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Autore: Duncneyforever    31/12/2018    1 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Appoggio la schiena contro la porta, scivolando per terra. 

- Metteremo tutto a posto. - Enuncio, fregando le mani contro i pantaloni e fissando il vuoto, astenendomi dallo scoppiare in lacrime. 

- Siamo certi che lo farai. - Mi risponde Roni, la donna che mi aveva aggredita, ritenendomi una traditrice. 

Ha il viso sfatto dal pianto e pesanti occhiaie al di sotto degli occhi rossi e gonfi ma, nonostante questo, mi dimostra il suo appoggio, riponendo la sua fiducia nelle mani mie e di Reiner. 

- Ti prego riportaceli o, almeno, assicurati che non gli venga fatto del male. Non abbandonarli, perchè loro, nel pericolo, non avevano abbandonato te. - 

La sua non è reale gentilezza: mi considera ancora una battona e, mentalmente, mi maledice, ma sa che non sarebbe una mossa intelligente insultare la sola persona che potrebbe garantire la sopravvivenza dei suoi cari, quindi reprime il disprezzo, rivolgendosi a me in modo sì rispettoso, ma ruffiano, il che mi ferisce, a discapito delle buone intenzioni. 

Partecipe del suo dolore e preoccupata per i miei amici, ingoio un boccone che, altresì, sarebbe stato troppo amaro per essere buttato giù. 

- Farò del mio meglio, signora. - Il marito e la madre non si avvicinano nemmeno, tanto che pregano a voce alta, chiusi nella loro sofferenza. - Andiamo. - Sentenzio, rialzandomi in piedi. 

- Andiamo dove? Non penserai di tornare da lui! - 

- Si aspetta di vedermi e mi vedrà. Tu stesso sostieni che non dobbiamo dimostrare di avere paura. Non ammetto un " no ", quindi non ti crucciare, perché non cambierò idea, qualunque cosa tu dica. - Mi incammino verso l'auto, lasciandolo indietro. 

Reiner mi raggiunge in fretta e mi tira per un braccio, facendomi voltare verso di lui. 

- Qualunque - ribadisco, guardando prima le sue dita, strette attorno all'avambraccio e poi lui, la sua espressione interdetta. 

- Sei irrecuperabile - pur sbuffando, mi permette di entrare in macchina; i suoi occhi chiari si colorano d'odio e, pur amandomi come si ama la luce del mattino, esprime senza parlare quanto pietoso sia per lui piegarsi alla mia volontà. 

Vorrebbe proteggermi, mentre io vorrei almeno tentare di salvarmi da sola; invoco disperatamente il suo aiuto eppure, con tutta me stessa, intendo superarmi, addirittura, superarlo e vincere la mia debolezza. 

Se Rüdiger ed io siamo complementari che si attraggono e respingono, io e Reiner siamo calamite che si auto-inducono alla distruzione. 

- Il rosso, dopo tutto, voleva una bestia... Forse è vero che sono diventata pazza come lui. - Il biondo, distratto, cala il piede sull'acceleratore invece che sulla frizione, concludendo con un'inchiodata, al fine di non andarsi a schiantare contro il muro. 

L'assenza della cintura di sicurezza mi ha quasi fatta spiccicare sul parabrezza ma, fortunatamente, il braccio teso del comandante ha frenato il mio sbalzo in avanti, risparmiando una grassa risata ai crucchi di ronda. 

- Ma che ti dice il cervello?! Mi stavi ammazzando! - 

- Mi rende nervoso saperti con lui. Non sopporto che ti parli. Non sopporto nemmeno che ti guardi. - 

- Vedrai che non si ripeterà l'esperienza dell'altra volta - mi appoggio sulla sua spalla, cercando di confortarlo. - Non piantarmi in asso ora che ho bisogno della tua forza... Schneider piega la testa soltanto davanti a te. - 

- Schneider non ha padroni; non mi rispetta, il che potrebbe essere un problema. - 

- Ci dovrà pur essere una soluzione! - Ricerco nei suoi occhi un qualunque indizio, trovandoli stranamente fermi. - Reiner? - 

- Beh, se ti sposassi lui non... - 

- Che?! Io non mi sposo a sedici anni! - 

Ma come gli è venuto in mente?! Capisco che, arrivati ad un certo punto, potrebbe essere davvero l'ultima spiaggia, tuttavia, ad un punto così drastico ancora non ci siamo, per la miseria! 

Non che non abbia mai pensato a come potrebbe essere il mio " grande giorno ", perché con tutte le puntate di " abito da sposa cercasi " e " quattro matrimoni " che ho visto, un'idea me la sono già fatta su cosa mi piacerebbe avere, sull'abito che vorrei indossare... 

Questo prima di Auschwitz, di Rüdiger e di Reiner: la mia vita è cambiata; io sono cambiata e la concezione che avevo dell'amore è cambiata. 

Se amore è dolore, non voglio patire per qualcosa che potrei tranquillamente evitare. 

Reiner è un uomo bello, intelligente, carismatico, in pratica perfetto, ma una vita al suo fianco implicherebbe soffrire, sempre, intensamente, a causa di ogni singolo peccato che commetterà e per il quale non si pentirà, anche nella morte. 

Mi prenderà in moglie e mi lascerà che non avrà compiuto trent'anni, affidandomi ad una famiglia che, probabilmente, avrebbe preferito una contessa " ariana ", piuttosto che una ragazzina italiana priva di dote.  

Mi sono figurata tante volte quest'immagine di me, piangente, accovacciata sulla sua tomba ma, adesso che la profezia potrebbe avverarsi, il mio cuore è diviso tra l'uomo che mi ha restituito un mondo, dopo che mi era stata sottratta una vita e la profonda coscienza di giustizia, pur macchiata dai recenti avvenimenti, che mi spinge a detestarlo per tutto ciò che è, all'infuori dell'uomo che ho conosciuto. 

 - Era solo un disegno; non dargli troppo peso. - Mi rassicura, con il tono scherzoso di chi è consapevole d'aver detto un'assurdità. 

- Tu veramente ti saresti umiliato con una come me per aiutarmi? - Lui non era serio, l'ho capito, tuttavia, non è un qualcosa che si può suggerire a cuor leggero; ci doveva pur essere un fondo di verità! 

- Umiliato? Perché mai? Tu sei un sogno, angelo mio. Sarei più che fortunato ad averti. - 

Mi mancano le parole per esprimere quanto io mi senta strana in questo momento. 

Reiner mi riempie di attenzioni, di complimenti, eppure tutto perde valore quando non si è più la priorità di sè stessi. 

- Noi non ci amiamo. - Ribatto, sorpresa di aver risposto con tanta freddura. 

- No, non ci amiamo. - Reiner, dopo aver evitato un incidente, riparte.

Non mi tiene il muso e, per lo questo, lo ringrazio, dimostrandogli di non essere un'ingrata. 

- Coraggio - mi dice, poggiando la mano sulla mia, sollecitandomi ad uscir fuori. 

La splendida villa in stile barocco di Schneider mi appare una caverna oscura  e spaventosa e non mi stupirei più di tanto se, ad un tratto, sentissi il rombo dei tuoni e la musica teatrale di sottofondo, in stile cartone animato. 

- È meglio che entri prima io, tu che dici? - 

- Non ci sperare. - Si precipita davanti alla porta, rifiutandosi di suonare il campanello. Bussa con il pugno, facendo vibrare la superficie, intimando la guerra al proprietario di casa. 

- Tu guarda! I piccioncini! Sei venuta per i tuoi giudei? - Rüdiger ci apre con entusiasmo; il taglio che gli ho procurato, profondo abbastanza da lasciargli un segno sul collo, si è cicatrizzato e si aggiunge ora agli altri sfregi, innumerevoli, presenti sul suo corpo. 

Mi trattengo dal saltargli addosso, travolta dal desiderio di vendetta. 

- Volete accomodarvi? - Il comandante gli rivolge un'occhiataccia, spingendomi all'interno e anticipando il rosso sui tempi. 

- Fass sie nicht an. / Non toccarla. - Lo minaccia, scandendo bene ogni sillaba. 

- Che brutto carattere! - Esclama, chiudendo la porta dietro di sè. 

- Dove sono - mi guardo intorno, confidando di trovare i tre ragazzi. - Ti ho chiesto dove sono! - 

- Quanta premura per dei parassiti ebrei! C'è chi è stato deportato per molto meno... - Mi rifugio tra le braccia di Reiner, accrescendo l’odio smisurato del rosso verso di me. 

- Dovresti starci attento, Schneider. Una macchia sul tuo nome e potrebbe arrivare anche il momento tuo. - Il colonnello coglie la provocazione, ricordandosi di aver aggredito un " intoccabile ". 

Si allontana, stizzito, invitandoci a seguirlo. 

Sento già puzza di fregatura e, scambiando una sguardo con Reiner, capisco che anche lui sia della stessa opinione. 

Mi tiene vicina, preparandosi ad usare la sua Walther ( versione più " recente " della Luger ) se necessario. 

Il colonnello ci conduce in un'ala della casa che non avevo mai visto e, solo ora, vengo a sapere dell'esistenza di un seminterrato: ci sono delle scale, ma non sono affatto ripide e il colore delle pareti non è un grigio spento, bensì un rosso vivo, in linea con la sua camera da letto e con altre stanze al piano di sopra. 

Il colore rosso non mi piace in questo contesto; lo associo subito al sangue e, tutto ciò, non mi fa presagire nulla di buono. 

Non voglio ritrovarmi in una " stanza delle torture ". 

- Cos'è? Una catacomba? - Rüdiger si volta con un sorriso da Joker, facendo roteare tra le dita un mazzo di chiavi. 

La rampa di scale porta ad un corridoio lungo, largo e claustrofobico, dominato da una serie di porte numerate disposte l'una di fronte all'altra, il che mi fa pensare ad un rifugio antiaereo dotato di tutti i comfort o ad un bunker, molto ben allestito, oltre che magistralmente strutturato. 

Procediamo verso l'ultima di queste, centrata nella parete di fondo che, probabilmente, costituisce un ambiente a sè, diverso dagli altri, in quanto separato da uno stacco considerevole e privo di numerazione. 

Avvicinandomi sempre più a quella porta, l'ansia sale e la consapevolezza che i miei amici si trovino là dentro mi fa ballare le ginocchia. 

Non essendoci la moquette per terra, presente in più di una camera al piano di sopra, la mente inizia a giocarmi un brutto scherzo...

Non voleva inzupparla con il sangue, ecco perché ha favorito le piastrelle. 

- Reiner, io non mi sento molto bene - sussurro, tirandogli la manica. Lui, vedendomi così pallida, si assicura di tenermi salda per i fianchi, ricercando segni di cedimento nel cioccolato traslucido.  

- Hast du Schiss? Du musst nicht. Sie leben noch. / Hai fifa? Non devi. Loro sono ancora vivi. - Rivedo il ragazzino egocentrico e mi tranquillizzo, perchè in lui non c'è quella cattiveria che lo aveva spinto a commettere crudeltà degne della sua pessima fama... 

Il suo è un ricatto, per cui niente è insalvabile. 

Come farebbe una bambina impaurita che si nasconde sotto la sottana della madre, io mi aggrappo ad un lembo della giacca di Reiner, aspettando di vedere quali orrori si celino dietro alla porta incriminata. 

Uno spiraglio di luce mi acceca, ma non è luce naturale: è calda e soffusa, tuttavia, non è quella del Sole, poiché essa è brillante e genuina, non cupa e artificiosa.

Mi basta poco per capire che la misteriosa camera sia esattamente ciò che mi aspettavo che fosse... 

Un luna park per psicopatici. 

È un vano ampio, con finte volte in pietra da taglio, il pavimento piastrellato in arabescato grigio, storico marmo italiano, le pareti laterali e quella di fondo suddivise in due sezioni: la parte inferiore in pietra e la parte superiore affrescata, intervallata da lampade a muro, le quali, garantiscono un'illuminazione simile a quella delle fiaccole. 

È fastidiosa, tanto che non rimango abbagliata per l'intensità della luce, ma per il netto contrasto con i colori scuri, che prevalgono in modo schiacciante su quelli chiari. 

Ci impiego un po' per abituarmi e la sola cosa che mi è inconfondibile è lo scolo sul pavimento, su cui sono ancora presenti tracce di sangue. 

Tracce visive, ma anche olfattive, poiché l’odore è insopportabile. 

Un ordine maniacale regna sulla specie di tavolo operatorio presente al centro, costeggiato da un enorme mobile in acciaio, scaffalato a rastrelliera, su cui è esposto ogni genere di attrezzo; tutte le armi da taglio presentano un foro sul manico e sono appese a ganci di varia dimensione, a seconda del loro peso. Non ci sono solo armi bianche, ma anche diversi tipi di frusta, come il flagello o il " gatto a nove code ", spranghe e fil di ferro, pinze, tenaglie, boccette di veleno poggiate sulle varie mensole; veleni tossici o paralizzanti, benché non letali, per impedire la morte rapida del malcapitato. 

L'arsenale del rosso è impressionante, persino per Reiner, che resta accigliato alla vista di una preziosa katana giapponese, appoggiata su di una rastrelliera a sè. 

- Un regalo del tenente colonnello Hasegawa, che si è tanto premurato di farmela avere di persona... Taglia che è una meraviglia! - 

Mi sforzo di non guardare più lo scolo, di non pensare su chi e su quante persone abbia sperimentato la potenzialità di quella lama infrangibile. 

Il mio sguardo vaga, incerto, soffermandosi sulle cinghie sciolte a lato del tavolo centrale, sul sarcofago di legno, aperto, al cui interno sono presenti spuntoni di ferro... 

La riconosco: è una macchina di tortura chiamata " vergine di Norimberga "; la vittima viene chiusa all'interno e trafitta da queste punte metalliche; gli organi interni non vengono toccati, sicché questa muoia di una lenta agonia. 

Mi tappo la bocca con le mani, soffocando un urlo. Reiner mi prende per i fianchi, schiacciandomi il volto sul suo petto. 

- Non sei obbligata a restare qui - mi dice, passando i palmi sui miei zigomi bagnati. 

- Ce la faccio - replico, tirando un respiro profondo. - Abbiamo visto la tua stanza dei giochi; ora dimmi dove li hai messi. - 

- Quanta fretta! Non vuoi vedere se c'è la ghigliottina? O la sedia elettrica? - Il biondo, in un eccesso di rabbia, scatta verso di lui e lo stringe per il collo, scaraventandolo contro la riproduzione in affresco del " Saturno che divora uno dei suoi figli ", una tra le opere più inquietanti del suo autore, Goya. 

Rüdiger alza la testa verso l'alto, verso il Titano con le fauci spalancate: ride, pensando che due figli di Germania si stiano " sbranando " per una ragazzina, che non ha nemmeno il loro stesso sangue " puro ".

- Du machst ihr Angst. / La stai spaventando. - Ringhia, comprimendogli il capo a ridosso del muro. - Zieh die Juden heraus. / Tira fuori gli ebrei. - 

- Du bist wie ich. Irre. Aber nach ihr oder für sie? / Tu sei come me. Pazzo. Ma di lei o per lei? - Reiner lo lascia respirare, mollando la presa. 

Il rosso, di rimando, porta le mani al collo, alla ferita dolorante e riprende fiato, non senza gioire internamente per averlo fatto tacere. Trotterella verso una porticina scura, praticamente mimetizzata tra i conci in pietra; percorre in largo la stanza, fiancheggiando una fila di affreschi bellissimi e terrificanti; tra questi emerge l'ultima tavola del " Trittico del Giardino delle delizie " di Bosch, che rappresenta la Terra distrutta da un'orda di demoni, intenti a perseguitare gli uomini, punendoli per i loro vizi.
Parallelamente vi è un'altra scena di distruzione, ovvero il " Trionfo della morte " di Bruegel, in cui l'armata delle tenebre miete vittime in modo a dir poco fantasioso, tanto da rievocare il gusto di Schneider per la tortura.
A sovrastare quella piccola porta, invece, abbiamo il trionfo della sua vanità, con il famoso " Giudizio universale " di Michelangelo, del quale ha voluto vedere a tutti i costi l'originale durante il nostro soggiorno a Roma. 

Il simbolismo prevale sulla realtà dei fatti, poiché il rosso si approfitta del grande potere che gli è stato dato per compiere il male, fingendo di voler redimere l'umanità al bene e alla virtù.

- Che squallore - commento, ritenendo sprecate immagini così significative per un locale turpe come questo.

La porta si apre con un cigolio angosciante e un tintinnio di catene rivela la presenza di qualcuno al suo interno. 

Sono loro che, terrorizzati, si rannicchiano in un angolo dell'angusto sgabuzzino: hanno visto il suo ciuffo rosso e si sono coperti il viso con le mani, temendo che volesse picchiarli. 

È un colpo sapere che siano là dentro da un giorno intero, ma una consolazione constatare che stiano bene, nonostante il trattamento ricevuto. 

- Ragazzi... - Pigolo, flebilmente, sfiorando la catena che circonda la caviglia di Samuele. 

- Sei venuta a prenderci - soffia la ragazza, tra le lacrime. 

- Non cantare vittoria, Jüdin. Questo è il mio campo e voi, scarti della società, siete miei prigionieri. - 

- Cosa vuoi Rüdiger? Avanti, sono venuta fin qua e, certamente, non tornerò a mani vuote. - Sono stata un coniglietto spaurito per tanto, troppo tempo e, adesso, a causa della sua malvagità, mi sto trasformando in un avvoltoio. 

Non proprio quel che avrei voluto diventare. 

- Oh! e il principe Von Hebel cosa pensa di tutto ciò? - 

- Non uscirò da questa casa senza di lei. Che tu lo voglia o meno. - 

- Vogliamo davvero arrivare alle mani? La tua bella non ama la violenza... - Enfatizza, mordendosi il labbro. 

Mi osserva, aspettandosi una reazione da parte mia. 

- Nessuno deve morire per me. - I tre, nascosti nella penombra, si abbracciano, facendosi forza l'un l'altro. - Resterò qui a patto che Reiner si occupi del trasferimento dei Costa e, visto che di te non mi fido, vorrei prevenire piuttosto che curare, per cui mi farebbe molto piacere se gli dessi la camera degli ospiti. - Lui mi guarda, colpito, rompendo in una risata denigratoria. 

- Santo cielo! quale ingenuità! Glielo spieghi tu alla bambolina o glielo devo dire io? - 

- Sara, purtroppo ha ragione; non posso rimandarli indietro. È impossibile... Credevo tu lo avessi capito. - 

No, no no no, ditemi che non è vero!

Ho faticato tanto per arrivare a questo punto; ho superato la mia paura di Schneider e gli ho parlato in modo cordiale, cercando di discutere con lui, invece che aggredirlo barbaramente... Tutto questo, per niente? 

La bocca si deforma, a scatti, curvando un angolo verso il basso: le mie lacrime, la sua gioia, il vessillo di una sconfitta inattesa. 

- Sei sempre stata bellissima in lacrime. - Confessa, appoggiandosi alla parete. 

- Vediamo se sarò ancora così bella quando ti avrò staccato quella testa di cazzo! - 

- Non vale la pena sporcarsi le mani. - Mi consiglia Reiner, trattenendomi. 

- Allora aiutami! Fa qualcosa!- Lo imploro, facendo leva sul suo interesse. 

- Non ci sarà bisogno del suo aiuto, Italienerin. Chiedo una cosa molto semplice: la tua presenza in questa casa. Mi sento così dannatamente solo da quando hai tagliato la corda! In cambio, i tuoi amichetti giudei potranno lavorare per me, con un trattamento, diciamo... Di favore. - 

- Beh, io non ho intenzione di crepare! Reiner rimarrà al mio fianco. - 

- Non transigo, Schneider. Meriteresti la corte marziale solamente per aver disobbedito all'ordine diretto di un tuo superiore... -

- Io non ti sono inferiore! - Sbraita il rosso, scrutandolo con disprezzo.   

- No? Il Führer sembra pensarla diversamente. - 

Rüdiger dev'essere nato per odiare; l'odio non è cieco, ma ha i suoi occhi di cecchino, il suo cuore corrotto e la sua mente traviata. 

Ciò che lo rende forte agli occhi degli altri, lo rende debole a quelli di Reiner, orgoglioso d'essere artefice del disfacimento della più letale macchina assassina che Auschwitz abbia mai conosciuto. 

- Genau. / Bene. - Agguanta rozzamente la catena a cui sono collegati i ragazzi, trascinandoli fuori con uno strattone deciso.

Samuele, essendo il più pesante, ne ha risentito maggiormente; il ferro gli ha lacerato la pelle e si è conficcato nella carne, tanto da farlo gridare dal dolore, come un ossesso.

- Oh mamma mia, Sam! - Non oso poggiare le mani sulla sua caviglia: sanguina copiosamente e le grida disperate della sorella non mi facilitano per nulla. 

Il colonnello getta le chiavi per terra, disinteressato, lasciandoci soli. 

Non ha ottenuto ciò che sperava. 

E la disfatta brucia. 

- Dobbiamo disinfettarla... Puoi occupartene tu? Io devo trovare il rosso, ad ogni costo. - Abbandonarli al loro destino non è nei piani, tuttavia, ho veramente bisogno di parlare con Rüdiger, faccia a faccia, senza alcun intervento esterno.

- Dovrai passare sul mio cadavere. - 

- È di vitale importanza per me, ti prego, mettiti nei miei panni. Ti raggiungerò presto. - Lui, vinto dalla mia cocciutaggine, cede, pregandomi di urlare, in caso la nostra " tranquilla " chiacchierata dovesse volgere per il peggio. 

Ottenuto il suo permesso, corro al piano di sopra, precipitandomi nel suo studio, proprio di fianco alla camera da letto. 

Lui è lì, di fronte alla finestra, perso ad ammirare il paesaggio desolato offerto dal lager poco distante. 

- Ma come hai potuto... Tutto questo dolore, per cosa? Per una scopata? - Al suo silenzio, mi fiondo su di lui, battendolo con le nocche, sperando di fargli più male. - Per una scopata?! - 

- Dicono che solo con la crudeltà si possa ottenere il rispetto. - Subisce in modo passivo, poi mi ferma, una volta stancatosi di assistere alla scenetta patetica. 

- Arrivi a ricattarmi per raggiungere i tuoi scopi? - 

- Affatto. Mi hai già ampiamente dimostrato che non sia necessario stuprarti per averti. - Mi sorride, diabolico, lanciandomi contro la scrivania.

- Quello, lo faccio per divertimento. - 

 

 

 

 

  
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