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Autore: Hypocrites    21/02/2019    7 recensioni
"The lunatic is in my head
You raise the blade, you make the change
You re-arrange me 'til I'm sane
You lock the door
And throw away the key."
- Brain damage, Pink Floyd (1973)
--
Maylor/Deacury nel 1971.
Per chi si dovesse sentire fuori dal mondo.
Per chi non vuole accettare la realtà.
Per chi si aggrappa aggressivamente alla vita.
E per chi da essa si lascia trascinare.
Tra speranza di riprendersi un giorno e cocci di sogni infranti.
Tra pagine di diario e caramelle mai assaggiate.
Tra sigarette consumate e fughe notturne fallimentari.
--
Storia scritta a quattro mani da Ancient Flower e _Lisbeth_, con opportuni chiarimenti nelle note a fine del primo capitolo. La storia si sviluppa dal punto di vista di John e di Brian, con i loro rispettivi capitoli.
With love and cheers,
B&M.
Genere: Angst, Dark, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Roger Taylor
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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59.5
 
Bellatrix.
Bellatrix è classificata come Gigante Blu, dista ben 240 Anni Luce dal Sole. È una delle stelle presenti nella costellazione di Orione e di esse è la terza più luminosa.
Il suo nome é di origine latina e Bellatrix, appunto, significa "La Guerriera".
In astrologia si crede che Bellatrix possa dare una natura forte e nobile, fiducia in sé, arroganza, violenza, irriverenza, prosperità nel commercio specialmente se condotto in paesi stranieri, ma anche pericolo di essere traditi e avvelenati.
 
Brian guardò il ragazzo che, seduto a gambe incrociate sul letto, era così simile ad un bambino mentre lasciava ciondolare la testa a destra e a sinistra osservandolo con gli occhioni azzurri affascinati. Il maggiore sorrise, quando finì di parlargli della stella di quel giorno. Sapeva che Roger fosse tanto curioso e tanto attratto dalle stelle, dai pianeti, dall'infinito, dal cosmo e dallo spazio. Un giorno gli aveva detto che, nelle stelle e nell’Universo, ci vedeva la libertà che avrebbe tanto voluto avere.
Brian si sentì leggermente in colpa per aver lasciato da solo John, era solo il suo primo giorno nella clinica, dopotutto, anche se si era addormentato come un sasso senza neppure aspettare la cena. Gli avrebbe volentieri tenuto compagnia, ma aveva bisogno di prendersi cura di Roger. Quella mattina aveva avuto una crisi d'astinenza e di solito, quando capitava, il ragazzo restava giù di morale per tutta la giornata.
Non doveva essere piacevole venire imbottito di sedativi.
Il riccio sospirò, guardando il suo migliore amico e inclinando la testa da un lato. – Come ti senti?
- Uno schifo.
- Ti va di fare qualcosa?
- Non so, Brian. Credo di non aver voglia di far nulla.
- Se giocassimo a Scarabeo?
- Sì, certo. Così vinci tu.
- No, non sono sleale. Nel frattempo che decidi, ti ho portato delle caramelle. - Brian sapeva che Roger non avesse spesso appetito. La droga che lo tormentava gli toglieva sempre la fame e la voglia di ingerire qualsiasi cosa, ma era da giorni, settimane ormai, che non assumeva nulla di nocivo, tralasciando i sedativi e le medicine che, secondo Brian, al ragazzo facevano soltanto male. Ma riconosceva che a volte, quelle crisi, fossero troppo difficili da sopportare anche solo a vederle e quello fosse l’unico modo per farle smettere. Roger gridava, si contorceva, ansimava, piangeva. Il pensiero di quelle situazioni così dolorose per il più piccolo lo fece deglutire. Il biondino alzò le spalle. – Sono buone, le caramelle.
Il riccio sorrise. - Ne vuoi un po'?
- Dove le hai prese?
- Me le ha date Green Lady.
- E allora no, non le voglio. - rifiutò Roger, muovendo la mano come a voler cacciare via quella proposta.
- Perché no?
- Perché se te le ha date Green Lady significa che devi mangiarle tu.
Danielle Rose era chiamata "Green Lady" perché vestiva sempre di verde. Anche il suo trucco era verde. Il suo studio era verde, le pareti anche, così come il pavimento, i mobili e le più strane cianfrusaglie. Era una donnina bassa, con lunghi riccioli d’oro e due occhi vispi e nocciolati, un sorriso sincero e accogliente che la faceva sembrare una bambina. Era la psicologa che si prendeva cura di Brian da quei due anni in cui lui era lì.
- Ma sono caramelle. E poi te ne sto offrendo una. - gli rispose il riccio, aprendo il pacchetto di plastica e avvicinandolo al più piccolo. Roger ne prese una, quella alla ciliegia. - Qual è la tua preferita?
Il maggiore sospirò, tirandosi le ginocchia al petto e alzando le spalle. Prima gli piacevano, le caramelle. Quando era bambino Harold gliele portava sempre, dopo il lavoro, e lui le mangiava e le finiva in mezza giornata. Però, ora, anche solo pensare allo zucchero e al sapore eccessivamente dolce delle caramelle gli faceva venire da vomitare. Rispose comunque a Roger. - Quella al limone.
Vide il biondino muovere velocemente e frettolosamente il braccio nella scatola delle caramelle, guardandone all'interno e pescando proprio quella di cui Brian aveva parlato. La strinse tra l'indice e il pollice, guardandola bene e porgendogliela. – Su, è tutta tua.
Il ragazzo guardò la caramella per un po’, giusto il tempo per osservare lo zucchero che scintillava brillante sulla caramella colorata di giallo, per poi chiudere appena gli occhi e scuotere la testa. – Non mi va, Rog. Ho finito di mangiare da poco.
Il più piccolo sbuffò pesantemente. – Che palle. Non hai mangiato niente, a cena. Non prendermi in giro, perché non sono un idiota, sai?
- Ti ho detto che non la voglio.
- E dai, è una caramella. Non può farti nulla. – Roger continuò a tenere il dolcetto tra le dita, avvicinandolo all’amico. – Fallo per Roger, coraggio.
- No.
Il minore sospirò. - Non sarei voluto arrivare a questo, ma mi ci vedo costretto.
Brian vide il biondo alzarsi in piedi, continuando a tenere in mano la caramella. Lo guardò avvicinarsi, sempre più, fino a che non lo vide sorridergli sornione e allungare la mano libera, posizionandola sopra al suo naso e chiudendogli entrambe le narici con le dita. Il riccio spalancò gli occhi per la sorpresa, mentre schiudeva al contempo le labbra, per respirare. Si ritrovò sulla lingua un sapore di limone e zucchero talmente forte e rivoltante che ebbe per un attimo la voglia di sputarla sulla faccia di quel cretino del migliore amico, che in quel momento aveva lasciato andare il suo naso e gli stava stringendo le labbra insieme per impedire che ciò accadesse. Brian strinse gli occhi. Ingoiò con fatica la caramella, per poi tirare un sonoro schiaffo sulla mano di Roger, che lasciò andare le sue labbra. Lo fissò a occhi spalancati. – Ma che razza di…
- Roger uno, Brian zero. E’ buona?
- Roger, tu sei completamente impazzito!
- Sì, certo. Altrimenti non sarei mica qui. – il ragazzo si stese sul proprio letto, sollevando le braccia alte davanti al viso, guardandosi le mani mentre lasciava che le gambe oscillassero a destra e sinistra. Brian, quelle braccia, le vide terribilmente tumefatte e ferite dai piccoli buchi e fori sparsi come formiche sulla pelle giallastra e violacea dell’interno dei suoi stretti e sottili gomiti. Deglutì, mentre tossiva leggermente. La vista delle braccia di Roger non gli aveva mai fatto un buon effetto, sia psicologicamente che fisicamente. Si sentiva girare la testa e spezzare il cuore ogni volta. Pensò a tutte le volte in cui lo aveva visto urlare e tenersi lo stomaco tormentato dai crampi. Sospirò, distogliendo lo sguardo. – Scusami. Non volevo dire quello.
Roger girò la testa bionda verso di lui. – Non mi hai mica offeso. – continuò a osservarsi le dita chiare e sottili, sbattendo gli occhi blu velocemente. – Ora sono così soddisfatto.
Brian alzò gli occhi, al cielo, mentre ancora il sapore dello zucchero gli sfiorava la gola facendogliela bruciare. – Non farlo mai più. Era contro la mia volontà, Rog.
- Tu mi togli sempre le sigarette.
- Ti fanno male.
- Anche non mangiare ti fa male. – il ragazzo si sedette sul letto, giocando con uno dei propri calzini. – Per questo, come tu puoi togliermi le sigarette, io posso farti mangiare.
Brian alzò gli occhi al cielo, sedendosi sulla scrivania della camera di Roger e incrociando le gambe.
- Attento a non cadere.
Il riccio sorrise, appoggiando il viso sui palmi delle mani. – Non posso cadere da qui. Sono troppo alto.
Brian vide Roger alzare gli occhi al cielo, mentre si tastava le tasche dei pantaloni e della giacca con le mani, sbuffando sonoramente. – Che cazzo.
- Se le stai cercando, voglio informarti che le tue Marlboro sono nel cassonetto qua di fronte.
Gli occhi del biondo smisero di muoversi repentinamente, per fermarsi e attaccarsi sulla parete davanti a sé. Girò la testa verso l’amico, con lo sguardo di chi potrebbe strangolare qualcuno da un momento all’altro. Brian sorrise.
- Che cazzo ridi, idiota? Le avevo pagate e avevo anche corrotto uno specializzando per farmele procurare!
Brian balzò giù dalla scrivania, grattandosi una tempia. – Com’è, che avevi detto? Roger uno e Brian zero?
- Sei un bastardo. Io ne ho bisogno.
- No, non credo proprio. – gli rispose il ragazzo più grande, con un sorrisetto soddisfatto sul volto. – Non mi piace quando fumi.
Roger si fece sfuggire un sospiro frustrato, facendosi cadere a peso morto sul letto mentre si premeva i palmi sul viso. – Almeno ridammi i miei soldi.
- Non voglio darti dei soldi per lasciarti corrompere la povera anima di uno specializzando per comprarti le sigarette. Se vuoi te li do per prenderti una batteria nuova.
- Sì, e dove li trovi, per la strada?
- Intanto se tu non avessi speso così tanto per comprarti pacchetti di quelle stronzate adesso ne avresti tre, di batterie.
Roger chiuse gli occhi, sospirando dal naso mentre Brian si appoggiava con i palmi delle mani alla scrivania. Il riccio lo guardò, vedendolo con un braccio a coprire gli occhi e con sul petto l’altro, le cui dita della mano tamburellavano frettolosamente sullo sterno. Il suo migliore amico era così magro, consumato come una vecchia sigaretta dall’eroina che lo tormentava da anni. Le braccia parevano dei ramoscelli, le gambe erano ridotte all’osso. Gli sarebbe piaciuto essere così magro.
Non avrebbe voluto che Roger fosse ridotto in tali condizioni. Gli avrebbe dato tutto il suo cibo, anche se il biondo non glielo avrebbe mai permesso. Però il suo amico ne aveva bisogno, lui invece doveva necessariamente perdere peso. Era contento di essere sceso, di aver perso quei due chili, quella mattina. L’infermiera lo aveva guardato aveva scosso la testa e gli aveva detto: “Brian, non puoi dimagrire ancora. Se la prossima settimana non avrai preso almeno mezzo chilo, saremo costretti a tenerti d’occhio in continuazione e tenerti qui per tanto tempo ancora.”
Ma lui non voleva riprendere quel mezzo chilo. Aveva faticato tanto per perderlo. Sospirò, continuando a guardare il suo migliore amico. Deglutì. – Stai meglio, Rog?
- Mh?
- Rispetto a sta mattina, stai meglio?
Vide il braccio del ragazzo ricadere di nuovo sul letto, mentre il biondo apriva e chiudeva la mano arricciando le labbra. – Credo di sì. – sollevò le spalle. – Ero addormentato, sta mattina. Contro la mia volontà. Quindi non so bene come stavo. – iniziò a gesticolare velocemente e a muovere ritmicamente i piedi. – La crisi nemmeno me la ricordo. Tanto sarà sicuramente stata uguale alle altre.
- Da quanto non…
- Mah, credo una settimana e mezza. Scarsa. – Brian vide quei giganteschi occhi azzurri fissarlo, tremanti. – Sono così patetico, quando ho una crisi?
Prima di quel giorno, il più grande non aveva mai visto Roger durante una crisi d’astinenza. Quella mattina era stata la prima volta in due anni che lo conosceva. Si ricordava di quando, mesi prima, Roger stava riuscendo a riprendersi. Non aveva toccato nulla per settimane, forse mesi. Stava meglio, era più sereno e i suoi occhi erano meno scavati e più luminosi. E poi era successo che, una notte, era scappato. Aveva pagato qualcuno di cui Brian non conosceva l’identità, era ricaduto in quel tunnel buio e oscuro da cui lui stesso aveva sempre cercato di tirarlo fuori. E quel giorno, dopo tanto tempo che lo conosceva, lo aveva visto iniziare a urlare, così, all’improvviso, stringendosi il ventre, ansimante e pallido in viso. Le pupille erano diventate enormi, talmente grandi da coprire quasi le iridi azzurre. Brian lo aveva preso per mano, accarezzandogli la fronte spaventato, e lui gli aveva gridato di lasciarlo stare. Aveva alzato la manica del proprio pigiama, iniziando a mordersi il braccio e a graffiarlo. Brian ne era rimasto talmente sconvolto da non riuscire più a parlare, forse nemmeno a respirare.
I medici avevano faticato per tenerlo fermo, prima di spingere il tubo della siringa mentre, a poco a poco, gli occhi azzurri di Roger si facevano vuoti e si chiudevano piano, gradualmente.
Brian aveva vomitato sul pavimento.
- Non… Non sei patetico, e non lo sei mai stato. – gli rispose, alla fine. Roger sbuffò, muovendo un piede a destra e a sinistra. - Questo posto di merda è inutile.
- Per me, sì. Per te no.
Il biondo puntò gli occhi azzurri nei suoi. – Mh, sì. Certo.
- A te serve. Ti tiene lontano da quei posti di merda che frequentavi.
Roger si fece sfuggire una lieve risata amara. – Intanto mi drogo ancora.
- Questo è perché sei tu a volerlo. Un giorno capirai che quelle puttanate ti uccidono.
- L’ho già capito, Brian. – il più piccolo lo guardò, serio. – Solo che il mio corpo ne ha bisogno per non impazzire.
- Prima o poi il senso di astinenza passa, se non tocchi più quella merda. Se continui così non…
- Senti, dottore. – il ragazzo incrociò le braccia, rizzando la schiena. – Dimmi che cazzo di differenza c’è, se rimango qui o se me ne vado a casa. Tanto, come avete visto tutti, la droga in un modo o nell’altro me la procuro. E non servono quelle cazzo di terapie per ripulirmi, perché se così fosse, non sarei più assuefatto da ben due anni.
- Ci stavi riuscendo.
- E quando mai? – Roger incurvò le spalle. – Quanto ci sarò stato, senza? Nemmeno un mese. Non ho mai passato un vero periodo libero da quelle catene.
Catene. Roger utilizzava quasi sempre quel termine, per parlare delle sue dipendenze e dell’eroina. Brian in quella parola sentiva tutta la voglia del suo migliore amico di scappare, di vivere, di tornare indietro, ricominciare da capo. Catene. Quelle catene che erano gli ahi delle siringhe, i buchi sulle braccia, le pasticche, i cucchiaini, le sigarette, i dolori allo stomaco e ai muscoli, l’incapacità di dire “basta”. Uno dei momenti più vividi e peggiori che Brian aveva vissuto con Roger, e che si ricordava anche troppo chiaramente, era successo un anno prima.
Il biondo era nel bagno dell’ospedale, chiuso in una delle tante cabine, completamente da solo. E quando Brian aveva aperto la porta e se l’era ritrovato davanti, non aveva saputo come reagire.
Il suo migliore amico era accovacciato per terra, una maglietta vecchia e strappata era annodata sulla parte alta del suo braccio sinistro, mentre con il destro, con le mani tremanti e il respiro veloce, stringeva una siringa che sembrava essere troppo rovinata e sporca per essere nuova. Quando lo aveva visto, Roger era scattato in piedi, con gli occhi spalancati, l’espressione in volto di chi sembrava sentirsi in trappola. Era corso via dalla cabina, schiacciandosi contro il muro del bagno mentre Brian gli si avvicinava, cercando di prendergli dalle mani una di quelle tante catene. Lo aveva visto premere velocemente il pistone verso il basso prima che potesse impedirglielo. Aveva guardato il liquido nella siringa scendere, aveva visto l’ago macchiarsi di rosso. E aveva visto Roger roteare le iridi azzurre e le pupille strette sotto alle palpebre, scivolare contro il muro mentre il maggiore cercava di sostenerlo prima che potesse crollare. Brian non ebbe il tempo nemmeno di avere paura che fu pervaso dal terrore. Il respiro del migliore amico era debole come il battito d’ali di una farfalla, il suo volto cianotico.
Roger Taylor, prima di quel giorno, non aveva mai sperimentato cosa realmente significasse la parola “Overdose”. Glielo avevano spiegato e aveva letto qualcosa nei libri. Ma non aveva mai saputo cosa fosse davvero. E se non ci fosse stato Brian, in quel bagno con lui, sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe provato.
Il riccio strinse gli occhi deglutendo, scuotendo la testa come a voler scacciare quel pensiero. Il pensiero del giorno in cui aveva quasi visto la morte negli occhi di una persona, il pensiero di quella siringa e di quell’ago macchiato di sangue. Guardò il suo migliore amico. – Ti prego. Ti prego Rog. Provaci.
- E’ la cosa che dico anch’io tutte le sere, prima di andare a dormire.
- Hai bisogno di provarci.
- Ho bisogno di provarci come tu hai bisogno di mangiare, Brian.
Il più grande fece un respiro profondo. Strinse i pugni, si morse un labbro. No. Non era vero. Lui non aveva il problema di Roger, lui stava bene. Era Roger a dover smettere. Erano tutti stupidi, anche Earl lo era, a dirgli di mangiare, a dargli i suoi piatti. Lui stava bene così, e se avesse ricominciato a mangiare avrebbe deluso tutti quanti. Soprattutto se stesso. Per Brian, se una cosa era come la considerava lui nella sua testa, doveva esser tale anche per gli altri. Per Brian non era facile cambiare idea, per Brian non era facile avere fame, per Brian non era necessario, era inutile mangiare anche solo un boccone di qualsiasi cibo. E a che gli sarebbe servito, dopotutto? Le persone lo avrebbero deriso, anche per quello. Come i bambini che lo avevano sempre preso in giro, alle elementari, per la sua debolezza. Ma lui era forte. E abbandonarsi al cibo, non era da persone forti. Un giorno sua madre gli si era avvicinata, mentre lui studiava le Costellazioni, appoggiandogli una mano sul viso, sospirando con un’espressione che a Brian era sembrata tanto triste negli occhi. “Sei così magro, Brian”.
Si era sentito bene. Si era sentito forte.
“Grazie, mamma”, aveva detto. Ruth non gli aveva sorriso come faceva di solito.
- Ma che è, questo casino? – fece Roger, distogliendolo dai suoi pensieri. Brian aveva notato che, effettivamente, fuori dalla stanza ci fosse un gran trambusto e un forte brusio. C’erano infermieri e medici ovunque, che correvano e, di tanto in tanto, imprecavano. Il maggiore sospirò, alzando le spalle. – Forse qualcuno sta male.
- Non ci sarebbe tutto questo baccano.
- E chi te l’ha detto?
Roger si chiuse nelle spalle, facendosi sfuggire un sospiro e giocando con il braccialetto con il suo nome che portava al polso. – Si sentono male tante persone e noi non ne sappiamo nulla, Bri. Non credo sia uno di quei casi. Non credo qualcuno oltre a te e quelli di ‘sto reparto abbia saputo qualcosa di sta mattina.
A Brian venne voglia di abbracciarlo. Roger aveva abbassato lo sguardo, puntandolo su quelle povere braccia martoriate dall’ago della siringa.
- Quel ragazzo, John. Lo hai lasciato da solo? – cambiò poi discorso il biondino.
- Dormiva.
- Beato lui. – Roger allungò le braccia verso l’alto, come a volerle stendere o stiracchiare. – Da quanto non dormi, tu?
- Sta notte ho dormito. Poco, ma ho dormito.
- Io non mi addormento di mia volontà da, più o meno, - il biondo si grattò la testa. – una settimana.
Brian abbassò lo sguardo. – Non puoi dirlo con così tanta leggerezza. Non davanti a me, che ci tengo a te.
- Ma sì, che t’importa? – si grattò una porzione di pelle scoperta sul collo. – Ho tante energie e poco tempo da sprecare dormendo. E lasciami le braccia, Cristo, sai che odio quando me le toccano.
- Finiscila di grattarti. Ti fai del male.
- Lasciami andare queste cazzo di braccia! – sbottò il ragazzo, dimenandosi e strattonando gli arti per liberarli dalla presa. Iniziò a tremare leggermente. – Va’ da John. Non ho bisogno di te e me la cavo da solo.
- Vieni anche tu?
- Sono controllato dall’inizio del primo mattino fino a quello del giorno dopo. Se mi vedono uscire dalla stanza me la mettono in culo.
- Se è per questo anche io dovrei essere nel mondo dei sogni da un bel po’, adesso.
- E’ diverso. E, fidati, me la mettono in culo comunque.
- Non è vero. Posso spiegare che sei da noi.
- Non mi faranno restare. Non voglio nemmeno. E poi, disturberei il tuo compagno di stanza.
Brian strinse le labbra. – Non ci avevo pensato.
I due ragazzi videro il giocane in questione in piedi davanti alla porta, a occhi strabuzzati. Al riccio fece un certo effetto, nella fioca luce dell’ospedale, nonostante fosse abituato a vedere gli occhi rossi e spiritati di Roger che lo fissavano a qualsiasi ora della giornata, anche di nascosto, anche in orari improponibili in cui, come il biondino stesso aveva detto, sarebbe dovuto essere nella sua camera. Era solito a contraddirsi.
- Brian, finalmente. Ti ho cercato dappertutto e… - balbettò John. Brian gli sorrise, andandogli vicino. – Ogni volta che mi cerchi e non mi trovi, o sono qui, o sono a mensa, o sono in uno dei dormitori al piano di sotto. Oppure, quando ho caldo, sono fuori a studiare. O a giocare con qualcuno a calcio, o giochi da tavolo.
John rimase a guardarlo per un attimo. Poi annuì. – Sì, sì, okay. Solo, io…
- C’è qualcosa che non ti piace? So che i letti fanno schifo, ma…
- Un tizio è appena saltato giù dalla nostra finestra!
Brian si irrigidì per un attimo. In quel posto ne aveva viste tante, davvero tante. Ma non aveva certo mai visto qualcuno uscire in piena notte scavalcando una finestra. Tantomeno la sua. Appoggiò le mani sulle spalle di John. – Non è che, forse, stavi sognando?
- Macché sognando, non sono mica scemo! L’ho visto. Era alto, credo avesse i capelli neri e… Oggi pomeriggio l’ho sentito e visto cantare in una stanza al piano di sotto.
- Scusa, ma teoricamente era ieri, perché è l’una del mattino. – lo aveva interrotto Roger, mentre Brian aveva spalancato gli occhi. – Cazzo, non di nuovo. Oh, cazzo.
- Cosa? Che cosa? – domandò il biondo dietro di lui. Il più grande scosse la testa. – Freddie è scappato di nuovo.
- Oh, cazzo! – esclamò allora il più piccolo.
Brian alzò gli occhi al cielo, passandosi una mano tra i ricci e sbuffando, guardando l’ultimo arrivato. – Sai dove sia andato?
- No, non ne ho la più pallida idea.
Il riccio scostò la mano dalla spalla di John, lanciando un’occhiata a Roger. – Lo dobbiamo trovare.
Il biondo sospirò, alzando le spalle. – Sì, e come? Non possiamo uscire da qui. O almeno, io non posso uscire da qui. Mi fissano tutti.
Il maggiore respirò profondamente. Guardò John, che intanto osservava i due ragazzi muovendo velocemente gli occhi dall’uno all’altro, come palline da pingpong.
Brian puntò gli occhi nei suoi. – Ti va di farci un giretto qua fuori?
 
 
Note delle autrici:
 
Ciao a tutti!
Innanzitutto, ci teniamo a ringraziarvi per il supporto e l’entusiasmo che ci avete mostrato dopo il capitolo precedente, ci ha fatto molto piacere e ne siamo rimaste molto soddisfatte!
Ci scusiamo anche per il lungo tempo di assenza, ma volevamo che il capitolo fosse più adatto e più rispettoso possibile per il tema, come abbiamo già detto vogliamo trattare questa storia con assoluta sensibilità, con delicatezza e rispetto, non con superficialità o banalità.
Noi vi ringraziamo tanto ancora per i consigli e il supporto che ci avete dato, speriamo che questo capitolo vi sia piaciuto e che continuerete ad interessarvi alla nostra storia!
 
B&M.
   
 
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