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Autore: queenjane    24/02/2019    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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.. che era cambiato? Tutto e nulla, valutò Olga, seguivano la stessa ruotine di sempre, le vacanze a Livadia, il ciclo di lezioni, visite a comitati organizzativi e beneficenza, la presenza costante della Vyribova, presso la cui “augusta “ dimora (o meglio angusta, chiosava la ragazza, tra sé, era un microscopico villino con le fondamenta fatte male, vi era un freddo perenne) la zarina riceveva le visite di Rasputin e spesso loro passavano la serata, se non era Anya a venire da loro.
Lo zar, dopo cena, leggeva ad alta voce, libri in russo o in inglese, loro ragazze leggevano, ricavano o lavoravano a maglia, la domenica la zia Olga, se erano a Carskoe Selo, le portava con Alessio a pranzo dalla nonna paterna e poi a un tè, un giro per i negozi.

Senza fallo, il tea time delle 17 era servito su candide tovagliette, squisite le argenterie e le porcellane, burro e pane caldo o i biscotti inglesi che adorava la zarina.
Alexei aveva splendidi e lussuosi trenini elettrici, la sua stanza era piena dei giocattoli più costosi, moderni e smaglianti, e spesso era a guardare fuori dalle finestre.
“.. Altezza Imperiale! Auguri di buon compleanno“
“Ciao, grazie!! Bella invenzione, il telefono!”
“Ti ho mandato il regalo e una lettera, tranne che gli auguri preferivo farteli a voce.. già 18”
“E tu 19 a gennaio, vecchietta! “Ridendo, anche se non era una grande spiritosaggine “Per il resto, tutto a posto, Catherine? Qui nulla di particolare..”
“Tutto a posto, Olga le linee telefoniche non sono un granché, ti saluto ora prima che cada la linea. Un abbraccio”
“Un abbraccio anche a te, sono contenta di averti sentito “
“Ciao”
Mancava lei, ecco tutto, e tanto doveva farsela passare. E mancava a tutti loro fratelli, soprattutto allo zarevic. Poteva averlo avvisato, di Parigi e che avrebbe vissuto lì, ma per il bambino era dura. Era capitato che si svegliasse, di botto, chiamandola a gran voce, confuso sul momento, salvo rimanerci male, che non vi era. E non la potevano chiamare al telefono, in continuazione, anzi, che la piantasse, sarebbe stato meglio, la tua maledetta amica, come diceva Alessandra, la ama anche a distanza.
Lei aveva la sua vita, come loro. Il legame non si era spezzato, era diventato diverso, una specie di mutamento, una alchimia, che, in sincerità, se non avesse avuto dei problemi su questioni basilari con la madre, Catherine non lo avrebbe combinato, quel casino. E giustamente non lo aveva detto, che in fondo erano affari suoi, come lei, Olga,  non le diceva tutto.
Solo che lei ci arrivava, alla lunga, spiegarlo allo zarevic era un duro affare. Per tante cose era ancora un bambino, come aveva rilevato, che non si aspettava cambiamenti nel suo piccolo mondo, si era abituato ad averla sempre con lui, lo faceva ridere e aveva una grande pazienza, a livelli epici, per farlo mangiare e nel sopportare le sue monellerie, che si erano acuite e moltiplicate, con la complicità di Anastasia.
Si scrivevano, lettere singole, oltre che collettive, indirizzate da e per OTMA (acronimo formato dalle iniziali delle figlie delle zar) a e per Catherine De Saint-Evit.
“Cara Olga..” 
“Cara Catherine …” 
Scriveva in fretta, in francese, annotando qualche riflessione sui libri che andava leggendo, descrizioni sui cicli delle stagioni, qualche potin (pettegolezzo mondano) o annotazioni sulla moda, a volte metteva dei fiori pressati di Carskoe Selo o altri posti.
Catherine ricambiava, sul medesimo stile, botta e risposta, le mandava rose prese a Versailles, ove era stata in visita, e descrizioni dei quadri del Louvre, mentre lei Olga, guardava con occhi nuovi le squisite collezioni del Palazzo d’Inverno e dell’Ermitage. E riflessioni, aneddoti brillanti o salaci.
Sapendo che Tatiana e Marie erano appassionate di moda, si premurava di mandare riviste sull’argomento, per avere i vari aggiornamenti senza aspettare troppo.
“Giusto te e lei vi potete divertire con questi argomenti pesanti” brontolò una volta Anastasia, che era stramazzata dopo mezza pagina in cui disquisivano di Achille e Ulisse, peraltro in francese, che la ragazzina scriveva veramente malino. “Siete veramente pesanti” rincalcò il termine.
“Buon per te, che non ti astio allora con l’argomento..”
“Meno male.. le socie del club della mitologia e della storia e delle lingue, che noia, sei Olga” facendole una linguaccia “ E a te che dovrebbe mandare, sentiamo? Un nuovo tipo di lombrico da impiantare nelle soffitte del palazzo?” la più giovane delle granduchesse a volte aveva passatempi poco imperiali, come allevare vermi, tentativi che causavano l’irritazione dei genitori e l’altrui ilarità.
“Anche”
“Anche no, fila a studiare va”
“.. mi manchi, accidenti a te.. manchi a tutti Cat, ogni tanto Alessio piange e chiede di te, mica gli va giù.. eri la persona che gli stava meno addosso, che cercava di lasciarlo libero, quello che poteva fare e NON il proibito” scancellò la frase “…noi vediamo i limiti [dell’emofilia], che non può fare nulla.. e tu cercavi di lasciarlo fare..”

 Era l’erede al trono, fragile e delicato, l’unico maschio, adorato e vezzeggiato, ed era solo.
Potevano venire a giocare con lui, i figli di un marinaio, i cadetti della scuola militare, ben di rado i suoi cugini, di più il figlio di Ella Rostov-Raulov, ma era più piccolo di lui, li dividevano tre anni, e tanto non avrebbe mai sperimentato cosa significava essere in una classe, litigare e giocare con gli altri bambini, che una caduta poteva avere effetti letali.

Le lezioni principiavano alle nove di mattina, con una pausa dalle undici a mezzogiorno, in cui, tempo permettendo, faceva una gita in carrozza o in auto, con uno dei suoi tutori e  i marinai, riprendendo poi le lezioni fino al pranzo, cui seguiva una pausa ulteriore, all’aperto, nel pomeriggio.  Le sue sorelle e, quando poteva, lo zar, si univano e Aleksey giocava con loro, scendendo in slitta da una montagnola di neve, le guance arrossate per il freddo e gli occhi ridenti, oppure giocava con Vanka, l’asinello già appartenuto a un circo, che lo divertiva con buffe smorfie e ragli, che ti tirava una testata sulle tasche per scoprire eventuali delizie. Alle quattro le lezioni riprendevano, con una pausa per il tè pomeridiano,  faceva poi cena alla sette, il resto della famiglia alle otto e finiva la giornata con la lettura di uno dei suoi libri preferiti.

“.. sai, Catherine, le materie sono il russo, il francese, l’aritmetica, religione, storia e geografia, inglese, la mitologia greca e romana me la propinavi solo tu..”

“.. Achille ti piaceva, Zarevic, lui era il più grande guerriero del mondo conosciuto.. comunque, sono contenta dei tuoi bigliettini, un abbraccio Catherine” 
 
Tutto sommato, rifletteva lo zar, lui aveva passato una bella infanzia con i suoi fratelli, Giorgio e Michele,giochi, lezioni e risate e punizioni condivise, ma Alessio, all’atto pratico, poteva contare sulle sue  sorelle, e i compagni di gioco gli mancavano, non era certo la stessa cosa. Vi andava pensando compiendo quella gita estemporanea in Crimea, eravamo nel mese di aprile1914, li accompagnavano Gilliard, l’insegnante di francese e pochi altri, aveva due auto, una la guidava lui stesso.  La natura era meravigliosa, fiori e profumi, una lussureggiante sinfonia di colori mentre percorrevano le foreste di pini vicino ad Yalta.
Nicola rimase commosso nel vedere suo figlio che giocava e saltava, era la gioia di vivere personificata, si era ripreso, alla fine.

“Che hai combinato di bello, Catherine?”una delle nostre solite telefonate settimanali.
“Ho preso il diploma di infermiera di primo soccorso, ho fatto gli esami e li ho passati con la lode” se pensavo che volevo fare, ai tempi, l’università alla Sorbona, un diploma da infermiera era stato relativamente facile.
“Bravissima..” percepii una sfumatura esitante, era la fine di maggio e io sarei ritornata in Russia entro poche settimane “Che c’è, Olga?”
“A giugno andremo in Romania, per ricambiare la visita che ci hanno fatto” torsi il collo per guardare l’aerea struttura della torre Eiffel, la svettante struttura di ferro su cui ero salita con Luois, la paragonavo a una torta, un bizzarro lampadario, poi scrutai la fede nuziale.
“Così è, in via ufficiale, Olga”
“E in via ufficiosa..”
“Rilevo che il principe Carol di Romania ti è vicino per età..un vostro fidanzamento e successivo matrimonio sarebbe ben visto, sia a livello politico che..”
“Catherine!! “Esasperata e divertita “Tanto hai detto quello che nessuno si premura di dirmi, a cui sono arrivata” una pausa ulteriore “Se non volessi, Papa non mi obbligherebbe, ha giurato che ognuna delle sue figlie si sposerà per amore, come lui e mia mamma, ora come ora non voglio lasciare la Russia”
“Olga, io sono l’ultima persona che può dirti qualcosa..” cercai di non influenzarla, né in positivo o in negativo “ Valuta se ti piace o meno.. In ogni caso, potresti tornare in Russia ogni volta che vorrai”
“Sarei una straniera in casa mia”  Lei era russa e voleva rimanerlo, riflettei.
“Olga, io dicevo che non mi volevo sposare e l’ho fatto in tempo di poco, quando mi sono innamorata, ripeto, valuta”
“Sei diventata una vera diplomatica. A proposito, hai detto che mi deve piacere.. e se non piacessi io a lui?”
“Olenka, tu piaceresti a qualunque uomo e non tirare fuori che sei la figlia dell’imperatore, per favore! Hai tante buone qualità, sei splendida sia fuori che dentro, i difetti li hai, non sei una santa e i tuoi pregi sono ben superiori!” e capì la mia sincerità, anche se eravamo per telefono a leghe di distanza, lei rimaneva la mia migliore amica e io la sua.
“Non vedo l’ora di rivederti, Madame!” ridendo
“Pure io, un bacione”

Comunque, la visita vi fu, andarono sullo yacht Standard a Costanza, in un caldo e radioso mese di giugno.
Onori militari, spari a salve e colpi di artiglieria, ogni nave del porto aveva le sue bandiere innalzate. Olga e i suoi vennero ricevuti dal re Carol e dalla regina Elisabetta, poetessa e scrittrice sotto il nome di Carmen Sylva, Canto dei boschi, tradusse tra sé la ragazza, mentre venivano ricevuti dal resto dei rumeni. Carol era carino, ma insipido, nonostante la sua fama di Don Giovanni, mentre si incamminavamo alla cattedrale per un solenne Te Deum.
Era vestita di chiaro, con un grande cappello a fiori, ultima novità di Parigi, il principe era gentile, mentre le famiglie  parlavano in privato, argomenti generici e svagati, la bellezza dei centrotavola, il tempo favorevole per navigare, che delizia la privata residenza di Carmen Sylva ove erano, da lei fatta costruire sulla scogliera. La regina rumena annotò che amava stare per ore sulla terrazza, ascoltando il mare, sospesa tra terra e cielo, rilevò che anche la sua amica, Sissi  d’Austria, l’imperatrice, quando le aveva fatto visita aveva amato quel sito, poverina, ormai era morta da  quasi 16 anni, uccisa da un anarchico. La granduchessa prese un pezzo di pollo al crescione, era delizioso, meglio di Carol che cercava di fare colpo su di lei, annuiva e parlava a tratti, cortese, senza avere pregiudizi. Non mi dice nulla, rifletté, dopo la rivista, mentre si preparava per cena, studiando come sorridere.
Comunque la sala dei banchetti era regale, fiori a profusione, dolci le musiche di sottofondo, la sera declinava in una romantica notte, combinazione di sicuro effetto, al pari delle pareti di stucco bianco decorate da piccole lampade elettriche.. Annotò il muso lungo delle sorelle, nei limiti della buona creanza, Alessio non partecipava direttamente, per tema che ne combinasse una delle sue, la scusa ufficiale era che alle nove dormiva già. La verità era che a tavola era una mina vagante, i suoi svaghi potevano essere irritanti, una volta aveva trafugato una scarpa a una dama ignara (durante un banchetto di stato), infilandosi sotto la tavola e l’aveva consegnata allo zar, che lo aveva redarguito, e si era affrettato a riportarla, la poveretta aveva fatto un salto, accorgendosi che vi aveva messo una fragola. Sennò  si alzava di continuo, parlava sempre e non mangiava.
 Il ricevimento fu breve.


Dai quaderni di Olga “.. non me la sono sentita, Catherine, ecco tutto, chiesi a Papa di poter posticipare, ero giovane, avevo tempo, o pensavo di averne, tornai al palazzo di Alessandro con sollievo, di nuovo PeterHof a luglio, era passato un anno abbondante da quando ti eri sposata. L’estate scintillava, dorata e calda come una bocca di leone, quando saresti comparsa? Oziosa domanda, leggevo su una panchina vicino a una fontana, le gocce d’acqua che provenivano dagli spruzzi mitigavano la calura. Percepii un paio di mani che si allacciavano sul mio viso, sopra gli occhi, e profumo di arancia amara e rosa, le essenze che amavi usare. “Catherine” finalmente, tu, era il nostro particolare tipo di saluto “Olga” mi abbracciasti, un sorriso che danzava tra labbra e occhi, radiosa come l’estate, appunto. “Non è possibile” rilevando il vestito chiaro, che sottolineava la vita sottile e la carnagione, perle ai lobi, al collo il monile che ti avevamo regalato per un natale di tanti anni prima, con una piccola perla “ Racconta dai” “Cosa?” “Dimmi te..” ed era facile, come se non ci fossimo mai lasciate, la confidenza rifluiva, senza imbarazzo


Eravamo cresciute, tutte. Tatiana mi superava di qualche centimetro, tranne che con le sue proporzioni perfette non ci badavi, era snella e perfetta, la sua timidezza apparente smorzata dalle mie solite chiacchiere, Marie era diventata bellissima, la carnagione chiara che si accompagnava a folti capelli castani, sottile e con un bel seno, altro che la “piccola grassa bau-bau” come la chiamavano le altre, aveva una forza incredibile, tanto che riusciva a sollevare i suoi precettori, uomini adulti.. e rimaneva sempre gentile e quieta E Anastasia restava minuta, in termini di statura, con capelli biondo rossi che scintillavano come le sue battute, era e rimaneva un enfant-terrible, le sue spiritosaggini colpivano sempre  “Ecco qui le vecchie zitelle appassionate di mitologia.. sempre su Achille e compagnia, come siete pesanti.. “
“Davvero.. ?” Gonfiai le guance, feci una smorfia, sventolando la vera nuziale, ero una grassa signora maritata
“Dai Alessio, ci hai fatto diventare idioti da come la volevi e ora manco spiccichi un ciao” lui diventò rosso come un papavero, timido tutto insieme
“Anastasia, lascialo tranquillo” le sussurrai “Non lo mettere in imbarazzo”
“Siii.. Sapessi..”
“Basta” la interruppe Tata, accigliata e soprasedette.
 Timido e riservato, o forse, in quell’anno, o quasi,  gli era passata la nostalgia, o non era più abituato a me, con Olga ci eravamo scritte e sentite per telefono almeno una volta a settimana, rimarginando la frattura.



Univamo l’utile al dilettevole, io e Luois con quella visita. A luglio il presidente francese si sarebbe recato in via ufficiale in Russia, dove stavamo soggiornando, che le cancellerie europee erano in pieno fermento.
Poche settimane prima uno studente serbo aveva ucciso a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando, erede degli Asburgo, se vi fosse stata una dichiarazione di guerra il gioco degli equilibri e delle alleanze, il senso dell’onore avrebbero condotto al conflitto.
La Russia per tradizione proteggeva i popoli slavi e la Serbia era composta da slavi. Se fosse stata guerra sarebbe stata di tutti contro tutti.
Effetto domino, diceva Luois, rilevando la singolare (come no) coincidenza che durante la visita del presidente francese erano state organizzate due parate militari di vaste proporzioni.
Il Kaiser Francesco Giuseppe scrisse al suo imperiale collega tedesco, Guglielmo, che quello era un crimine efferato, non imputabile a un singolo individuo, la complicità era certo da imputare al governo serbo, che voleva unificare tutti gli slavi, situazione che poteva essere un pericolo per i suoi domini e certo non potevano lasciare correre. 
L’arciduca Francesco Ferdinando era morto a Sarajevo il 28 giugno 1914, poche ore dopo, in Siberia, nel suo villaggio di provenienza, Rasputin  venne accoltellato da una finta mendicante, in realtà una prostituta con turbe mentali, allo stomaco, ferendolo dallo sterno all’ombelico, lo operarono di urgenza ma era mezzo morto, rimase a letto per mesi.  E non morì, per sventura comune.
   
 
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