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Autore: queenjane    22/02/2019    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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La guarigione di Alessio fu una gioia profonda per sua madre. Anche se la ripresa fu lenta, faticosa, e presto la felicità cedette il passo alla disperazione, al senso di inadeguatezza. Adesso la zarina era considerata un Pechvogel, parola tedesca che significava uccello del malaugurio, colpevole di avere contaminato la ultracentenaria dinastia dei Romanov con il “morbo inglese”, ovvero l’emofilia, lo zar era universalmente compianto dall’avere il fardello di quella moglie e di quel figlio, la reazione di Alix fu di  cercare la solitudine, di barricarsi nella sua “mauve room”, il suo baluardo contro un mondo che non sapeva o voleva fronteggiare. La  sua stanza preferita, piena di mobili ordinati per corrispondenza ai grandi magazzini inglesi Marple’s (cosa che aveva prodotto altra frecciata ai suoi danni, che bisogno aveva di ordinare quegli acquisti quando disponeva delle squisite collezioni e degli splendidi arredi dei palazzi dei Romanov? Era e rimaneva una Hausfrau, una casalinga in tedesco,una piccola borghese, anche in quello si palesava la sua inadeguatezza). Il pianoforte verticale.
La chaiselongue ove si adagiava, lo sguardo appuntato sulla parete colma di foto, della madre Alice, di sua nonna la regina Vittoria di Inghilterra e paesaggi della Germania e della Gran Bretagna, un quadro dell’Annunciazione e un arazzo Gobelin che rappresentava Maria Antonietta e i suoi figli, dono dell’ambasciata francese, i vasi sempre colmi di fiori, nella specie lillà e rose freschi, mescolati al suo profumo preferito White Rose e alle sigarette che fumava, nei momenti di quiete che di fretta, ovvero sempre, una sigaretta appresso l’altra.
Quando  l'emofilia di Alessio si era palesata, con il marito aveva scelto di tenere il segreto, ritenendo che la questione fosse strettamente privata.
Da un pezzo non compariva in pubblico, se non per ineludibile obbligo, e se compariva il suo viso era irrigidito per la tensione nei riguardi di Alessio.
Ignorando il segreto, le persone scambiavano la sua tensione per alterigia, il viso una maschera, si sentiva una bara, una simulatrice.
Quando Alessio  stava male, le scuse ufficiali erano una storta, una febbre, un raffreddore.

E la gente, ignara, malignava, le voci definivano lo zarevic  storpio, deforme, un mentecatto con crisi epilettiche.
Dopo l’ordalia in Polonia, Alix viveva accampata nella sua mauve room, aveva la sciatalgia, il mal di denti, l’emicrania, voleva stare per lo più sola, di rado interagiva con le figlie od Alexei, anche se dava i soliti ordini..
Mi faceva pena e mi faceva rabbia, possibile che venisse meno ai suoi doveri, lei che se ne professava prima paladina?
E le mie storie personali si mischiavano, nel novembre 1912 avevo conosciuto Luois de Saint Evit, membro dell’ambasciata francese a un tè benefico organizzato dall’imperatrice madre.
Alto, sorridente e bellissimo, aveva qualcosa di trascinante, come una calamita.
Senza falsa modestia, sapevo di essere una ragazza molto carina, se non bella, alta e sottile, con un buon nome e una dote ottima, chi mi avrebbe sposato avrebbe fatto un affare con i fiocchi, tranne che non si discuteva di precise politiche matrimoniali, per quanto a mia diretta conoscenza, il granduca Dimitri Paulovic Romanov sul momento si dedicava alle liaisons piuttosto che a cercare una fidanzata ufficiale.
Tanto era, venivo guardata, ammirata, lodata.
E sapevo che la stagione dei matrimoni sarebbe giunta pure per me, un principe o chi. ( Tutto avrei poi immaginato, la prima volta che (r)incontrai  Andres che avremmo fatto a botte, che quando mi attirava me lo sarei divorato seduta stante, che desideravo farci l’amore fino alla fine del mondo, subito, ora, pura cortesia se non ci saltammo addosso.. mi piaceva mi era sempre piaciuto, mi scuoteva fino al midollo, in ogni singolo osso)
 
E il Natale, il ballo per i miei 18 anni, il 27 gennaio 1895, le ore con Alessio, le storie, le passeggiate nel parco, poteva uscire sulla sedia a rotelle. Infatti, camminava ancora male e a fatica, doveva essere sostenuto o si aggrappava ai mobili, alle pareti, ogni mossa era un affanno. Nelle  foto di quei periodi sarebbe stato sempre ripreso seduto o dalla vita in su, per non mostrare le sue debolezze, fu solo nel 1914 la definitiva ripresa.
Lo amavo, cercavo di non compatirlo troppo, o sminuirlo, nel frattempo imparavo come potessi essere brava a fingere, andare avanti, una sopravissuta seduta sulle macerie della verità.

Ero alta e sottile, le iridi scure come onice, con poche curve, scarno il petto e snelli i fianchi, il contrario delle bellezze che si apprezzavano in genere, bionde, rubiconde e paffute, avevo preso da mia madre, pur se i tratti erano più marcati, più scure le avvenenze, differente in tutto e per tutto, come lei.
La diversa, la spagnola, epiteti dati con una sfumatura di sarcasmo, alle mie spalle, o sussurrati in modo che sentissi, tant pis, pazienza, loro non avevano come amiche Olga o le sue sorelle.
O invidia, mi paragonarono a una ninfa in versione di bruna, a charming brunette, che ero bella, come una principessa orientale, sottile e meravigliosa.
Comunque, splendida o meno avevo compiuto una scoperta che aveva devastato tutto il mio mondo.
Le lettera di mia madre, scoperte pochi giorni dopo il gran ballo, impossibile mistificare, glissare, giustificare..
Il mio mondo cadde in frantumi, rimasi per un pezzo su quella poltrona, mentre giungeva il buio, che mi inghiottiva, un vuoto senza misura che mi si allargava dentro ..
 E  appresi la coesistenza, nel medesimo giro di danza, di rabbia e tristezza e la potenza salvifica della passione.
E forse potevo capire il principe Raulov, ma non giustificava quello che aveva fatto a me e mia madre, o forse lo ignorava.
Pensieri ossessivi e dolorosi, mi veniva da piangere e mi imponevo di sorridere.
Continuai a visitare la famiglia dello zar, a sorridere, giocare con Alessio, che si sottoponeva a cicli di dolorosi massaggi e bagni nei fanghi termali, massaggiandogli le mani fredde, sussurrando in francese e in inglese che era un eroe, un piccolo Achille.
Il mio combattente.

Che voleva godere la vita, non tollerava restrizioni  e la malattia era una condanna, da quando era nato, la mia era invisibile, un anatema, l’essere una  probabile bastarda, come avevo appreso.
Mi sentivo una bara, una giocoliera, Felipe, il mio antenato, ritornava come un monito. Nato fuori da legittime lenzuola, suo padre nobile, la madre una contadina,  aveva visto la luce in Spagna, salvo passare alla corte di Caterina II, aveva combattuto, guadagnandosi una sorte diversa e i suoi titoli, sposato una principessa russa, salvo poi sposarsi in seconde nozze per amore.
Aveva forgiato una dinastia nelle terre dell’est, io che discendevo da lui potevo e dovevo agire. Non rimanere una foglia in balia della sorgente, me ne sarei andata, inventando una nuova sorte.  Al diavolo tutto. Compreso Alessio che mi cercava sempre, il suo viso deluso e le sue braccia vuote le scordai, anzi le omisi.  Tanto, si meritava di meglio che sprecare il tempo con me.
Egoista fino alla mia ultima stilla.
Che poi lui mi avrebbe amato, a prescindere, i bambini sanno sempre perdonare, inventano un loro magico mondo. Anche no, lui poi rilevava che gli badavo sempre, che gli volevo bene, anche se a me non pareva, talmente ero assorbita dai miei guai, dalla passione per Luois e quanto altro.

“Catherine” serissimo.

“Dimmi, ti serve qualcosa?” mi misi alla sua destra, gli massaggiai la schiena, in automatico, scacciai i pensieri per dedicarmi a lui, a stare sempre su quel divano si stava chiaramente scocciando. E camminava ancora male, si doveva aggrappare ai mobili o essere sostenuto, Deverenko e Nagorny lo portavano in braccio, se non usava la sedia a rotelle o un bastone. Alcune volte ci pensava Marie, salvo piazzamerlo  spesso in grembo, lo serravo delicata e paziente, lo amavo sempre
“Una spiegazione..”
“Su.. “ la domenica di sangue, era il 22 gennaio 1905, me lo sussurrò in un orecchio, arrossii, reprimendo di dire, ma possibile che tu debba essere sempre così curioso, sono cose da grandi, glielo avevo insegnato io a chiedere e usare la scusa che era piccolo e non capiva lo faceva incollerire, che veniva trattato da mentecatto quando non lo era, era piccolo, mica scemo.
“Va bene, solo che si tratta di cose delicate”
“Guarda Cat che le urla si sentivano fino a qui,  uno dei consiglieri di Papa, berciava..”
“.. non avevi nemmeno sei mesi, si erano verificati dei disordini per l’epifania,” ovvero un attentato a suo padre, era partito un colpo di cannone che aveva frantumato le finestre del palazzo d’Inverno, io e Olga ne sapevano qualcosa, delle schegge di vetro ci erano piovute addosso, per miracolo non eravamo rimaste ferite. “.. insomma,  erano proibiti gli assembramenti e ci fu questa marcia, Alessio, davanti al Palazzo d’Inverno” solo che gli zar erano a Carskoe Selo, al palazzo di Alessandro “.. 12.000 persone, per lo più lavoratori,  operai, che chiedevano salari più equi, un minimo,  lavorare 8 ore al giorno e non 14 o16, un giorno di riposo a settimana .. “ Mi interruppi, il peggio doveva arrivare“.. i soldati hanno aperto il fuoco, zarevic, contro gli scioperanti, uomini, donne e bambini, che non avevano armi.. Brutto” e la neve si era tinta di sangue. I morti in via ufficiale furono 92, con centinaia di feriti, ma certo i  numeri erano più elevati, comunque la capitale era rimasta sconvolta, era cinico, barbaro sparare contro una folla inerme che invocava lo zar e condizioni più decenti.
“Non è possibile.. “ smarrito, incredulo.
“E’ successo, Zarevic, bada a quello che chiedi o scopri, non sempre le risposte sono gradite” eh, Catherine.. tu ne sai proprio qualcosa.
“ E il massacro dell’incoronazione.. “
E due, pensai cinica, quale sarà la terza domanda?
Una tragedia che aveva funestato gli inizi del regno, nel 1896. Lo guardai, era attento, voleva la verità, una tragica e vera storia.
Nel mese di maggio 1896 si svolgeva la solenne incoronazione a Mosca, la cerimonia dentro il Cremlino fu di superba bellezza e lusso.
Era la completa assunzione al trono, l’investitura di forma, dopo quella di sostanza al momento della morte di Alessandro III.
La cattedrale dell’Assunzione rutilava di ori e icone, di una folla abbigliata in modo splendido, che resistette circa cinque ore, il tempo dell’elaborata celebrazione, tra salmi e prediche, le fiammelle delle candele vorticavano sospinte dai palpiti d’aria come l’incenso che saliva dai turiboli, gli zar erano commossi mentre venivano cinti della sacra corona.
Erano  i signori della Russia, incoronati, gli unti del Signore, solo Dio e gli angeli erano loro superiori, avvolti da porpora e ermellino parevano divinità, ieratiche e perfetti nei volti e le espressioni. Tale sensazione si era avuta la sera prima, quando Alix, affacciatisi al balcone per salutare la folla, ricevette un mazzo di fiori dai notabili. Quando lo aveva preso in mano, un congegno nascosto aveva inviato un messaggio alla centrale elettrica di Mosca, che rispose inviando la corrente a tutte le lampadine, rosse, verdi, viola e blu, poste su ogni albero, cupola e cornicione, così che tutte le luci si accesero, stelle palpitanti, la città a festa illuminata solo per LEI
Venne tenuto un imponente banchetto per i nobili e i dignitari, mentre quello per il popolo era stato organizzato nei pressi della spianata di Chodynka, usata come luogo di esercitazioni militari, quindi ricco di buche e fossati.
Erano stati allestiti teatri, grandi buffet per recare i cibi e i doni dell’incoronazione, 20 spacci pubblici per le bevande, insomma una grande fiera,  ma la sera che precedeva il banchetto per il pubblico era circolata nel popolo la voce che i doni commemorativi non sarebbero bastati per tutti, quindi la folla cominciò a radunarsi per essere in prima fila fin dai primi bagliori dell’alba.
Da una cronaca di quei giorni "Una forza di polizia composta da circa 1800 persone non riuscì a mantenere l'ordine pubblico e sfollare quanti si erano radunati. L'ondata di panico che si verificò non durò più di quindici minuti nei quali 1 389 persone furono calpestate a morte e all'incirca 1 300 furono ferite.”
Lo  zar dichiarò che non si sarebbe presentato al ballo organizzato per quella sera presso l’ambasciata francese, ma gli zii paterni, lo convinsero a parteciparvi ugualmente per non offendere il diplomatico di Parigi. Alla fine,Nicola II si arrese.
Il commento di Witte, ministro di lungo corso: «Noi ci aspettavamo che la festa venisse annullata. Invece essa ebbe luogo come se nulla fosse accaduto e le danze vennero aperte dalle Loro Maestà ballando una quadriglia. Fu una serata infausta: l'imperatrice appariva sofferente e l'ambasciatore britannico ne informò la regina Vittoria.”
Molti russi ritennero che il disastro del campo di Chodynka fosse un presagio del fatto che il regno sarebbe stato infelice; altri, usarono la tragedia per rimarcare la spietatezza dell'autocrazia e  la superficialità del giovane zar e della sua "consorte tedesca".
Principiarono a chiamare l’imperatore "Nicholas the Bloody", ovvero Nicola il Sanguinario.
Un regno cominciato nel sangue si sarebbe concluso nel martirio e nella tragedia, riecheggiando un luogo comune, lo pensai cullando Alessio tra le braccia, era tetro e meditabondo, mi aveva allacciato con il braccio,  per quanto dietro ai miei affanni prevenni le sue lacrime di sconforto, lo baciai sulla fronte, ti voglio tanto bene, sai, mi spiace. Lo tenevo sicuro.. diceva .. Magari. Non gli avevo risparmiato né il dolore né altro, lo amavo e basta, ben misero ricavo e gli propinavo verità amare.

E tre, “Cat ma che hai? Sei triste, anche se sorridi”
“Pensieri, Alexei” me la cavai in quel modo..
Dicevamo.. era piccolo, mica scemo. Omise di chiedermi il dettaglio, due su tre poteva andare e tanto capiva quando non era il caso di insistere. Appunto..

Comunque, la stagione mondana del 1913, a prescindere dalla solita assenza di Nicola II e dei suoi più intimi famigliari, brillò per sfarzo ed arroganza.  Mia madre Ella partecipò al ballo della principessa Obolenskij ispirato alla mitologia ellenica,  gli ospiti si aggiravano nel magnifico palazzo neoclassico avvolti in tuniche e sandali, mangiando grappoli d’uva e sorbendo i vini provenienti dalla Crimea, mentre la neve cadeva copiosa. Meriel Buchanan, figlia dell’ambasciatore inglese, per il ballo nella loro ambasciata si premurò di creare vari tableaux vivants avente un tema macabro, basti pensare che, tra gli altri, figuravano Barbablù e Jack the Ripper. E la contessa Kleinmichel organizzò una serata di splendide danze in bianco e nero, ove gli ospiti parevano confondersi sullo sfondo dei pavimenti marmorei del suo palazzo, appunto a scacchi, candidi e neri.
Fiorivano le danze ed i pettegolezzi, come quello sul famoso Nijinskij, ballerino di punta al teatro Marinskij, che ebbe l’idea di danzare con un costume indossato direttamente sulla pelle, le sue grazie en plein air sotto gli occhi dell’imperatrice madre, che, presente sul palco imperiale, si era fatta dare un binocolo e aveva osservato per un momento o due, salvo allontanarsi in fretta. Il giorno dopo, il ballerino era stato bandito.
E sapevo, visitando poveri e orfanotrofi, che la situazione era satura, una volta mio zio R-R sbraitò che per ogni poliziotto e per ogni centocinquanta abitanti di Piter vi erano, a voler stare modesti, tre o quattro prostitute, che era incredibile!
 Il marzo 1913 portò a San Pietroburgo pioggia e foschia, come usuale, la variazione erano rombi di cannoni dalla fortezza dei Santi Pietro e Paolo, oltre che una folla immensa di dignitari russi e stranieri, finanche dall’Asia, che partecipavano all’evento di cui trattasi, ovvero il trecentesimo anno di potere dei Romanov.
La folla attendeva di veder fuggevolmente passare i Romanov che dal Palazzo d’Inverno si recavano alla cattedrale di Nostra Signora di Kazan per il Te Deum.
La città rigurgitava di curiosi, la prospettiva Nevsky era nel caos, tra auto, carrozze, filobus. Le stesse strade erano decorate dei colori imperiali, blu, rosso, bianco, le statue adorne di nastri e ghirlande, ritratti degli zar, dal passato al presente, ornavano le facciate di banche e negozi, sulle linee dei bus vi erano luci elettriche che danzavano intermittenti, sotto la registrazione “ God Save the Tsar' o ritraevano l’aquila bicipite dei Romanov con sotto “ 1613-1913”
Tornando al Te Deum, prima della cerimonia, il presidente della Duma, Rodzjanko, si trovò a dover cacciare Rasputin che si era accomodato  su una delle sedie riservate, senza invito , seguì una patetica scenata, sullo stile del periodo, poi giunse la famiglia imperiale sotto la pioggia e una processione di carrozze,  scarsi gli applausi e poca la folla, curiosa ma non plaudente.
Sfilò la corte, gli zar, le granduchesse, vestite di chiaro, e Aleksej, portato in braccio da un cosacco della guardia, ancora non si reggeva in piedi.
Durante la cerimonia vennero liberate delle colombe che si librarono sopra le teste castane dello zar e di suo figlio, come una benedizione di Dio per la dinastia.
Le fabbriche vennero chiuse, un giorno di vacanza, vennero offerti pasti gratuiti, prigionieri comuni vennero rilasciati per festeggiare l’anniversario.

Alessandra non organizzò balli per l’evento, si limitò  a partecipare a uno dato dalla nobiltà locale nella Sala delle Colonne. Vestita in bianco, coperta di brillanti,  entrò nella sala al braccio del marito, mentre suonava una polacca di Chopin, nessuno pretendeva che danzasse ma nemmeno che la folla la snervasse ed ansiasse fino al punto di un brusco ritiro, prima di svenire tra le braccia dello zar.
Una povera isterica, come sempre, chiosò la zarina madre, mentre Olga danzava, libera e leggera, di nuovo vestita di rosa come a Livadia, i suoi cugini e gli altri facevano a gara per avere un giro con lei, sei bellissima, le dissi, ed era vero, era la manifestazione della gioia di vivere, una primavera personificata. La stella della serata.
E Alix fece l’ennesima figura da arrogante e fredda, quando accompagnò lo zar al teatro Marinsky a vedere l’opera di Glinka “A Life for the Tsar” su Michele I, appunto, il primo imperatore della dinastia.
Alessio indossava l’uniforme del suo reggimento di cavalleria, tutto scarlatto e dorato, il monogramma H II sul colletto, H l’iniziale di Nicola, lo zar,in cirillico,  il solito cosacco lo aveva portato in braccio dalla carrozza al palco, Olga e le sue sorelle erano vestite di chiari colori, perle su gola e orecchie, la fascia  rossa dell’ordine di Santa Caterina di traverso sul petto, costellata di diamanti che rilucevano ad ogni respiro, parevano fate divenute reali.  
Quando cantarono l’inno nazionale, tutti gli spettatori si levarono in piedi, un omaggio bello e semplice, al presente, allo zar e al suo erede, al passato e ai fasti che rappresentavano .
E il ballo e l’opera, ballava Matilde K., amata ed amante dello zar prima delle nozze con la tedesca, la Nemka.
Alessandra,  era vestita di velluto bianco e diamanti, il nastro blu dell’ordine di Sant’Andrea disposto in diagonale sul petto, il ventaglio di bianche piume d’aquila che faceva vento alle sue chiazze rosse sulla pelle, il respiro affannoso,  in imbarazzo, come al solito e sempre nelle occasioni ufficiali, la gente notò come si ritirasse, dopo un cenno all’imperatore. Un’ondata di risentimento percosse il teatro quando la zarina scomparve dietro le tende di pesante velluto scarlatto, neanche in quella occasione si degnava di fare il suo dovere di sovrana.
Olga si sentì in imbarazzo e si vergognò per lei, sua madre  aveva timore del mondo e lanciava i suoi figli contro il mondo, che odiosa mistura, scrutò i palchi damascati, i brusii, cercò gli occhi di Catherine, appostata nel palco dei principi Raulov, con i suoi genitori, lui svagato, Ella che sorrideva indefinita, le  iridi scure come onice fisse contro le sue, di zaffiro, come quelle della sua amica, che si inchinava, leggera come una danzatrice.
FORZA.
CORAGGIO.
Dio salvi lo zar,
maestoso e potente, 
possa Egli regnare per la nostra gloria, 
e far tremare i nostri nemici.
 
Un inchino collettivo, di nuovo l’inno nell’intervallo.
Olga inclinò di nuovo la testa dorata, un omaggio a chi si inchinava a lei  e ai suoi.
“Altezza Imperiale” le strinsi il braccio, annotando che era cupa.  Era l’intervallo, appunto,  ero transitata di gran carriera, mi strinse la mano leggera come un petalo di rosa.  “Principessa Raulov, come siete bella” in pubblico usavamo il “Voi” di rigore ed i rispettivi titoli
“Come no” modesta nel mio vestito di chiffon grigio chiaro,  una soffice nuvola, con il corpetto incrostato d’argento e strategici sbuffi che mi regalavano seno, mentre perle e diamanti intrecciati nei capelli assicuravano la luminosità del viso e i toni radiosi della carnagione, combinandosi con gli orecchini e la collana e i bracciali. “ Invece sì”
“Va bene..Sua Maestà l’Imperatrice come sta”
“Ha l’emicrania” Tacqui, sua madre era come era, ma non era certo una bugiarda come la mia, lo stare a tre metri di distanza da Ella mi indisponeva come non mai“ Perché balla Matilde K?” già amante dello zar suo padre prima delle nozze, attualmente aveva come innamorato Andrej Vladimirovic Romanov, uno dei tanti cugini dello zar, che aveva speso per lei fortune in gioielli e altro. L’avrebbe voluta sposare, ma, furbo, attendeva il regale permesso, che, in denegata ipotesi, finiva in esilio con poche rendite, come il granduca Michele, fratello di Nicola II, che aveva contratto un legame matrimoniale,  senza permesso, con  una pluridivorziata, da cui aveva avuto un figlio, Giorgio. Ed attualmente erano sempre all’estero e l’imperatrice vedova Marie lo foraggiava, Michele, con munifica generosità. Pensai a Dimitri Romanov, a sua volta con il padre in esilio, per avere convolato a nozze con una borghese, anni prima gli piacevo, a Dimitri, mi avrebbe addirittura sposato, poveri noi
“Anche” chiosò “Che avete Principessa?”
“L’uggia.. posso salutare lo zarevic?”
“Certo..se non lo fate chissà che scandalo”
Dribblammo cortesi delle chiacchiere, una bevuta, fino ad arrivare in uno dei salottini privati  dietro al palco imperiale, era su una poltrona, i gomiti sui braccioli, il cappello dell’uniforme vicino a lui. “Altezza Imperiale, Zarevic, sono venuta a salutarvi”
“C..” si ricordò che eravamo in pubblico, o quasi, annotò il mio inchino, mi fece cenno di avvicinarmi “Principessa Raulov” mi baciò la mano, un perfetto arco di cortesia, appoggiando leggermente le labbra sul dorso,sorrisi
“Siete stanco, Altezza Imperiale?”
“Un poco, ma ne vale la pena” Almeno nel palco, appoggiato, senza parere, alla sedia, riusciva a stare in piedi, sorridere ed inchinarsi, senza un lamento, era il suo dovere di principe ereditario. Sorrisi ancora guardando la sua uniforme, dorata e scarlatta, il nastro del cordone di Sant’Andrea incrociato sul petto, mi parve cresciuto di statura nonostante la magrezza “Voi..? Sorridi, ma sei triste..Siete triste” scrollai le spalle, non gli volevo o potevo rispondere secondo verità totale, e dai, sorrisi, era acuto, intuitivo, come da prassi.
“Ho vari pensieri..” benedissi che lo spettacolo riprendesse a breve, tra lui e Olga, se non ci stavo attenta, mi leggevano dentro come se fossi un trasparente vetro e quello.. non lo potevo dividere, con nessuno,  nemmeno loro.
Ero compromessa, anche se non si diceva, del pari si sussurrava fosse compromessa  e perduta la dinastia, a febbraio si era tenuto un ricevimento al Palazzo d’Inverno, per tre ore dignitari e dame erano sfilati dinanzi allo zar, inchinandosi, e baciando la mano alle due imperatrici, la vedova e la regnante, salutando poi lo zarevic.
Il ragazzino non ce la faceva a stare in piedi, perché soffriva ancora per i postumi di Spala  ed era semisdraiato su una poltrona, pallido e sofferente, distante nel suo mondo.
 Pareva un addio, un funerale, non un omaggio a una speranza, tutto era perduto. Quando era stato il mio turno mi aveva riconosciuto, di primo acchito, stendendo una mano, gli avevo stretto il palmo, allontanandomi poi veloce dopo l’inchino di rigore.. Stai tranquillo Alessio, ci vediamo poi, non ora, non  è il caso, il protocollo incombe.
Volli attribuire alla stanchezza, allo sfinimento fisico delle lunghe ore in piedi, per le cerimonie civili e religiose che mi colse la voglia di piangere. Come faccio a lasciarti..? E tanto sto impazzendo, devo andarmene..E in un dato senso ti ho già lasciato, me ne sono già andata.

  Luois mi chiese di sposarlo, io accettai al volo, quando misi mia madre davanti al cosiddetto fatto compiuto avemmo una litigata epica, da segnare, l’ultima e la prima.
 


Dopo lo scontro, la cortesia formale e le frasi di prammatica, buongiorno, buonanotte, passatemi il sale, salvarono dal silenzio a tavola, ma se Ella entrava in una stanza, io ne uscivo, dopo essermi inchinata o stavo barricata nel mio appartamento, salvo poi mollare tutto e andare nell’alloggio dei Raulov a Carskoe Selo, un fait accompli.
Mio fratello percepiva la tensione, e venne sgridato da entrambe, invitato a farsi gli affari suoi, che erano cose da grandi e stesse zitto, guai a lui se riferiva qualcosa a qualcuno, entrambe minacciammo di picchiarlo e il bambino dedusse che le donne erano davvero strane, ma lui che colpe aveva. Tuttavia non osò far uscire un solo fiato, diplomatico e discreto come R-R suo zio, povero Sasha.
 
Nel maggio 1913, la  famiglia Romanov si imbarcò in un pellegrinaggio commemorativo in onore di Michele I, risalendo il Volga con un battello a vapore fino a Kostroma ove viveva quando apprese di essere salito al trono.
Olga, sorella dello zar, rievocò le manifestazioni di lealtà, le folle riunite per dare una fuggevole occhiata, persone che si inginocchiavano per baciare l’ombra di Nicola II, gli applausi.
Mio zio R-R  scorse invece la mera curiosità, le celebrazioni non avevano colpito nessuno in particolare, le speranze del popolo di una rinascita, di un miglioramento non trovarono riscontro.
Comunque, l’arrivo a Mosca, capitale storica, ove Michele I era stato incoronato, fu un trionfo. 
Scesero alla stazione circondati da un numero incredibile di dignitari, lo zar salì su un cavallo bianco e cavalcò da solo, sessanta piedi davanti a tutti e alla sua scorta, verso il Cremlino dalle rosse mura circondato da una folla plaudente, come un conquistatore, facendosi beffe degli eventuali attentati.
Le decorazioni erano superbe, drappi di velluto con i simboli dei Romanov sul boulevard di Tyerskaya, ogni edificio coperto di pennoni, bandiere e quanto altro, forse ancora più suggestive di quelle di San Pietroburgo.
Nicola II scese nella Piazza Rossa, tutte le processioni religiose convergevano lì, si incamminò tra folle di sacerdoti metropoliti vestiti di velluto e raso, dalle lunghe barbe, vi era odore di cera e incenso che si levava dai turiboli, sacri inni vibravano nell’aria, camminando leggero sulla passatoia di velluto scarlatto per entrare nella cattedrale.
R-R sentì un colpo al cuore quando scorse il giovane zarevic, che doveva percorrere a piedi le ultime cento iarde come la zarina e le sue sorelle, prima di entrare nella cattedrale, una volta scesi dalle carrozze.
Stava a malapena in piedi, ancora i postumi dell’emofilia, o almeno così suggeriva un libro di recente pubblicazione, “Dietro il velo della Corte Russa”,  tanto che un cosacco della guardia lo prese tra le braccia, portandolo dentro, tra le esclamazioni addolorate di tutti.
Il piccolo  principe raddrizzò la testa e le spalle, senza fallo, deglutendo il nodo che gli serrava la gola, R-R si inchinò profondamente, fino a rimanere senza fiato, non aveva mai onorato gli zar Nicola II o suo padre Alessandro III con quel tributo.
   
 
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