Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: queenjane    01/02/2019    1 recensioni
Riprendendo spunto da una mia vecchia storia, Beloved Immortal, ecco il ritorno di due amati personaggi, due sorelle, la loro storia, nella storia, sotto altre angolazioni. Le vicende sullo sfondo tormentato e sontuoso del regime zarista.. Dedicato alle assenze.. Dal prologo .." Il 15 novembre del 1895, la popolazione aspettava i 300 festosi scampanii previsti per la nascita dell’erede al trono, invece ve ne furono solo 101.. "
Era nata solo una bambina, ovvero te..
Chiamata Olga come una delle sorelle del poema di Puskin, Onegin ..
La prima figlia dello zar.
Io discendeva da un audace bastardo, il figlio illegittimo di un marchese, Felipe de Moguer, nato in Spagna, che alla corte di Caterina II acquistò titoli e fama, diventando principe Rostov e Raulov. Io come lui combattei contro la sorte, diventando baro e spia, una principessa rovesciata. Sono Catherine e questa è la mia storia." Catherine dalle iridi cangianti, le sue guerre, l'appassionata storia con Andres dei Fuentes, principe, baro e spia, picador senza timore, gli eroi di un mondo al crepuscolo" .... non avevamo idea,,, Il plotone di esecuzione...
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro."
"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Quando si avvicinano i giorni di luglio mi si stringe il cuore, ancora mi meraviglio di tutto e per tutto.. 

Il 5 luglio 1918 la guardia era cambiata, il giorno avanti era giunto un nuovo comandante Jurovskij, che aumentò le misure di sicurezza, una nuova mitragliatrice e di mettere delle sbarre alla finestra da cui dovevamo calarci, la  sola che era aperta per cambiare l’aria.
Era scostante e gelido,  pignolo fino alla nausea, fece inventariare i gioielli che la famiglia aveva addosso, facendo quindi apporre dei sigilli. Ignorando che la zarina e le granduchesse avevano i corsetti imbottiti di pietre preziose.
“Non potete entrare, ordini superiori”
“Come volete, ma questo latte chi me lo paga?”alzando la voce.
..nella strada c’era silenzio,una breve pausa dai  rumori mattutini,  sia Marie che Anastasia riconobbero la tua voce, che discutevi come una iena, in collera che quel giorno non potevi consegnare il latte.
Non eri venuta per sicurezza e se ti ammazzavano sia noi che i tuoi figli ne avremmo avuto un ben  misero risultato.
Cat. Catherine .. non me lo ero immaginato. Avresti compiuto un altro ingresso nella casa prigione, se avessi potuto, eri una spia, un agente scelto ben addestrato, spesso la tua sicurezza sconfinava nell’arroganza e mai ci avresti messo a  rischio, cercavi di proteggerci “Alessio, se .. succede qualcosa, ogni cosa, promettimi che avrai cura di lei”
“.. ma che blateri Olga..” scherzava? Era impazzita? Intanto mi cambiava, a quasi 14 anni ero peggio di un infante, confinato a letto dopo la mia ultima crisi di emofilia, averti rivisto in quel buco infernale mi dava la contezza che potevo farcela. Una possibilità su un milione, prima eravamo sullo zero “Cat è forte solo in apparenza.. ha bisogno di te, per non impazzire”
Già, la violenza sia fisica che verbale, un surrogato di inferno, eri diventata grande tra le botte e le parole cattive.
“Alessio, promettimelo, di non mollare, che non la lascerai sola”
“Lo prometto” Allora non avevo idea del prezzo che avrei pagato, pensavo che fosse un discorso come tanti.
COME NO.
I tuoi occhi erano scuri, Cat, ambra, onice e miele, i miei e quelli delle nostre sorelle zaffiro e indigo, come l’oceano più profondo. Rivisti e declinati, in infinite sfumature.. 
Insieme a Jurovskij giunsero dieci uomini, indicati genericamente come soldati lettoni e prigionieri di guerra ungheresi, che sostituirono le guardie precedenti. Cenavano con J. e il suo assistente, creando malcontento con chi vi era stato in precedenza.
Poco dopo giunse una quarta lettera che prometteva soccorso.  Furbescamente non fornivano nomi e informazioni precise su chi fossero, l’ora della liberazione era vicina ..
 
Al principio dell’estate 1918, come già ripetuto,  la guerra tra l’armata rossa dei bolscevichi e i bianchi favorevoli alla monarchia aveva coinvolto tutto il paese, la pace di Brest-Litonsk aveva consegnato la Crimea, l’Ucraina e molto altro ai tedeschi, che avevano prontamente occupato quei territori. In parallelo, in Siberia era scoppiata la rivolta dei cecoslovacchi, vi erano circa tra i 40.000 e 50.000 prigionieri che i rossi avevano cercato di arruolare con scarso esito, la maggior parte voleva andarsene.  Il 14 maggio 1918 era scoppiato a Celjabinsk uno scontro tra cechi  e ungheresi, i bolscevichi arrestarono i cechi. Tempo di tre giorni, l’esercito ceco aveva invaso la città, liberato i prigionieri e scacciato i rossi. Si unirono all’armata bianca, iniziò l’offensiva in Siberia, il sette e l’otto di giugno i cechi avevano occupato importanti centri bolscevichi, come Omsk e Samara.
I rossi persero  il controllo della ferrovia Transiberiana,  del Volga e di tutte le linee ferroviarie dagli Urali dirette a est. Ekaterinburg  rimase in contatto con Mosca solo con le linee telegrafiche.
Si combatteva, una battaglia senza regole o lealtà.
Lenin, il cui fratello maggiore era stato assassinato per avere tentato di uccidere lo zar Alessandro III, era della linea di pensiero che, ove si fosse presentata l’occasione, era basilare per la politica sterminare la famiglia imperiale.
La prima, reale azione fu la fucilazione del granduca Michele, il fratello dello zar, che venne prelevato il 12 giugno a Perm, ove era agli arresti domiciliari in un albergo. Preso assieme al suo segretario, furono condotti in un angolo isolato di una foresta alla periferia cittadina, fucilati e i corpi distrutti nella fornace di una fabbrica.  Dissero poi che era scomparso, una tecnica di confondere le acque. In parallelo circolarono voci che lo zar e i suoi erano stati uccisi, per saggiare la eventuale reazione della Russia e dei governi stranieri dinanzi a questa ipotesi. La risposta fu il SILENZIO.  
Emblematico quando venne scritto sul giornale “The Times” di Londra il 3 luglio, in ogni occasione in cui veniva fuori l’ipotesi di cui sopra, le persone ritenevano che fosse successo qualcosa  di grave, i bolscevichi erano impazienti, vi era la questione “dell’opportunità di definire il destino dei Romanov, in modo da liberarsi di loro una volta per tutte”.
Domenica 14 luglio venne detta la messa a casa Ipatiev, dopo la funzione tutti i Romanov baciarono la croce.
Il tempo era estivo, caldo e afoso fin dal mattino. Il 16 luglio 1918  passarono la giornata come di consueto, uscirono in giardino nel pomeriggio. La zarina lesse il Vecchio Testamento con sua figlia Tatiana, i libri dei profeti Amos e Abdia. “In questo giorno – oracolo del Signore Dio- farò tramontare il sole a mezzodì e oscurerò la terra in pieno giorno. Cambierò la vostra festa in un lutto e tutti i vostri canti in lamenti .. ne farò come un lutto per un figlio unico e la sua fine sarà come un giorno di amarezza” [8,9-10]
E la sera, dopo cena,  giocarono a carte, andando a letto verso le dieci e trenta.
Gli spari di una vicina postazione di artiglieria ruppero il silenzio, appena scese la notte.


Il 17 luglio, molto presto, un contadino che abitava in viale Voznenskij nelle  stanze a pianterreno di una dimora che sorgeva dinanzi a casa Ipatiev uscì in giardino per un bisogno.  Sentì  degli spari soffocati che provenivano dalla cantina della dimora di cui sopra, il rumore di un furgone Ford in moto, tornò dentro subito. Il suo compagno di stanza gli chiese se avesse sentito, lui rispose che aveva udito delle detonazioni, entrambi avevano capito. Non parlarono oltre, poco tempo dopo i cancelli di casa Ipatiev si aprirono e un furgone  piombò fuori a gran velocità.
“Ci ha svegliato il Dr Botkin”aprì e richiuse i palmi, realizzai che mi stava parlando, mi scostai a guardarlo, le ginocchia raccolte sotto il mento “Saranno state le una e trenta, il comandante gli aveva chiesto di avvisarci che la situazione era insicura, dovevamo vestirci e passare la notte in cantina, era più facile proteggerci” la voce  era sarcastica, amara, il tono adulto “Abbiamo fatto con calma, siamo scesi verso le due, Papa mi portava in braccio” Entrambi vestiti con le loro uniformi, cappello, mostrine e stivali “Dopo me e lui, mia madre, le mie sorelle”In gonna scura e camicia chiara, Tata portava tra le braccia il suo cagnolino, la domestica due guanciali, al cui interno erano cucite delle scatole che contenevano gioielli, quindi il medico, il valletto e il cuoco. “.. ci portarono in quella stanza, ho contato ventitre gradini, per scendere” Sussurrai il suo nome, era perso in quell’orrore senza ritorno o rimedio, non osai confortarlo a vuoto.
Alexei.
Amore.
“Non avevamo idea, sai. Il locale era vuoto, mia madre chiese se era proibito sederci, portarono due sedie, su una si mise lei, sull’altra Papa, sempre con me in braccio” Le nostre sorelle e i domestici rimasero in piedi, di fianco e di lato.
Venne acceso un furgone in cortile per coprire i rumori.
Il plotone di esecuzione era composto da dieci membri, oltre che da Jurovskij e il suo assistente Nikulin.
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro.
 “… Jurovskij dichiarò che, considerati i tentativi che i nostri parenti continuavano a fare contro la Russia sovietica, il comitato esecutivo degli Urali aveva deciso di giustiziarci. E vi erano le prove. Papa ha detto cosa,due volte, mica si sentiva, per il rumore del furgone, in cortile,  Olga quali prove? Avete prove scritte.. “mi sollevò il mento, con delicatezza, lei mi aveva difeso fino all’ultimo, era morta sapendo che li avevamo fregati, che non mi avevano scoperta,  io e Andres eravamo la punta della liberazione.  E comprendeva che poteva morire, come tutti loro, ogni giorno a casa Ipatiev era segnato da quell’incubo ..ma.. fedele fino all’ultimo, ero una Fuentes, per ascendenze e matrimonio, leale fino con i suoi fratelli. Quando ero infilata, dentro la casa-prigione, aveva compreso e perdonato. Lo zar, nostro padre, per essere andato a letto con mia madre e avermi generato, me per avere capito che eravamo sorelle, glielo avevo dimostrato nei fatti.
 Ero la sua principessa, il suo altrove, la sua veggenza  “Cat, non hanno capito .. quando sei venuta, non ci hanno capito nulla come che avevi infiltrato Mattias e un altro nel plotone” Mi morsi le labbra a sangue, avevo pensato che ci avessero scoperto e tanto mi sarei sentita in colpa fino al giorno della mia morte. “Ognuno aveva un bersaglio, dovevano mirare al cuore ma.. “Lo zar era stato colpito per primo alla testa, era crollato in avanti sul pavimento trascinando Alessio nella caduta. Una pallottola aveva colpito Alessandra sul cranio, aveva avuto appena il tempo di farsi  il segno della croce.
“Gli spari sono continuati, Papa era sopra di me, sentivo le urla, i pianti.. delle mie sorelle, della cameriera, lo strattonavo per la giacca” deglutì ancora incredulo che se la fosse cavata, ora stava strattonando me per la manica, posai la mano sopra il suo palmo.
“C’è stata una pausa .. Il buio, Cat, i particolari. Il fumo delle pallottole. Il sangue sul pavimento e la polvere. Sapeva di ferro. Il cuore mi stava uscendo dalle orecchie”
Solo Olga era deceduta in seguito alla prima scarica, Tata, Marie e Anastasia erano ancora vive, urlavano, coperte di sangue, si stringevano e .. Ancora spari, successivamente le avevano infilzate con le baionette, i corsetti imbottiti impedivano alle lame di affondare nelle carne.
Alla fine le  avevano ridotte al silenzio, come la cameriera, il cuoco, il valletto ed il Dr Botkin.
Pensai che la vita di Olga era cominciata e terminata tra gli spari. 101 salve avevano annunciato la sua nascita, nel  1895, nel 1918 era terminata in una cantina umida e polverosa, in mezzo alle detonazioni,  mi piegai in avanti per stringere nostro fratello, il testimone di quello strazio.
Amalo.
Proteggilo.
Ti adora
Tutto era durato una ventina di minuti, presero i battiti cardiaci, dichiararono i decessi. “Costantino mi ha sparato due volte, vicino alla testa, ha detto che dovevo stare zitto, che ce la avrei fatta .. Che …” Lo presi in grembo, il suo dolore era liquido, senza misura, avrei voluto ammazzarli a mani nude, tutti, mi appoggiò la testa sulla spalla, lo circondai con le braccia, mi sdraiai sulla schiena, un abbraccio intimo e possessivo, sapeva di erba e estate  e paura, il mio bambino delle fate, per una irriverente alchimia eri il mio bambino Alessio, io la tua mamma, la più improponibile e sgangherata che ti potesse capitare “Ho chiuso gli occhi, Cat, ho pensato che non ero lì ma in una valle piena di fiori, che cavalcavo .. Quando mi avevi raccontato del cavaliere, un sogno per cacciare un incubo, salutavo il cielo e l’estate. Ero su Castore, non avevo paura, le strade del mondo il mio regno..”
Forse sono diventata, in modo definitivo la tua mamma in  quella radura. Figlio del mio cuore, se non del mio grembo.
Avevano caricato i corpi sul camion, un cumulo indecente, senza pietà per i morti che avevano portato nella foresta alle porte della città.
L’autista aveva sbagliato strada, il furgone si era fermato.
“Abbi cura di tua sorella, dobbiamo muoverci e.. Vi viene a prendere..” gli avevano detto, Alessio aveva cullato Anastasia tra le braccia, incredulo, lui che era malato doveva curare? .. Alessio in greco antico significa “Colui che protegge”.
“Ogni giorno, con Andres, ci siamo spostati Alessio, Mattias e Costantino ci hanno recuperato per puro caso” Non oso immaginare cosa sarebbe potuto accadere, se non ci avessero trovato.
“Anche tre volte in una giornata, per le spie, i rossi”
“Già.. quei contadini che ci hanno aiutato, quanto li avete pagati?” Ci avevano tenuto nascosti e dato dei vestiti di ricambio, senza badarci troppo, la sua mente vivace che frullava verso altro.
“Molto” e ci avevano ringraziato, increduli.
Non li abbiamo più rivisti.
Tornai alla cronaca che mi avevano rappresentato, a quell’orrore senza fine.
Lost.
You’re lost.


“Dimmi il resto Cat, come se facessi un report”
“Ero brava, sai, sai che facevo ridere mio zio, con qualche annotazione, quando non si arrabbiava per i guai in cui infilavo o mi cacciavo”
“Come se ora non lo fossi, dai .. peggio di così che mi può mancare?”cercando di essere ironico, coraggioso. “Poi mi racconti,  di quando eri un soldato”
Andres sosteneva che avevo gli occhi scuri come onice, a quel giro erano spalancati nell’immaginare quell’inferno.
 
Jurovskij  avrebbe in seguito dichiarato che i  gioielli e i diamanti cuciti negli abiti facevano rimbalzare i proiettili sui corpi delle donne che, ferite e spaventate, non smettevano di dibattersi in preda al dolore e al terrore, che il suo aiutante dovette consumare un intero caricatore e poi finirle a colpi di baionetta, non si davano la pena di mollare.
I corpi vennero portati nel vicino bosco di Koptiakij e dopo avere diviso due cadaveri dal mucchio, per rendere incerta una eventuale ricognizione, li spogliarono, li smembrarono e li buttarono in un pozzo.
Li riesumarono, seppellendoli poi in una fossa poco distante, buttando poi acido solforico, i visi fracassati con il calcio dei fucili per impedire che fossero individuati..
Il giorno successivo all'esecuzione, Sverdlov, interrompendo i lavori del comitato centrale di Mosca, mormorò qualcosa a Lenin; quest'ultimo allora disse ad alta voce: «Il compagno Sverdlov ha da fare una dichiarazione». «Devo dire» continuò Sverdlov «che abbiamo ricevuto notizie da Ekaterinburg. Per decisione del Soviet regionale, è stato fucilato Nicola II in un tentativo di fuga mentre le truppe cecoslovacche si avvicinavano alla città. Il presidium del comitato esecutivo centrale panrusso approva tale decisione». Seguì un "silenzio generale", fino a quando Lenin non propose di continuare il lavoro interrotto.
Il comunicato ufficiale alla popolazione fu diramato solo il 20 luglio, in quella data il quotidiano di Ekaterinburg Ural'skij rabočij pubblicò la notizia assieme a un articolo del giornalista Safarov:
« Ammettiamo pure che in questo caso siano state violate molte regole del processo borghese e non sia stato rispettato il tradizionale cerimoniale che nella storia è sempre stato riservato all'esecuzione delle teste coronate. Ma il potere degli operai e dei contadini ha manifestato un eccezionale spirito democratico. Non è stata fatta eccezione per l'assassino di tutte le Russie, che è stato giustiziato al pari di un qualsiasi brigante. Nicola il sanguinario non c'è più. E a buon diritto operai e contadini possono dire ai loro nemici: «Avevate scommesso sulla corona imperiale? Essa è perduta, raccogliete in cambio una testa coronata vuota!»
 
… ma noi siamo immortali..
Sopravissuti.
Io .. e chi credeva.. 
Mi basta ricordare i mesi successivi, l’autunno del 1918, ero un asso nel cercare di farti ammattire, dipendevo da te, ti amavo e ti odiavo. 
“Basta, che divento una teiera, sono pieno di tè”
“Non ho fame”
“E’ troppo scomodo”
“E’ troppo morbido”
“Ho caldo”
“Ho freddo”
“Ho fame”
“Non ho fame”
“Non mi voglio lavare”
“Non voglio il pannolino”
“Voglio farmi il bagno”
“Voglio il pannolone”
“Ho sonno”
Come non ti sia riuscito ad evitare di scoppiare in collera Cat, resta un mistero. Ora, invece di murarmi nel silenzio, a una domanda rispondevo con un’altra questione e non me ne andava bene una, dicevo una frase e poi l’opposto, replicando no a dritto a ogni opzione.
Facevo i capricci, diceva Anastasia, che gusto ci trovi a farla ammattire lo sai solo tu, mi dava un bacio e non mi considerava, era matura od egoista nel riprendersi dalla perdita, senza badarmi?.
La frustrazione.
Senza motivo.
O tutti.
Non ne potevo più.
Le mie bizze, da annotare sul calendario, variavo con ostinata perseveranza.
E tu serafica, sorridente, senza repliche, non ti smontavi.
Nell’apparenza eri salda e tranquilla, senza mugugni.
Che andavi macchinando? Sicuro che andavi almanaccando qualcosa nella tua testolina, ti conoscevo abbastanza bene, ormai.
Perché non mi lasciavi perdere?
Da una parte volevo stare solo, a compartirmi, dall’altra, volevo e desideravo anche l’aria, la luce.
Cat mi avevi inviato alle rapide spedizioni, dal sarto, in biblioteca, allo zoo, alle giostre, in  chiesa, due ore al massimo, io dichiaravo di “No” a prescindere, e mi offendevo se non mi dicevi nulla.
 “Alessio, vuoi che ti porti in braccio “
“No”
“Proviamo con delle stampelle? Un bastone?” per camminare,  se volevo stavo in piedi e facevo qualche passo, il ginocchio mi dava meno fastidio.
“NO.”
“Sulla sedia a rotelle?”
“NO” all’infinito.
“Sai qualche altra parola, oltre a no?”
“NO” scrollando le palpebre.
“Che noia”
“Che noia lo dico io, Cat”
“Ah bene, dici altro oltre a no”
“NO”  ti sentii ridere di gusto, di pieno cuore o per i nervi.  E avevo infilato il tuo nomignolo, Cat, come da prassi.
Quello era un nostro tipico dialogo, con poche variazioni e misure.
Dall’agosto 1917 fino al luglio 1918, ti avevo aspettato per un anno, o quasi, eri my solace e tanto ero arrabbiato, curvo e sconfitto, mi bastava rivederti per sapere che non era così. Ero un guerriero, non avevo lucenti armature, e un giorno dopo l’altro ero vissuto, senza mollare a prescindere dalle mie crisi.
Sarei crollato senza te? Quien sabe, tranne che mi avevi insegnato a resistere, tu sostenevi il contrario.
La mia principessa guerriera.
Eri leggenda, Cat, eri il sole.
Io il solito impiastro.
E tanto la notte ti volevo avere vicino, e viceversa, se avevo un incubo mi svegliavi, e io te, anche tu avevi gli incubi di continuo. Una pausa, credo, prima della parata e dell’affondo. A volte, svegliandomi ti ritrovavo vicina, il calore e il respiro, mi stringevi “Aleksey” un quieto mormorio “Mamma” ti chiamavo in quel modo, anche se non volevi, dicevi che non ti spettava quell’epiteto, io ribattevo che giocavi da sempre con me, mi raccontavi le storie, mi confortavi, eri la mia mamma, come Olga e Tata, loro erano morte, mi restavi solo te, non replicavi, madre e mamma, due parole che significavano un mondo diverso, la zarina era mia madre. Ed eravamo talmente in confidenza e simbiosi, mi fidavo di te come nessuno al mondo, Cat, che la mattina prima che iniziasse l’ennesima, infinita giornata mi dicevo che forse ce l’avrei fatta. La tua presenza mi impediva di piangere per ore, volevo mia madre e mio padre, le mie sorelle, la vita di prima, prima della rivoluzione e della prigionia, intendo.
Ero stato l’erede al trono e quindi il figlio di un tiranno e di meretrice. Contrasti da incubo. E ora avevo solo te e Andres e Anastasia, un futuro incerto e tormenti garantiti. 
“Così non va sai” una pausa, ti mettesti a distanza, avevo passato i primi giorni da incubo nel torpore, nella disperazione, sempre aggrappato alle tue braccia, mi sentivo meno di niente e per te ero tutto “Per te, che credi, non è vita.. a te è sempre piaciuto, vivere, così è uno stillicidio, Alessio”
“NO”
Riferito a mia madre, a te, alla sorte, gli assassini.
A mio padre che aveva abdicato, per sé e per me, una lesione senza ritorno dei miei diritti.
Da capo.
Non lo so.
Una negazione all’essere nato “disgraziato”, che un movimento troppo brusco mi poteva essere letale, a mia madre che aveva creduto in santi e santoni, in Rasputin, spengendo ogni buonsenso nella disperazione, nel rimorso e nella cattiva salute, che la malattia me la aveva passata lei, l’emofilia si era trasmessa dalla regina Vittoria in poi, la mia bisnonna, nelle case reali di Russia, Germania e Spagna.
La sofferenza.
La solitudine anche in mezzo alle persone.
“NOOO”
Ti tirai una spinta, ora avevo sviluppato anche il vizio di essere recalcitrante e bizzoso, usando una forza che non credevo di avere, rimanesti basita, per poco non andasti per terra. Borbottasti che non era aria, in punizione, a riflettere entrambi, il viso contro una parete, mi tenevi abbracciato. “Scusami” “Alessio, non mi piace questo comportamento” Rovesciai il viso verso l’alto per guardarti, eri chiusa e dura, le sopracciglia aggrottate e gli occhi erano neri, in senso metaforico e letterale (… quando ero piccola e angariata, sai quante volte Raulov mi ha sbattuto per terra? Chiudiamo qui, che di incubi ne abbiamo a sufficienza)
“Scusami”
“Scuse accettate e tanto in punizione rimani uguale”
“Va bene”
Rimanesti  rigida, ricordai che le avevi prese quando eri piccola, posai la schiena contro il tuo torace, ti presi le mani, la testa contro la spalla, percepii che sospiravi, esasperata forse.  E divertita “Non mi corrompi, Alessio” una pausa “In punizione meditativa rimani, come me, che non ho capito come trattarti”
“Non è una punizione, questa per me” mugugnai, ti baciai il palmo della mano, era calloso, avevi le unghie corte. Non era una punizione, ripeto. Era amore.
E ho avuto gli incubi per un pezzo,  tra pannolini e riabilitazione altri mi avrebbero mandato a fanculo ben prima salvo divenire isterici. 
Tu no, anche se pensavi parolacce e bestemmie peggio di un corsaro. 
Che palle, annottavo tra me e te lo concedevo, quella era una reazione al lutto, al dramma che ti era toccato, mi ricordavo la pazienza. Di non sbuffare o rispondere male, come un pezzo di ghiaccio in una giornata di primavera,  le parolacce mentali erano uno sfogo, che sennò sarei esplosa, mi conoscevo parecchio bene in quei frangenti. Dovevo e cercavo di essere impassibile.
Anastasia meditava parecchio, per conto suo, ribadisco, ogni tanto parlavate, non so di cosa, di specifico. E non me la sentivo di caricarla di quel fardello, del tuo accudimento pratico, tranne che, come già rilevato, con Andres ti vergognavi e lei non avrebbe saputo gestirti, nonostante la buona volontà, l’assistenza era complessa, definizione ridottissima, anche portarti in bagno, se non collaboravi, diventava una epopea.
E volevi me, lo avevi ribadito fino alla nausea.
Valletti e infermieri no, solo me.
Cercavo di capirti, Alessio, lo giuro.
La frustrazione.
Senza motivo.
O tutti.
Non ne potevi più, dicevi ogni tanto, non era colpa mia, di sicuro,  e ti dovevi sfogare, eri un asso Aleksey, e io ero una campionessa di testardaggine.
Bisognava valutare chi si sarebbe sfinito prima.
Se non mangiavi ai pasti, stavi a digiuno, non cedevo di una iota.
Non volevi uscire, sul momento non forzavo, troppo.
Ammettevo, almeno tra me, che ero una grande rompiscatole, non ti davo requie.
“Cosa fai, sono stanco” non sentii volutamente, lo misi seduto davanti al tavolo dinanzi a noi
“Ora mi aiuti, voglio fare una torta di mele e le patatine fritte” cibi che aveva adorato, a Mogilev, e dopo, che sapevo cucinare, insieme ad altri “Intanto mi mangio una fetta di pane con la marmellata di mirtilli” stanco o meno, pane caldo, burro e marmellata gli aprirono lo stomaco, prassi consolidata.
“Buffona,”  mangiando la fetta, il sole accendeva di riflessi autunnali, ambrati capelli“Sai che li adoro, i mirtilli”
“Buffona” di nuovo  “Si dice che Bucefalo, appunto, il cavallo di Alessandro Magno, fosse un Akhal-Teke, un cavallo celeste” come un insulto e si divertiva come me, un ossimoro in termini.
“Giusto, credo di avertelo detto io” buttai via le bucce di mela, dentro il fuoco della stufa, l’aroma si sparse, gli diedi il tempo di leccare la pastella della torta senza che me ne accorgessi.
“E mi aspetta ad Ahumada?”
“Se vuoi, solo se vuoi”
“Intanto vorrei un quaderno per fare un diario”
Come Olga, come le nostre sorelle, scrivevano giorno per giorno i piccoli fatti, cronache di una vita che non sarebbe più tornata, le lezioni, le gite in slitta, visite di famiglia, partite a tennis  e quanto altro. Come aveva fatto lo zar, annotazioni giornaliere che avevano cadenzato la sua esistenza.
“Va bene” cambiai parere, andai a prendere una cosa“Forza, infilati questa giacca” porgendogli l’indumento, mi obbedì senza altre osservazioni, tranne sbuffare, sonoro.
“Perché?” intanto mi sentiva trafficare, cigolii e rumori, avevo aperto la porta.
“Cat?” quindi, dolce, morbido “Cat, sono stanco”
 “Non capisco” dato che non davo riscontro. 
“Cat?” la sfumatura del per favore, ci intendevamo, io e il mio testone. 
“Sì che capisci, usciamo, lo scegli te” una pausa “Dai, Alessio, per favore”
Spostò gli occhi da me e alla porta, soffiando. “Dammi il braccio, forza! Ci arrivo da solo, sostienimi solo un poco” Quando fu sulla sedia a rotelle, mi accoccolai sui talloni “Davvero, devi uscire” mi buttò le braccia sul collo, serrandomi forte, gli massaggiai la schiena, intanto appoggiavo il mento sopra la cima dei suoi corti capelli castani “Un’ora al massimo, per gradi, Catherine, tutto insieme non reggo”
“Promesso, fidati”
Mi guardò male, si fidava di me più di ogni persona al mondo e viceversa, era scontato.
Ed era un primo pomeriggio, il cielo sfumato di cobalto, la luce del sole batteva sulle facciate delle case, regalando ambrati riflessi. Lui  osservò la gente, le strade, curioso. Gli  piaceva, fine del dettato. Ed era nervoso, osservai che stringeva i braccioli fino a farsi sbiancare le nocche. Trattamento d’urto, forse eccessivo, gli faceva male stare sempre chiuso, d’altra parte le mie risorse e la mia pazienza si stavano esaurendo.
“E’ stato così tremendo?” scrollò le spalle. “Io .. “eravamo di nuovo a casa, la sortita era durata meno di tre quarti d’ora, non gli avevo messo neanche il pannolino, provvidi al rientro, era così assorto che manco mi badava. Lascialo stare, non lo assillare. “Ma ..” una pausa “Sai che ..”
“Cosa Alessio?”
“Nulla” facendo una smorfia, frammentata, decodificai che non lo sapeva nemmeno lui, io che dovevo dire, nulla per non dire tutto. “Ti fa  voglia di riprendere a studiare qualcosa?”
“Voglio anche giocare, non tendere troppo la corda”
“A cosa?Morra cinese, dama, scacchi..” elencando con le mani.
“Anche e  .. vorrei disegnare”
“Mmm.. alianti e aeroplanini..” una rapida lista che gli era piaciuta, sempre “Sì” glielo richiesi “Alessio, scusa se ti ho assillato.. vorresti un valletto maschile? Saresti forse più a tuo agio, per  essere lavato e accudito, credo”
“Io voglio te”Uno scatto limpido, senza fallo “Vieni qui, tranquillo, per quello stai tranquillo, non ti lascio”
“Sicuro?”
“Sicuro” tremavo, mi calmò, la sua agitazione cedeva il passo alla mia.
Io ero occupata da Alessio, in un certo senso era la mia fortuna, mi impediva di abbandonarmi alla cupezza, al dolore.
Anche se lo assillavo in maniera costante e esponenziale.
Per il resto di quel pomeriggio non tirai un fiato, con la scusa di pelare cipolle davo libero sfogo alle lacrime. Lui era assorbito dal quaderno, dai fogli sciolti e dalle penne e dai pastelli colorati. Mi misi a pulire da cima a fondo, le spalle che sussultavano.
Piangevo.
Mi mancava Olga, e Tata e Marie e i miei figli, avevo timore di quello che potevo dire o fare con Alessio. Anastasia o Andres e Sophie.
L’aveva vista.
Era meravigliosa.
Inutili confronti e paragoni, Sophie rimase la sola figlia femmina di Andres, da lui generata, per anni.
Era commosso, felice, con i sensi di colpa.
Dal vivo gli somigliava in maniera impressionante, si vedeva che era una Fuentes, oltre che nell’aspetto anche nel carattere. E nulla la spezzava, niente la piegava, una ostinazione che le consentì di non soccombere in nessuna occasione, a sei anni come in seguito.
“Hai pianto e non sono le cipolle”Alessio fece la sua diagnosi, verso le sette, sentii le sue mani sul viso,  mi faceva male la schiena, mi doveva venire il ciclo e avevo i nervi in procinto di scoppiare. “Forse no, oppure sì”replicai.  
“Catherine” Mi sdraiai vicino al lui sul divano, il suo reame, mi fece il solletico, mi fece fare un sorriso con le dita. Gli baciai la fronte, tra una cosa e l’altra era l’ora di cena, alla fine.
Dal nuovo diario di Alessio “.. prima sera che scrivo qualcosa. Sono stanco, ho mangiato zuppa di cipolle, fatta da Cat, e pane e formaggio, mele croccanti. Mi sembra un componimento dei bambini piccoli, cosa ho mangiato, ma ho tanto da dire e anche nulla, da non sapere come fare” un banale esordio che poco rivelava e nulla nascondeva.
“Lo leggi?”
“No, sono cose tue private”
“Ma non ho nulla da nascondere”
“Cose tue private uguale” almeno quello, annotai. Si lavò i denti, andò in bagno, accompagnato da Andres, parlottando poi con  Anastasia, fino alle dieci di sera, risatine e sussurri divertiti, al loro invito, mi unii pure io, osservando un aliante, un modellino.
“Te lo porti a dormire?”
“Sì” lo fece ondeggiare sopra di sé, un breve volo, annodandomi le braccia mentre lo svestivo, mi aiutava, “Ti voglio bene, Cat” “Io pure, tantissimo” una pausa “So che lo sai” , almeno quello senza filtri, iperboliche parole, lo sapevamo, faceva piacere dirlo, gli misi il pannolone per la notte, prima o poi avrei smesso di lavarlo e cambiarlo, o almeno speravo “Sempre Cat” Ti scocciavo da quando eri piccolissimo, figuriamoci se non lo sapevi, tesoro mio, pure mi faceva piacere che ogni tanto me lo dicessi “I am your little prince”
“You’re my treasure, Aleksey. Always ”
“Me lo immagino” Mi ritrovavo esatto nell’incavo delle tue braccia, mi sentivo al sicuro, come sempre, un innocente e un tiranno.
L’esilio e la disperazione, ora ero a casa mia.
Once and again.
Cat raccontami una storia che non abbia termine, alla fine ci crederò, ci crederemo.
….
E ancora oggi ci credo. 
La Grande Guerra finì nel novembre 1918.
Crollò l’impero austriaco, crollò l’impero tedesco, non ne rimase in piedi uno.. una magra consolazione.
La chiamarono la Grande Guerra che aveva coinvolto tutto il mondo, tutti contro tutti, il mondo di ieri era mutato in modo irreversibile e senza scampo.
Noi eravamo sempre vivi, l’unica consolazione che ci rimaneva, celebravamo quel caso inopinato.
Noi arrivammo in Spagna pochi giorni prima del Natale 1918.
“Grazie Cat” nella radura melagrani, che crescevano e fiorivano sghembi da secoli, percorrendo nella corteccia le sue iniziali, da me incise molti anni prima.
I sopravissuti.
Il tempo e l’immensità. 
Ancora oggi racconto la nostra storia. 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: queenjane