24
Leggende
La notte era il momento
più lungo della giornata, per Zefiro. Melwen dormiva vicino
a lui, schiacciata contro il suo fianco come un cardellino
infreddolito, avvolta nella coperta fino alla testa, con solo qualche
sparuto ricciolo sparso sul cuscino. Quando si muoveva, erano una
delicata carezza sulla sua pelle, come il suo respiro rilassato.
"Ti invidio… vorrei poter dormire anche io come fai tu."
Melwen mugugnò qualcosa di indefinito e si
rannicchiò ancor più. Tremava appena e un velo di
sudore brillava nelle increspature della fronte e delle sopracciglia.
Zefiro protese il braccio fuori dal letto e lo inumidì nel
catino d’acqua sulla sedia, prima di tamponarlo sulle sue
guance. Anche nel buio, riusciva a distinguerne il rossore febbrile.
- Vado un attimo a prendere una boccata d’aria, torno subito.
- le soffiò all’orecchio.
Come se volesse dargli il suo permesso, Melwen ritirò il
braccio contro il petto e si spostò sul bordo del letto,
dove il lenzuolo era scivolato via dall’angolo, lasciando
esposta una riga di materasso.
Zefiro le lanciò un’ultima occhiata, poi prese un
profondo respiro e compì il primo passo. Il legno sotto il
suo piede scricchiolò, un dirugginio d’assi che
riecheggiò nel silenzio della stanza. Zefiro fece una
smorfia e improvvisò una corsetta. Non controllò
che Melwen stesse ancora dormendo prima di appoggiare la mano sulla
maniglia e spalancare la porta, proseguendo fino al soggiorno.
Le candele, come la sera precedente, erano accese e sprigionavano un
intenso aroma di melograno e cannella. Sul tavolo dove levitava la
teiera, oltre alle braci per tenerla in caldo, Eogann aveva lasciato
anche due tazze. Zefiro afferrò quella con inciso sopra un
cavaliere in groppa al suo destriero rampante. Dopo averla riempita
fino all’orlo, si sedette e rimase a osservare il fumo che
spiraleggiava verso il soffitto, le mani che sostenevano il mento e le
palpebre socchiuse, senza pensare a null’altro se non al
profumo dello zenzero. Quando gli parve che la tazza fosse un
po’ meno calda, aggiunse un cucchiaino di miele e si mise a
sorseggiare la tisana.
- Come mai sveglio? Hai fatto un brutto sogno? -
Zefiro sussultò per la sorpresa e si voltò di
scatto. Il busto di Eogann spuntava per metà dalla rampa di
scale. Lo vide salire gli ultimi scalini e avvicinarsi con una candela
in mano.
- Non ho sonno. - rispose.
- È sempre così, oppure ti capita solo in questi
giorni? -
- La seconda. -
Eogann si sedette davanti a lui. Indossava una tunica di un azzurro
stinto, con le maniche così ampie da lasciar sbucare solo la
punta delle dita. A un suo cenno, la teiera si inclinò,
versando la tisana nell’altra tazza.
- E voi? Come mai siete sveglio? -
- Non serve essere così formali, Zefiro. Nemmeno i miei
figli sono così rispettosi. - si abbandonò a una
risata e soffiò per scacciare via fumo e calore, - Melwen
dorme? -
- Sì. È stata una giornata pesante per lei. -
- L’efedra è un’ottima erba, se presa
per un periodo limitato di tempo e in dosi non eccessive. Purtroppo,
nel caso di Melwen, gli effetti collaterali ci metteranno un
po’ a sparire. -
- Un po’ quanto? -
- Non posso darti una risposta certa, dipende da molti fattori. Posso
dirti, però, che già il fatto che stia dormendo
è un progresso non da poco. -
Zefiro annuì. I petali di lavanda galleggiavano sulla
superficie della tisana, urtandosi e urtando i bordi della tazza simili
a zattere alla deriva. Così come la sua mente, anche loro
avevano perso il nord.
- Non ti preoccupare, Melwen starà meglio. Tutti voi starete
meglio, non appena arriverete alla capitale. - Eogann bevve un lungo
sorso di tisana e si alzò, - Visto che anche tu non hai
sonno, perché non mi dai una mano? -
- Di che si tratta? -
- Vieni, te lo spiego nel mio studio. -
Zefiro saltò giù dalla sedia e lo
seguì. Scesero lungo una rampa di scale che sprofondava
nella penombra, attorcigliandosi su se stessa, con la ringhiera e il
palo di supporto in legno decorato con incisioni di foglie
d’edera. Quando scese l’ultimo gradino, Zefiro
percepì sotto le babbucce la consistenza morbida
dell’erba.
- Ma che...? -
- È solo un'illusione, tranquillo. - spiegò
Eogann.
Si avvicinò allo scrittoio e si accomodò su
quello che sarebbe potuto sembrare un albero, se non fosse stato per i
rami intrecciati a mo’ di schienale, per il cuscino di
muschio e le quattro radici a sorreggere il tutto.
- I miei figli dicono che sono un po’ troppo fissato con le
piante, ma che ci posso fare? Sono pur sempre un cacciatore. -
- Un cacciatore? -
- Sì, e pure molto bravo. Poi i fiori in casa mia hanno
cominciato a sbocciare anche in inverno e mio padre mi ha mandato a
calci nel sedere all’Accademia. -
Zefiro sprofondò nel cappello di un fungo rosso a macchie
bianche nello stesso momento in cui una farfalla si posò
sulla sua spalla. La fissò a bocca aperta, sbalordito dalla
sua grandezza. Quando le offrì il dito, il movimento delle
zampe a contatto con la pelle gli causò prurito, ma era una
sensazione piacevole, come il calore che soffondevano le grandi ali
blu. Non ricordava dove o quando, ma era sicuro d’averla
già provata.
- Sembri piacere a Ygerna. -
- Chi? -
Seguì la traiettoria dello sguardo di Eogann e
capì. Abbassò la mano e la farfalla
sbatté le ali, spargendo una polvere brillante
tutt’attorno a lei.
- È un famiglio? -
- Sì. L’ho comprata quando studiavo
all’Accademia e, da quel momento, i miei incantesimi sono
migliorati di molto. Il mercante che me l’ha venduta mi ha
detto di averla catturata nella foresta di Finnbharr. Ho sempre pensato
fossero solo parole, ma ieri ho dovuto ricredermi. -
Schioccò le dita e si accesero una decina di fiammelle blu
sopra di loro, illuminando la pergamena sullo scrittoio, quella che
aveva disegnato Melwen quel pomeriggio.
- Sai cosa è questa? -
Zefiro si affrettò a quietare i brividi strofinandosi le
braccia. Scosse con veemenza la testa per scacciare
l’inquietudine che quella visione gli procurava.
- Hai freddo? Vuoi che ti vada a prendere una coperta? - gli
domandò Eogann.
- No, no, sto bene. Per favore, andat… vai avanti. -
- Questa che ha disegnato Melwen è la cartina del regno
delle fate, la vera mappa.
Certo, è un po’ approssimativa, ma secondo Ygerna
è più che affidabile. -
- Ygerna parla? -
- Diciamo che si fa capire. - Eogann offrì alla farfalla il
palmo e la adagiò sullo scrittoio, sotto l’ombra
allungata di un calamaio, - Comunque, non l’ho mai sentita
così felice come quando ha visto questa mappa. -
- Non hai detto che è originaria di lì? -
- Sì, ma è risaputo che qualsiasi creatura che
abbandona il regno delle fate dimentica dov’è. Gli
studiosi ritengono che ci sia una specie di magia protettiva sul
confine. Purtroppo, possiamo solo ipotizzare che sia vero, anche
perché sennò non mi spiego come una farfalla
cristallo possa aver dimenticato una cosa così importante. -
Zefiro appuntò la sua attenzione sulle ali blu di Ygerna,
prima di tornare a guardare Eogann: - Melwen ha ricopiato la mappa da
un libro di fiabe. Potrebbe essere solo una fantasia e basta. -
- No, non lo è. - li interruppe Melwen, sbucando
all'improvviso accanto a Zefiro.
Si sistemò allo scrittoio e soffiò sulla tazza
fumante. Aveva tutti i riccioli scompigliati, gli occhi arrossati
leggermente lucidi e il libro della fiaba di Oberon e Titania
sottobraccio.
- Scusate, non volevo origliare. Mi sono svegliata, sono andata in sala
per bere la tisana e ho visto la luce, così... -
- Dovresti essere a dormire, tu. Hai bisogno di riposo. - la
rimproverò Zefiro.
- Anche tu, sai? -
- Avete tutti e due bisogno di dormire, ma se Altor non vi concede il
sonno, c’è ben poco da fare. - Eogann
batté una pacca sulla spalla a entrambi e tornò
ad appoggiarsi allo schienale, - E poi, considerando che è
proprio del suo disegno che stavamo parlando, è
più che benvenuta. -
Nell’appoggiare la bocca alla tazza, Melwen
increspò le labbra in un sorrisetto vittorioso. Anche se la
tentazione di prenderla di forza e riportarla a letto era tanta, Zefiro
si obbligò a rimanere seduto, con braccia incrociate sul
petto e le mani infilate sotto le ascelle. Le tirò fuori
solo quando Eogann gli porse la tazza di latte e miele, di nuovo calda.
- Ho copiato la mappa da questo libro. - disse Melwen porgendogli il
libro e nascose i piedi sotto la gonna della camicia da notte, - Lo ha
trovato Zefiro nella biblioteca della vecchia Alabastria. -
Eogann annuì, sfogliandolo: - Questi disegni sono davvero
belli. Sono delle vere e proprie opere d’arte. -
- La mappa si trova quasi a metà ed è stata
disegnata su due pagine. Ci ho messo un po’ a farla apparire,
ma alla fine ho trovato la giusta combinazione per decriptare
l’incantesimo protettivo. -
Si riappropriò delicatamente il libro dalle mani di Eogann e
scorse in fretta le pagine. Le bastava avvicinare le dita
perché queste girassero.
- Se fosse stata solo una fantasia, l’autore non avrebbe
avuto motivo di nasconderla. -
- Però lo sai cosa dicono le leggende: Faerie permette a
pochi di entrare e a pochissimi di uscire. -
Le dita di Zefiro si strinsero di più attorno alla tazza, ma
il calore non era neppure sufficiente a scacciare
l’intirizzimento alle dita. Così si
limitò ad avvicinare le gambe e a raggomitolarsi come
poteva, stringendo i gomiti ai fianchi e piegandosi in avanti, sullo
stomaco dolorosamente contratto.
- Faerie? - domandò Melwen.
- È il nome del regno delle fate. A nessun Sidhe piacerebbe
essere chiamato Fae. È come se io decidessi di chiamare un
uomo "coccodè". -
Il modo in cui fece il verso della gallina strappò un
sorriso a tutti e due i bambini.
- Comunque, questo racconta la leggenda. Entrare a Faerie è
difficile, uscirne è quasi impossibile, almeno per i
non-Sidhe. È il motivo per cui non ho creduto al mercante
quando mi ha riferito di essere stato lui stesso a catturare Ygerna. -
Melwen si mordicchiò il labbro inferiore, arrotolando e
srotolando un ricciolo sulla punta dell’indice: - Allora
rimangono solo due scelte. O l’autore era un Fa…
Sidhe, oppure era una persona così forte da riuscire ad
andarsene e a mantenere la memoria. -
- Oppure, era entrambe le cose. -
Eogann si alzò e andò a prendere un grosso libro
dalla libreria dietro lo scrittoio. Si inumidì le dita,
scorse le pagine e tornò dai bambini, seguito dalle
fiammelle che, subito, si ammassarono sopra la sua testa in
un’ordinata mezzaluna.
- “Al principio era Yggrasil, quando
ancora nulla esisteva. Non c'era né cielo bordato di nuvole,
né foresta, né gelide onde, né vento
caldo. Poi Egli uscì dalle pieghe del tempo e
modellò il Suo pensiero, cominciando a dare forma al mondo.
Sotto il suo tocco si formò la terra e, dove diresse gli
occhi, splendette il Sole, compagno della Luna, coprendo quelle lande
desolate di prati e germogli profumati. Infine, tese la mano e sotto il
suo palmo la terra si aprì, lasciando sgorgare l'acqua di
mari, oceani e fiumi. Con la forza degli elementi da Lui creati,
generò gli altri undici dei, Suoi amati Figli.” -
Continuò a leggere a bassa voce, muovendo le labbra senza
emettere alcun suono. Si fermò su una riga, ma gli occhi
continuarono proseguirono ancora un pezzo prima che la voce desse corpo
alle parole.
- “I Drokar sarebbero dovuti essere la
Stirpe perfetta, inferiore solo a quella di Yggrasil. Invece erano al
pari di tutte le altre, senza luce e senza gloria. Endemion, logorato
dalla gelosia, rifiutò di considerarla un fallimento e
giurò vendetta contro i propri Fratelli e Yggrasil
stesso”. -
- Yggrasil sapeva che Aesir sarebbe tornato. È per questo
che ha lasciato tre frammenti della sua anima nel Mondo Nato dal Nulla,
perché noi potessimo difenderci. Ma no, non fece
solo questo. No, chiese ai suoi figli di scegliere un eletto che
potesse operare il volere degli dei e potesse impugnare anche la
Forbice del Cielo. - Melwen aveva gli occhi spalancati e articolava
parole senza voce, battendo il piede come per scandire lo scorrere dei
suoi pensieri, - Ora tutto comincia ad avere un senso. -
Zefiro corrugò le sopracciglia e scosse la testa: - Che cosa
ha un senso? -
- Chi ha realizzato la mappa era un
Guardiano. È il suo lascito, capisci? -
- Perché dovrebbe interessarci? -
- Perché sono i Sidhe i custodi della Forbice del Cielo. -
spiegò Eogann.
Una pipa si alzò dallo scaffale più alto della
libreria e volò tra le sue mani. Schioccò le dita
e, sulla punta del suo pollice, si accese una piccola fiamma, con cui
l'accese. Al primo tiro, nell’aria si diffuse un odore
dolciastro.
- Nel Mablung Ringëril è chiamata
"Amernwyn", nella Seferìa "Forbice del Cielo". Qualunque sia
il suo nome, è la spada che Yggrasil usò per
sconfiggere Endemion, o Aesir. - aspirò, gonfiò
appena le guance e soffiò fuori una voluta di fumo, -
Ragioniamo per assurdo. Se colui o colei che ha disegnato questa mappa
fosse stato un Guardiano, avrebbe avuto non solo le capacità
per andare e uscire da Faerie, ma anche motivo sia per disegnare una
mappa sia per nasconderla. Considerato il grado dei dettagli, non
è da escludere che fosse un Sidhe a sua volta. -
Zefiro prese la pergamena e la strinse così forte da
accartocciarne i lati e creparne gli angoli.
- Tutto quello che state dicendo non ha il benché minimo
senso. Parlate di dei, Guardiani, spade magiche e mappe segrete come se
tutto questo fosse… fosse reale! -
- È molto meno assurdo di quello che potres… -
- No, è assurdo e basta. Sono leggende, Melwen. Come puoi
crederci? -
- Perché, paradossalmente, sembrano le uniche in grado di
darci delle risposte. - lo sedò Eogann, per
poi massaggiarsi la radice del naso e distendere le gambe
sopra una coccinella grossa quanto un gatto, - Dalla caduta di
Llanowar, il mondo è cambiato, e il tempo anche non
è più lo stesso. Ho sentito che la primavera, al
sud, è arrivata prima del previsto e che a ovest spirano dei
venti così forti da impedire la normale navigazione.
È come se qualcosa, nel cuore del mondo, si fosse rotto. -
- E quando l'equilibrio viene compromesso, compare il Guardiano. -
completò Melwen.
Il mago annuì, mordicchiando il dente del bocchino: - Devo
recuperare i miei appunti sul frammento che mi ha portato tuo padre.
Forse da quelli potrò… -
- Io vado a dormire. -
Zefiro si alzò e si pulì dalla polvere luccicante
che gli si era appiccicata alle dita.
- Zefiro, ma che ti prende? -
Melwen lo afferrò per il braccio. I suoi occhi avevano
assunto una sfumatura rossastra e il sudore le aveva macchiato la
camicia sotto le ascelle e sul collo.
- Mi prende che mi è venuto sonno e voglio andare a dormire.
Anche tu dovresti, hai bisogno di riposare. -
- Ma finalmente possiamo avere delle risposte! -
- Parla per te. A me non interessa. -
Tentò di liberarsi, ma Melwen non si arrese: - Non
è vero. È solo una bugia perché sei
uno stupido fifone! -
- Non sono un fifone! -
Zefiro si districò e la spinse a terra. Ignorando lo sguardo
disorientato dell'amica e i rimproveri di Eogann, marciò
fuori dalla stanza senza voltarsi indietro.
Un'ora dopo, tenne gli occhi fermamente chiusi quando udì
Melwen rientrare. La sentì infilarsi sotto le coperte,
girarsi e rigirarsi per un po’, finché il respiro
non si allineò sulla sequenza del sonno. Non si
svegliò mai e Zefiro non si azzardò ad
abbracciarla. Aveva paura che, se avesse percepito il suo calore,
l’avrebbe spinto via.
Distese le gambe e si fissò le mani. La luce della luna le
illuminava di un chiarore spettrale, esaltando il profilo delle ossa e
delle vene scure. Aveva spaccato lo spallaccio dell’elfo che
aveva aggredito Melwen con quelle mani. Lo aveva stretto e il cuoio si
era piegato come una foglia essiccata dal freddo. Aveva trovato
piacevole il sapore del sangue, la sensazione di potere che aveva
portato con sé, e più ci pensava, più
si rendeva conto che avrebbe voluto assaporarla di nuovo.
Ritirò un braccio sotto le coperte e allungò
l’altro sotto il cuscino, lasciando la mano a penzoloni fuori
dal letto. Nel buio sbocciarono grosse macchie di colore,
così grandi e vivide da sembrare fiori
nell’oscurità della stanza. Giravano su se stessi
come trottole. Più Zefiro assottigliava gli occhi,
più diventavano definiti, così come i visi
nascosti dal loro vorticare.
Intravide l’espressione distesa di suo padre davanti al
camino di casa. Le ombre delle fiamme si proiettavano sul tappeto,
sfiorando i piedi nudi e induriti dai calli.
Scorse Alan camminare per le strade di Amount-vinya. Lo seguivano le
guardie e alcuni bambini, tutti sorridenti sotto i riverberi del sole
sull’acciottolato.
Baldur intagliava la sua spada di legno seduto su uno sgabello in
giardino. I trucioli si erano depositati ai suoi piedi come petali dopo
la pioggia.
Nordri fissava il suo operato e lo intratteneva, riempiendogli il
boccale prima che il vino finisse.
Morti. Erano tutti morti.
Zefiro strinse il lenzuolo e abbassò le palpebre. I fiori
ricomparvero comunque, si aprirono e ripresero a vorticare fino
fondersi in un uniforme velo rosso.
Rivide sua madre con Nyi, nello spazio erboso dove si erano accampati
mentre fuggivano. Udì la voce di Nyi come se fosse
lì con lui in quel momento.
- Non è umano, è inutile chiudere gli
occhi davanti all'evidenza. -
- Non vuoi nemmeno ascoltare la mia teoria? -
- Tuo figlio presto pretenderà delle risposte.
-
Buttò all’aria le coperte, corse in bagno e
sbatté la porta. Gli tremavano le mani mentre si scostava la
stoffa da una spalla. La voglia era lì, tra scapola e collo,
una macchia oblunga e nera come un livido.
- Cos’è quella? -
Zefiro afferrò la tunica e la frappose tra lui e lo sguardo
interrogativo di Myria: - Niente. Che ci fai qui? -
Sua madre compì un passo all’interno del bagno e
si chiuse piano la porta alle spalle, come se avesse a che fare con un
animale impaurito. Zefiro non si mosse. Si strinse la tunica al petto e
seguì con gli occhi sua madre mentre prendeva posto sulla
sedia di fianco alla vasca.
- Sai che puoi dirmi tutto. Sono tua madre, non
c’è niente che… -
- Tu non sei mia madre. -
Myria gelò.
- Non dire così, Zefiro. Io e Tanet ti abbiamo sempre amato.
-
- Quindi è vero. È… è come
diceva Nyi. Dimmi cosa sono. -
Le lacrime gli appesantirono le ciglia. Scansò la mano di
sua madre, protesa per elargirgli una carezza sul viso, e si
spostò di lato, fuori dalla sua portata.
- Sei mio figlio. -
- Basta bugie! -
- Non ti sto mentendo. -
- Smettila! Quello che ho fatto non è normale, lo sai anche
tu! -
Myria non rispose. La bocca si mosse, ma senza articolare alcuna
parola. Il suo respiro spezzato pervadeva il silenzio.
Zefiro lasciò cadere la tunica e avanzò verso di
lei: - Voglio sapere la verità. Me lo devi. -
- Non costringermi, ti prego… -
- Voglio sapere. -
Impresse in quel “voglio” tutta la sua
disperazione.
Sua madre intrecciò le dita in grembo e abbassò
il capo. I capelli scesero a incorniciarle la fronte e le guance.
- Ti ha portato tuo padre a casa. Mi ha detto di averti trovato
abbandonato in un vicolo di Amount-vinya. -
Zefiro deglutì. Le vertigini lo colsero e le ginocchia si
piegarono sotto il peso del suo corpo. L’impatto della
schiena contro la parete si ripercosse nella gabbia toracica e nella
spina dorsale, togliendogli il fiato.
- Non so chi fossero i tuoi veri genitori, né il motivo per
cui ti hanno abbandonato. Quando Tanet ti ha portato a casa, ero
soltanto felice del dono che gli dei mi avevano fatto. -
- Zefiro… Zefiro è…? -
- Il tuo nome, lo abbiamo scelto noi. - Myria si alzò e,
prima che Zefiro potesse spostarsi, gli circondò la testa
con le braccia, premendosela contro il proprio petto, - Io e tuo padre
ci eravamo promessi che sarebbe rimasto un segreto finché
non saresti stato abbastanza grande. E quando lui è morto,
tu eri ancora troppo piccolo. -
- Me ne avresti mai parlato? -
- Sì… sì, lo avrei fatto. -
Zefiro colse l’esitazione nella sua voce. Quelle parole gli
avevano cavato fuori tutto e, adesso, erano rimasti solo i muscoli e le
interiora gelate a trattenere il suo corpo vuoto. Piano, come in un
sogno a occhi aperti, spinse via la donna e uscì dal bagno.
Anche se era stata l’ultima a infilarsi a letto, Melwen fu la
prima ad alzarsi la mattina seguente.
Quando udì la porta chiudersi e i passi allontanarsi, Zefiro
si sedette sul materasso. Si trascinò in bagno, si
lavò e scese a far colazione. Non appena lo vide, Eogann gli
rivolse un caloroso sorriso, accompagnato da un
“buongiorno” che scalfì appena il suo
silenzio.
Myria e Melwen sedevano dall’altra parte del tavolo. Nessuna
delle due gli rivolse la parola. Soltanto sua madre, di tanto in tanto,
si azzardava ad alzare la testa per guardarlo. Zefiro
incassò le sue occhiate, le sostenne per un po' e le
lasciò cadere, abbassando lo sguardo prima che il bisogno di
andare ad abbracciarla prevalesse.
Si defilò non appena poté, senza rivolgere la
parola a nessuno.
Passò la mattina a gironzolare tra il giardino e
l’orto e, quando si stancò, andò a
rifugiarsi nella stalla. Reza lo accolse con una lunga occhiata
stizzita, ma non gli ringhiò di andarsene, né si
arrabbiò quando Zefiro si sedette vicino a lui.
Era un silenzio piacevole, quello che sussisteva lì dentro.
Il profumo di paglia e legno si accompagnava a quello dei cespi
d’erba lasciati a essiccare appesi alle pareti. Con la poca
luce che trapelava attraverso le varie fessure, tutto era avvolto dalla
semioscurità. Se soltanto non avesse avuto la mente
così affollata e rumorosa, Zefiro si sarebbe lasciato
volentieri vincere dalla stanchezza. Rimase lì
finché Eogann non si affacciò e lo
informò che era pronto in tavola.
Durante il pranzo, le conversazioni ebbero un andamento altalenante.
Nessuno si impegnò molto per evitare i silenzi. Zefiro
rimestò la sua zuppa di patate, ormai fredda, trincerato
dietro un muro di mutismo.
Quando gli adulti si alzarono e rimase solo Melwen, la bambina gli
scoccò un'occhiata incerta.
- Cosa è successo ieri con tua madre? Avete litigato? -
Zefiro si bloccò e alzò lo sguardo. Melwen lo
fissava dall’altra parte del tavolo con un contorno di
marmellata di fichi attorno alle labbra. Se non avesse avuto
un’espressione così seria, gli sarebbe venuto da
ridere.
- Credevo stessi dormendo. -
- Il tuo continuo sbattere le porte mi ha svegliata. -
addentò la fetta di pane e si pulì la bocca e la
punta del naso, - Allora? Hai intenzione di dirmi cosa ti è
preso ieri, oppure devo tirare a indovinare? -
Zefiro sollevò un pezzo di patata, lo portò
all’altezza degli occhi e lo lasciò ricadere nella
tazza.
- Puoi provarci, ma non credo ci riusciresti. -
- Per quanto ancora pensi di continuare a fare così? -
- Così come? -
- A comportarti da "cattivo", anche se ci sarebbe una parola molto
più volgare, e calzante, per descriverti. -
- Ma tu sei una brava bambina e non la dirai. -
- Sono seria. Voglio sapere cos’hai. -
Zefiro avrebbe voluto avere una bugia pronta da rifilarle, ma non gli
veniva in mente nulla. Le parole gli erano precipitate in gola e nello
stomaco si erano sciolte. Sobbalzò quando percepì
il calore di una mano sulla propria. Melwen si era seduta di fianco a
lui e sorrideva. Quel sorriso aveva il potere di calmarlo
più di qualsiasi tisana.
- Non sono arrabbiata con te. Cioè sì, lo sono,
ma non tanto da far finta di niente. -
- È complicato da spiegare. - sospirò arreso.
- Non c’è molto da fare qui. Ho tutto il tempo del
mondo. -
Zefiro allacciò le dita dietro la nuca e rimase in silenzio
a guardare la luce che ingrigiva il paesaggio.
- Andiamo fuori. Ho voglia di sgranchirmi le gambe. - propose, - Ce la
fai o sei troppo stanca? -
- No, ce la faccio. -
Il giardino di Eogann era ben curato, così come casa sua.
Avanzarono nell’erba bassa fino allo steccato e si sedettero
con le gambe a penzoloni. Il vento scivolava sulla superficie del lago,
increspando il riflesso della città e del tempio di Ovenar.
A guardarlo da lì, a Zefiro non sembrava così
maestoso come gli era parso qualche giorno prima.
- È davvero possibile che nessuno ci veda? -
- Con la magia si può quasi tutto. -
- Quasi? -
- Ci sono cose che soltanto un dio potrebbe fare. - disse Melwen, per
poi puntargli il dito contro il naso, - Non provare a distrarmi. La tua
tattica questa volta non funzionerà. -
- Non ci avevo pensato, a essere sincero. Mi stavo solo chiedendo se
eravamo davvero al sicuro come diceva Eogann. - sospirò di
nuovo e rilassò le spalle, - Il giorno dopo la caduta di
Alabastria mi è apparsa una macchia sulla spalla. -
rivelò sottovoce.
- Una macchia? -
- Sì. Il giorno prima non c’era e ora…
ora è lì. E ho paura e sono arrabbiato con mia
madre. - si passò entrambe le mani sul viso per scacciare le
lacrime, - Perché lei e papà sapevano che ero
strano, ma non mi hanno mai detto niente. Mi hanno tenuto nascosto che
non ero loro figlio e forse mamma nemmeno me lo avrebbe detto. -
Melwen si fece più vicina. Quando lo strinse a sé
in un abbraccio, Zefiro crollò. Le mura si sgretolarono e la
disperazione si riversò fuori in un singulto che lo scosse
fin nello stomaco.
- Sono un mostro... -
- No, non è vero. - protestò Melwen con veemenza,
- Non dirlo neanche per scherzo. -
- I miei veri genitori non mi hanno voluto. Mi... mi hanno abbandonato
in un vicolo, capisci? Non mi hanno nemmeno dato un nome. -
Più parlava, più sentiva la crepa dentro di
sé allargarsi. Ma, anche se avesse voluto, non aveva
più la forza di trattenersi.
- Non mi hanno voluto perché sono un mostro. Loro sapevano
quello che sarei diventato e hanno voluto sbarazzarsi di me. -
La sua voce si spezzò. I singhiozzi frammentarono le frasi,
riducendole a brandelli prima che potesse pronunciarle. Tuttavia, per
quanta rabbia potesse provare, non allontanò Melwen da
sé. Lei gli premette la testa contro la spalla e lo cinse
con tutte e due le braccia, finché i singhiozzi non
esaurirono.
- Sei la persona più dolce e gentile che conosca, Zefiro.
Non puoi essere un mostro. E anche lo fossi, io non ho paura di te,
perché so che non mi faresti mai del male. -
Zefiro tirò su col naso e si raddrizzò. Si
sentiva la testa svuotata e i pensieri, i pochi che erano rimasti, era
come se non avessero più peso e fossero diventati
d’improvviso inconsistenti.
- Come fai a esserne sicura? Ti ho detto che mi è piaciuto
il sang… -
- Ho sentito, e non penso proprio tu sia cattivo. Il mostro sotto il
letto di mia sorella lo era. Persino mia mamma, quando si arrabbiava,
faceva più paura, e tu hai visto quanto poco fosse
minacciosa. -
- Melwen, è una cosa seria. - la rimproverò, ma
le labbra si curvarono spontaneamente nel fantasma di un sorriso.
- Pure io lo sono. Magari non sei umano, ma questo non significa che tu
sia cattivo. Sei solo diverso, tutto qui. -
- Quindi non hai paura di me? -
- Come potrei? Sei il mio migliore amico. Mi hai anche salvato la vita,
proprio come un vero eroe. - disse e gli rivolse un sorriso a trentadue
denti.
Il vento si infilò tra le pieghe della gonna, aprendola come
la corolla di un fiore. Melwen scoppiò a ridere e
inclinò il collo per godersi la luce del sole che,
all’improvviso, si era fatta largo nelle nubi.
- Eogann potrebbe darti delle risposte su quello che sei. Credo che
dovresti ascoltarlo. -
- Pensi mi permetterà di andare nel suo studio? -
- Sì. Soprattutto Ygerna. Ecco, vedi? Se fossi cattivo, non
potresti piacere a una farfalla fatata. -
- A me fa strano anche solo pensare che esista una farfalla fatata.
O… o che esistano le fate, in generale. -
Melwen ridacchiò: - Mio padre diceva che il mondo
è strano e pieno di meraviglie da scoprire. Credo che, se
fosse ancora vivo, sarebbe stato felice di questa nostra scoperta. -
Rimasero a guardare il transitare di uomini e bestie sul sentiero
finché stare seduti sullo steccato non divenne troppo
scomodo. Allora, con le gambe formicolanti, balzarono a terra e
tornarono dentro casa.
Per cena mangiarono un bollito misto di spigola e code di rospo,
accompagnati da un brodetto aromatizzato con sedano, cipolle e
prezzemolo. Quand’ebbero finito, Myria si offrì di
andare a lavare i piatti, mentre Nyi raccomandò tutti di
prepararsi per la partenza del giorno dopo.
Eogann fu l’unico che rimase a tavola con i bambini. Zefiro
attese che finisse il suo bicchiere di vino, prima di seguirlo assieme
a Melwen nel suo studio al piano di sotto. Non appena mise
piede sull’erba, Ygerna si innalzò dalla corolla
di un tulipano e gli svolazzò attorno, spargendogli addosso
una nuvola di polvere luccicante.
- Allora… stai un po’ meglio rispetto a ieri? -
gli domandò Eogann.
- Perdonatemi, sono stato maleducato. - rispose con una smorfia
colpevole.
- Non preoccuparti. E smettila di darmi del "voi". Sedetevi, piuttosto.
In Accademia avrete tutto il tempo per stare in piedi e ingrassare
l’ego dei professori con le buone maniere. -
- Solo Melwen ci andrà. Io e mia madre… non lo so
cosa faremo. - disse Zefiro.
- Oh. -
Eogann prese la pipa e, come la sera precedente, l’accese con
uno schiocco di dita. Quando accavallò le gambe, le narici
si dilatarono appena nel spingere fuori il fumo.
- Bah, tipico di Nyi: prima i suoi allievi, sempre e comunque. -
Melwen strinse la copertina del libro e arcuò le spalle in
avanti. Di riflesso, Zefiro appoggiò la mano sulla sua. Poi
il bambino si rivolse al mago.
- Ho bisogno di parlarti. -
- Lo so. -
Zefiro si strofinò le mani sudate sui pantaloni e
focalizzò la sua attenzione su Ygerna, sul suo caotico volo
di fiore in fiore. Quando la farfalla si posò su una pianta
di malva, si sentì pronto a parlare.
- Ad Alabastria ho tentato di uccidere un elfo. - il solo ammetterlo ad
alta voce gli causò un brivido di ribrezzo, - Melwen era
svenuta e lui si stava avvicinando a lei e io… gli sono
saltato addosso. E quando l’ho morso e ho percepito il sapore
del suo sangue sulla lingua, mi sono scoperto a desiderarne ancora.
È stato brutto venire scaraventato contro una sedia, e non
solo perché ho ricominciato a sentire dolore. -
Girò le mani e rimase a guardarne i palmi. Il ricordo
tattile del sangue gli macchiò di nuovo le dita e per un
momento tornarono di nuovo appiccicose e sporche come quel
giorno.
- Poi è apparsa una macchia nera sulla mia spalla. Me ne
sono accorto la mattina dopo la caduta della città. -
- Fammi vedere. -
Zefiro abbassò il collo della tunica e alzò la
spalla. Eogann ispezionò la macchia, inclinando la testa in
modo da guardarla da più angolazioni.
- Ho letto qualcosa a riguardo. - spostò la pipa
all’angolo della bocca, sfilò un libro da uno
degli scaffali più alti e cominciò a sfogliarlo
in fretta, - Li chiamano Dhoìsidhe, o Eile. Sono i figli di
una fata e di un umano. -
Quelle parole lo colpirono come uno schiaffo. Zefiro fissò
stralunato il libro che Eogann teneva aperto sulle ginocchia,
focalizzando la sua attenzione sulla pagina che gli stava indicando.
Lì c'era un disegno in bianco e nero di una donna girata di
schiena. Sulla spalla aveva una macchia oblunga e scura.
- La carne umana è la preferita dei Sidhe. Anche se non si
avventurano mai al di fuori dei loro confini, si assicurano di attirare
le prede nei loro boschi per catturarle. Eppure, alcune leggende
raccontano di alcuni fatati che si sono innamorati di umani e hanno
deciso di abbandonare Faerie. Non si sa molto di queste coppie, se non
che il genitore Sidhe impone il Marchio alla propria progenie, prima di
abbandonarla. -
Zefiro prese il libro e sfiorò in punta di dita la macchia
scura sulla spalla della ragazza. Non riusciva a parlare. Le cose al
limitare del suo campo visivo erano sfocate, i suoni attutiti. Davanti
ai suoi occhi non c’era altro che quel disegno attorniato da
una nube di inchiostro disciolto.
- Perché abbandonano i propri figli? - chiese Melwen.
- Non lo sappiamo. Le leggende dicono che è
perché li disprezzano, altre perché desiderano
che vivano come umani finché non sentiranno il richiamo del
loro sangue Sidhe. Mi dispiace Zefiro… -
Il bambino scosse la testa. Si pizzicò forte il braccio, ma
lo studio non svanì né lui si svegliò
nel suo letto. Anche il dolore lo intorpidì appena.
- È assurdo. - esalò con un filo di voce.
- Molte di quanto sta succedendo è assurdo. - Eogann fece il
giro del tavolo, aprì un cassetto e porse un plico di fogli
a Melwen, - Questi sono i miei appunti sul cristallo che mi aveva
portato tuo padre. Credo sia giusto che li abbia tu. -
- Grazie per quello che hai fatto per noi. - disse Melwen,
prese le pergamene e le infilò dentro il libro delle fiabe.
- Avrei voluto fare di più, ma sono un mago
mediocre. - rispose Eogann con un lieve sorriso e svuotò la
pipa in un posacenere di terracotta scheggiato, - Ora andate a letto.
Se avrete problemi ad addormentarvi, vi lascio la teiera calda con un
infuso di camomilla sul tavolo. -
Zefiro si dovette appoggiare a Melwen per sollevarsi. Non si sentiva
più le ginocchia, le gambe, nulla. Dalla cintola in
giù i muscoli non erano altro che pietra.
Dormirono affiancati tutta la notte, mano nella mano. Poco dopo
colazione, si radunarono fuori assieme a Raiza, Myria ed Eogann. Nyi li
attendeva con le mani intrecciate dietro la schiena. Il sole,
così caldo e luminoso, gli dorava i capelli e i peli sul
dorso dei piedi. Diede loro le spalle e mosse le braccia descrivendo
degli ampi cerchi, mentre davanti a lui si apriva lo stesso specchio
fumoso che, giorni prima, li aveva teletrasportati fuori da Alabastria.
- Alla capitale sarete al sicuro. Non dimenticherete tutto, ma avrete
tempo per… dare un senso al vostro dolore. -
mormorò Eogann, inginocchiandosi dietro ai due
bambini, - Zefiro, ricorda che non è il nostro
sangue a decidere il nostro futuro. Le radici servono a dare
stabilità all’albero, ma sono i suoi rami a
permettergli di toccare il cielo. -
Quando mise una mano sulla spalla di Zefiro, Ygerna subito vi si
posò sopra.
- Andiamo, non ho intenzione di tenere aperto il portale per i vostri
stupidi addii. - borbottò Nyi.
Eogann li sospinse in avanti e Melwen trascinò Zefiro fino
al portale. Al di là non c’erano altro che ombre
immobili.
Il bambino esitò sulla soglia e si girò a
guardare sua madre, che li seguiva un paio di passi più
indietro. Aveva bisogno di tempo per capire se poteva perdonarla, ma in
quel momento si sforzò di abbozzare un sorriso per non farle
perdere la speranza.
Infine, racimolando il coraggio, trasse un profondo respiro e
seguì Melwen dentro il portale.