…la mutagenesi
è un fenomeno che è strutturalmente presente, anche se a bassa frequenza, in
tutti gli esseri viventi ed è basato sulle imprecisioni o gli errori di
replicazione del genoma durante i processi di divisione cellulare.
Cosa
stava leggendo?
Dalla porta
chiusa giungevano ovattati gli schiamazzi delle clienti del caffè e, da sotto,
filtravano delle lucette colorate ed intermittenti. Sorrise. Anche quell’anno
lei l’aveva avuta vinta: aveva convinto tutti ad addobbare un enorme albero di
Natale, da tenere nella sala grande, davanti all’entrata, perché potesse
rasserenare chiunque vi entrasse. Ed era persino riuscita a convincere
Keiichiro ad aiutarla ad avvolgere un filo di luci colorate lungo tutto il
corrimano delle scale che, dalla sala, portavano fino in camera sua. “Magari un
po’ di spirito natalizio riesce a sciogliergli quel cuore di ghiaccio!”, si era
giustificata. Un nuovo ghigno dolceamaro gli si dipinse sul volto, al ricordo
dei bisticci che insieme avevano portato avanti dalla fine di ottobre, a causa
di quelle decorazioni. In fondo, a lui non dispiaceva l’idea. Ma quello era il
solo rapporto che avevano: se non litigavano, lui, per lei, non esisteva. E, a
costo di farsi odiare, non riusciva più a fare a meno di quella misera, effimera,
evanescente relazione.
Riprovò
a concentrarsi.
Le mutazioni
vengono poi sottoposte a selezione o dall'ambiente o dall'uomo e, se
vantaggiose…
Niente,
era inutile.
Era alla
terza rilettura (o era addirittura la quarta?) di quelle insignificanti due
righe, che non dicevano nulla che già non sapesse e, nonostante tutto, non
riusciva ad afferrarne il senso.
“Maledizione…”
Si sfilò
gli occhiali, in preda alla frustrazione, abbandonandoli sulla tastiera. Si passò
due dita sugli occhi. Poi lo sguardo cadde su quel pacchettino rosa, con un allegro
ma elegante fiocco rosso.
Non aveva
scelto consapevolmente quei colori: era stato tutto spontaneo. Era stato come
ricostruire Ichigo con le proprie mani e cullarsela per qualche giorno.
Quante
gioiellerie aveva girato? Aveva perso il conto. Troppo infantile, troppo da “signora”,
troppo impegnativo, troppo semplice, troppo appariscente, troppo brutto…
Niente era
adatto a lei. Niente era alla sua altezza. Niente riusciva ad esprimere il suo
affetto, senza offenderla o spaventarla. E senza farglielo apparire come l’ennesimo
scherzo.
Finché
non era stato attratto in quel negozietto di bigiotteria artigianale. “Attratto”
forse non rendeva bene l’idea della vecchietta che l’aveva arpionato sull’uscio,
tirandolo dentro mentre gli urlava in un orecchio “Vieni qui, bel giovane! Ho
proprio qualcosa che fa per te: farai un figurone con la tua fidanzata, a
Natale!”. Non aveva avuto il tempo di rispondere, in preda alla sorpresa e alla
fitta di tristezza che quell’affermazione gli aveva provocato. Magari in un’altra vita… Ma poi era
rimasto piacevolmente stupito dall’oggetto che l’esuberante negoziante gli
stava proponendo: un ciondolo, o meglio: un filo metallico modellato a formare
un gattino seduto. Era lei. L’aveva preso senza pensarci oltre.
Un improvviso
infrangersi di piatti riuscì a distoglierlo. Retasu doveva essere nuovamente
inciampata su un’acrobazia di Purin. E Mint aveva già iniziato a
rimproverarle. Poteva immaginare Zakuro che cominciava silenziosamente a
ripulire, mentre Keiichiro aiutava Retasu a rialzarsi e cercava di calmare la
ballerina.
Lei ovviamente
non c’era. Una scarica gli attraversò le tempie. Avevano litigato anche per
quello. Ma non era stato altrettanto divertente. Gli aveva chiesto di uscire
prima e lui aveva rifiutato senza nemmeno chiedere il motivo. Lo immaginava, il
motivo. Poi, come sempre succedeva, Keiichiro aveva iniziato una delle sue
prediche in difesa della rossa e lui si era arreso con un “va bene, va bene!”.
Erano cinque
anni, ormai. Cinque anni che si tormentava nel cercare il regalo di Natale che
più si confacesse al suo proposito. Ma ogni anno, alla Vigilia, il panico lo
travolgeva: “Glielo dirò il prossimo Natale…”.
Cercò di
immaginare come sarebbe potuta andare: l’avrebbe costretta a restare per degli
straordinari dopo l’orario di chiusura, con la scusa dei suoi soliti ritardi; l’avrebbe
aspettata fuori dallo spogliatoio, con il pacchetto in mano, ma di spalle, per
nascondere il turbinio di emozioni che - lo sapeva – in quell’occasione non
avrebbe saputo mascherare con la solita facilità. Ed avrebbe allungato la mano,
porgendoglielo, solo quando l’avrebbe sentita arrivare, annunciata dai suoi
passi maldestri e dal tintinnio del campanello, che la caratterizzava in modo
così unico.
Un’epifania
improvvisa lo lasciò di stucco, facendo svanire i suoi piani. Lei non avrebbe
mai tolto il campanellino di Aoyama per indossare il suo gatto. L’avrebbe presa
come una provocazione. Si sarebbe arrabbiata. Non avrebbe capito.
Si alzò,
raccogliendo la scatolina rosa, ed aprì l’armadio. Spostò le felpe dal ripiano
più alto e ne tirò giù un cofanetto di legno. Era all’incirca un anno che non
lo riapriva: ospitava quattro pacchetti ancora da scartare. Vi pose anche
quello che aveva in mano.
“Glielo
dirò il prossimo Natale…”