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Autore: BlueButterfly93    17/12/2018    2 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
-
Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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Capitolo 32

Da soli, insieme!







🎶 Avicii ft. Rita Ora - Lonely Together 🎶

Sei tu e il tuo mondo ed io sono finita nel mezzo,

Ho tolto la lama del coltello e mi fa male solo un po'.

Domani potrei odiare me stessa,
ma stasera sto venendo da te.
Nel fondo di una bottiglia
tu sei il veleno nel vino.

Cerchiamo di restare insieme, da soli..
Un po' meno soli insieme!

***


MIKI

Non avevo mai visto Castiel così disperato. Non lo avevo mai visto piangere. Guardarlo per la prima volta essere talmente distrutto da non importarsene di chi potesse vederlo, annientò anche me. 

Perché sebbene non volessi ammetterlo ero così tanto legata a lui da percepire le stesse sue emozioni. Perché lui aveva rubato il mio cuore senza permesso, lo aveva estirpato dal mio petto iniziando a giocarci a suo piacimento; lo aveva calpestato, riparato, distrutto e poi ricucito. E quando aveva deciso di restituirmelo non era più solo mio, no. Perché quel cuore era diventato di sua proprietà, era diventato la sua casa. Possesso vale titolo, così come nel diritto anche per Castiel valeva la stessa regola. 

Ed anche quel triste giorno avvertii gli identici suoi impulsi. 

Adelaide non ce l'aveva fatta. Il suo cuore non aveva retto e ci aveva lasciati durante l'operazione che avrebbe dovuto salvarla. Era troppo debole, così si erano giustificati i medici. 

La notizia ci era stata data dopo qualche ora d'intrepida attesa nel corridoio dell'ospedale. In quella clinica c'eravamo stati solo io e Castiel. Due ragazzi sin troppo giovani ed inesperti per essere capaci di sopportare quell'ennesima sconfitta che la vita ci aveva riservato, eravamo troppo fragili per tollerare anche quel peso. Due ragazzi abbandonati da tutto e tutti, che necessitavano di una spalla possente su cui piangere ma che in realtà potevano contare solo su loro stessi. 

La vita non dava sconti, non regalava sorrisi, non donava gioie a due come noi. Eravamo stati puniti da qualche entità superiore per chissà quale peccato commesso in un'altra vita; non sapevo neanche cosa pensare più, a quale religione credere. 

Quale Dio permetterebbe ad un ragazzo di soffrire così tanto? Castiel era rotto ed io con lui. 

Cosa aveva fatto di male Adelaide per morire ad una giovane età ed in quel modo così sleale?

Niente. Semplicemente niente. Non le era stata data neanche la possibilità di recuperare gli anni persi con il figlio. Voleva rimediare agli errori fatti a causa di un amore incosciente, ma non le era stato neanche concesso il tempo. Meritava di vivere, meritava di essere felice, meritava di guarire.

E Castiel? Cosa si sarebbe ricordato di sua madre a quel punto? L'ultima conversazione avuta con lei era stata un litigio. Gli sarebbe rimasto il rimorso, a vita, per non averle rivelato neanche una volta quanto bene in realtà le volesse, non le aveva mai dato un bacio, un abbraccio solo per il gusto di farlo. Avrebbe solamente avuto ubicati nella sua memoria le urla, il dolore, le bugie, l'abbandono. Perché? Perché doveva capitare proprio a lui? Non aveva già patito abbastanza da quella vita ingrata?

Ed io? Io, come avrei potuto salvarlo a quel punto? Non ci sarebbe più stata possibilità neanche qualora fossi riuscita a perdonarlo per avermi delusa qualche giorno prima, perché lui dalla perdita di sua madre in poi si sarebbe di nuovo fatto divorare dall'apatia e dal dolore. Proprio quando stava iniziando a guarire, proprio quando stava per salire a galla gli era dovuto capitare qualcosa di terribile capace di farlo affondare definitivamente. Non avrebbe più fatto entrare i colori nella sua vita. Avrebbe navigato nel grigio, nel nero delle acque del suo inferno. Avrebbe remato contro i sentimenti. 

Erano quelli i miei tormenti mentre assistevo inerme alle scene che non avrei mai più dimenticato per il resto dei miei giorni. La camera ardente era stata allestita nel salotto di casa Black, nello stesso salotto in cui io ed Adelaide avevamo complottato contro Debrah qualche mese prima. 

Com'era crudele la vita. Un attimo prima ti ritrovavi a ridere e a vivere con una persona, e l'attimo dopo quella stessa persona non c'era più. 

Adelaide si trovava in una bara di legno scuro, senza vita, con il suo abito più bello. Sembrava una principessa per quanto era perfetta anche da morta. Non ero ancora riuscita ad avvicinarmi, ero rimasta ad una distanza di sicurezza per evitare di crollare anche al di fuori. 

Perché dentro ero distrutta, ma fuori ero riuscita a tenere alta quella maschera che anni e anni di finzione avevano insegnato a proteggermi. Tuttavia quella volta non lo feci per me stessa, per tutelare il mio passato ed il mio cuore -quello non lo avevo già più-. Quella volta lo feci solo ed unicamente per Castiel, perché sebbene percepissi tutto il suo dolore, uno di noi due doveva per forza restare lucido. Perché sebbene lui non volesse essere afferrato da nessuno, io ci avrei provato ugualmente. Non lo avrei lasciato cadere. Dovevo essere forte per lui. Non riuscii ad abbandonarlo come mi ero promessa di fare dopo aver appreso la verità da Debrah. Ci tenevo troppo a lui per fregarmene, per lasciarlo da solo. 

Al costo di uccidermi, sarei affondata anch'io con lui. O tutti e due, o nessuno. 

Entrambi, da soli.. ma insieme!

Una musica assordante mi sconquassò dal sonno ed aprii gli occhi spaventata. 

Mi sollevai col busto e per qualche secondo fui colpita dalle vertigini; avevo il fiato corto, la pelle madida di sudore.

Era stato solo un sogno. Un fottuto incubo. 

Per esserne sicura tastai con mano il materasso del mio letto e mi guardai intorno spaesata. 

Non era reale. Adelaide non era morta, era viva e quel giorno avrebbe dovuto subire l'intervento per l'esportazione del tumore. E se quello appena fatto fosse stato un sogno premonitore?

Scossi la testa per evitare di fare quei pensieri terribili e mi alzai definitivamente dal letto ancora sconvolta. Dio, sembrava così veritiero il dolore percepito nel petto, l'empatia con Castiel, le scene terrificanti. Mi portai le mani tra i capelli e li tirai leggermente, avrei volentieri voluto urlare per la tensione avvertita a causa del sogno e della realtà. Adelaide avrebbe dovuto operarsi dopo qualche ora. 

La visione di quelle immagini riprodotte dalla mia mente nel sogno, mi toccarono talmente nel profondo da farmi compiere immediatamente un gesto che non mi sarei mai aspettata di riuscire ad eseguire.


A: Teresa

Se ti va potresti anche venire a farmi visita qui a Parigi per qualche giorno. 


Presi il cellulare dalla scrivania della mia stanza ed inviai quel testo.

Perché la vita era inaspettata, e ogni attimo andava vissuto come se fosse stato l'ultimo. Prima di mandare quel messaggio a mia madre ero giunta ad una conclusione. Ogni persona meritava una seconda possibilità, a lei non ne avevo mai concesse e forse era giunto il momento di farlo. Se non avesse sprecato anche quella, probabilmente avrebbe potuto far parte di nuovo della mia vita. In quella storia non aveva sbagliato solamente lei, ed era giusto dargliene atto. Finalmente lo avevo capito.

"Non farmene pentire. Ti prego, ti prego, ti prego!" la esortai senza che lei potesse rispondermi realmente. 

Non avrei voluto avere rimpianti, o rimorsi negli anni a seguire. Da quel giorno in poi avrei dato possibilità di spiegare le ragioni dei gesti sbagliati a chiunque, persino a zia Kate. Senza permettere a nessuno di soggiogarmi, quello era ovvio. Dopo aver ascoltato tutte le parti avrei tirato le mie conclusioni. 

Erano quelle le riflessioni che girovagavano nella testa mentre mi affrettavo a prepararmi per recarmi in ospedale da Adelaide. 

Nonostante la situazione complicata con suo figlio le avevo promesso che non l'avrei abbandonata, le starei stata vicina nel giorno più brutto per lei. 

Adelaide aveva bisogno di amore, sicurezza, forza ed io ero pronta a donarle tutta la positività di cui bisognava. 

Il giorno prima ero rientrata a scuola ma avevo comunicato ai professori che mi sarei dovuta assentare nuovamente il giorno seguente. Avevo parecchie lezioni arretrate e novità da apprendere, a quanto pareva. Quando raccontai a Rose tutte le vicende accadute con la testa di rapa rossa, lei non c'impiegò molto per convincere i professori a spostarmi di banco -nonostante quella di stare con Castiel doveva essere una punizione di un anno- e aveva scambiato me con Alexy. Quindi da quel giorno in poi sarei stata compagna di banco con Rose o meglio.. RosalHulk. Castiel ancora non era a conoscenza di quella novità, ma dovetti presumere che gliene sarebbe importato davvero poco. Tornando a Rose... Quella ragazza era una vera e proprio forza della natura, capace di far capitolare chiunque. Ciak, invece non avevo avuto modo di vederlo, si era assentato il giorno del mio ritorno. Erano trascorsi esattamente otto giorni dall'ultima volta in cui lo avevo visto. Dovevo parlare con lui urgentemente. 

Dopo un breve flusso di pensieri dedicati al liceo, tornai a riflettere su quella giornata stressante e decisiva che avrei affrontato a breve.

"Nessuna energia negativa, andrà tutto per il meglio", fu il mio mantra per tutto il tragitto percorso in taxi fino alla clinica oncologica. 

Quel sogno era stato un simbolo contrario. Avrei allungato la vita ad Adelaide, non l'opposto. Non sarebbe morta.

Lei sarebbe sopravvissuta, sarebbe guarita. Non poteva lasciarci. 

Tutti continuavano a dirmi che più avrei pensato negativo e più mi sarei attirata disgrazie, quindi se avessi meditato positivamente tutto sarebbe proseguito per il verso giusto; era questa la teoria corretta da seguire, vero?!

E sapevo che l'indomani mi sarei odiata per questo, ma quel giorno Castiel aveva bisogno di me ed io avevo deciso di esserci nonostante tutto... Nonostante fosse veleno capace di stordire o addirittura uccidere, nonostante non lo avessi ancora perdonato e probabilmente non lo avrei mai fatto, nonostante non glielo dimostrai a parole..

Io ci sarei stata per lui. Perché saremmo stati un po' meno soli, insieme!



 

CASTIEL

Ero stato sbattuto in quella realtà così brutalmente da non riuscire a rendermi conto della gravità della situazione. Non assimilai in tempo la novità, l'eventualità che avrei potuto perdere mia madre da un momento all'altro e da una parte forse era stato meglio così; non ero il tipo da ghermire positivamente le notizie.   

Ed eccomi lì in un corridoio vuoto e bianco d'ospedale davanti alla porta della sua stanza chiusa. I medici le stavano facendo le ultime visite prima dell'operazione, per controllare se fosse ben predisposta e forte abbastanza da sopportarla. 

Non avevo mai amato particolarmente quei luoghi, rievocavano ricordi del mio passato che avrei volentieri soppresso dalla mente ma che puntualmente tornavano ogni qualvolta percepivo l'odore di disinfettante impregnare l'aria. Ma quella volta, a differenza delle altre non potevo permettermi di darmela a gambe levate, dovevo restare. Dovevo farlo per mia madre. 

Affrontare quel luogo, quella situazione in solitudine risultò ancora più difficile. Ero io ad aver allontanato tutti, lo sapevo bene, ero io a comportarmi perennemente da lupo solitario, sapevo anche quello, ma nessuno aveva insistito. Nessuno era stato testardo più del sottoscritto nell'incaponirsi a starmi accanto. Evidentemente era quello che meritavo. Lysandre avrebbe condiviso volentieri il dolore con me, ma proprio quel giorno aveva dovuto accompagnare i suoi genitori in un posto di cui non ricordavo il nome. Mentre Debrah era l'ultima persona che avrei voluto vedere. E poi.. chi altro mi restava?

Miki. 

Già, MikiIl mio più grande punto interrogativo, il mio più grande rimorso. 

Avrei sfidato chiunque a non desistere dopo tutte le volte in cui le avevo provocato del male. Eppure lei c'era stata sempre per me, a prescindere dalle ferite inferte. Perché lei era una forza della natura. Ma forse quella bugia era stata la goccia finale ad averla rotta come l'acqua con il trabocco del vaso. Ero stato avventato ed incosciente a fotocopiare il suo diario segreto, e da quel momento ne avrei pagato le conseguenze. Miki non ci sarebbe più stata per me. Mi aveva detto addio da solo un giorno e già mi sentivo perso senza di lei. Perché non importava cosa fossimo, a me fregava solo di averla accanto, di guardarla sorridere in quei pochi momenti di serenità che la vita le concedeva, di fissare i suoi occhi ma in realtà di finire con lo specchiarmi nella sua anima, dentro le sue iridi. 

E forse era vero il detto: "solo quando perdi una persona, capisci quanto questa è importante per te". Non sapevo ancora cosa rappresentasse per me, quanto in realtà fosse importante per la mia quotidianità, forse il tempo mi avrebbe ravvisato. 

Fatto stava che in un giorno come quello l'unica persona che avrei desiderato al mio fianco era solo e soltanto lei. Senza se e senza ma. Dovevo ammetterlo, senza alcun timore o pippa mentale.

«Adesso può entrare», mi ridestò dai pensieri un dottore che -vista la targhetta sul petto- pareva si chiamasse Jean Richard. 

Non gli risposi, semplicemente lo sorpassai per entrare nella stanza dove avrei dovuto salutare mia madre per l'ultima volta prima dell'intervento. Non avevo dimenticato la tendenza innata di Adelaide di mentirmi, ma quello non era il caso di proseguire con i litigi. La sua salute, la sua vita erano le priorità al momento. 

«Ehi» mi salutò con un sorriso stanco appena mi vide spuntare dalla porta e mi fece segno di avvicinarmi a lei. 

Mi accostai di lato al suo letto e restai immobile. Ero incapace e totalmente impacciato nel ricercare le parole adatte da dire, non sapevo in che modo infonderle forza. Il dialogo era la cosa che avevo sempre odiato nei rapporti sociali. 

«Non ti preoccupare, andrà tutto bene» finì lei per pronunciare la frase che sarebbe toccata a me affermare. Mi conosceva alla perfezione, sapeva che frana fossi in quelle situazioni. 

Il suo sorriso, a differenza dei giorni precedenti, era tornato ad essere nuovamente sereno. Aveva me al suo fianco e quello le bastava per trasmetterle coraggio. Apparì essere senza paura, senza timore della morte. Ciò che l'aveva distrutta in quelle settimane di attesa era il costante chiodo fisso della mia eventuale reazione una volta conosciuta la verità, solo quello. Non la malattia, non le alte possibilità di non superare l'operazione, non il perdere la vita. Temeva che non le sarei stato vicino, e si era sbagliata. Sapevo di essere imprevedibile, ma non mi era neanche una volta sfiorato il pensiero di abbandonarla al suo destino. 

«Nonostante ciò, sappi che... qualunque cosa accada, io ti ho voluto bene veramente e te ne vorrò sempre», gli occhi le divennero lucidi. Una fitta di non sapevo cosa mi colpì allo stomaco. Era ansia, preoccupazione?

«Non dire così, tu ce la farai!» parlai per la prima volta da quando avevo messo piede in quella stanza.

«Fammi finire», mi zittì. «Ho fatto tanti errori nei miei trenta e passa anni di vita..» mi fece sorridere, non amava dire la sua età reale ad alta voce. «E cancellerei ogni cosa se potessi; cancellerei ogni errore che mi ha trascinata a vivere lontana da te. Sei la cosa migliore che potessi fare, ti amo così tanto», mi accarezzò il braccio con dolcezza facendomi rabbrividire, mentre una lacrima le solcò il volto dalla commozione delle parole appena sussurrate.  

Erano anni che non avvertivo un legame così forte con mia madre. 

«E guarda che lo so.. Lo so che sotto quella corazza di arroganza e menefreghismo che hai creato, nascondi ancora un cuore d'oro. Lo hai solo riservato finora per la persona giusta..» le tremò la voce «Ma adesso che è arrivata non credi sia giunto il momento di donarle un po' di-» aveva preso a farneticare di nuovo con le sue fissazioni amorose.

«Non mi sembra il caso di parlarne ora» la bloccai prima di permetterle di dire la fandonia più grande del secolo, risultai a metà tra lo scocciato e l'impacciato, non ne sapevo neanche il motivo. 

«Sì invece.. Castiel, promettimi che sarai felice, che qualsiasi cosa accada tu non l'allontanerai.» 

«Mamma, smettila» avremmo dovuto parlare di me e lei, non di terze persone. 

«Lei è la tua seconda possibilità di riscatto per una vita che ha sempre e solo preteso da te senza darti nulla in cambio. Lei è quella giusta, le mamme capiscono certe cose..» doveva smetterla di guardare film romantici, l'avevano resa troppo melodrammatica.

«Dopo l'operazione ricordami di sequestrarti il telecomando e la tv» replicai facendo riferimento ai troppi film d'amore che guardava. 

«Sei sempre il solito, non mi prendi mai sul serio» sbuffò alzando gli occhi al cielo. «Dammi ascolto per una volta, prima che sia troppo tardi..» insisté con l'intenzione di tornare al precedente argomento. 

«In realtà è già troppo tardi!» affermai quasi con l'amaro in bocca. Quasi.

«Oh no, io credo proprio di no», ammiccò con un sorriso che la sapeva lunga e spostò lo sguardo verso la porta.

Cos'aveva di così interessante da guardare?

Mi voltai nella direzione del suo sguardo e mi fossilizzai sul posto davanti a quella visione. Istintivamente sgranai gli occhi dalla sorpresa.

Lei... Lei era lì.

Non la vedevo da due giorni e appena l'avvistai dovetti ammettere quanto fosse bella. Ma proprio bella, da mozzare il fiato ed infatti persi il respiro solo nell'ammirarla. L'espressione del volto tesa, evidentemente ancora troppo incazzata per perdonarmi. Indossava dei semplici jeans strappati sulle ginocchia, un parka beige pesante e stretto in vita che marcava le sue linee perfette. Da qualche tempo aveva smesso d'indossare i vestiti che la scoprivano più del dovuto e dovetti ammettere che con quei capi maggiormente coprenti avevo ancor più il desiderio di spogliarla e renderla mia una volta per tutte.

"Castiel contieniti. Ricorda che ti ha mentito, ricorda che tu le hai mentito. Ti ha detto addio e tu anche", la vocina che da qualche tempo sentivo nella testa cercò di portarmi sulla dritta via.

Due giorni prima ero stato nella sua stanza, nel suo letto, avevo contemplato ogni angolo della sua pelle esposta, avevo baciato la sua cicatrice per poi abbandonarla dopo la pugnalata alle spalle riservatami. Un giorno prima la sua voce sconcertata mi aveva detto addio per sempre tramite un apparecchio telefonico dopo la mia di pugnalata alle spalle. Avevo fotocopiato il suo diario segreto, Dio quanto ero stato imbecille. 

«Miki, vieni. Entra pure» ci pensò mia madre a levarmi da quella situazione di silenzio imbarazzante. 

«Mi fa piacere che tu sia venuta», continuò la voce di mia madre a riempire quella stanza muta. 

Miki si sistemò dal lato opposto al mio, a dividerci solo il letto con mia madre al centro. «Ti ho avvertita che mi avresti avuta perennemente tra i piedi», fece la linguaccia e l'occhiolino. L'avrei volentieri morsa. Non aveva osato alzare neanche una volta lo sguardo su di me, interagì esclusivamente con mia madre, come se io non esistessi. Fu tremendamente snervante. 

Adelaide sorrise e le afferrò la mano stringendogliela. «Invece apprezziamo molto la tua presenza, vero Castiel?» m'interpellò voltandosi verso il sottoscritto. Sapevo a che gioco stesse giocando. Aveva intuito la nostra tensione, capito che come al solito avevamo discusso e stava facendo in modo di farci interagire. Maledetta lei e la sua fissa continua per le love story dei miei coglioni. 

Mi limitai a risponderle acconsentendo con un cenno della testa senza guardare nessuno negli occhi. Quando però puntai lo sguardo su Miki, lei manifestò totale indifferenza. Non mi stava calcolando proprio. Stava divenendo una seccatura quella condizione.

«Mi dispiace Signori, ma la paziente dev'essere trasportata nella sala operatoria. Vi invitiamo a recarvi nella sala d'attesa» il dottore di cui già avevo dimenticato il nome c'intimò ad uscire dalla stanza. Mi aveva lasciato solo quindici minuti di tempo da trascorrere con lei, maledetto!

Ma prima di allontanarmi definitivamente da quel letto, senza curarmi della presenza di Miki e di altri infermieri, mi chinai sul volto di mia madre e sfiorai la sua fronte con le labbra. Socchiusi per un istante gli occhi e finalmente riuscii a dimostrarle qualcosa:  «Ti voglio bene, mamma», le sussurrai con una dolcezza che non mi era mai appartenuta mentre il cuore prese a battermi velocemente. 

Fui all'altezza di mantenere i pensieri negativi fuori dal mio corpo e dalla mia mente fino a poco prima, ma in quel momento iniziò a sfiorarmi l'evenienza che mia madre avrebbe potuto non farcela a superare l'operazione. La fissai attentamente prima di uscire da quella stanza, come per voler imprimere ogni tratto di lei, per non dimenticarla più. Per ricordarla in ogni caso.

Da anni a causa degli avvenimenti accaduti nel corso della mia vita, avevo smesso di essere ottimista, per cui ogni problema pareva insormontabile, impossibile da superare. La stessa cosa avvenne con la malattia di mia madre, potevo fare il menefreghista e il tranquillo quanto volevo al di fuori, ma dentro di me stavo tremando dal pensiero di non rivederla mai più, dalla fissa che tutto sarebbe andato a rotoli per l'ennesima volta.

Mia madre salutò anche Miki, promettendole che si sarebbero riviste a breve, dopodiché fummo gentilmente allontanati da lei. 

Era giunto il momento. Non ero pronto a lasciarla, ad accettare qualsiasi cosa sarebbe accaduta, e tanto per iniziare non avevo neanche ancora metabolizzato la notizia che mia madre avesse un tumore, una malattia così rischiosa e grave. Cosa le era girato nel cervello quando aveva ritenuto opportuno avvertirmi solo due giorni prima dell'operazione? Maledetta lei e Miki, sua complice. Maledette entrambe!

Un tocco di mano sulla spalla mi distolse dai pensieri. Quando mi accorsi che si trattasse del dottore, mi scostai bruscamente. Nessuno doveva permettersi la confidenza di toccarmi senza neanche conoscermi. Ma chi si credeva di essere? Lo guardai torvo e gli diedi le spalle.

Una volta uscito fuori da quella camera spoglia e deprimente, Miki s'incamminò -senza attendermi- davanti a me. Istintivamente gli occhi caddero sul suo didietro pieno, fu un modo per spostare l'attenzione su qualcosa di decisamente più piacevole. Quella ragazza aveva ogni forma al punto giusto, il suo corpo mi faceva letteralmente impazzire ma questo lei non avrebbe mai dovuto saperlo. Al contrario, sin dai primi giorni di conoscenza per sviarla da quanto la considerassi attizzante, le avevo continuato a dire di non aver niente d'offrire perché troppo piatta davanti. Ovviamente non era vero. 

«Sono venuta solo per tua mamma, che sia chiaro!» si voltò -mentre ancora camminava- con uno sguardo crudele che avrebbe benissimo potuto uccidere. 

«In realtà non sei mai venuta in vita tua», cercai di giocarmela sui doppi sensi. Era un modo per smaltire l'ansia accumulata nel corpo, un modo per evadere, per non pensare che mia madre sarebbe potuta morire da un momento all'altro. Il cuore avrebbe potuto non reggerle, o il tumore sarebbe potuto essere troppo grande per essere esportato. 

"Basta Castiel! Sii positivo per una volta nella vita".

«Ti sembra il momento giusto per fare questo genere di battute squallide?» si fermò giunta nella famosa sala d'attesa con le mani sui fianchi, in posizione di rimprovero. 

La lasciai perdere a quel punto. Non replicai, anzi la sorpassai urtandole una spalla di proposito e mi sedetti su una delle sedie blu libere. Neanche lei riusciva a capirmi fino in fondo. Avevo urgenza di staccare la spina, di non concentrare i miei pensieri sul luogo e sul motivo della mia presenza in quella clinica. Nessuno riusciva a capire i miei bisogni, neanche lei.. Dannata ragazzina!

«Vuoi smetterla? Mi irriti», me ne uscii dopo quindici minuti di silenzio stressante. Si era accomodata a tre posti di distanza dal mio, nella stessa fila, e per tutto il tempo aveva mosso le gambe energicamente su e giù sul pavimento, tipico gesto di chi era particolarmente nervoso. Anch'io lo facevo a volte, ma quel suo tremolio muoveva automaticamente anche me visto che le sedie erano collegate l'una con l'altra e doveva smettere. Subito.

«Se ti dò così fastidio puoi benissimo spostarti!»

«Io mi sono seduto qui per primo, ti levi tu casomai..»

«No»

«Sì»

«No»

«Sì»

«No»

«Ahh.. Che ragazzina irritante!» quasi urlai per la sua testardaggine, ma non mi alzai. Ovviamente non l'avrebbe avuta vinta da parte mia.

«Parlò l'uomo maturo ladro di diari segreti e pettegolo..» mi pareva strano non avesse ancora fatto riferimento a quell'argomento. 

«Senti.. per quanto riguarda quel discorso, io..» sospirai «non so neanche perché io l'abbia fatto. Forse per sentirmi normale davanti ad un passato peggiore dal mio, forse per cur-»

«E... Bla-bla-bla» mi fermò «non mi frega più niente. Te l'ho detto Castiel, è finita. Non ti perdonerò, prima di tutto questo mi fidavo di te», me lo disse voltandosi dal mio lato e guardandomi negli occhi quasi con rassegnazione. 

Il suo sguardo scuro velato di tristezza, amarezza, delusione mi fece percepire strane sensazioni nello stomaco, quasi come se qualcuno mi avesse sferrato una serie di pugni. Ma fu quell'ultima parola che pronunciò a risvegliare il mio orgoglio smisurato..

«Parli proprio tu di fiducia?!» la beffeggiai «Proprio tu che non ci hai pensato due volte prima di nascondermi della malattia di mia madre. Mi hai baciato per giorni, hai riso con me mentre sapevi che c'era qualcuno ad aver bisogno del mio aiuto. Dio... Io-io avevo il diritto di saperlo subito, cazzo!» mi alzai da quelle sedie scomode e presi a camminare avanti e indietro. 

Avevo cercato di controllarmi per tutto il tempo, di non sbottare, di non pensare negativamente ma alla fine la mia vera natura era fuoriuscita anche in quel caso. 

«Non mischiare i due discorsi, Castiel. Non ti azzardare proprio» anche lei apparve disperata. 

E sapevo non fossero discorsi da affrontare in una clinica oncologica, sapevo di dover affrontare una cosa per volta, ma a causa del forte nervosismo e stress non riuscivo quasi mai a collegare il filtro testa-bocca. Fu complice il fatto che in quella piccola sala d'attesa eravamo presenti solo io e lei; si udivano in lontananza solo qualche suono di macchinari vari, porte che si chiudevano o aprivano e un brusio indistinto di voci.

«Io ne parlo invece. Siamo qui e saremo qui ancora per chissà quante ore, quindi tanto vale sfruttarle per chiarire» abbassai i toni tornando ad accomodarmi sulla sedia blu, quella volta accanto a lei. Essendo più ragionevole probabilmente avremmo risolto prima del previsto.

«Forse non sono stata abbastanza chiara..» ma a quanto parve con la sua testardaggine sarebbe stato complicato ugualmente. Si alzò di scatto dopo aver percepito la mia vicinanza, quasi come se fosse rimasta scottata. Fu il suo turno di guardarmi dall'alto. 

Da incazzata era ancora più sexy la ragazzina, dovetti ammetterlo nonostante la delusione nei suoi confronti, o forse.. volevo giocare il ruolo di quello deluso, ma infondo non lo ero poi così tanto. Forse e direi forse.. avevo compreso le ragioni per le quali aveva preferito che a svelarmi la verità fosse mia madre. Non ero così ottuso come davo a vedere, ma non le avrei rivelato neanche quel particolare.

«Io ti ho raccontato quasi tutto sul mio passato fidandomi di te, ti ho raccontato cose che in realtà già sapevi non per mia scelta, tra l'altro. Quel diario è la parte più importante e profonda di me. Leggendolo senza il mio permesso è come se mi avessi violentata, violata. So che non capisci queste mie parole, nessuno può capirle. E ti sembrerò esagerata, una ragazzina come ti diverti sempre a definirmi, ma.. io sono questa per cui se accetti ciò che sono e le mie decisioni, bene, altrimenti fa lo stesso. Non m'importa più!» terminò con il fiato corto e col dito puntato contro di me. 

Decisi di non replicare all'istante, infondo un po' i suoi rimproveri li meritavo. 

Dopo qualche minuto di silenzio in cui nessuno dei due era intenzionato a guardarsi per davvero, decisi di essere sincero per una delle poche volte nella mia vita «E invece ti capisco, sai? Se fossi stata in te avrei fatto di peggio. Anch'io -come hai visto- odio chi mente, i ficcanaso ed io con quel gesto non sono stato del tutto coerente con quelli che sono i miei valori, ma..» lasciai per qualche secondo il discorso in sospeso «se potessi tornare indietro, rifarei tutto e sai perché?» 

Di risposta mi fissò inebetita, giustamente, così proseguii cercando di far comprendere le mie motivazioni. Non ero bravo in quei discorsi, non avevo mai dovuto convincere qualcuno su un mio gesto compiuto. Non mi era mai importato di farlo.

«Perché se non avessi letto il tuo diario, non avrei mai avuto la stessa curiosità di conoscerti nata nei mesi scorsi. Se non avessi letto lì chi è la vera Miki mi sarei allontanato all'istante, non ti avrei mai permesso neanche di essere la mia compagna di banco perché credimi, i modi per farti spostare c'erano eccome.. Dai un'immagine totalmente sbagliata di te stessa, perché indossi queste dannate maschere che ti rendono una ragazza superficiale, facile? Non hai bisogno di nasconderti dietro al tuo passato, le persone che devono vergognarsi per ciò che ti hanno fatto sono altre, non tu. Tu sei molto di più di quelle maschere. Vali molto di più, Ariel. Inizia a mostrare al mondo chi sei!» 

E non seppi neanche da dove fuoriuscirono quelle parole d'incoraggiamento, ma bastarono per acquietare Miki e ne fui più che soddisfatto. Dopotutto ero riuscito a dirle piccola parte di ciò che pensavo da mesi ormai, e fu anche liberatorio in un certo senso. 

Il suo respiro tornò ad essere regolare, si accomodò al suo posto senza fiatare. L'osservai di nascosto per i seguenti dieci minuti e la vidi aggrottare la fronte pensierosa, torturarsi le mani e sbattere nuovamente i piedi su e giù sul linoleum di quella clinica. Bene. Il mio monologo l'aveva spinta a riflettere, a ponderare i pensieri e la versione dei fatti. 

Qualche minuto più tardi d'incomunicabilità, finalmente si decise di replicare. «Ma come?! Se non sono stata neanche in grado di svuotarti le palle, come puoi pensare queste cose di me? Tu.. non pensi davvero ciò che hai detto ora!», sibilò rievocando una delle frasi cattive che solo qualche giorno prima le avevo urlato in faccia. Ero stato uno stronzo.

«Io non penso ciò che ho detto due giorni fa, che è diverso» chiusi quella faccenda con una semplice frase che a lei parve bastare. In quella mezz'ora avevo già espresso più di quanto solitamente ero tendente a dire, e lei lo sapeva bene. 

Dopo un'ora trascorsa tra sala d'attesa e giardino per fumatori, finalmente un'infermiera si decise a venirmi ad informare sui risvolti del dannato intervento che mia madre stava subendo. 

«Lei è il Signor Black, figlio della Signora Perez?» la sua voce senza espressione m'innervosì.

«Sì sono io!»

«Bene. L'operazione richiederà più tempo del previsto. La massa tumorale è più grande di quanto pensavamo, ma la paziente sta reagendo bene. Sua madre è una donna molto forte, stia tranquillo. Appena avrò altre notizie, gliele comunicherò. A dopo!»

Come potevo restare tranquillo una volta saputo che l'intervento era ancora in corso, che durava già da due ore e che sarebbe potuto durare ancora per molto? Sudai freddo per i brutti pensieri che tornarono ad assalirmi. 

«Ehi..» la voce flebile di Miki «hai sentito? Tua madre è forte. Ce la farà, andrà tutto bene!» mi si parò davanti con la sua figura esile, in tutto il suo splendore, e mi diede coraggio nonostante l'avessi delusa un giorno prima e ancora una volta profondamente. 

Non dimostrò la vicinanza con gesti eclatanti, con abbracci o carezze come magari avrebbe fatto se non le avessi mentito, ma apprezzai parecchio le sue parole. Non era obbligata a restare con me per tutto quel tempo, e a dirla tutta non era obbligata neanche a recarsi in clinica, eppure lo aveva fatto e quel particolare le fece accumulare parecchi punti. Era una persona buona, ricca di sentimenti a testimonianza di ciò che le avevo detto di essere poco prima.

Da soli, insieme, in quella giornata così particolare di cui fino all'ultimo ero convinto di trascorrere in solitudine. Perché lei non mi avrebbe abbandonato, dovevo immaginarlo. Lei c'era sempre.

Ed io...

Io non la meritavo, in futuro non saremmo potuti essere niente, probabilmente saremmo stati solo un punto interrogativo, ma non potevo evitare di apprezzare ogni suo tratto caratteriale, dai suoi difetti ai suoi pregi. Miki era una persona speciale, il suo futuro ragazzo sarebbe stato davvero fortunato ad averla. Inevitabilmente quell'ultima osservazione mi generò una sorta di fastidio, ma lo scacciai.  

Passò un'altra mezz'ora tra sospiri, sbuffi e silenzi opprimenti. Purtroppo nonostante avessimo smesso di battibeccare c'era ancora tensione tra di noi e né il luogo, né l'ansia per l'esito dell'operazione di mia madre aiutavano ad alleggerire il tutto.. anzi, semmai lo appesantivano.

Di sottofondo al silenzio snervante di quella sala d'attesa si erano alternati per tutto il tempo dei brani musicali francesi di qualità discutibile. Una lagna assurda. Quasi, quasi era preferibile la musica pop commerciale ascoltata dalla Ariel lì presente. Quasi...

All'improvviso a causa di quello che tutti i comuni mortali chiamerebbero destino, dalle casse fu trasmessa una canzone che proprio non era il caso di riprodurre in quel preciso istante. 

Era un fottuto scherzo, quello? Doveva esserlo per forza. 

Kiss me di quel canta carote Ed Sheerak. Davvero un colpo basso. Bassissimo. Avrei volentieri spento tutte le casse a furia di pugni.

E come potevo, a quel punto, evitare di rievocare gli attimi trascorsi con lei sotto il cielo di Roma, sopra quel prato? 

Senza volerlo accennai un sorriso impercettibile che però pensai bene di nascondere dietro ad uno sbuffo. Lei non avrebbe dovuto sapere che alla fine di quella serata avevo riascoltato quel brano. Non avrebbe dovuto sapere che alla fine quel testo mi era iniziato addirittura a piacere anche.. per il significato dato da Miki, da noi. 

Lei non avrebbe dovuto sapere...

 


MIKI

«Che musica scadente..» come il suo solito dovette lamentarsi, non poteva stare semplicemente in silenzio ed evitare di macchiare uno degli unici momenti speciali che avevamo avuto. No, doveva criticare proprio quel brano. 

"Kiss me" di Ed Sheeran. In effetti era stato un caso bizzarro, un aspetto abbastanza imbarazzante risentire le note di quel brano in una sala d'attesa mentre Adelaide lottava tra la vita e la morte. Tra l'altro io e Castiel eravamo in uno status alquanto complicato, più del solito oserei dire. In guerra aperta per esserci mentiti a vicenda e sotto ricatto da una sua ex. Esilarante.

«Non toccare quella canzone. Non ti permettere proprio» fu inevitabile il mio tono acido. Quel brano era diventato sacro dopo la serata sul giardino in terrazzo a Roma.

«Perché?» 

"Si può essere più imbecilli di così?"

«Ha un significato profondo che tu non potrai mai capire.» 

«E questo chi lo dice?»

«Sei un deficiente, semplice!»

«E tu una ragazzina»

«Coglione»

«Verginella»

«Pomodoro secco»

«Tavola da surf»

«Asino»

«Miss Perfettina di 'sto cazzo»

«Testa di rapa rossa»

«Acida»

«Troglodita»

«Ariel»

«Mr. Brontolone»

«Bellissima»

«Cret-» mi bloccai, dopo quella serie infinita d'insulti scambiati a intermittenza, per la sua ultima affermazione. Avevo di sicuro le orecchie tappate. Avevo di sicuro sentito male «Che?»  

«Sei bellissima!»

 

 

 

 

-

 

 

 

 

🌈N.A.🌈

Piaciuto lo scherzetto d'inizio capitolo? 

Qualcuno ci era cascato realmente? Pensavate che Adelaide fosse morta? Sono curiosa di saperlo.😜

Diciamo che ancora non è detto se vivrà o meno, but.. sono stata cattivella nell'inserire quel sogno già ad inizio capitolo, lo so. Però capita.. è bella la suspense 🙃

E invece la fine del capitolo? Io la adoro. 

Vi sono piaciuti i continui battibecchi tra Castiel e Miki, il modo di reagire di Castiel? 

Ha detto delle belle parole a Miki, vero? Per una volta ha smesso di essere un pallone gonfiato.

Condividete le sue ragioni per aver fotocopiato il diario segreto di Miki e per non essersene pentito?

Ok, adesso è arrivato il momento di salutarvi, 
Buon inizio settimana

All the love💖
Blue🦋

  
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