 

- Perchè mai non dovrebbe?! Hai paura di apparire come la bugiarda traditrice che sei in realtà?! Disgrazie! Solamente disgrazie ci hai portato! Devi bruciare! tu e i tuoi porci nazisti! - Federico la prega di tacere, frapponendosi tra me e lei. 

- Zitta, Roni, chiudi la bocca! Non sai cosa stai dicendo! - Lei non ascolta le suppliche dei suoi famigliari e, facendo arretrare il ragazzo con uno spintone, mi tira con veemenza i capelli, schiaffeggiandomi. 

- Che ti prende, troietta?! Credi forse che il tuo protettore non ti vorrà più senza questi? Vergogna! Ci fidavamo di te e tu ci hai pugnalati alle spalle come una viscida serpe! - Sento dolore, tuttavia, il dolore più grande è vedere il comandante esplodere, strapparmela di dosso e colpirla sull'addome con un diretto, facendola stramazzare al suolo, agonizzante. 

- Schifosa ebrea! Come cazzo ti permetti di toccarla?! - La figlia grida, atterrita, assistendo impotente al pestaggio della madre. 

Il biondo riesce a sferrarle un calcio nello stesso punto, prima di venir fermato dal mio intervento. 

- Reiner, basta! Non mi ha fatto niente, sto bene! Lasciala stare! - Lui, in risposta, passa il pollice sotto al mio naso, facendomi notare di star effettivamente sanguinando.  

Tampono con le mani, ribadendogli di non sentire dolore, sdrammatizzando quanto accaduto. 

Lui, straordinariamente, mi dà ascolto, permettendo agli altri di avvicinarsi per soccorrerla. 

Mi getto anche io a terra, piangendo, cercando di confortarla. 

- Signora vi farò tornare a casa, fosse l'ultima cosa che farò... Giuro che quel mostro ha agito per vendicarsi! Vi volevo bene come foste la mia famiglia, non avrei mai potuto farvi una cosa del genere! Volevo aiutarvi così disperatamente che mi sono venduta; è vero, mi sono venduta, ma a fin di bene! Se solo avessi saputo quel che sarebbe accaduto dopo... Farò qualsiasi cosa! Morirò se necessario! - Prendo la sua mano tra le mie, incurante del sangue colatomi sulle labbra, singhiozzando. - Mi assicurerò personalmente che veniate curata e rimessa in piedi al più presto... Mi dispiace, signora... Mi dispiace così tanto. - 

- Vale davvero la pena sacrificarsi per questi miserabili? Sono animali, non meritano niente, nemmeno un briciolo della tua commiserazione. - Il comandante mi fa alzare, paonazzo, tremante di collera, non potendo vedere il mio volto rinsavito deturpato da un macchia del colore delle arance rosse di Sicilia, ma dal sapore del grezzo metallo. 

- Aiutami, Reiner. Non dirmi che non si può ancor prima di aver provato. - I grandi occhi cioccolato di Samuele poggiano sulla mia figura in ginocchio, supplichevole, ai piedi del comandante. 

Piango, in agonia, assaporando il gusto salato delle lacrime mischiato a quello amaro del sangue, rappresosi agli angoli della bocca. 

Affondo le unghie nella polvere, stirando le braccia in avanti, permettendo alla croce di incidere un marchio doloroso nel mezzo del mio petto, all'altezza del cuore. 

Non è nulla in confronto alla vergogna che ho provato nel sentirmi isolata, reitta, scacciata dalle persone che consideravo amiche. 

- Rette mich. / Salvami. - Arrivo a pregare Reiner, divorata da una psicosi degenerativa. 

- Meine Kleine... - Estrae un fazzoletto dalla tasca, ripulendomi il naso e la bocca dai residui ematici. - Sistemeremo tutto; lo faremo insieme, tu ed io. - Dà uno sguardo ai Costa, terrorizzati, chini sulla donna nel tentativo di proteggerla. - Vedrò cosa potrò fare; lo faccio per te, per la tua felicità, non per loro. Per me, possono anche crepare. - 

Ormai, lo conosco abbastanza da intuire che, in un altro frangente, li avrebbe uccisi lui, con le sue stesse mani ma, nonostante questo, non gliene faccio una colpa, perché ha avuto pietà e, questo, è un qualcosa di miracoloso, davvero miracoloso. 

Mi tiro su, strabiliata, ammirandolo dal basso come fosse un angelo divino. 

- Non sei tu a dovermi un favore e quegli ingrati certo non devono ringraziare me. Se pensano che, senza la tua mediazione, avrebbero scampato la deportazione sono dei poveri illusi: Schneider li avrebbe trovati comunque e, se mai non gli fosse venuta voglia di sbarazzarsi subito di loro, li avrebbe fatti internare per puro divertimento, a costo di pagare fior di quattrini le spese necessarie al trasferimento. - 

Li guarda con disprezzo, accusandoli, facendoli sentire colpevoli. 

- Sara, noi non... - 

- Taci, giudeo. Ti ho forse dato il permesso di rivolgerle la parola? - Sam ammutolisce, sotto pressione dell'anziana nonna che, preoccupata, lo implora di non replicare. 

Roni, sostenuta dal marito, abbassa lo sguardo, provando vergogna, sebbene sia stata picchiata a causa mia. 

- Abbiamo finito qui. - Reiner mi prende sotto braccio: io allungo la mano verso Samuele ed egli mi sfiora le dita, per un secondo, prima che Federico tiri indietro lui e il comandante trascini via me. 

- Li farò dislocare ad Auschwitz I e stazioneranno nel Block ventiquattro, fino a nuovo ordine. - Mi scorta alla sua auto, aprendomi lo sportello; - ora sali in macchina. Penserò io al resto. - 

- Cosa faremo adesso? Rüdiger darà di matto quando non mi vedrà! Devo tornare da lui! - Il biondo non aggiunge altro e mi chiude all'interno, avviandosi in cerca in un ufficiale a cui affidare il bizzarro compito. 

Non riesco a restare seduta, a star ferma sul sedile: inizio a picchiettare con le dita sul cruscotto, a sminuzzare le unghie con i denti, a far ballare le ginocchia, guardare continuamente indietro e di lato, verso le baracche e i prigionieri, tutti anneriti, appena tornati dalla miniera. 

Penso ai Costa, a ciò che ha fatto il rosso, e colpisco il sedile con un pugno, maledicendolo. 

L'umanità intera trarrebbe un sospiro di sollievo se lui morisse, eppure proprio quella traccia di umanità mi impedisce di desiderare la sua morte. 

Lui è malvagio, Signore, è il male. 

Uccide per il gusto di uccide, sguazza nel sangue degli uomini che ha trucidato; uccide per piacere, per odio, per vendetta, è il peggior uomo che sia mai esistito. 

Perché mi viene così difficile odiarlo? Perché mi convinco che sia vittima di un sistema perverso, piuttosto che considerarlo unico vero autore dei propri misfatti? 

Dio mio, inducimi a provare odio finché è giusto odiare. 

Liberami dall'eccessiva bontà che mi aveva portata a fidarmi di un essere così abbietto. 

Tento di distrarmi ricercando Maxim, sapendo di poterlo trovare tra la massa polverosa proveniente dalla cava di carbone. 

È difficile localizzarlo da questa distanza e non oso uscir fuori ma, quando intravedo Rüdiger passeggiare allegramente per il campo, inizio a vedere rosso. 

Cammina a passo regolare, con il mento tanto alto da potersi guardare le spalle e il ciuffo sbarazzino a coprire quel blu sporco, sempre arrogante. 

Alla sua vista, tremo di rabbia. 

Non potendo più trattenermi, spalanco lo sportello, dirigendomi verso di lui con lo sguardo di satana, la mano poggiata al manico della daga, nascosta tra l'elastico dei pantaloni e la maglia larga, e l'altra stretta a pugno. 

Il rosso mi nota e sorride, malefico, aprendomi le braccia.

- Quale lieto incontro! Piaciuta la sorpresa, Prinzessin? Tenevi così tanto a quei bastardini ebrei che ho pensato di portarteli qui: che c'è; non sei contenta? - Piega la testa d'un lato, ridendo, scatenando il demone che tenevo faticosamente a bada. 

- Tu! Lurido mostro! - Mi avvento contro di lui, incurante di essere in presenza d'altri, sapendo che nessuno sarebbe intervenuto, se avessi assecondato il suo divertimento malato. 

Mi slancio in avanti per colpirlo, ma non faccio in tempo: lui, più veloce di me, afferra il mio braccio e lo piega all'indietro, facendomi lamentare e inchinare di fronte a lui. 

- Già finito? - Mi deride, sbilanciandosi per parlarmi da vicino, abbastanza da risultare vulnerabile. Distratto, è relativamente semplice acchiapparlo per la divisa e tirarlo giù. 

Gli sono sopra adesso e, benché il mio predominio duri pochi attimi, riesco a combattere, nonostante lui mi abbia rovesciata all'insotto e schiacciata prepotentemente con il suo corpo.

I crucchi assistono, per nulla allarmati, piazzando scommesse su quanto io possa resistere prima di annunciare la resa. 

Mi dimeno, premendo con forza il gomito sulla sua mano, obbligandolo a lasciar libero il passaggio laterale. 

Un coro di ovazioni si leva da parte dei soldati, il che lo fa infuriare. 

Lui mi afferra per la caviglia, facendomi cadere e sbucciare i palmi delle mani. 

Ringrazio di non aver perso qualche dente e mi getto su di lui con più rabbia, insensibile al dolore e proprio quando si convince d'avermi vinta, lo sorprendo, voltandomi di colpo e puntandogli la daga alla gola. 

Uno dei suoi sottoposti estrae la pistola, puntandomela alla schiena, ma Rüdiger, con un gesto della mano, gli fa capire che non deve infierire, costringendo il ragazzo a retrocedere. 

Il colonnello appoggia le mani sui miei fianchi, sdraiandosi a terra come fossimo amanti nel bel mezzo di un amplesso. 

Sorride senza gioia, spostando la mano sulla mia e accarezzandomela. 

- Una volta che lo avrai provato, kleines Mädchen, non potrai più farne a meno. - Mi dice, facendo pressione e procurandosi un taglio sul collo. - Non vuoi vendicare il tuo amico? Ho confessato a suo padre di averlo ucciso ed egli ha continuato a preferire me; ringraziandomi persino! Morire solo e bastardo... Dev'esser stato un sollievo liberarsi da una vita così insulsa! -

- Chiudi quella bocca! - Sogghigna e ghigna ancora di più nel sentirsi affondare la lama nella carne, il collo aprirsi in due lembi e colare gocce vermiglie sulla divisa. 

La pelle lattiginosa, la divisa nera, il sangue rosso... 

I colori della sua svastica.

Provo soddisfazione, piacere, finchè gli occhi non si posano sulle mani, macchiate di sangue. 

Lascio cadere il pugnale, sorbendomi la sua risata sguaiata e i rimorsi della mia coscienza. 

Non è grave la sua ferita, devo aver appena appena toccato la lama, ma quel poco di sangue mi ha spaventata a morte e mi ha fatta sentire un mostro, una fascista. 

Sono orripilata da me stessa.

Io lo avrei ucciso! Avrei ucciso una persona! 

- Ma brava! - Esclama Rüdiger, tappandosi il taglio con le dita. - A quanto pare, non siamo poi così diversi. - 

- No, io non sono come te. Non sono un'assassina. - 

- Tu dici, stellina? Eppure nei tuoi occhi ho letto il mio stesso piacere... - 

- Io non volevo! - Strillo, nascondendo le mani dietro la schiena. 

- Invece lo volevi, e lo volevi tanto che non hai saputo fermarti. Cosa sarebbe successo, se non avessi esitato? - 

- Ho esitato, quindi il problema non si pone. - 

- Non hai risposto alla mia domanda, stellina. - 

Lo guardo perduta, inconsciamente, ammettendo la sconfitta. 

E non ho perso solo una battaglia.

... 

Ho perso la guerra. 

 

 

 

  
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