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Autore: heliodor    15/01/2019    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Prigioniera

 
Sono stata una stupida, si disse Joyce. Stupida e incauta. Stupida e avventata. Ma soprattutto stupida. Stupida. Stupida.
La cella era piccola e vuota, fatta eccezione per una brada e un secchio. Le pareti di pietra sembravano solide e la porta di metallo pure.
Sedette sulla branda, la testa china e le mani premute sulle tempie. Sentiva ancora nei muscoli il dolore della sferza di Heva.
Aveva già provato quel dolore.
Era stato l'alfar Galadiel a farglielo provare, il giorno in cui li aveva trovati nascosti nella grotta.
Aveva giurato di non farsi più sorprendere da quel potere, ma non aveva mantenuto la promessa.
Heva non solo l'aveva colpita, ma l'aveva fatto con una forza e una velocità superiori a Galadiel.
Maledetta donna, pensò con rabbia. Ma che vuole da me? Che le ho fatto di male? Volevo fare la cosa giusta.
Non appena di era ripresa, il suo pensiero era andato al compendio che aveva nella sua borsa. Se lo avessero trovato non sapeva immaginare le conseguenze.
La borsa era nella cella con lei, gettata in un angolo. Qualcuno vi aveva rovistato dentro e quando si era accorto che conteneva solo dei vecchi libri, aveva perso ogni interesse.
In compenso la sacca con le monete era scomparsa.
Poco male, si era detta.
Qualcuno si avvicinò alla porta. Non c'era lo spioncino e la voce arrivò attutita dal metallo spesso diversi palmi.
"Ti sei ripresa abbastanza?" le domandò una voce femminile.
"Da quanto sono qui?"
"Non ti ho colpita forte. Nemmeno sei svenuta, il che vuol dire che hai una buona resistenza. Sei qui da qualche ora."
Joyce scattò in piedi. "Chi sei? E perché mi hai attaccata?"
"Vedo che stai meglio. Sei pronta a rispondere a qualche domanda?"
"No" fece Joyce.
"Bene. Ripasserò più tardi."
"Aspetta" fece Joyce.
L'altra non rispose.
"Che volete da me? Non ho fatto niente."
Silenzio.
Stava per tornare a sedersi, quando udì di nuovo la stessa voce. "Se ci aiuti, ti farò uscire. Ti farò riavere anche le tue monete, se ti dimostrerai davvero utile."
"Non voglio le monete."
"Strano. A tutti piace il denaro."
"Fammi uscire di qui e forse vi aiuterò" disse.
"Non funziona in questo modo, ragazzina. Tu prima ci aiuti e poi ti facciamo uscire. Forse."
"Chi mi assicura che lo farete?"
"Nessuno" rispose Heva. "Ma l'alternativa è restare lì dentro per molto, molto tempo."
La mente di Joyce era in tumulto, pensò e scarto diversi piani prima di dire: "Che cosa volete che faccia?"
"Devi solo scrivere una lettera. Non una lunga, solo poche righe."
"Non so scrivere" disse Joyce.
"Allora dovrai solo firmarla."
"Non so farlo."
"Bugiarda" disse Heva. "C'è qui Brun che mi sta dicendo il contrario."
"Brun?" Era lo stregone che era insieme a Heva.
"Devi sapere che lui è molto bravo a capire quando una persona mente. Com'è che funziona, Brun? Vedi le parole, no? Se sono bianche, stai dicendo la verità. Se invece sono nere, stai mentendo. E le tue sembrano molto, molto nere." Ridacchiò.
Che razza di potere era quello? Pensò Joyce. Non ne aveva mai sentito parlare.
"Allora, che vuoi fare?" chiese Heva.
"Cosa volete che scriva?"
"Poche righe, te l'assicuro" disse la donna.
"Devo pensarci."
"Come vuoi. Tornerò domani."
Joyce tornò a sedersi sulla branda. Le ore trascorsero lente. La cella non aveva finestre ed era buia. Evocò un globo luminoso e passò il tempo leggendo e cercando di tradurre un passo del compendio, ma senza riuscire a concentrarsi.
Si aspettava da un momento all'altro che le portassero da bere e mangiare, ma non accadde.
Quando Heva tornò le sembrò che fossero passati dieci giorni e non poche ore.
"Come ti è sembrata la tua prima notte in cella?"
Non ne aveva idea. Lì dentro il giorno e la notte si assomigliavano. Aveva dormito un po' ma si era svegliata diverse volte.
"Ti senti confusa, vero?" fece Heva divertita. "E vedrai come ti sentirai tra un paio di giorni, senza bere e mangiare e al buio."
"So evocare il globo luminoso" disse Joyce.
"Tra un paio di giorni non ne avrai più la forza."
"Allora userò una palla di fuoco per sfondare la porta e scappare" la minacciò Joyce, mentendo. Non sapeva ancora lanciare quell'incantesimo.
"Provaci pure, se vuoi morire. La cella è troppo stretta e la palla di fuoco ti ucciderebbe all'istante. E non riusciresti né a sfondare la porta né a far crollare le mura. Sono di roccia molto spessa. E non pensare di poter usare un richiamo. Non funzionerebbe."
"E se usassi un portale per andarmene?"
"L'avresti già fatto" disse Heva. "Ma quest'ala della prigione è stata costruita lontano da qualsiasi portale noto. I malinor non sono degli stupidi. Secoli fa costruirono questa prigione per rinchiudervi i loro nemici e fare in modo che non potessero più uscirne se non morti o piegati alla loro volontà. Ed è questo quello che succederà a te."
Joyce mormorò la formula della forza straordinaria e sferrò un pugno alla porta. Il metallo non si piegò nemmeno. Diede altri due pugni e un calcio prima di arrendersi.
"Hai finito?" chiese Heva. "Sfogati pure, se ti fa sentire meglio, esaurirai prima le tue forze."
Joyce tempestò la porta con i dardi magici, ma senza scalfire il metallo. Poi evocò il raggio magico e colpì le mura. Riuscì a staccare qualche scheggia dalle pietre, ma nient'altro.
Solo allora, alla luce tenue del globo luminoso, vide le numerose cicatrici sulle pietre di granito.
In quanti avevano cercato di liberarsi in quel modo prima di lei? Quanti erano rimasti lì dentro a morire un poco alla volta?
Si accasciò sulla branda, esausta. Cominciava a sentire i morsi della fame e della sete, ma cercò di non pensarci.
Doveva resistere. Non poteva cedere al ricatto di Heva.
La donna tornò ore dopo, sorprendendola tra il sonno e la veglia.
"Ti sei decisa?" le chiese. "Vuoi collaborare o morire lì dentro?"
"No" ringhiò Joyce.
"Fai provare me" disse una voce maschile. Non era quella di Brun, profonda e calda. Questa era squillante e con una punta di supponenza.
"Come vuoi."
"Ammiro la tua resistenza" disse la voce del nuovo arrivato.
"Chi sei?" domandò Joyce.
"Il mio nome non ha importanza. Posso dirti che sei qui perché io l'ho voluto. E per un incredibile colpo di fortuna. O di sfortuna, nel tuo caso."
"Che vuoi da me?"
"Devi scrivere una lettera. O, in alternativa, darmi un'occasione per mettere in trappola Vyncent di Londolin, il principe senza corona."
"Mai" gridò Joyce. "Non lo farò."
"Perché?" domandò la voce.
Joyce tacque.
"Tieni a lui più che alla tua stessa vita?"
Non rispondere, si disse. Non rispondere.
"Dal tuo silenzio, arguisco di sì" disse la voce. "Lo sai che il principe senza corona è già promesso sposo a un'altra, vero?"
Certo che lo so, avrebbe voluto dirgli. Quell'altra sono io.
"Anche se..."
Anche se cosa?"
"Anche se la donna a cui è promesso potrebbe essere morta."
Invece sono ancora qui, pensò trionfante.
"È per questo che pensi di avere qualche speranza con lui? Pensi di poterlo conquistare ora che la sua promessa sposa è nelle mani di Malag? Se è così mi spiace deluderti, ma non lo avrai."
Di che cosa parla?
"Vyncent di Londolin si è già promesso a un'altra donna."
"Chi?" chiese Joyce non riuscendo a resistere oltre.
La voce tacque.
"Dimmelo" gridò Joyce all'indirizzo della porta di ferro.
"Non sai proprio niente di quello che è successo a Orfar?" chiese la voce.
"Ho sentito delle voci..."
"Ci sono cose che il popolo ignora, ma io ho visto con i miei occhi che cosa è successo."
"Cosa? Dimmelo."
"Vyncent e la Strega Dorata" disse la voce. "Che meravigliosa coppia. Davvero splendida."
"No" esclamò Joyce. "Stai mentendo. Lui ama la sua promessa sposa."
"Nemmeno è andato a cercarla" disse la voce. "Che amore può provare per lei?"
Joyce fece per rispondere, ma ci rinunciò.
"Davvero credi di poter competere con la strega suprema? Rispetto a Bryce di Valonde, tu non sei niente."
"Ti sbagli" disse Joyce.
"Vyncent ha fatto la sua scelta, rassegnati. Non vale la pena perdere la vita per lui, qualunque sia il motivo che ti spinge a farlo."
"Lui mi ama" disse Joyce.
La voce ridacchiò. "Vyncent? Credi che ti ami? Lui ha già la principessa di Valonde per sé. Non ha certo bisogno di una strega sconosciuta per consolarsi della sua perdita. Ci penserà Bryce a farlo. A meno che..."
"A meno che cosa?"
"A meno che tu non ci aiuti. Scrivi quella lettera."
"No" disse Joyce. "Non lo farò."
La voce sospirò. "Vorrà dire che agiremo in un altro modo. Hai detto che lui ti ma, vero? Vedremo se è così."
"Che vuoi fare?" domandò Heva.
Joyce non sentì la risposta. I due dovevano essersi già allontanati. Invece di scagliarsi contro la porta di metallo, stavolta si gettò sulla branda, la testa nascosta tra le braccia e le gambe raccolte contro il petto.
Singhiozzò per ore, lacerata dal pensiero di Vyncent e Bryce insieme mentre la credevano morta o dispersa chissà dove.
Non è venuto a cercarmi, si disse. Non è venuto. Non merita la mia lealtà. Dovrei dire a Heva che voglio scrivere quella lettera. Se lo meriterebbe per quello che mi ha fatto. E anche Bryce. Anche lei deve essere punita. È stata lei, non c'è alcun dubbio. È dal primo giorno, alla cerimonia per la sua investitura, che cerca di portarmi via Vyncent. Ci ha provato dandomi in sposa a Tharry di Taloras. Me l'ha anche confessato! E ora è convinta di poterlo avere tutta per sé perché mi crede morta. Non le darò questa soddisfazione. Non le permetterò di averla di nuovo vinta.
Andò alla porta e batté i pugni con forza. "Heva. Brun" gridò. "Mi sentite? C'è qualcuno? Ci ho ripensato. Voglio scrivere quella lettera, mi sentite? Voglio scriverla adesso."
Ci fu uno scatto nella serratura.
Joyce fece un balzo all'indietro, spaventata.
La porta si aprì.

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