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Autore: queenjane    26/02/2019    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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La Germania dichiarò guerra alla Russia il primo agosto, passata la metà del mese mio marito, Pietr Raulov e mio zio partirono per gli acquitrini della Prussia orientale, assieme alle truppe. Sono volutamente sintetica, lo strazio di quelle ore, di quei giorni era appena iniziato, cerco di non ricordare..
Per soffrire meno.

Rimasi ancora, aiutando mia madre nell’organizzare ospedali militari nei nostri palazzi  e nelle nostre tenute, la principessa Ella faceva parte del comitato della Croce rossa presieduto dalla zarina madre.
Intanto, Alessandra aveva organizzato un ospedale militare a Carskoe Selo, decidendo di frequentare con le due figlie maggiori un corso per infermiere.
A Tannenberg, in Prussia, i russi rimasero schiacciati tra i prussiani e le sabbie mobili,con perdite ingenti.
Fu allora che iniziò a dirsi che se il conflitto andava male era colpa della Nemka, la tedesca, la zarina Alessandra.
Ci si aspettava una vittoria rapida e facile, l’esercito russo era immenso, uno schiacciasassi, peccato che mancassero addestramento, armi e munizioni.
E mio marito, il conte di Saint-Evit fu tra i primi a cadere.

MORTO.
Era morto.


Lo seppi al Palazzo di Caterina, che era stato riconvertito in ospedale militare.
Il vassoio di medicinali che tenevo mi scivolò dalle mani e le schegge si infransero a terra. Osservai i frammenti e il pulviscolo della polvere che danzava nell’aria, quindi marciai tra le rovine, testa alta e spalle erette.
Ero la moglie di un combattente, figlia di una principessa militante, mai avrei pianto in pubblico.
“.. gli hanno sparato alla schiena, ormai si erano ritirati e.. Non ci sono parole per dire quanto mi dispiace, il dolore che provo per te, figlia mia”
Le parole di mia madre mi rimbalzavano addosso come lame di vetro, non parlavo da quando i due giovani ufficiali mi avevano dato la notizia. Dicesi mutismo selettivo, credo. E tuttavia dovevo rincominciare, se non altro per non farmi ricoverare come matta conclamata.
Maledetta guerra.
Maledetti tedeschi.
Maledetta me. Se non mi avesse conosciuto e sposato non sarebbe morto come un cane, lontano da casa, alla schiena, lui che era stato  un soldato e un uomo coraggioso per tutta la vita.
“Catherine.. “
“Mamma..” Soffiai quella parola.
“Cosa posso fare? Dimmi, io ..”
“Fai venire mio zio, devo sapere e ..”
“Sta arrivando ..” mamma dimmi che è un incubo, un brutto sogno, fammi ritornare dentro di te, al buio e la sicuro.. 
“Avevi ragione, mamma, non avrebbe dovuto sposarmi, almeno non sarebbe morto così”. Affondai la testa nel suo grembo e piansi, fino allo sfinimento.
“Ti ha amato. Lo hai amato e lo ami. Non a tutti succede di avere questo dono, poter amare qualcuno a sua volta libero di riamarti”Parlava per sé, in primis, tranne che la sofferenza mi ottundeva come un narcotico. “ Ora soffri in modo atroce e io ben poco posso fare, pure se vorrei soffrire io per te. E l’amore che hai avuto non è stato vano, sarà sempre parte di te”. Omise di aggiungere che sarei tornata ad amare e sorridere di nuovo, sarebbe stata una bestemmia, insieme sapeva, la saggezza che giungeva dall’esperienza, che la vita, dopo il dolore, reca gioia, compresi dove andava a parare e lei aveva glissato, intuendo che sarebbe apparso come un vuoto cliché, frasi fatte che non aveva il cuore di propinarmi.
E già avevo passato il limite
.
Uno stato crepuscolare che avrebbe rasentato la demenza.
E non mi sarei rassegnata.
Tutto il tempo che avevamo passato insieme.. era così poco..
Ero perduta, quindi ben poco rilevava cosa facessi.
Non so per quanto rimasi a fissare il vuoto..


Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine” Arrivai il prima possibile, mi dissero che ti stavi riposando, entrai lo stesso, riconoscevo l’eufemismo. Avevo le labbra piene di parole di consolazione, ma.. avevi la schiena appoggiata al muro, lo sguardo fisso e di pietra, eri invecchiata di dieci anni in un solo giorno, le gonne sparse intorno come i petali di un fiore rotto, le ginocchia sotto al mento, una posa di consolazione “Catherine ..”Un minimo cenno della testa. Scivolai sul pavimento accanto a te, un braccio che ti sfiorava. Non esisteva una sola parola, in nessun linguaggio umano che poteva consolarti e scemò il silenzio. Eri pietra, ghiaccio e neve, spezzataAlla fine, avevo il davanti del vestito inzuppato delle tue lacrime, salato e amaro, nemmeno una sillaba, mi avevi buttato la testa in grembo, le spalle che sussultavano .. Ti sfiorai la nuca e piansi in silenzio a mia volta, ti addormentasti per sfinimento, risvengliandoti a tratti, ti feci inghiottire due cucchiate di minestra a stento, eri peggio di Alessio, e tanto meditavi sotto le braci, lo stallo era solo apparente. Mi addormentai pure io, era possibile che fossi legata così ad un’altra persona, ovvero te.. Tu ed io, legate a triplo filo, cenere ed assenzio divise eppure vicine”
 Inutile riferire come mi sentii. Disperazione, impotenza, panico, dolore, come se il mondo intero mi fosse crollato addosso.
E così era.
Decisi di reagire, in un modo o l’altro.
Maledetta guerra.
Maledetti tedeschi.
Maledetta me. Se non mi avesse conosciuto e sposato non sarebbe morto come un cane, lontano da casa, alla schiena, lui che era stato  un soldato e un uomo coraggioso per tutta la vita. Queste parole come una litania, un incantesimo, l’odio che germogliava come un fiore velenoso dentro il petto, nessun loto, nessuno oblio .
Osservavo tutto a occhi asciutti, colloquio dopo colloquio con mio zio, che, oltre che dell’esercito, si occupava anche della Polizia segreta zarista, la Ocharana.
Fui snervante, lucida, senza isterie.
Volevo andarmene.
Dovevo andarmene.
Una cosa Alix me la aveva insegnata, ovvero l’organizzazione, che occorre avere un piano, mai improvvisare.
Rievocavo Luois, mi pareva impossibile dover vivere senza di lui, eppure lo avevamo seppellito, i funerali erano stati celebrati, ero vestita di scuro, nero su nero.
“Luois, je suis moi.
“Catherine .. Mon amour. 
“Oui, il a dit oui, je serai ta femme. 
“Catherine ?Je t’aime.
“Moi aussi, je t'aime. Je t'aimerai pour toujours.
Quelle parole lontane, il suo sorriso quando ci eravamo incontrati, la passione dei nostri corpi, il battito di cuore e anime.
In quei pochi mesi che era durato il nostro matrimonio eravamo stati felici, che prezzo avevamo pagato.
Che prezzo.
Lui morto,io in fuga.
Je t'aimerai pour toujours.
E per sempre sei rimasto dentro di me Luois.



“Sei una vigliacca, una codarda.”
“Allora non merito alcuna perdita di tempo. No?”
Un nuovo dolore, un abbandono ulteriore. Avevi ragione, ero una vigliacca.
“Perché.. che hai in testa. Cosa vuoi dimostrare andando in Francia, come infermiera volontaria, come se qui in Russia non avessimo ospedali e feriti.
“È il mio desiderio.” Voglio morire Olga, non è incubo, tu hai fede e io no.. E la notte mi inghiottirà, e non divorerà te. La disperazione come una pestilenza. Via da me.
“E saresti andata via, senza dire nulla, il solito fatto compiuto, lo ho saputo solo per caso. “alla rabbia si mischiava la pena. Bene .. via così. Contavo di scappare alla chetichella, invece dovevo andare fino in fondo, fino alla feccia. Strinsi i pugni, le braccia incrociate dietro la schiena, dovevo andare avanti, senza lussi. Chi mi amava era maledetto, Olga, me ne andavo per proteggerti, allora ne ero davvero convinta.  Te, come i tuoi, mia madre e mio fratello, volevo la vendetta, e quando ebbi l’occasione omisi, altre erano le cose più importanti.  
E allora volevo e  dovevo punirmi. E reagire, che se il mondo mi era crollato addosso, non volevo essere una vittima, passiva, rassegnata. E la ragazzina intrepida che ero stata balenava tra le braci, quella che aveva strappato un frustino al principe Raulov e le aveva prese al posto di mia madre.
“Se resto in Russia .. Non riesco a resistere.”ed era la verità.
 
“E te ne vai. Quando ti sei sposata, va bene ne avevi motivo. Era la passione, il grande amore,diciamo così, ora.. che vuoi dimostrare? Tuo marito è morto. Nessuno te lo riporterà indietro. Ogni tua ipotetica vendetta, atto di eroismo o che non ha senso, a lui non servirà. Servirà a te, nel tuo egoismo, sei solo una grande egoista, Catherine, come al solito, pensi solo a te stessa.” Dura come una punta di selce, di ossidiana.
Silenzio.
Eravamo nel salottino privato di mia  madre a Pietrogrado, come avevano ribattezzato la capitale, in un patriottico impeto, sole a discutere.
Sole per dire, che i cosacchi della guardia che la avevano condotta lì aspettavano fuori.
La stanza, piccola e intima, con i fiori freschi e i libri e mobili pregiati, ci accoglieva con le sue luci mutevoli. Il richiamo potente di una infanzia condivisa, fino alla fanciullezza e alla adolescenza, da fuori il profumo di glicini tardivi e rose fumose.
Un tesoro perduto.
“Non importa. Non mi interessa”
“Importa a me, rispondi a questo. Se lo sapessi, di come sarebbe andata a finire lo avresti sposato”
Silenzio. Ancora. 
Mi imposi di raddrizzarmi e allargare i pugni. Nel mio egoismo, anche allora, sapevo che lo avrei sposato.
“La nuova tecnica, non rispondere. Con tutte le lingue che conosci, è una suprema ironia che non cavi una parola in francese o inglese o spagnolo, finanche di latino“Un sospiro, omise il tedesco, che non avrei risposto di me, a parti invertite io avrei fatto peggio, sicuro “Meglio chiudere qui, Madame. E tanto sarebbe sì lo stesso“
“Chiedo congedo, Altezza Imperiale, devo finire di prepararmi.” Partirò, qualunque cosa tu dica o faccia, risparmiamoci questo strazio, è solo uno stillicidio.
Una occhiata in tralice, di traverso. I capelli raccolti in uno chignon biondo dorato, il viso stravolto dalla furia, un vestito chiaro, dai riflessi iridescenti. Avevi ragione, ogni vendetta o eroismo o ardimento a Lui non sarebbe servito, che era tra i morti.
Non dovevi sapere di come mi maledivo, del senso di perdita e maledizione, che avrei ucciso quel tedesco con le mie mani.
NO.
Tu eri una principessa, io una bastarda.
“Vattene.  Questo è un addio, allora. Hai il mio permesso, congedati.”
“Avete ragione è un addio, Altezza Imperiale.” Il titolo formale, lei lo aveva sempre aborrito e mai voluto in privato, per segnare il punto formale, di netto distacco.
Mi inchinai tre volte, avanzando all’indietro, tre flessioni perfette, l’ultima così profonda che mi lasciò senza fiato per un momento, come prescriveva l’etichetta.
Quello non era il congedo tra due amiche, due sorelle, ma tra una granduchessa e una suddita, non guardava ma il decoro andava rispettato. Era ruotata di spalle, forse per celare i singhiozzi, che la figlia di un soldato non piange mai.
“Pensavo che fossi mia amica, una sorella. Invece ho sbagliato, o almeno una volta lo eri, sa il Signore quanto ti ho voluto bene“Quelle parole, come coltelli nelle carni, un soffio, una benda“E saresti andata via, senza un saluto, come se fossi una sconosciuta. La solita egoista.”
Eri la mia amica, mia sorella e me ne andavo. Codarda e vigliacca, avevi ben ragione. Una volta, di ritorno da un viaggio da casa, ero ritornata, ma quello era un periplo senza ritorno.  Odiami … Io non merito nulla.
“Vi auguro di dimenticare, Altezza Imperiale. “
“E così sia. Io dimenticherò ma Voi no, Voi mai. Addio, Madame De Saint Evit. Ricordate che non vi è peccato peggiore chi tradire chi si fida di te. Mio fratello e le mie sorelle vi vogliono bene, andate a salutarli, per loro, non certo per Voi, non capirebbero e si sentirebbero abbandonati, senza perché. Specie Alessio, non capirebbe, vi è molto legato e.. Non voglio che pianga o vi cerchi, chiedendo quando tornerete, quest’anno che eravate a Parigi .. Lasciamo perdere, anche se, correttamente, avevate indicato l’estate, peccato che un anno per un bambino sia lungo, infinito. Diciamo chiaro e tondo che ve ne andate, senza data di ritorno, non create aspettative. Già che ci siamo, mandate due righe, giusto per forma e auguriamoci che dimentichi, in fondo i bambini fanno così.  Io spero solo di non vederti mai più.”
 L’ultima frase era  appena sussurrata, ma la percepii lo stesso, finsi il contrario e cadde il silenzio.
Addio Olga.
Dimentica, se puoi.
Starai meglio senza di me.
 
Io spero solo di non vederti mai più.
Sia così.
 
 
Dal diario di Olga, “21 settembre 1914. Addio.  Ho  finito e mi viene da piangere, neanche io ci credo, non si vuole fare amare. In qualunque modo ti mostri, qualsiasi maschera indossi..dentro di te sei una sola.. quando lo capirai??”
   
 
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