Anime & Manga > Sailor Moon
Ricorda la storia  |       
Autore: Sognatrice_2000    29/01/2019    1 recensioni
"Il loro amore non era destinato ad essere eterno. Quel sentimento che provavano l’uno per l’altro non era destinato ad invecchiare, a sfiorire, a consumarsi attraverso il tessuto del tempo.
Era una fiamma violenta, che aveva bruciato troppo intensamente e si era spenta troppo presto."
Questa è la storia d'amore di Zoisite e Kunzite, del loro amore durato una sola stagione, del loro amore che era una scintilla rubata d’eternità, una luce splendente in un mondo oscuro e pieno di miserie.
Questa è la storia del loro bellissimo, tragico amore.
"Storia partecipante al Contest "l'Amore, quello vero" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP"
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altro Personaggio, Kunzite/Lord Kaspar, Shitennou/Generali
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Note dell’autrice:

 

In questa storia ho cercato di immaginare com’è nata la storia d’amore tra Zoisite e Kunzite ai tempi del Silver Millennium, ispirandomi alla storia originale del manga in cui erano entrambi generali del principe Endymion, quindi può essere considerata Missing Moment o What if?, decidete voi.

Non sono molto sicura del risultato ma essendo una coppia che amo molto ho deciso di cimentarmi in una mini long su di loro ( sarebbe dovuta essere una one shot, ma partecipa ad un concorso che ha un determinato limite di parole e sarebbe risultata troppo lunga, perciò sono stata costretta a suddividerla.)

Spero di non aver combinato un pasticcio xd lascio a voi il giudizio finale!

Un’ultima precisazione: chi ha letto le mie precedenti storie sa che utilizzo sempre i nomi originali della versione giapponese, ma onde evitare fraintendimenti specifico qui i nomi dell’adattamento italiano e il loro corrispettivo originale.

Jack è Jadeite, Nevius è Nephrite, Nina è Naru, Zachar (che nella versione originale, a differenza dell'adattamento italiano, è un uomo) è Zoisite e Lord Kaspar è Kunzite.

Bene, credo di aver detto tutto. Buona lettura! 

 

 

**

 

 

 

 

“Una triste pace porta con sé questa mattina: il sole, addolorato, non mostrerà il suo volto. Andiamo a parlare ancora di questi tristi eventi. Alcuni avranno il perdono, altri un castigo.

Ché mai vi fu una storia così piena di dolore come questa di Giulietta e del suo Romeo.”

 

 

Zoisite chiuse il libro con un piccolo singhiozzo.  

Si portò le mani alle guance per asciugare le lacrime copiose che scendevano dai suoi occhi, lasciando cadere sul prato la sua copia di Romeo e Giulietta, il suo romanzo preferito.

Non poteva farci nulla, nonostante lo avesse letto così tante volte da essere in grado di citare interi paragrafi a memoria, ogni volta che lo riprendeva in mano non riusciva ad evitare di piangere.

Il suo animo romantico e forse eccessivamente sensibile lo portava a commuoversi profondamente ogni volta che leggeva del destino tragico dei due amanti di Verona.

Zoisite si lasciò andare ad un sospiro sognante, appoggiando la schiena al tronco dell’albero di ciliegio sotto cui si era rifugiato ore prima per ripararsi dai raggi cocenti del sole del primo pomeriggio, lo sguardo rivolto verso il cielo terso.

Chissà se qualcuno l’avrebbe mai amato in quel modo.

Si diede mentalmente dello stupido. 

Spesso la sua mente si perdeva un istante di troppo in quelle sciocche fantasie, dimenticando per un momento la realtà.

Poi, la realtà tornò a bussare con insistenza alla sua porta. 

E per quanto lui non volesse aprire, prima o poi la realtà si stufava di aspettare. 

Estraeva la chiave di scorta e apriva la porticina della sua mente, irrompendo come un fiume in piena.

Un violento colpo di tosse lo scosse da capo a piedi, costringendolo a piegarsi in due sull’erba. 

Il petto gli faceva male da morire, e quando gli spasmi terminarono, riconobbe una macchia di sangue ormai familiare sul palmo della sua mano.

E Zoisite ricordò perché non poteva pensare all’amore, perché non avrebbe mai potuto confessare i suoi veri sentimenti all’uomo di cui era-non così segretamente- innamorato da qualche mese.

Ogni nuova alba era un regalo per lui, ogni respiro per cui lottava una faticosa conquista. 

Doveva essere grato per ogni giorno che riusciva a vivere, evitando di pensare al futuro, evitando di illudersi riguardo ad una possibile guarigione.

Probabilmente non avrebbe visto la prossima estate, e sebbene fosse venuto a patti con questa dolorosa verità ormai da molto tempo, c’era una parte di lui incredibilmente tenace, o forse stupidamente irragionevole, che rifiutava di arrendersi. 

C'erano ancora così tante cose che voleva fare, così tanta vita ancora da vivere. 

Voleva ancora andare a cavallo, voleva ancora esercitarsi con la spada con le altre guardie del principe in duelli che lo lo lasciavano senza fiato e madido di sudore ma soddisfatto delle proprie capacità.

(Perché a dispetto dell’apparenza gracile e apparentemente innocua era un bravo guerriero, uno dei migliori dell’esercito del principe.

La giovane età- il prossimo mese avrebbe compiuto diciassette anni- e la malattia che lo consumava giorno dopo giorno non gli avevano impedito di diventare un generale del principe Endymion.

Poteva non essere particolarmente abile nel combattimento corpo a corpo, ma la forza che gli mancava era compensata dalla sua intelligenza e astuzia. 

Non era un semplice soldato: assieme a Jadeite, Nephrite e Kunzite, era uno dei quattro re celesti, i generali più potenti e qualificati dell’intero esercito, i guardiani personali del principe.)

Voleva ancora essere svegliato dai raggi del sole che gli accarezzavano il viso, voleva ancora vedere i ciliegi in fiore, ballare, correre.

Voleva amare con così tanta intensità da sentire il cuore bruciargli nel petto. 

Fantasticare, anche solo per un momento, come sarebbe scoprire di essere ricambiato, di essere amato con la stessa intensità dall’uomo a cui aveva donato il suo cuore e la sua anima, il suo signore e padrone, il suo mentore, amico e confidente, il suo universo- il suo tutto.

Colui per il quale sperava di vivere sempre un giorno in più, solo per poterlo passare accanto a lui. 

“Zoisite!”  Una voce familiare lo strappò dai suoi pensieri.

Si voltò di scatto, sorprendendosi nel vedere Kunzite dietro di lui.

Istintivamente nascose il romanzo dietro la schiena, sentendo le guance bruciare per l’imbarazzo. Quel libro gliel’aveva prestato la principessa Serenity, la fidanzata di Endymion nonché sua futura moglie, descrivendolo con occhi pieni di lacrime come "la storia d’amore più bella e più triste che abbia mai letto in vita mia.”

Zoisite aveva accettato il libro solo per cortesia, ma dopo aver letto le prime pagine non era più riuscito a staccarsene, scoprendosi talmente rapito e affascinato da quel romanzo da non riuscire più a metterlo via.

Kunzite l’aveva sorpreso più volte a rileggerlo e l’aveva scherzosamente preso in giro per come passava il suo tempo libero, e da quel momento Zoisite si rifugiava in giardino ogni volta che voleva rileggerlo, per non essere visto da lui.

“Che ci fai qui?” Chiese Kunzite, un chiaro rimprovero nella sua voce e nelle sue sopracciglia aggrottate. 

Zoisite piegò le labbra sottili in un broncio infantile, aspettandosi già un’altra delle sue prediche sul fatto che non avrebbe dovuto stare fuori fino a tardi a causa della sua salute cagionevole. 

Avevano litigato innumerevoli volte per questo. 

Zoisite gli aveva urlato contro più volte, ribadendo che lui non aveva nessun diritto di dirgli quello che doveva o non doveva fare, e allora anche Kunzite finiva per perdere la calma, ribattendo che l’avrebbe trascinato di peso nella sua stanza piuttosto che trovarlo svenuto per l’ennesima volta.

Invece questa volta il generale dai lunghi capelli argentati si sedette accanto a lui sull’erba, si sfilò il mantello e glielo posò sulle spalle.

Zoisite strinse i lembi di tessuto attorno al viso, sospirando di piacere mentre inspirava il profumo familiare di Kunzite. 

“È quasi buio, non dovresti essere qui a quest’ora. Prenderai freddo.” La sua voce era morbida, insolitamente gentile, mentre sistemava meglio il mantello sulle sue spalle per riscaldarlo. 

Zoisite non si era accorto di essere scosso dai brividi fino a quel momento. 

Si accoccolò contro il petto di Kunzite, beandosi di quel dolce calore.

Lui non si allontanò, limitandosi a passargli un braccio attorno alle spalle, aspettando che i suoi brividi cessassero. 

“Zoisite, è meglio rientrare.” Sussurrò dopo qualche minuto, ma il ragazzo tra le sue braccia non fece cenno di muoversi né diede segno di averlo ascoltato. “Kunzite…” Cominciò in un sussurro, lo sguardo lontano, perso in chissà quali riflessioni. 

“Credi che qualcuno…” Zoisite esitò per un momento, incertezza e malinconia mischiate nella sua voce. “Credi che qualcuno potrebbe amarmi, un giorno?”

Kunzite ebbe un lieve sussulto, del tutto preso alla sprovvista da quella domanda. Posò una mano sui capelli di Zoisite in una carezza dolce e lenta, come faceva sempre per rassicurarlo ogni volta che era triste.

“So che ad Ami piaci molto.” Suo malgrado, Zoisite ridacchiò a quelle parole.

Ami era un’amica della principessa Serenity; era una ragazza molto intelligente e brillante, ed era piacevole passare il tempo con lei. 

Anche a Zoisite piaceva molto, ma non in quel senso.

Se voleva essere completamente onesto, nessuna ragazza gli interessava in quel senso.

“Dico sul serio, Kunzite.” Si girò per guadarlo negli occhi. “Non mi rimane molto tempo… e prima di andarmene vorrei sapere di essere stato importante per qualcuno. Ci sono volte in cui ho paura che nessuno sentirà la mia mancanza… che nessuno si ricorderà che sono esistito.” Le lacrime gli pungevano gli occhi, ma lottò per non piangere. Si sentiva così sciocco. 

“Vorrei solo… solo che qualcuno si ricordasse di me.” La voce di Zoisite tremò sulle ultime parole, e Kunzite avrebbe solo voluto abbracciarlo e cancellare tutti i suoi timori perché com’è possibile che qualcuno ti dimentichi? Com’è possibile dimenticare una persona così bella coraggiosa forte dolce appassionata piena di luce piena di amore- com’è possibile dimenticare una persona tanto meravigliosa?

Invece rimase in silenzio, incapace di fermare le lacrime che avevano iniziato ad appannare i suoi occhi.

Zoisite si voltò nella sua direzione, guardandolo intensamente, le labbra incurvate in un sorriso che era la cosa meno simile ad un sorriso che avesse mai visto. “Ti ricorderai di me, Kunzite?”

Lui deglutì, un nodo in gola che sembrava voler trattenere le parole.

E quando parlò, infine, non riuscì a riconoscere la propria voce per quanto tremava. “Sei l’unica persona che non potrò mai dimenticare.” 

In quel momento era tutto ciò che aveva bisogno di sentire.

Zoisite gli gettò istintivamente le braccia al collo, ridendo e piangendo contemporaneamente. “Grazie. Sai sempre cosa dire per farmi sentire meglio.”

Rimasero uniti in quell’abbraccio per molto tempo, finché Kunzite si staccò da lui sforzandosi di tornare impassibile, sbattendo le palpebre in fretta per nascondere le lacrime.

“Torniamo dentro adesso. La cena è pronta da un pezzo.”

Non potè impedire ad un piccolo sorriso di farsi largo sul suo volto nel vedere il viso di Zoisite illuminarsi, le ombre che avevano oscurato  il suo sguardo fino a poco prima svanire con la stessa rapidità con cui erano apparse.

Si alzò in piedi con un agile scatto e cominciò a correre, i capelli sparsi nel vento e gli occhi scintillanti di divertimento. “Muoviti, Kunzite, altrimenti mangerò anche la tua porzione!”

Kunzite scosse la testa divertito, chinandosi a raccogliere il mantello che nella sua foga Zoisite aveva lasciato cadere con noncuranza sull’erba.

Lo strinse al petto, inalando l’odore di fiori di ciliegio, quel profumo particolare che era sempre appartenuto solo a Zoisite. 

Delicato, eppure forte, esattamente come lui.

Guardando quell’adorabile terremoto che correva davanti a lui, Kunzite sentì una fitta stringergli il petto. 

Chissà per quante volte ancora lo avrebbe visto correre a piedi nudi sull’erba, chissà per quante volte ancora avrebbe ascoltato quella risata cristallina, piena di vita.

Sapeva che Zoisite era troppo malato per vivere ancora a lungo, eppure ogni giorno si ritrovava a pregare una divinità in cui non credeva, supplicando un altro po’ di tempo. Un altro po’ di tempo per vederlo ridere.

Un altro po’ di tempo per stringerlo tra le braccia.

Si può amare qualcuno così profondamente da non farlo morire?

La notte, sempre più spesso, non riusciva a dormire, allora si alzava e usciva in giardino.

Guardava il cielo, e pregava.

Ti prego, Dio, se sei lassù, non portarlo via da me… ti prego, permettigli di restare…

Ma Dio taceva con un sorriso beato.

 

 

 

 

**

 

 

 

 

Quando la sua schiena si scontrò con i morbidi cuscini del letto, Zoisite non potè evitare di emettere un sospiro deliziato.

Si sentiva più debole del solito quel giorno, aveva proprio bisogno di una lunga dormita. 

Si rannicchiò su un fianco, pronto a sprofondare in un sonno lungo e profondo, ma uno spiraglio di luce che filtrava dalla porta di fronte alla sua lo spinse a sollevare le palpebre incuriosito.

La luce della camera di Kunzite era ancora accesa, notò con stupore.

Forse aveva difficoltà ad addormentarsi.

Kunzite… quella sera gli era sembrato strano, come se fosse preoccupato per qualcosa.

Avevano cenato tranquillamente, ma c’era un’ombra che oscurava lo sguardo di Kunzite, un tormento profondo che non era riuscito a celare. 

Dato che passavano moltissimo tempo insieme, Zoisite ormai aveva imparato a riconoscere alla perfezione i suoi stati d’animo.

Lui e Kunzite condividevano gli stessi alloggi, si allenavano insieme, mangiavano insieme, dormivano in camere vicine. 

Kunzite era il suo mentore, ma soprattutto il suo migliore amico, l’uomo che segretamente faceva battere il suo cuore, che faceva tremare le sue ginocchia con un solo sguardo e infiammava la sua carne con una sola carezza.

Era l’unico che sapeva della sua malattia, colui che era sempre al suo fianco, nei momenti felici e in quelli più bui.

Non si erano piaciuti sin da subito, anzi, tra loro era stato odio a prima vista.

Se soltanto pochi mesi prima qualcuno avesse detto a Zoisite che Kunzite sarebbe diventato non solo il suo migliore amico, ma addirittura la persona che amava di più al mondo, probabilmente gli avrebbe riso in faccia. 

Chiuse gli occhi, tornando indietro con la mente al giorno del loro incontro, e ripensò a tutte le cose che erano cambiate da quel momento.

Il loro rapporto non era cominciato esattamente nel migliore dei modi, eppure, senza sapere come, Zoisite aveva scoperto di amarlo come non credeva fosse possibile amare qualcuno.

Era una sensazione che continuava a crescere giorno dopo giorno, e lui non sapeva come fermarla. Era così intensa che a volte lo spaventava.

Si era innamorato di Kunzite come quando ci si addormenta: piano piano… e poi profondamente.

 

 

 

 

 

 

**

 

 

Sei mesi prima

 

 

 

Posso farcela. Posso farcela.

 

 

Da quando aveva varcato la soglia dell’Accademia Militare Reale, Zoisite aveva continuato a ripetersi nella mente queste parole.

Mentre percorreva i lunghi corridoi dai pavimenti in marmo splendente non potè evitare di far vagare lo sguardo intorno a sè, analizzando ogni dettaglio dell’ambiente circostante.

Ancora non riusciva a credere di essere lì. 

A malapena era in grado di contenere la sua eccitazione, e dovette mordersi più volte le labbra per impedirsi di sorridere in continuazione.

La sua famiglia l’aveva sempre considerata un’utopia, un infantile sogno di ragazzino destinato a rimanere tale.

Quando da piccolo i suoi genitori gli chiedevano che cosa voleva fare da grande, lui impugnava un rametto secco trovato in giardino, brandendolo come fosse una spada, e rispondeva fieramente: “Voglio essere un soldato del principe.”

Loro, puntualmente, scoppiavano a ridere come se avesse detto la cosa più assurda del mondo, scompigliandogli i capelli con un gesto condiscendente.

Come poteva il loro figlio sempre così debole e malaticcio, dal fisico gracile e i lineamenti graziosi di una bambina, ambire a diventare un forte guerriero dell’esercito del loro principe? 

Zoisite ricacciava orgogliosamente indietro le lacrime, arrabbiato e ferito dal loro atteggiamento derisorio.

Si sbagliavano. Avrebbe dimostrato che si sbagliavano.

Era forte, astuto, intelligente. 

Poteva fare qualsiasi cosa, poteva essere chi voleva.

E adesso Zoisite era lì, pronto ad iniziare il suo addestramento per diventare un soldato del principe Endymion, e sebbene si sentisse fremere dall’entusiasmo di dimostrare le proprie abilità e il proprio valore, una parte di lui era terrorizzata.

E se avessero deciso che non era abbastanza temerario, abbastanza forte?

Se l’avessero rimandato a casa, come avrebbe fatto a guardare in faccia i suoi genitori? Troppa vergogna, troppa umiliazione.

No, non si sarebbe lasciato scoraggiare così facilmente.

Avrebbe dato tutto se stesso per realizzare il suo sogno, avrebbe lottato con le unghie e con i denti contro chiunque avesse cercato di portarglielo via.

“Siamo arrivati.” La voce del giovane servo accanto a lui lo riportò alla realtà, costringendolo a fermarsi davanti ad una porta in fondo al corridoio. 

“Era l’ultima stanza disponibile.” Disse sbrigativamente, senza neppure guardarlo in faccia. “Sistema in fretta le tue cose, tra un’ora le nuove reclute si riuniscono nella piazza principale. Massima puntualità.” Si dileguò rapidamente con un breve cenno del capo, lasciandolo lì da solo in mezzo al corridoio, con il cuore che gli martellava furioso nel petto.

Zoisite appoggiò la mano sulla maniglia della porta con un sospiro tremante, poi, dopo aver esitato ancora per qualche secondo, la spinse con decisione.

Con passo incerto varcò la soglia, analizzando accuratamente l’ambiente circostante.

Era una camera piccola, dall’arredamento scarno, ma sarebbe andata bene ugualmente, decise.

Un letto singolo addossato contro la parete, una scrivania posizionata sotto una piccola finestra da cui entravano obliquamente alcuni raggi di sole, un piccolo armadio in legno e un caminetto davanti a cui scaldarsi nelle fredde notti invernali; una porticina socchiusa sulla destra rivelava il bagno adiacente alla camera.

Zoisite richiuse la porta dietro di sè, lasciando cadere a terra il borsone con i suoi vestiti e precipitandosi subito ad aprire la finestra per far entrare nella stanza la tiepida brezza dell’estate.

Si arrampicò sulla scrivania, armeggiando con la maniglia mezza rotta finché non riuscì a spalancarla.

Sporse il volto all’esterno, lasciando che i raggi del sole gli accarezzassero il viso, espirando a pieni polmoni l’aria calda che odorava di rose e spezie.

I suoi occhi si accesero di entusiasmo quando notò che dalla sua finestra poteva ammirare un ampio cortile pieno di stupendi alberi di ciliegio.

Era la stagione della fioritura, perciò i petali rosa volteggiavano liberamente nell’aria sospinti dal vento, creando un’incredibile spettacolo di rara bellezza.

Zoisite aveva sempre amato i fiori di ciliegio, fin da quando era bambino.

Per lui erano il simbolo della bellezza più pura e incontaminata, della meraviglia più autentica prodotta dalla prodigiosa natura della Terra. 

Quei fiori non vivevano a lungo, ma si spegnevano con la loro bellezza ancora intatta. Non sfiorivano, non imbruttivano con il tempo. 

Morivano ancora bellissimi.

C'era qualcosa di poetico in tutto questo. 

Anche Zoisite avrebbe voluto morire così, in modo spettacolare, meraviglioso. Circondato dalla bellezza. 

Con lo splendore della sua giovinezza ancora intatto. 

Un sorriso amaro affiorò sulle sue labbra.

Già, probabilmente sarebbe andata davvero così.

Improvvisamente ricordò quanto fosse importante per lui quest’inaspettata opportunità che gli si era presentata, perché forse poteva davvero essere l’ultima occasione per realizzare il suo sogno.

La malattia non gli avrebbe impedito di lottare per i suoi obbiettivi, di assaporare la vita in tutto il suo splendore.

Lanciò un’ultimo sguardo al cielo terso, e sorrise mentre la determinazione tornava a farsi strada dentro di lui.

Sì, posso farcela.

 

 

 

**

 

 

 

“Nephrite, Kunzite, certamente saprete perché vi ho convocato.”

Endymion guardò alternativamente i due uomini che gli stavano di fronte. 

Quello a destra, con una folta massa di ricci castani e la carnagione scura, il fisico forte ma non eccessivamente robusto, aveva l’aria annoiata di chi vorrebbe trovarsi in qualsiasi altro posto. 

L’uomo alla sua sinistra, dalle spalle larghe e una corporatura ben più imponente, aveva un viso austero circondato da una chioma platinata che gli ricadeva  elegantemente sulle spalle, uno sguardo duro e implacabile stampato nei suoi occhi azzurri e freddi come il ghiaccio. 

“Voi siete i miei migliori generali.” Proseguì Endymion. “E quest’anno, come sicuramente saprete, toccherà esclusivamente a voi addestrare le nuove reclute, in assenza del generale Jadeite, che attualmente sta svolgendo una missione per mio conto.”

I due uomini annuirono un silenzioso cenno del capo.

“Bene. Vi ho convocati per comunicarvi un’ulteriore notizia. Dopo i primi sei mesi di addestramento ognuno di voi potrà scegliere tra i suoi allievi il più meritevole. I vostri allievi dovranno combattere l’uno contro l’altro per decidere chi dei due diventerà il quarto generale.” Alle parole di Endymion entrambi i generali si irrigidirono, lanciandosi silenziosi sguardi di sfida.

Endymion era furbo, considerò Kunzite.

Grazie a quella piccola competizione avrebbe determinato chi tra lui e Nephrite era il generale migliore, e ne avrebbe guadagnato un altro.

Kunzite dubitava fortemente che tra quei ragazzini si celasse qualcuno degno di tale titolo, ma mettere in discussione gli ordini del loro principe non era una possibilità.

“È tutto chiaro?”

“Sissignore.” Risposero i due generali all’unisono mettendosi sull’attenti.

“Bene, è tutto. Potete andare.”

“Secondo me quest’idea è una perdita di tempo.” Disse sottovoce Nephrite non appena furono usciti dalla stanza. “Credi veramente che qualcuno di questi ragazzini potrebbe diventare il quarto generale del principe? La maggior parte di loro non sono buoni nemmeno ad essere semplici soldati.”

“Immagino che lo scopriremo presto.” Rispose laconico Kunzite, sorpassandolo senza aggiungere altro.

Nephrite lo guardò allontanarsi con aria scettica. 

Kunzite era un uomo arrogante e presuntuoso, convinto di essere superiore a qualsiasi altro essere umano del pianeta, persino al loro principe.

Neppure il soldato più capace sarebbe riuscito ad impressionarlo. 

Provava già compassione per quei poveri ragazzi che avrebbero dovuto allenarsi sotto la sua guida.

 

 

 

 

**

 

 

 

Schierati sul piazzale sotto il sole cocente di mezzogiorno, quattro file di giovani uomini attendevano silenziosi l’apparizione dei loro comandanti.

In seconda fila, Zoisite si alzò sulle punte dei piedi, sporgendosi per vedere meglio i due uomini comparsi davanti a loro, uno bruno e l’altro dai capelli platinati, vestiti con uniformi viola perfettamente identiche e stivali scuri che gli arrivavano fino alle ginocchia.

L'unica differenza nell’abbigliamento tra i due era l’ampio mantello che l’uomo dai capelli argentati portava sulle spalle.

Per un attimo Zoisite dimenticò come respirare. Non riusciva a staccare gli occhi dall’uomo con i capelli platinati, dal suo viso severo che pareva scolpito nella pietra, la mascella decisa e il fisico possedente… era davvero l’uomo più bello che avesse mai visto, bello come una divinità o una creatura ultraterrena, pensò senza potersi impedire di arrossire.

“Io sono Nephrite.” Si presentò l’uomo castano, distraendolo dai suoi sogni ad occhi aperti. “Sono uno dei generali di Sua Altezza.”

“Il mio nome è Kunzite.” La voce dell’altro uomo era talmente fredda che gli procurò un brivido lungo la schiena. “Per le prossime settimane saremo noi ad insegnarvi tutto ciò che dovrete sapere per far parte della guardia personale di Sua Altezza. Tecniche di combattimento, incantesimi di attacco e di difesa. Sarà un addestramento molto difficile e faticoso, al quale sicuramente la maggioranza di voi sicuramente non è idonea. Chi pensa di non poter superare l’addestramento è pregato di dirlo subito e di farsi da parte, in questo modo eviteremo un’inutile perdita di energie e di tempo.”

Sul piazzale calò un silenzioso teso, tutti rimasero immobili.

Zoisite provò un moto istantaneo di antipatia per quell’uomo, provando l’impulso di cancellare quel ghigno borioso e vagamente compiaciuto dalla sua faccia con un pugno ben assestato. 

Era arrabbiato con se stesso per aver pensato che fosse bello e affascinante.

Strinse i pugni per trattenersi, così tanto che le nocche divennero bianche, puntando i suoi occhi su di lui con aria di sfida, per dimostrargli la sua ferrea volontà di restare lì. Non sarebbe bastato così poco a farlo desistere.

I loro occhi si incontrano per un breve momento, ingaggiando una battaglia silenziosa. Azzurro contro verde, fuoco contro ghiaccio.

Zoisite notò qualcosa di simile alla sorpresa negli occhi di Kunzite, e gli angoli della sua bocca si sollevarono in un sorrisetto soddisfatto.

“Benissimo.” Intervenne Nephrite quando fu chiaro che nessuno dei presenti si sarebbe mosso. “Il vostro addestramento comincerà domani, e durerà sei mesi. Sarete suddivisi in due gruppi, uno sotto il mio comando e l’altro agli ordini di Kunzite. Quelli che riusciranno a superarlo entreranno ufficialmente a far parte della guardia reale.”

“Tuttavia…” Si intromise Kunzite. “Soltanto due di voi saranno scelti per la competizione finale. Io e Nephrite sceglieremo il soldato migliore del nostro gruppo, e coloro che saranno scelti dovranno gareggiare in un duello, sia con armi reali che magiche. Il vincitore diventerà il quarto generale del principe, insieme a me, Nephrite  e Jadeite, che attualmente non si trova a palazzo.” 

Ti prego, ti prego, fa’ che non sia nel suo gruppo.

“Le prime due file con me, la terza e la quarta con Nephrite.”

Perfetto. 

Zoisite sentì ogni sorta di entusiasmo che aveva nutrito fino a quel momento abbandonarlo definitivamente. 

Avrebbe dovuto passare i prossimi sei mesi sotto il comando di quell’uomo insopportabile che evidentemente provava una sorta di piacere perverso nello scoraggiare i nuovi arrivati. 

Nephrite sembrava più gentile, o almeno con una propensione al sadismo decisamente inferiore. 

Era certo che sarebbe stato tutto più semplice se fosse stato lui il suo maestro.

Perché tutte le sfortune dovevano capitare a lui?

“Sono onorato di avere una donna così bella come allieva. Graziosa e delicata come una rosa.” Sobbalzò nel ritrovarsi improvvisamente davanti Kunzite, che lo guardava con le labbra increspate in un piccolo sorriso sarcastico, quietamente divertito. “Non sapete che l’esercito non è il posto adatto per una giovane fanciulla come voi?” 

Zoisite sentì delle risatine alle sue spalle e avvampò per la rabbia e l’umiliazione. Come si permetteva quel presuntuoso di metterlo in imbarazzo in quel modo?

Senza riflettere evocò un vortice di petali di ciliegio, l’unico attacco che per il momento riusciva a padroneggiare con sicurezza, impegnandosi per renderlo il più potente possibile. 

La raffica fu così potente che fece sbilanciare Kunzite , cogliendolo di sorpresa e facendolo cadere a terra con un tonfo sonoro.

Zoisite sorrise e incrociò le braccia al petto, gettando un’occhiata soddisfatta all’uomo ai suoi piedi che lo guardava con occhi furiosi. “Vi conviene fare attenzione, mio signore. Anche la rosa più delicata nasconde spine affilate come spade con cui potreste pungervi.”

Kunzite rimase in silenzio per un lungo istante con un’espressione indecifrabile, tanto che Zoisite cominciò seriamente a temere che gli avrebbe riservato qualche terribile punizione o che lo avrebbe rimandato a casa per il suo affronto.

Era un suo incorreggibile difetto, quello di agire impulsivamente senza pensare alle conseguenze.

Poi improvvisamente Kunzite  si rialzò in piedi e afferrò Zoisite con uno scatto fulmineo a cui il giovane non era assolutamente preparato. 

Le sue mani gli circondarono il collo, stringendolo come se volesse strangolarlo, ma nonostante l’impulso di tossire e di lottare per liberarsi dalla sua presa Zoisite si sforzò di rimanere fermo, guardandolo con tutta la rabbia e l’odio di cui era capace. Non aveva paura di lui, non aveva paura di nessuno.

Lui era forte. Malato ma forte, dannazione.

“Provaci di nuovo, e ti staccherò questa bella testolina dal corpo senza pensarci due volte.” Sussurrò Kunzite a pochi centimetri dal suo viso; la sua voce fredda e crudele gli penetrò nel cervello, mandandogli brividi lungo tutto il corpo.

Tuttavia si sforzò di mascherare la paura che stava iniziando ad assalirlo sotto un sorrisetto provocatorio. “Sarebbe un peccato, mio signore, la mia intelligente testolina potrebbe rivelarsi molto utile per il vostro esercito.”

Gli occhi di Kunzite  si fecero più scuri, e per un attimo Zoisite temette che lo avrebbe ucciso seriamente, proprio adesso, proprio lì, davanti alle altre reclute, solo per insegnare loro cosa succedeva ai soldati impertinenti che non sapevano stare al loro posto.

Invece la sua espressione si fece inaspettatamente più morbida, come se fosse segretamente divertito dalla sua audace insolenza, e lentamente lasciò la presa. “Staremo a vedere.” Sussurrò al suo orecchio poco prima di lasciarlo andare. 

Alle orecchie di Zoisite suonava come un’oscura, terribile minaccia.

 

 

 

 

**

 

 

 

 

Il giorno dopo Zoisite si svegliò su un letto morbido e confortevole, con le ginocchia piegate al petto e la testa pesante, ancora annebbiata da una notte agitata, popolata da incubi confusi su un certo generale dagli occhi di ghiaccio.

Appoggiò la testa su un gomito e sbadigliò, lasciando vagare lo sguardo fuori dalla finestra. Gli stagni scintillavano, illuminati dai riflessi dorati del sole del mattino e i rami degli alberi frusciavano dolcemente, sospinti dal vento. 

Si passò la mano tra i riccioli ramati mentre allungava l'altro braccio sopra di lui e inarcò la schiena, distendendo ogni vertebra nella sua spina dorsale.

Alzandosi, abbassò lo sguardo sulla scrivania e vide un pezzo di pergamena che il giorno prima non c’era poggiato sul legno e una spada di bronzo con una pietra verde incastonata sull’elsa.

“Zoisite" Cominciò a leggere ad alta voce il messaggio scritto sulla  pergamena. “Vediamoci all’alba nel cortile vicino ai ciliegi per l’allenamento. Non fare tardi." Spostò lo sguardo verso la firma scarabocchiata in fondo. Kunzite. Purtroppo per lui, avrebbero dovuto passare insieme ogni giorno per i prossimi sei mesi. 

Sospettava che dopo la sua memorabile uscita del giorno prima Kunzite avrebbe fatto di tutto per rendere particolarmente difficile il suo addestramento.

Zoisite fece un passo verso la finestra. 

Lanciò un'occhiata al sole già alto nel cielo, constatando che probabilmente non doveva essere prima delle nove del mattino.

Afferrò la spada e sfrecciò immediatamente fuori dalla stanza, correndo trafelato attraverso i lussuosi corridoi del palazzo.  

Una volta raggiunto il cortile volse lo sguardo in tutte le direzioni, cercando invano di individuare la sagoma di Kunzite. Strinse lo sguardo mentre si schermava gli occhi dal sole splendente con la mano. Forse Kunzite si era stancato di aspettarlo e se n’era andato. Chissà com’era arrabbiato con lui adesso… 

Pazienza, tanto dubito che potrà odiarmi più di quanto non faccia già.

Zoisite sospirò rassegnato, già pronto ad andarsene, quando improvvisamente lo vide. 

Il suo insegnante era seduto sotto un ciliegio, la schiena poggiata contro il tronco dell’albero. 

Teneva la testa bassa e le braccia incrociate, i capelli platinati lunghi fino alle spalle gli ricadevano sul viso, nascondendo il suo sguardo severo. Di nuovo, pensieri inopportuni si affacciarono nella mente di Zoisite. 

Kunzite sembrava un dio. La sua bellezza era troppo perfetta per una creatura di questo mondo.

Zoisite si avvicinò lentamente, una paura infantile dominava ogni suo movimento. 

Lui, che non aveva mai avuto paura di niente in vita sua, nemmeno della malattia che divorava lentamente il suo corpo, si era scoperto tremante al cospetto di quell’uomo, disperatamente desideroso di ottenere la sua approvazione. Dannazione, perché l’approvazione di un uomo che conosceva da un giorno, che peraltro nemmeno gli stava simpatico, era diventata d’un tratto così importante, così essenziale per lui?

Si inginocchiò nervosamente davanti al suo padrone e posò il pugno sul suo cuore, abbassando la testa in segno di rispetto. 

“Perdonami, Kunzite.” Sussurrò Zoisite, sforzandosi di nascondere la paura nella sua voce.

Kunzite non rispose immediatamente. Si alzò in piedi e rimase immobile a guardare il suo allievo ancora inginocchiato sull’erba, che non osava nemmeno alzare lo sguardo su di lui.

“Sei arrivato in ritardo il tuo primo giorno di allenamento” Cominciò freddamente. "Non è molto promettente."

“Perdonami.” Ripetè Zoisite, non osando ancora incrociare il suo sguardo. 

Kunzite non sembrò impietosirsi, anzi il suo tono si fece ancora più duro. 

“Non sei disciplinato e devi affrontare la tua punizione.” 

Gli occhi di Zoisite si spalancarono, saettando in direzione della spada che Kunzite teneva in mano, e istintivamente strinse la mano intorno alla elsa della sua arma.

Con un rapido movimento, Zoisite rotolò all'indietro per evitare l'attacco di Kunzite. 

Kunzite continuò ad attaccarlo con tutta la sua forza e Zoisite fece tutto il possibile per schivarlo. 

Era notevolmente più basso di Kunzite e aveva una corporatura decisamente più minuta, ma poteva fare affidamento sulla sua velocità e agilità piuttosto che sulla forza.  Cercava di parare più colpi che poteva, ma era tutto inutile, Kunzite era troppo forte, non poteva sperare di batterlo.

“Con me non si scherza, ragazzino. Potrei spezzarti tutte le ossa con un solo colpo della mia spada.” Zoisite fu percorso da un brivido, ma si rifiutò di farsi vedere spaventato e continuò a ribattere colpo su colpo.

Come poteva sentirsi attratto da un tale demonio? Come poteva un un uomo così bello esteriormente essere tanto orribile dentro?

“Ti arrendi?” Zoisite strinse i denti e scosse la testa. “Mai.” Sentiva il sudore colargli lungo la faccia, le guance in fiamme e il fiato corto, ma avrebbe preferito morire piuttosto che dare una simile soddisfazione a quel bastardo.

Si lanciò in avanti con foga, ma Kunzite parò facilmente il colpo e lo attaccò con altrettanta facilità.

Zoisite sentì un dolore improvviso e lancinante al braccio destro. 

La manica della camicia che poco prima gli aveva coperto il braccio si era strappata, aprendosi in un’enorme fessura, così come il dorso del suo braccio dal gomito al polso. Si accasciò con la schiena contro l’albero  più vicino, mentre la punta della spada del suo maestro si posò sotto il suo mento. Strinse a pugno i fili d’erba sotto di lui per evitare di gridare, tenendosi il braccio ferito con l’altra mano, questa volta senza mai staccare gli occhi da quelli di Kunzite.

Non avrebbe implorato pietà, non avrebbe tremato, non avrebbe neppure pianto. Avrebbe affrontato qualsiasi punizione con dignità, a testa alta, senza paura.

Kunzite lo fissò a lungo, come se stesse seriamente valutando la possibilità di farlo vivere oppure no.

Poi, senza alcun preavviso, lo lasciò andare.

“Vai.” Sussurrò infine,  rinfoderando la spada e distogliendo in fretta lo sguardo da quegli occhi verdi così puri, così determinati, così impavidi e coraggiosi anche di fronte all’eventualità della morte. 

Non sarebbe stato capace di sostenere quello sguardo un secondo di più.

 

**

 

Zoisite entrò nella vasca da bagno bianca e lucente della sua stanza, iniziando a sfregare energicamente le mani e il viso per togliervi ogni traccia di terra. Il taglio sul suo braccio era abbastanza profondo e non riusciva a fermare l'emorragia. 

Ogni volta che spruzzava acqua sulla ferita, fitte acute e lancinanti  gli attraversavano l’intero braccio, facendolo trasalire per il dolore.

Sentendo dei passi sommessi, Zoisite alzò gli occhi dalla sua ferita e vide un uomo in piedi davanti alla porta del bagno. 

Aveva lunghi capelli castano scuro e penetranti occhi nocciola. Teneva un braccio appoggiato allo stipite della porta per sostenersi mentre osservava Zoisite. Lo riconobbe subito: era Nephrite, l’altro generale che si sarebbe occupato dell’addestramento delle reclute insieme a Kunzite.

“Stai bene?”Chiese in tono gentile. “Stavo passando per il cortile e ho visto che stavi combattendo contro Kunzite… ti ha ferito?” Si diresse verso Zoisite, che stava lottando per avvolgere una benda attorno al suo braccio. Con un sospiro di sconfitta, Zoisite tese il braccio verso Nephrite, troppo esausto per rifiutare la sua gentilezza.

"Il taglio è profondo e dovrà essere ricucito.” 

Zoisite distolse lo sguardo non appena vide l'ago che Nephrite avrebbe usato. Strinse i denti, premendosi la mano sulla fronte e continuando a mordersi le labbra per non urlare.

"Vuoi dirmi cosa è successo?" Chiese Nephrite dopo aver terminato la medicazione, mentre finiva di fasciare il braccio di Zoisite.

Zoisite rimase in silenzio e scosse la testa. 

“Almeno il tuo nome puoi dirmelo?” C’era una nota di irritazione nella sua voce.

“Zoisite.” Rispose lui freddamente, senza nemmeno guardarlo in faccia.

“Bene, Zoisite. Se vuoi evitare altri spiacevoli incidenti come quello di oggi, ti consiglio di non mettere alla prova la pazienza di Kunzite. Non sarà altrettanto comprensivo una seconda volta.”

Senza aggiungere altro, uscì dal bagno chiudendo la porta di sé. 

Zoisite si alzò a fatica, reggendosi con una mano il braccio ferito mentre osservava il suo riflesso nello specchio. 

Vide i suoi occhi color smeraldo fissarlo di rimando con un’espressione spaventosamente vuota; i suoi lunghi capelli ramati, di solito legati in una coda di cavallo, erano sfuggiti all’elastico e ora ricadevano in ciocche disordinate sulla sua spalla nuda. 

Le punte dei suoi capelli erano appiccicose di sangue e la sua frangia era incollata alla fronte sudata. Si sentiva debole e patetico. Perché Kunzite gli aveva fatto una cosa del genere?  Era sua intenzione fin dall'inizio non dargli la possibilità di leggere il biglietto per farlo arrivare in ritardo e dargli così un pretesto per combattere contro di lui?

Era forse una punizione per essersi preso gioco di lui il giorno prima?

Queste domande continuarono ad agitarsi nella sua mente mente usciva dal bagno e si dirigeva verso l’armadio. Afferrò una camicia bianca e dei pantaloni del medesimo colore da uno dei cassetti e li indossò in fretta prima di uscire in corridoio, attirato dalle voci concitate di due uomini che litigavano che diventavano più nitide man mano che si avvicinava allo spiraglio dell’unica porta lasciata socchiusa. 

“Nephrite.” Ringhiò Kunzite in tono rabbioso. "Non è saggio da parte tua mettere in dubbio il mio giudizio."

Zoisite si fermò vicino dalla porta socchiusa, stando attento a non fare rumore. Attraverso quel piccolo spiraglio, poteva vedere il riflesso de suo maestro e dell'uomo dai capelli castani che aveva medicato il suo braccio.

"Non ti rendi conto di quello che gli hai fatto?" Stava dicendo Nephrite, in un tono che suggeriva una certa dose di rabbia.

"Avrei potuto fare di peggio.” Rispose freddamente Kunzite. 

Nephrite scosse la testa, incredulo. “Cosa c'è che non va in te, Kunzite?" Gridò con rabbia. “È un tuo allievo ed è una tua responsabilità. Se dovesse succedergli qualcosa…”

“Hai ragione, è un mio allievo, e in quanto tale ha bisogno di imparare a rispettare il suo maestro.” Replicò Kunzite, glaciale.  

"E come suo maestro, non dovresti aver bisogno di pretendere rispetto da lui! Dovrebbe rispettarti di sua volontà.”

“Hai visto come si è comportato ieri. Ha bisogno di un po’ di sana disciplina.”

“E credi che dopo quello che è successo oggi otterrai più facilmente il suo rispetto?”

"Non mi interessa.” Mormorò Kunzite, dopo qualche attimo di silenzio. 

La freddezza nella sua voce lo colpì come un pugno in pieno viso. 

Zoisite abbassò la testa e si morse il labbro inferiore. Dunque a Kunzite non importava davvero nulla di lui. Perché questa consapevolezza faceva così male? 

Si mise una mano a coppa sulla bocca, lottando per non piangere.  

Kunzite fece un respiro profondo per calmarsi. La sua voce divenne più tranquilla. "Non ho mai voluto essere il suo maestro, tanto per cominciare.”

Zoisite fece scivolare la schiena lungo la parete, sedendosi sul freddo pavimento in marmo. Si portò le ginocchia al petto, passandosi una mano sul viso rigato di lacrime.

"Questa non è una tua decisione, Kunzite, lo sai.” Rispose seccamente Nephrite. "Dagli una possibilità."

Zoisite appoggiò la testa contro il muro dietro di lui. 

Ci un breve attimo di silenzio, interrotto dalla voce fredda di Kunzite, che replicò un “no” secco prima di uscire dalla stanza, sbattendo la porta dietro di sé.

Zoisite lo guardò allontanarsi lungo il corridoio, stupito che non si fosse nemmeno accorto della sua presenza.

Dopo pochi secondi, anche Nephrite si precipitò fuori dalla stanza e gli passò accanto, senza dare il minimo segno di averlo visto.  

Meglio così.

Almeno nessuno avrebbe visto le sue lacrime.

 

 

**

 

 

 

 

Quando Zoisite si svegliò, si sorprese nel ritrovarsi ancora seduto sul pavimento nella stessa posizione, con la schiena poggiata contro il muro, fuori dalla stanza dove aveva origliato la discussione tra Kunzite e Nephrite. Non ricordava di essersi addormentato lì. 

Per quanto tempo aveva dormito? Cercò di alzarsi dal pavimento, ma era troppo debole e le ginocchia cedettero, facendolo ricadere all’indietro. Si sentiva stanco e stordito, perciò rimase sdraiato nella medesima posizione, rannicchiandosi su se stesso prima di chiudere gli occhi e sprofondare di nuovo in un sonno profondo.

 

 

**

 

 

Questa volta si risvegliò nella sua stanza, disteso sul suo letto. 

Un uomo anziano con gli occhiali era seduto in fondo al materasso. Aveva una valigetta di cuoio in grembo e indossava un lungo camice bianco. Doveva essere un dottore. Chi l’aveva chiamato?

Stava scrivendo qualcosa su un piccolo taccuino, ma da quella distanza Zoisite non poteva vedere cosa.  

Seppur in modo sfocato, Zoisite vide Nephrite entrare nella stanza. Poteva sentire chiaramente le voci intorno a lui.

“Come sta?” Chiese ansiosamente il generale all’uomo con il camice bianco.

Lui gli prese il polso e mise due dita sulle vene per sentire il battito del cuore. 

“È molto debole.” Rispose in tono grave. "È ancora vivo, per adesso, ma dobbiamo riaprire la ferita e disinfettarla meglio. Forse  in questo modo possiamo impedire la diffusione dell’infezione.” 

Un momento. Sono sveglio. Posso vedere Nephrite e il dottore, posso sentirli parlare. Devo essere sveglio. Riesco a sentire quello che dicono. Il mio polso è debole? Sto morendo? Perché non riesco a muovermi? Perché non vedono che sono sveglio? Cosa mi sta succedendo? 

I pensieri si accavallavano nella mente di Zoisite, mentre la sua angoscia cresceva sempre di più. 

Dopo pochi minuti, Zoisite notò che il dottore aveva aperto la sua valigetta, estraendone alcuni strumenti con cui iniziò subito ad armeggiare. C'erano macchie di sangue sui suoi guanti bianchi: il suo sangue. Zoisite fece una smorfia quando l'uomo si sporse verso il suo braccio con quello che sembrava un coltello in mano, ma si stupì quando iniziò ad incidere la sua carne e non provò alcun dolore. 

Non riesco a sentire nulla. Sto morendo davvero, allora. 

Non avrei mai pensato che sarei morto così. Eppure sta succedendo.

“Devo avvertire una persona.” Disse improvvisamente Nephrite, uscendo in tutta fretta dalla stanza. La speranza di Zoisite si riaccese: stava andando da Kunzite?

Doveva lottare, non poteva arrendersi proprio adesso.

Se davvero stava morendo, voleva vederlo almeno un’ultima volta.

Dopo alcuni estenuanti minuti di attesa, Nephrite rientrò nella camera senza dire nulla, appoggiandosi al muro con le braccia incrociate mentre seguiva con gli occhi i movimenti del dottore. 

Non c’era nessuno con lui.

Il ghiaccio si conficcò nel cuore di Zoisite. 

Non verrà. Non vuole vedermi nemmeno adesso che sto morendo.

È tutto così assurdo. 

Sto morendo, e l'unica cosa a cui riesco  a pensare è che voglio disperatamente vedere Kunzite. Mi basterebbero pochi secondi.

Vorrei tanto potergli parlare ancora una volta.

Vorrei sapere che cosa ho fatto per meritare la sua rabbia.

Devo svegliarmi. Devo parlare con lui.

Il dottore aveva smesso di medicare la sua ferita e adesso stava dicendo qualcosa a Nephrite, ma Zoisite non riusciva a sentire cosa, né gli importava. Non dovevano essere notizie positive.

Nephrite gli lanciò uno sguardo evidentemente teso, mormorò “capisco” in tono rassegnato e lo ringraziò, accompagnandolo fuori dalla stanza.

No no no no non posso arrendermi! Devo svegliarmi, devo assolutamente svegliarmi!

Ma se non lo facessi… che cosa cambierebbe?

Non c’è nessuno a cui importi di me. Sono solo.

Non c’è niente per cui valga la pena restare.  

La porta si spalancò all’improvviso, rivelando una sagoma alta e possente in controluce. 

Kunzite avanzò fino al letto di Zoisite, senza mai staccare gli occhi dalla sua sagoma addormentata.

Speranza. Un fiotto caldo, da dare i brividi.

Zoisite la sentì scorrere come un fuoco bollente nelle sue vene, risvegliandolo dal suo torpore. 

Non sono solo.

Kunzite si sedette in silenzio alla scrivania, continuando a fissarlo per lunghi istanti.  

"Se morissi, sarebbe davvero tutto più facile.” Mormorò all’improvviso. "Perchè se ti risveglierai…” Chiuse gli occhi e sospirò mentre voltava la testa. I capelli  argentati gli ricaddero davanti al viso. 

“…sarò costretto a convivere ogni giorno con quello che ti ho fatto. Ogni volta che ti guarderò non potrò fare a meno di pensare al male che ti ho fatto…" La sua voce si spense, come se fosse incapace di proseguire. Una piccola risatina amara scoppiò senza preavviso fuori dalle sue labbra. “Sai, non mi era mai capitato di sentirmi in colpa finora.”

Mi dispiace, Kunzite.

“Ero troppo orgoglioso per ammettere che ho visto un potenziale in te fin dall’inizio.” Aggiunse sottovoce. “Tutto quello che dovevo fare era mettere da parte il mio stupido orgoglio...”  

Che cosa?

“…e ammettere che c’era qualcosa, in te, che mi ha colpito fin dal primo istante.” Continuò a parlare, apparentemente senza alcuna emozione, anche se Zoisite si accorse che i suoi occhi erano lucidi. “Non pensavo di averti ferito in modo tanto grave. Se solo sapessi quanto mi dispiace…”

Kunzite…

Devo svegliarmi.

Non posso morire, non adesso, non dopo quello che mi ha detto… 

Gli occhi di Zoisite si spalancarono. 

Poteva sentire il dolore intenso che si riverberava lungo tutto il suo braccio. Poteva muovere la testa. 

Poteva vedere il suo maestro seduto di fronte a lui. Era vivo. 

Cercò di muoversi per far capire a Kunzite che si era svegliato. 

Zoisite rotolò su un fianco, cercando di non fare pressione sul braccio ferito. Strinse gli occhi per proteggersi dalla luce accecante che gli trafiggeva le pupille.

"Sei vivo.” Sussurrò Kunzite, precipitandosi al suo fianco. “Grazie a Dio."

Sono vivo.

Zoisite si sollevò a fatica, abbastanza da poter appoggiare la schiena alla testiera del letto. “Kunzite." Mormorò con voce appena udibile. Si sentiva debole e parlare gli aveva tolto molte energie.

All’improvviso qualcosa cambiò nello sguardo di Kunzite.

La dolce preoccupazione che aveva colorato il suo viso fino a quel momento sparì di colpo, sostituita dall’espressione gelida che Zoisite aveva già imparato a riconoscere. Si allontano senza dire niente, uscendo proprio nell’esatto momento in cui Nephrite e il dottore stavano rientrando nella stanza. “È sveglio.” Si limitò a dire prima di chiudersi la porta alle spalle.

Zoisite sentì la gola serrarsi mentre lo guardava andare via.  

"Come ti senti?" Chiese il dottore. Nephrite era in piedi accanto a lui, ma non disse nulla.  

“Bene." Mentì Zoisite. Chiuse gli occhi, cercando di ricacciare indietro le lacrime che premevano agli angoli degli occhi. "Vorrei restare solo per un po’.”

“Zoisite…” S’intromise Nephrite, in un tono che suggeriva un’imminente protesta.

"Per favore.” Lo fermò Zoisite con tutta la convinzione di cui era in possesso, guardandolo con due occhi fermi che non ammettevano repliche.

Nephrite e il dottore accolsero la sua richiesta e si congedarono, lasciandolo finalmente solo. 

Zoisite premette entrambi i palmi sulle tempie. 

Il forte dolore alla testa gli rendeva difficile persino tenere gli occhi aperti. La stanza smise lentamente di girare. Espirò profondamente mentre la sensazione di nausea diminuiva.

Fece scivolare le gambe da un lato e si alzò in piedi con cautela. 

Si sentiva ancora debole, ma riuscì a mantenere l'equilibrio. 

Indossò una camicia da notte di seta bianca che gli arrivava fino alle caviglie che faceva risaltare ancora di più la sua pelle pallida, e invece di raccogliere i capelli nella consueta coda di cavallo decise di lasciarli sciolti, liberi di ricadere in morbide onde disordinate sulle spalle.  

Si aspettava quasi di vedere Nephrite in piedi fuori dalla porta, ma il corridoio era deserto. Svoltò a destra, concentrandosi per riconoscere l'ambiente circostante, ma tutto sembrava nuovo ed estraneo.

Alla fine del corridoio c'era una serie di scale a chiocciola. 

Zoisite deglutì e strinse il corrimano intarsiato. Si sentiva ancora più stordito di prima e la sua vista stava cominciando a diventare sfocata. Premendo il palmo sulla fronte bollente, si sedette. Appoggiò la testa contro il muro freddo e chiuse gli occhi.

“Non ti consiglio di provare a scendere quelle scale.”  

Zoisite  girò leggermente la testa, non sorpreso di vedere Kunzite dietro di lui. Si alzò in piedi e si appoggiò con una mano al muro.

“Se non avessi tentato di resistermi, tutto questo non sarebbe successo.” Zoisite inarcò un sopracciglio. Sul serio? Quindi sarebbe colpa mia?

Si morse la lingua per trattenere una replica pungente. Sapeva che sarebbe stato umiliante, ma aveva bisogno di dirgli quello che sentiva veramente. 

“Mi dispiace, Kunzite.” Si fece coraggio e riprese fiato prima di proseguire. 

“Mi dispiace di essere arrivato in ritardo per il mio allenamento, e mi dispiace se ti ho mancato di rispetto.” Zoisite fece una pausa e scosse la testa con una risatina incredula. “Mi dispiace persino che tu mi abbia fatto questo.” Tese il braccio ferito, che Kunzite afferrò delicatamente con una mano. 

Zoisite cercò di liberare il braccio dalla sua presa, ma il movimento gli provocò un forte dolore. Trasalì.

“Guarirà.” Dichiarò tranquillamente Kunzite, facendo scorrere il pollice lungo la fasciatura attorno al suo braccio.

“Sì." La voce di Zoisite grondava sarcasmo. Finalmente riuscì a liberare il suo braccio dalla morsa di Kunzite. "Non grazie a te.”

Kunzite si irrigidì, ma non replicò in alcun modo.

Entrambi rimasero in silenzio. Zoisite aspettò che Kunzite dicesse qualcosa, qualsiasi cosa.

 "Almeno lascia che ti aiuti a scendere di sotto.” Disse improvvisamente Kunzite, quasi in un sussurro.

Zoisite fu colto alla sprovvista dalla sua preoccupazione.

Ma per quel giorno aveva finito di mostrare debolezza. “No." Affermò seccamente.

“Vorrà dire che starò qui finché non sarai in grado di alzarti e camminare senza rischiare di svenire.”

Zoisite  sbuffò e si sedette in cima ai gradini, appoggiando il gomito sul ginocchio e appoggiando il mento sul palmo, dandogli le spalle. “So badare a me stesso. Non sono debole, Kunzite.”

"Non intendevo dire questo.” Disse Kunzite appoggiandosi al muro. Incrociò le braccia e i capelli argentati gli ricaddero sulle spalle mentre abbassava la testa.

Passarono alcuni minuti senza che nessuno dei due dicesse una parola. 

Zoisite non si voltò mai verso Kunzite, ma sapeva che non se n’era andato.  

"Mi dispiace.” Disse dopo un po’, così piano che Zoisite credette di averlo immaginato. 

"Mi dispiace di averti ferito.” Aggiunse Kunzite in tono sommesso.

“Lo so.” Ripose Zoisite senza alzare lo sguardo. "E ti perdono."

Kunzite rimase in silenzio per un momento, sorpreso dalla risposta di Zoisite. "Come puoi perdonarmi così facilmente?” 

Zoisite rimase in silenzio.

Perché ti ho sentito, Kunzite. Ho sentito tutto quello che mi hai detto quando pensavi che stessi dormendo e che non avresti mai avuto il coraggio di dirmi se fossi stato sveglio. Mi sono sbagliato su di te.  Non sei crudele, non sei freddo e incapace di provare emozioni, ma ti piace che gli altri credano che tu lo sia. È una maschera, vuoi tenere gli altri a distanza, ma io non sono come gli altri. Io riesco a vedere oltre la tua maschera.

Sospirò. "Ti perdono e non devi restare qui, Kunzite, non vado da nessuna parte." Non si voltò mai a guardarlo mentre parlava.

Si sentiva assonnato e confuso. Quanto sangue aveva perso? Tutto quello che voleva era dormire. “Non preoccuparti."

La stanza aveva smesso di girare, ma la vista di Zoisite stava diventando sfocata. Appoggiò la testa contro il muro, e quella fu l'ultima cosa che ricordava prima che il buio calasse sulle sue palpebre. 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: Sognatrice_2000