Ministero della Magia, Londra | Corso preparazione per gli Auror, 1991
Alastor ‘Malocchio’ Moody raramente chiedeva qualcosa ai suoi allievi; il più delle volte pretendeva. In quelle poche settimane, ormai Tonks aveva capito il tipo di carattere dell’Auror veterano, e lo rispettava. Non che Alastor l’avesse propriamente “accolta sotto la sua ala”, ma ammetteva che era una ragazza dotata e meno petulante rispetto agli altri.
Diplomata ad Hogwarts solo due mesi prima, Ninfadora Vulpecula Tonks aveva finalmente cominciato il suo percorso di formazione per diventare Auror ed ora era intenta ad imparare dal suo mentore tutto ciò che le era necessario per raggiungere il suo obiettivo. Per la precisione, quel giorno stavano di nuovo lavorando sull’incanto Patronus –dal momento che presto avrebbe visitato per la prima volta Azkaban, la prigione dei maghi-, e fino ad allora non aveva ottenuto altro che sbuffi argentei che poco dopo si dissolvevano, come era successo a scuola. Sapeva che era un incantesimo difensivo di alto livello perciò non si era arresa, anzi. Aveva insistito perché si concentrassero solo su quello.
«Dovrebbe essere semplice per te. Di solito a voi streghe basta pensare a qualche mago dall’aria principesca.» la stava provocando Moody. Aveva provato diversi approcci in quei tre giorni, ed ora stava utilizzando una nuova strategia: la provocazione.
Alastor, però, non sapeva che Tonks aveva già cercato di evocare un Patronus corporeo pensando a Charlie, alla loro storia e richiamando alla testa quanti più ricordi possibili con lui. Ma sembrava che, invece di aiutarla, la deconcentrassero di più. La metamorfomagus deglutì a fatica e strinse i denti mentre vedeva la bacchetta dell’Auror, stretta tra il medio e il pollice, sollevarsi per schiantarla di nuovo. Fece un volo di tre metri.
«Tutto qui?» le chiese quasi grugnendo. « Forse non sono nemmeno deluso, Ninfadora. Me l’aspettavo.» aggiunse appoggiandosi con entrambe le mani sul suo bastone e dandole il tempo di alzarsi.
«Non chiamarmi Ninfadora, Alastor!» protestò facendo leva sulle braccia e scattando di nuovo in piedi.
Qualcuno avrebbe potuto dire che questa sua ostinazione nel non voler essere chiamata per nome fosse ridicola, ma le non si stancava mai di dirlo. "Pensa a qualcosa di felice! Pensa a qualcosa di felice!” si ripeteva mentalmente nel frattempo.
« Vada per Vulpecula, allora. Avanti, in piedi!» Moody la invitò a raddrizzarsi tirando su col mento. «Stupeficium!»
“Vulpecula”. Nessuno la chiamava così da… Non ricordava nemmeno da quanto tempo. Ma sentì qualcosa risvegliarsi nella sua testa e quasi non sentì lo schiantesimo che Malocchio le stava lanciando; alzò la propria bacchetta e, mentre si preparava a contrastare lo Stupeficium, vide invece un cielo stellato…
*****
Con lo sguardo rassegnato e nostalgico, la madre la prese sulle ginocchia e le indicò le stelle. Tracciò con le dita un ampio perimetro nella volta del cielo e le disse che quella costellazione si chiamava Andromeda. Le raccontò la leggenda che c’era dietro a quel nome e le spiegò che, nella famiglia da cui proveniva, era tradizione assegnare nomi di stelle o costellazioni ai figli. La piccola, incuriosita, chiese come mai allora non avessero dato un nome simile anche a lei, invece di ‘Ninfadora’. Ancora una volta, sua madre le sorrise e le posò un bacio in fronte prima di tornare con lo sguardo verso il cielo stellato. Afferrò la piccola mano della figlia e la guidò fino alla costellazione del Cigno e, con la promessa che prima o poi le avrebbe parlato anche di un certo Cygnus, guidò l’indice della metamorfomagus poco più in basso, indicando qualche stella dalla luce flebile.
«Questa è la costellazione della volpe. Si chiama Vulpecula. » Aveva detto con un sorriso, tenendo lo sguardo fisso in cielo. Tonks aveva storto le labbra, il suo secondo nome le piaceva ancor meno del primo: lo detestava. Ma non se la sentiva di litigare ancora, perciò tacque e restò a fissare anche lei quella manciata di stelle. Si accorse che Andromeda l’aveva stretta più vicino a sé, e cominciò ad elencarle altri nomi di costellazioni e stelle, senza accorgersi che la sua voce stava diventando via via più emotiva. Due stelle soprattutto la colpirono, notò Tonks: Bellatrix e Nashira.
La piccola sapeva ben poco della sua famiglia magica, non che le interessasse poi tanto. Aveva sempre avuto tutto l’amore di cui aveva bisogno dai suoi genitori; inoltre non riusciva ancora a capire perché le sue zie avessero voltato le spalle a sua mamma. Ma mentre la madre le elencava tutte quelle stelle, un pensiero colse la primogenita dei Tonks: Non aveva mai, nemmeno una volta, scorso del rimpianto negli occhi di sua madre. Mai. Nemmeno quando lei le faceva perdere la pazienza. Si ritrovò inspiegabilmente un nodo in gola e circondò il collo di Andromeda con le sue braccia, appoggiando poi la testa sulla sua spalla destra. Aveva immaginato più volte come sarebbe stato avere dei fratelli o delle sorelle, le spiaceva non averne. Però, si disse, doveva essere molto più brutto averli e poi pederli.
Strinse gli occhi perché all'improvviso tutto ciò che la circondava sembrò crescere a dismisura, stava acquistando un valore dieci volte maggiore, e lei venne soprafatta da questa consapevolezza.
«Ti voglio bene, mamma.» sussurrò premendo le labbra contro le guance di Andromeda. Lei aveva abbandonato tutto per suo padre e per lei. Aveva abbandonato tutto per amore e si era costruita una nuova vera famiglia.
*****
Uno, due, tre sbuffi argentei e poi finalmente qualcosa di più concreto cominciò a farsi spazio dalla punta. Due lunghe orecchie sbucarono fuori con prepotenza ma scomparvero presto dalla sua vista. Era una lepre. Una lepre che si era messa a saltellare per tutta la stanza e aveva contrastato con successo lo schiantesimo di Alastor, sfrecciando in direzione del mago. Tonks, sbalordita, spalancò gli occhi meravigliata e aprì le labbra in un sorriso entusiasta. Seguì con lo sguardo la lepre, il suo patronus, che percorse l’intera stanza, un salto dopo l’altro, e finalmente svanì attraversando la finestra.
«Era ora!» tuonò Malocchio, rimettendo la bacchetta all’interno del mantello e zoppicando fino alla porta. «Per oggi basta così, ma domani riprenderemo esattamente da qui. A cosa pensavi, a proposito?» le chiese girando la maniglia.
«M-mia madre.» rispose senza accorgersene, facendo trasparire tutto il suo stupore. Alastor sbuffò e uscì, scuotendo la testa.
Ninfadora Vulpecula Tonks sorrise con tenerezza e si passò una mano tra i capelli rosa-shocking. Pensò a sua madre, la sua adorabile madre. Le somigliava più di quanto volesse ammettere.
Sentì il proprio cuore alleggerirsi e raggiunse anche lei la porta, prendendo l’appunto mentale di chiedere a Moddy di non rivelare mai a nessuno come aveva fatto ad evocare il suo primissimo Patronus corporeo.
{ Esquina de Becky }
Purtroppo no, non sono certa che Tonks abbia davvero un secondo nome ma, tempo fa, girava voce fosse proprio "Vulpecula" e così ho immaginato questo. Troppo azzardato?
Grazie a chi legge, doppia grazie a chi recensisce!
Grazie a chi legge, doppia grazie a chi recensisce!