Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: queenjane    21/02/2019    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 “Sei qui”
“Sicuro, Altezza imperiale”
Una smorfia che voleva essere un sorriso, annotando il titolo, e tanto era sempre lui per quanto magro e spiritato, cacciai di affermare ma dove vuoi che vada, tesoro, almeno per ora.. . “Sei sempre formale”
“La forma e la sostanza, Alexei Nicolaevich” osservai in russo, mi sorrise, leggero, gli occhi grigi come un mare in tempesta, in inverno, vento e pioggia. Aveva qualche pensiero e non occorreva essere maghi per indovinare.
Era reduce dalla sua ultima crisi, quella dell’ottobre 1912, a Spala in Polonia, era stata epocale purtroppo.
“Posso darti un bacio?”mi chiese, allungando le braccia.
“Anche due, o tre” sorridevo, a mia volta, osservai che non aveva l’apparecchio ortopedico, calai come un falco predatore sul divano e lo presi in braccio, pesava quanto un sacchetto di piume o poco più, mi cinse il collo, io lo raccolsi contro il busto, attenta alla gamba lesa “Carry me”
E  il suo sorriso divenne reale, ci avvicinammo alle finestre ed il parco imperiale sorse davanti a noi, la neve al pari di un bianco e scintillante tappeto, i profili dei sempreverdi sullo sfondo,  i rami spogli degli alberi protesi contro il cielo  sfumato di azzurro e rosa pesca. 
“Niente aria, però”
“E dai .. se mi prendono in flagranza la lavata di testa non me la toglie nessuno” una pausa di pochi minuti, che non vi erano tate, marinai o chi altri..  lo avevo rimesso sul divano, ben avvolto nelle coperte,  come se nulla fosse, sorretto dai cuscini, la testa castana appoggiata contro la mia clavicola, quel giorno ero vestita color crema, mi pare, sospirai, pregando di non avere combinato un guaio, per una mia mossa estemporanea.
“Puoi sempre dire che te l’ho ordinato io, sono lo zarevic, ogni mio desiderio è un ordine” 
Omisi di rilevare che dipendeva, dalla richiesta, lo spirito era alto lode al Signore.
“Che guardavi?” era un libro su Pietro il Grande, lo zar che aveva fondato S. Pietroburgo, nel 1703, appellata la Venezia del Nord, con splendide illustrazioni.
“Qui era quando faceva il carpentiere in Olanda..”  guardammo, io commentavo, a raffica, arrivarono le sue sorelle, Olga e Tatiana, feci un minuscolo cenno con la testa, il pomeriggio era dolce, quieto.
Eravamo nel salottino privato dello zarevic, aveva le sue stanze dedicate, la camera da letto, la classe, dove sulla poltrona d’angolo la zarina sferruzzava, ascoltava lì le sue lezioni come lo zar, il bambino chino con il precettore sulle scrivanie, sopra di loro mappe geografiche, sulla Russia e l’Europa continentale. Per non tacere delle teche che contenevano le collezioni di insetti, farfalle e uccellini, per le lezioni di scienze, tutte curiosità per mantenere viva l’attenzione di Aleksey, che si annoiava spesso e facilmente, un poco come me,  Catherine, prima che mia madre sostituisse il tradizionale percorso di studi (ricamo, economia domestica e via così) con sessioni impegnative di lingue, letteratura e storia dell’arte straniere.. E storia.
…….
 
Durante la crociera era stato male, uno dei tanti ciclici ascessi della sua emofilia, e si era ripreso, abbastanza, agli inizi del  settembre 1912, ci eravamo salutati, io dovevo iniziare a preparare seriamente il mio corso di formazione per entrare all’università, la famiglia imperiale avrebbe continuato le sue vacanze prima di rientrare a  S. Pietroburgo per l’inverno..

Viaggiavano sul treno imperiale, un palazzo in miniatura, le carrozze di uno squisito color blu esterno con le aquile dorate simbolo della dinastia dipinte sopra. Era tutto raffinato, perfetto, imperiale, appunto, anche se ogni viaggio era effettuato su due treni uguali, per tema di attentati, in modo che non si sapesse quale fosse il mezzo effettivo usato dallo zar e i suoi.
Non mancavano i momenti ameni, come quando il treno si fermò sui binari di Smolensk e  i Romanov presero il tè con i nobili del luogo. Infatti, quella volta Alexei riuscì a mettere le mani su un calice di champagne e svuotarlo, senza essere intercettato, e, gaio, iniziò a intrattenere signore e signorine, strappando risate e sorrisi. Un rubacuori, lui, che, tornato sul vagone, raccontava le conversazioni, lamentando un certo brontolio nello stomaco.


Spala era nel cuore della foresta polacca, al termine di una lunga strada sabbiosa, una villa di legno a due piani, il bosco così fitto che la luce solare non penetrava mai e toccava tenere accesa la luce elettrica finanche di giorno.
La grande attrattiva era appunto l’attività venatoria, dai  cervi fino ai fagiani e galli cedroni, le partite seguivano un rigido protocollo, la sveglia alle sette con un corno da caccia, il pranzo nella foresta accompagnato dagli  ottoni della banda militare, per poi procedere ad abbattere cervi che vantavano dalle dieci punte in avanti nelle corna. Ogni giorno era stilato un inventario, il tramonto era color ruggine e sangue, le torce illuminavano le prede cadute che venivano catalogate e segnate su appositi registri, durante una stagione lo zar abbatté circa 1.400 creature.
Alix guardava Alexis e decise che poteva imparare meglio il francese, che Spala offriva ben pochi diversivi, oltre l’attività venatoria, che il bambino non praticava di certo.
I suoi studi, irregolari a causa della malattia, erano molto indietro, non certo per colpa sua, quando stava male la convalescenza era spesso lunga, ma quando era in salute non stava fermo, si annoiava nel dovere restare seduto e ascoltare le lezioni, saltava da una domanda all’altra e nessuno gli badava e si scocciava.
Era troppo intelligente, bisognoso di stimoli e non solo di nozioni, usare un frustino o picchiarlo sulle mani per indisciplina erano strumenti educativi coevi che su lui non sarebbero mai stati applicati, per fortuna aggiungo io.
Per distrarlo, la zarina decise di portarlo a fare un giro in carrozza, insieme alla imprescindibile Anna Vyribova, lo  fece sedere in mezzo a loro.
La strada era piena di buche e scossoni , la passeggiata disagevole, dopo vari chilometri di urti Alessio iniziò a lamentarsi di avere dolore alla gamba e allo stomaco, quando rientrarono era praticamente svenuto per il dolore.


L’emorragia era ripresa, intensa, violentissima, il gonfiore si era spostato, causando quella crisi. Dai vasi lacerati della gamba il sangue fluiva nella parte inferiore dell’addome, pareva che avesse mangiato un pompelmo tanto era gonfio.. La gamba sinistra era tenuta sollevata, per dare al sangue un nuovo sbocco, per alleggerire la pressione, il liquido colava, nell’addome non si espandeva oltre e fluiva.
Alessio urlava per il dolore e lo sforzo di respirare.
“Voglio Catherine!! Mamma! Dove è..”
“Mamma aiutami . “
“Mamma.. Dio non ne posso più!!”
“Cat.. dove sei..”
Una supplica di amore e disperazione.
“Basta così Alix” enunciò lo zar, prendendo da parte sua moglie, il viso bianco come quello di una statua di marmo “Chiama Rasputin, chi ti pare..  Ma Catherine viene.. è tuo figlio, la vuole ed è tutto.” Scrutò Olga che era una statua di sale, anche se non avevano urlato, sempre bassi i toni, e la ragazza li aveva sentiti “ Scrivile tu..”
“CAT..!!!”
“Sei contenta mamma.. ?eh? cosa aspettiamo.. Dimmelo!!”
“Non è di famiglia.. “ in affanno. “Non si deve sapere..” come se dubitasse della mia discrezione, eh, a tenere i segreti ero una maestra, che il principe Raulov me lo aveva ben fatto apprendere, una lunga e dura scuola.
“E’ mia amica, una sorella.” Glissò come una sorella, forse l’aveva capita, prima ancora di me, che eravamo i fratelli Romanov, un baluardo, bastardi o legittimi che fossimo.
“E’ MIA SORELLA” una pausa “ Gli vuole bene e mi fa ridere.. E la voglio con me, fine” e comprese di avere vinto una partita, definitiva, che non la avrebbe più ostacolata.
“Viene, Bimbo, viene .. non ti lascia.. solo che .. “ gli sfiorò una spalla “Non mollare. Viene ma resisti..”
 
 
Venni convocata in via urgente da San Pietroburgo, dove ero, una emergenza, secco il testo del telegramma,  e mia madre non fece commenti, non era il suo stile e mi sorpresi a pensare che sapesse qualcosa, era una donna intelligente e con un tatto infinito. “Vieni, per favore, subito. Olga” lei per me c’era stata in un numero infinito di volte, quando ero stata male, potevo ben ricambiare, mai avrebbe usato quei toni se non in caso di pericolo.
Da anni i pettegolezzi si sprecavano, Maman non mi chiedeva nulla, mai.
Nel frattempo, mio fratello era cresciuto e Ella lo aveva staccato dalle sue gonne, lo adorava e lo viziava, ma non voleva che crescesse debole o smidollato.
A quel punto, penetrai anche io nel loro magico mondo e fu un ristoro, Alexander aveva il potere di farmi ridere fino alle lacrime con i suoi stravaganti perché, le battute fulminanti e le marachelle.
Vivace e birichino, aveva un punto di contatto con lo zarevic, adorava le mie storie, si fermava addirittura a ascoltare.


Il viaggio in treno verso la Polonia fu lungo, il paesaggio grigio e spoglio, piatti boschi e paludi, la luce che stagnava, incerta, una dura attesa, cosa avrei trovato, ma fu peggio vedere il mio piccolo principe preda della sua malattia.
“Altezza imperiale"Le mie ginocchia toccarono obbedienti la sponda del letto, nonostante il tremore,celate dalla provvidenziale gonna, mentre mi inchinavo, il viso era stravolto dal dolore, la pelle tirata e la fascia lombare e la gamba sinistra gonfia, contorta oltre ogni descrizione. Alessio, tra un rantolo e l’altro, invocava, aveva invocato Dio e sua madre. Io ebbi la fortuna di giungere in una breve pausa e mi veniva da piangere per come era ridotto, osai appena toccarlo su una spalla, era rannicchiato su un fianco, l’arto sinistro sollevato.
Ti voglio bene, Alessio.. Glielo avevo detto, per una volta..
“Sei qui”
“Certo”
“ Cat. “la zarina mi chiamò con il mio nomignolo, strano, annotai ma scorsi il suo viso opaco, le ciocche grigie che striavano i suoi capelli dorati, la sua desolazione feroce e impotente, in meno di un mese era invecchiata di 10 anni.
“Grazie per essere venuta. “
“Grazie a voi, Maestà imperiale. Ecco, pensavo di raccontare a sua Altezza imperiale una storia che forse non conosce, ovvero le avventure di Sinbad il marinaio, oppure del drago  e della rosa. Magari le ho già raccontate, potremmo creare nuovi particolari..”Una delle mie formule magiche, l’attacco delle mie storie, sillabe che erano il ponte di congiunzione per altri mondi.
“Racconta .. avanti, per favore”la voce sottile come brina. Presi una mano dello zarevic, racchiudendo il palmo contro il suo. “Cat.. “
“Sono qui, Alessio..” Per tutto il tempo che vuoi.. Gli sfiorai i capelli, mi ero spostata, le teste vicine.
Raccontai di un drago combattente e di Achille, rose e fiori, cercando di non piangere, qualche minuto, sua madre che ci guardava. Ora che sono passati tanti anni penso che cercasse le somiglianze, ritrovandosi il cuore spaccato in pezzi ancora più minuti, frammenti che non si sarebbero più ricomposti, a prescindere dal colore degli occhi, in molte, piccole cose ci somigliavamo. .
 
“Adesso vai, Catherine, si è assopito e tu riposati un poco, le ragazze ti aspettano. Oggi stava un poco meglio” con un piccolo cenno, mi permise di congedarmi e tornò a scrutare suo figlio, non fossimo state io e lei l’avrei abbracciata, ma non osai. Da quando aveva avuto i primi sintomi non si era staccata da lui, o quasi, dormendo in poltrona, senza quasi mangiare, ora dopo ora non si era mossa dal suo capezzale.
 
“È a rischio di setticemia e peritonite” mi raccontò Tatiana, quando passai nella stanza che divideva con Olga.
I gemiti e i lamenti del principe erano continui e costanti, tanto che la servitù si metteva batuffoli di cotone nelle orecchie per lavorare, al solito il mondo esterno nulla conosceva di quella crisi, lo zarevic era indisposto in modo lieve e quello era quanto. Perfino le sorelline più piccole, Marie e Anastasia, sapevano che stava poco bene, la verità era un lusso ignoto anche in famiglia.
Alessandra non lasciava il suo capezzale, ascoltava i suoi lamenti, invocava Dio di liberarlo da quel dolore, sua madre di aiutarlo , era uno strazio senza fine o misura.
In tre sapevamo che era un lottatore nato, ma il problema era che mai era stato così male, senza requie, per tanti giorni filati.
Stava un poco meglio.. un eufemismo.
Per lui non potevo fare molto, dopo la breve tregua del pomeriggio stava di nuovo malissimo, ma per le sue sorelle sì, suggerii di mangiare qualcosa, il nostro digiuno non l’avrebbe certo guarito, chiaro, ma stare male anche noi per l’inedia non gli avrebbe certo giovato.
….. ……
Sei qui..
Certo che sono qui…
…….

Aveva 40 gradi e mezzo di febbre da  giorni, la temperatura non diminuiva e il cuore non poteva reggere all’infinito ..anche cambiargli il pannolino era un problema...
La sua crisi divenne un affare di stato, prevedendo il protocollo che, in caso di morte imminente dello zarevic, dovesse farsi un annuncio ufficiale per preparare la nazione alla perdita.
Il bollettino venne trasmesso e venne somministrata l’estrema unzione, nel prato davanti al palazzo venne costruita una tenda trasformata in cappella provvisoria, che Spala non disponeva di una Chiesa, tutta la Russia pregava per lo zarevic.
Caddi sulle ginocchia, imitata da molti altri, pregando per la sua salute, come milioni di persone nell’impero pregavamo per la sua salute, un ragazzino di otto anni, nato sotto il segno del Leone, che aveva il coraggio di quella fiera.
I capelli mi si rizzarono sulla nuca quando scorsi una bara foderata di velluto viola e filigranata d'oro nell'anticamera; distante, volevo piangere in pace e trovai quell'apparato. Già, ogni volta si preparavano al suo decesso, il sudario, in filo d'oro, era tirato fuori e posato sul catafalco che avrebbe custodito le spoglie, ne facevano uno nuovo per anno, seguendo la sua crescita, posandolo in una lontana anticamera fuori dalla sua vista, mettendo finanche un cuscino con un alto bordo di pizzo dorato. No. Anche lì. NO.
Con un sorriso sardonico sfrangiai un angolo di prezioso tessuto, un punto segreto, usando delle forbicine che portavo sempre con me

A quel punto la zarina Alessandra spedì un telegramma a Rasputin in Siberia e la risposta giunse ore dopo, parlava di guarigione e tutti si meravigliarono, a partire dai medici che lo davano per spacciato e più ancora quando lo zarevic ebbe una impercettibile ripresa, che si rivelò costante.
Era tutto rarefatto e sospeso, le icone e le candele con il loro caldo odore, cera pregiata, un quadro vivente della desolazione. Alessio era immobile, il respiro superficiale.
La sua vocina rimbombò come un secco proiettile, il rombo di un cannone nella mistica atmosfera “Ho fame..Olga? Tata..” riconobbe sua sorella che lo prese tra le braccia, piangendo “Mi spiace..siete stanche”
“Tranquillo..come sono felice” lo raccolse contro di lei “Cat..c’è?”
(Sei qui.. certo che sono qui)
“Sì ..Alessio, c’è sempre stata..ti farà mangiare lei come da tradizione, un boccone, una storia” In genere ogni boccone era una frase ma sorvoliamo, riflettè tra di sè il bambino


 
 

“Niente fiume e niente grotta”
“Che dici?
“Una nuova storia; Anastasia.”
“Sarà per un’altra volta. Speriamo il più tardi possibile”Strinse gli occhi, un barbaglio azzurro e divertito.
“Ci conto. Sarai forte, davvero, come Achille o Piero il Grande”
“ Lo so. Quando torno a casa, manda tuo fratello a giocare da me.”
-“Certo, ti metterà a soqquadro tutto, parlerà senza posa..” Alexander poteva essere snervante, con la vivacità e il brio di tre bambini. Fu il mio turno di stringerlo tra le braccia e riempirlo di baci, come di distrarlo con nuove storie.
Ogni frase un boccone con cui lo imboccavo, era viziato e intelligente, sapeva come rigirarmi.
Io come le sue sorelle, per non tacere di sua madre.
A mia discolpa annovero di averlo viziato ma ne ero ben consapevole.
Trangugiò due cucchiate di minestra fredda con del pane con una lentezza esasperante “Ti eri preoccupata.. eh” aveva il viso pallido e contratto e tanto mi pareva un miracolo, anche se era sfinito, gli occhi erano immensi, due lampade azzurre. “Sei stato veramente male” gli pulii il mento con delicatezza, aveva un bavaglio per non sporcare le lenzuola e compagnia, il busto alto grazie alla pila di cuscini. “Vedo. Non hai detto nulla” lo avevo tenuto stretto per un pezzo, baciandolo, felice oltre ogni immaginazione, luce e calore e dolcezza, delicata come una piuma “Del per piacere e compagnia.. che mi importa..” gli sfiorai una guancia, era un miracolo. “Non ti lascio, Aleksey.. Io e Olga e Tata facciamo i turni, cerca di riposarti .. Se ti svegli, oltre a tua mamma, trovi una delle tre, Marie e Anastasia di giorno..” Una pausa “Tranquillo.. cerca di stare tranquillo, la passiamo insieme, una delle tante” “Dammi due cucchiate e taci” ruvido per nascondere la commozione, poi mi serrò il collo con le braccia E come apriva le mani me lo stringevo addosso, sempre dal lato destro, attenta a tutto. Per un pezzo avrebbe dovuto portare un apparecchio ortopedico di metallo per raddrizzare la gamba e curarsi con bagni di fango caldo per non rimanere zoppo. Era il mio piccolino, la meraviglia e la fragilità Stava meglio e tanto rimaneva malato, suo padre disse che pareva fatto di cera, anche se i medici lo rimpinzavano come potevano. E vedevo che si sforzava di mangiare, per farci contenti, tranne il cibo era.. da malati, poco appetitoso, rilevai assaggiando un boccone quando era fuori vista.  Poi estemporaneo " ...mi cambi per favore?: "
Chiesi al Dr Botkin se fosse una balzana idea, lui approvò, avvisandomi di non restarci male se non avesse gradito, lo zarevic aveva ben poco appetito, in generale, non era un bimbo goloso.
Quando mi riprendevo dal morbillo,il profumo del pane tostato, con burro caldo e marmellata mi aveva aperto il naso e lo stomaco, Alessio adorava i mirtilli, quell’estate a Friburgo, nel 1910 li divorava, la faccia diventava blu. 
“Ti prego, Cat, ora non ho fame..”
“Mangio io ..Magari pensa a cosa vuoi giocare”
“Che è..?” guardò il piatto con dei quadratini sminuzzati, percepì il profumo “Vuoi sentire..”
“Grazie, Cat..” scrollai la testa, mi si appoggiò alla clavicola e gli carezzai i capelli, aveva spolverato tutto “Sei la sola che se ne ricorda.. dei miei gusti.”
“Macchè..”
“Mi hai giocato..”
“Qualcosa che mangi con appetito dovrà pure esistere, Alessio, e ho preferito non forzarti..”
Nevicava, dal cielo e dai sempreverdi fiocchi cadevano, l’aria sapeva di pulito e rinascita, eravamo sempre vivi, con nuova voglia di fare.
Lo zar fece altre battute di caccia, le granduchesse giocarono a tennis, le guance colorite per il moto, perfino lo zarevic si azzardò a uscire, ben avvolto nelle pellicce, per un breve giro su una carrozza trainata da un pony avvolto tra lane e pellicce, un valletto che seguiva con la borsa dei suoi pannoloni, lo cambiarono e non voleva, il suo pianto scandiva il viaggio di ritorno
Dopo un mese la famiglia imperiale lasciò Spala, le strade spianate a mano e ricoperte di sabbia, per evitare ogni scossone, il treno procedeva lentamente. A circa 20 chilometri orari.
Quando tornai a palazzo Raulov, nella mia stanza, trovai un mazzo di rose, bianche con una squsita sfumatura color crema nei petali, legate da un semplice nastro verde pallido “Dalle serre di Crimea, i mirtilli saranno per l’estate. Baci AN”
Il  solito egocentrismo trionfante, mica lo hai viziato solo tu, rilevava poi Olga, ma la crisi di Alessio, forse la più grave che avesse mai avuto, l’aveva toccata profondamente, al pari dei suoi genitori, si faceva molte domande, temeva il futuro e si rifugiava dietro maschere di allegria, leggeva tanto e cavalcava quando poteva, una sorta di liberazione .
Alessandra fu lieta per la guarigione del figlio, ma la sua ripresa era molto lenta, come accennavo.
Adesso veniva incolpata di avere contaminato i Romanov con la malattia della sua razza, Nicola ancora più compianto per l’avere il fardello di una simile moglie, che gli aveva dato un solo maschietto fragile come vetro.
Alix si sentiva come se fosse stata abbandonata da tutto il mondo e cercava, gelida, la solitudine, adesso tutti la consideravano un Pechvogel, un uccello del malaugurio che recava sol catastrofi e lutti, tutti ricordavano come  fosse spuntata dietro a una bara, quella di Alessandro III, suo suocero, deceduto poche settimane prima delle nozze con Nicola.
I russi erano un popolo superstizioso e lei pareva accompagnarsi alla mala sorte fin dagli esordi, sposa in tempi di lutto, massacri e lotte, quattro figlie prima di avere un fragile maschietto, che si accompagnava a dubbi personaggi, come Rasputin, ve ne era di che sparlare.
Si rifiutava di dare il suo contributo ai preparativi per la grande celebrazione del tricentenario dei Romanov, che avevano preso il potere nel marzo del 1613.
E la vita batteva alla porta.
 E aveva il colore degli occhi dello zarevic. 



"..you are my heart, even if you are  broken"
"...and teach me wrong from right, and I'll show you what I can be."

 
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: queenjane