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Autore: The Blue Devil    02/03/2019    11 recensioni
Eccomi qua, ci son cascato pure io, in una noiosissima Candy/Terence con Albert nell'ombra... davvero?
Chi è il misterioso individuo che si aggira nei luoghi tanto cari alla nostra eroina? Qual è la sua missione? La sua VERA missione? Cosa o chi, alla fine di essa, sarà in grado di trattenerlo a Chicago? Quante domande, le risposte stanno all'interno...
Il titolo è un omaggio a tutti i ''se'' con cui si apre la storia.
dal 3° capitolo:
... Non ne ho parlato con lei, ma io sono sempre rimasto in contatto, in maniera discreta, con Terence. E non le ho neanche mai raccontato di averlo cacciato, quando lo trovai ubriaco da queste parti, anni fa. Vi chiedo di vegliare sempre su di lei, con discrezione, poiché la vedo felice, forse troppo, e non vorrei subisse un’altra delusione".
"Perché parlate così?", chiese, dubbiosa, Miss Pony.
"Non so, ho una strana sensazione, come se stesse per accadere qualcosa di molto spiacevole. E lo consiglio anche a voi: state attente e tenete gli occhi aperti".
"Così ci spaventate, Albert", osservò Suor Maria.
"Non era mia intenzione spaventarvi", asserì Albert, "Forse sono io che mi preoccupo per niente; sì, forse è così...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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NOTA IMPORTANTE:

Allora, questo epilogo lo pubblico anche se, a rigor di logica, non dovrei. Perché? Perché ho chiesto ai miei lettori se lo volevano oppure no e mi è stato richiesto da sole tre persone più uno. Potrebbe significare che ho tre lettori, ma, a giudicare dalle "aperture", mi sorge un dubbio: o i lettori sono di più, oppure questi tre aprono duemila volte tutti i capitoli, il che non mi sembra probabile. Conclusione: a chi legge la fiction non frega niente che io pubblichi o meno; che io lo faccia o no, li lascia indifferenti. A chi interessa realmente auguro una

Buona lettura

Avvertenza: il capitolo non sviluppa una narrazione lineare, ma a blocchi: via via che compaiono i personaggi, sull’intreccio di una vicenda lineare, si narra cosa ne è stato di loro.

Capitolo 36
Epilogo

Una bambina, dai lunghi capelli dorati, di forse dieci anni, entrò correndo nella grande villa, inseguita da un bambino più piccolo. Procedendo a zig zag tra una moltitudine di domestici indaffarati, i due entrarono in un salone e si misero a correre intorno ad un divano. Una donna, dai capelli nocciola, entrò nel salone e batté le mani, dopo aver pensato:
"Santo Cielo, ancora, no...".
I due discoletti si fermarono e la donna disse loro, con tono severo:
"Allora, Henry George Graham, che state combinando?".
La domanda fu rivolta al più piccolo, poiché egli pareva il più esagitato.
Per lui rispose la bambina, in tono lamentoso:
"Mamma, Henry mi vuole picchiare".
"Henry ti vuole picchiare? Ma se ha la metà dei tuoi anni!".
Il piccolo intervenne:
"Non è vero zia! Lei mi ha rubato il giocattolo che mi ha regalato lo zio Stear".
"Tanto per cominciare, qui nessuno ruba niente agli altri; l’avrà preso in prestito".
La bambina, sbattendo le ciglia sui propri occhi, che avevano conservato un colore quasi indefinibile, cercò di blandire la donna:
"Mammina sei arrabbiata con me?".
"Ma no, tesoro, lo sai che ti adoro, ma...", rispose la donna, non riuscendo, tuttavia, a finire la frase, poiché i due birbantelli ripresero a rincorrersi.
"Chi me l’ha fatto fare... due angioletti aveva detto! La prossima volta le terrò solo Jane Eleanor", pensò la padrona di casa, prima di dire, ad alta voce:
"Certo tesoro, lo sai che ti adoro, ma papà Mac potrebbe dimenticarsi di portarti il regalino dall’Inghilterra che ti ha promesso...".
La bambina si fermò di colpo e il bambino, che non si aspettava tale frenata, le finì addosso; poi lei si girò verso il piccolo, si chinò e, dandogli una carezza sui folti capelli neri, gli consegnò l’oggetto che teneva in mano. Rialzandosi gli fece la linguaccia, sussurrandogli:
"Antipatico!".
La linguaccia di risposta non tardò a raggiungere la bambina.
"Henry George", cominciò Iriza, indicando una bambina della stessa età che, seduta sul divano con un libro di favole in mano, pareva essere in un altro mondo, "guarda tua sorella, così tranquilla e serena; per una volta non potresti esserlo anche tu?".
"La mamma dice che Jane è un diavoletto... cosa vuol dire?".
La bambina indicata da Iriza, i cui occhietti vispi e azzurri che illuminavano un musetto punteggiato di lentiggini, stavano divorando le immagini del libro – la piccola non era ancora in grado di leggere – con avidità, si passò una mano tra i boccoli d’oro.
"Daisy", proseguì la donna, "tu sei più grande e dovresti essere più responsabile; lo sai che stanno per arrivare i nonni, che Henry e Jane sono nostri ospiti e che di sopra c’è la prozia Elroy che ha bisogno di riposare. Per non parlare di tuo fratello Nicholas".
"Sì, mamma, ma è che...".
"Zia Iriza", s’intromise il piccolo, "come mai io ho tanti nonni e Daisy no?".
Il bambino tentò di contarli sulle dita di una mano, ma poi decise che fosse meglio elencarli a voce:
"C’è nonno Albert, nonna Eleanor, nonna Maria, nonna Pony, nonno Duca...".
"È complicato, piccolo, te lo spiegherò un’altra volta. Comunque Albert è meglio se lo chiami zio".
 

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Subito dopo il matrimonio fra Candy e Terence, Harrison ed Iriza erano partiti alla volta dell’Inghilterra; Iriza aveva insistito parecchio per portare con loro anche la piccola Daisy, operando un cambio di programma rispetto all’idea originale: voleva assolutamente farla visitare dai migliori specialisti Europei, ed aveva avuto ragione. Dalle visite effettuate a Londra, Parigi, in Germania, era risultato che vi erano speranze, attraverso una complicata e costosa operazione, che la piccola potesse tornare a vedere; e certamente, i mezzi, al futuro conte McFly, non mancavano. Inoltre Iriza non voleva assolutamente lasciare la bambina ed aveva proposto a Harrison, una volta sposati, di adottarla: inutile dire che Harrison fu soddisfatto e felice ed accolse, con estremo favore, quest’idea.
I tre erano rimasti in Inghilterra per un paio d’anni e lì, dopo il felice esito dell’operazione di Daisy, Harrison e Iriza si erano sposati. Al loro matrimonio furono presenti, tra gli altri, anche Candy e Terence – in terra Inglese anche loro, in quel periodo – e i genitori di Iriza, dato che Raymond e Neal si trovavano in Europa per affari. Il solo Neal non aveva potuto (voluto) partecipare: troppo impegnato a far soldi.
Di ritorno negli Stati Uniti, a causa dei pericolosi venti di guerra che cominciavano a soffiare in Europa, la coppia si era stabilita a Lakewood, tenuta acquistata da Harrison, in maniera anonima. Era accaduto che: i Legan, avevano trasferito la loro residenza in Florida, per seguire da vicino i loro affari a Miami, e avevano messo in vendita la tenuta di Lakewood; Harrison l’aveva acquistata, senza che i Legan conoscessero il nome dell’acquirente, poiché non voleva avere debiti con i genitori di sua moglie (nel caso avessero deciso di donarla alla figlia o di far loro degli sconti).
A chi gli faceva osservare:
"Ma siete sicuri di voler vivere nella casa dove Iriza è cresciuta, sotto l’influenza nefasta dei genitori e del fratello?".
Lui rispondeva:
"È stata lei a volerlo; dice che è una prova e che è l’unico modo per superare in maniera definitiva quel periodo; se fosse sufficiente vivere in una certa casa per ricadere nelle vecchie abitudini... inoltre è affezionata a quella casa, che sorge su un bellissimo luogo".
A Lakewood era poi nato Nicholas.
Su Neal, possiamo dire che non aveva ancora trovato una compagna e, forse, neanche gli interessava trovarla. Sotto l’abile guida del padre, era diventato un imprenditore – con pochi scrupoli – e aveva portato in alto l’azienda di famiglia, uscendo addirittura più rafforzato dalla crisi del ventinove, attraverso investimenti oculati. Ma alla fine, tutti quei successi e quei soldi, non erano riusciti a riempire il vuoto creato nella sua anima dalla mancanza di affetti e dall’assenza della cosa più importante: l’Amore, quello con la "A" maiuscola.
Raymond Legan, come detto, aveva trasferito la famiglia a Miami, lasciando la direzione dell’istituto bancario degli Andrew – che sarebbe passata, a breve, ad Archibald Cornwell – senza tuttavia interrompere i suoi rapporti d’affari con la potente famiglia di Chicago.
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Louis, il maggiordomo di casa Andrew, entrò nel salone e annunciò:
"Signora, sono arrivati i signori Brighton e i signori Cornwell".
"Falli accomodare", rispose Iriza.
Annie, entrando nel salone e vedendo tutti quei bambini gioiosi, fu presa da cupa tristezza e, accarezzandosi il pancione, si lamentò con il marito:
"Oh, Archie, perché loro sì e noi no?".
Archie le rispose, posando anche lui una mano sul ventre rigonfio della moglie:
"Non preoccuparti amore; questa volta andrà bene, i medici hanno detto che sta andando tutto per il meglio e la gravidanza procede bene: lui o lei, presto arriverà e allieterà le nostre giornate".
 

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Dopo la laurea in economia, Archie aveva partecipato attivamente alla progettazione e ristrutturazione della "Casa di Pony", ristrutturazione presentata a Miss Pony e Suor Maria come "investimento" delle famiglie Andrew e Graham-McFly, seguendo l’idea di Harrison.
Anche Annie aveva preso una laurea e l’abilitazione all’insegnamento, anche se non insegnò mai, e si era sposata con il suo Archie, vincendo le resistenze opposte dalla famiglia Cornwell.
Purtroppo il Signore non aveva ancora concesso loro la grazia di avere dei figli: rimasta incinta, Annie aveva perso il bambino per un aborto spontaneo; sembrava che su di lei gravasse lo stesso destino di sua madre, sebbene non fosse la sua vera madre. I due ci avevano riprovato, con tutte le cautele, ed ora sembrava che il momento tanto atteso fosse arrivato.
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Annie si accomodò sul divano e si mise a chiacchierare con Iriza, mentre Archie s’intratteneva con i piccoli:
"E così Candy ti ha lasciato ancora i gemellini; non sono un amore?".
"Se ti riferisci a Jane Eleanor ti do ragione, ma Henry è una piccola peste".
"Eh, adesso la vedi tranquilla, ma ti assicuro che anche la biondina può farti ammattire se ci si mette... proprio com’era la sua mamma da bambina".
Risero e poi, colei che fungeva da padrona di casa, osservò:
"Comunque pare che sia giunto anche il tuo momento e ciò mi rende felice".
"Lo spero tanto. Non sopporterei di perderne un altro; guarda Archie com’è preso dai bambini".
"Non ci pensare, andrà tutto bene. Daisy non vede l’ora di conoscere il nuovo cuginetto... per tormentare anche lui, la birbantella".
"O cuginetta", la corresse Annie.
In quel momento fu annunciato l’arrivo di Tom: doveva consegnare dei materiali e confermare la sua partecipazione all’evento in programma per la serata – dato che lui e Dorothy erano stati invitati – ed era quindi richiesta la presenza della padrona di casa.

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Tom e Dorothy si erano sposati, ma non subito. Il ragazzo aveva proposto alla cameriera dei Legan di trasferirsi subito nel suo ranch, ma, un’altra proposta inaspettata della signora Legan, le aveva fatto rimandare il trasferimento: diventare, pur se per poco tempo, capo-cameriera, o governante, di Casa Legan era un’idea che la stuzzicava; c’erano alcune nuove cameriere da "mettere a posto". Dorothy non era cattiva o vendicativa, ma mal sopportava che si sparlasse della sua ormai ex padroncina.
Aveva lasciato i Legan quando questi si erano trasferiti in Florida.
Anche lei e Tom, fino a quel momento, non avevano avuto la benedizione di un figlio e si accontentavano dei bambini della "Casa di Pony" e di coccolare Daisy, rimasta molto legata a Dorothy dal giorno della consegna del famoso maglioncino: ma, ultimamente, si erano messi d’impegno e forse...
Per quanto riguarda la cuoca di Casa Legan, molto amica di Candy, ella era rimasta a servizio dei Legan, mentre alcuni dei suoi assistenti avevano preferito rimanere a Chicago e aprirvi un forno per il pane.
Il buon vecchio Stewart aveva sperimentato che i Legan, malgrado tutto, guardavano i loro domestici con occhi attenti: da autista-maggiordomo era passato a direttore del più bel resort della famiglia, quello di Miami. Tuttavia era rimasto in contatto con i vecchi amici e con Candy.
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Quando giunse Stear tutti si meravigliarono per due motivi: era solo e non indossava gli occhiali. Il fatto che fosse da solo era inusuale, dato che, dopo il matrimonio con Patty, lei lo accompagnava ovunque. Stear spiegò che sua moglie si era recata alla "Casa di Pony", poiché non voleva mancare alla parola data e far saltare ai bambini un giorno di lezione senza spiegazioni; con lei vi erano anche i piccoli Newton e James, i figli nati dalla sua unione con Stear: lui si sarebbe incaricato di andarli a prendere in tempo, prima dell’arrivo di Harrison.
La seconda circostanza non stupì Archie, che già conosceva i fatti.
Fu Iriza la prima a chiedergli come mai non portasse gli occhiali e perché continuava a strofinarsi gli occhi, che parevano arrossati.
"Maledizione", attaccò il ragazzo, "c’è qualcosa che non va".
Il fratello, ridacchiando, fu lesto ad avvertire gli altri:
"Attenzione che adesso si cava gli occhi".
Infatti Stear si mise le dita negli occhi e Annie e Iriza si coprirono i propri con le mani, inorridite.
"Niente paura, potete guardare, i miei occhi sono ancora al loro posto", le informò Stear, dopo qualche istante.
Le ragazze si arrischiarono a guardarlo e chiesero spiegazioni: Stear mostrò loro ciò che aveva in mano.
"Dei comuni pezzi di vetro?", chiese Annie.
"No, non dei comuni pezzi di vetro; queste sono lenti di mia invenzione, per eliminare il fastidio di portare gli occhiali ma, a quanto pare, a contatto con gli occhi, danno più fastidio degli occhiali stessi! Dovrò studiarci ancora sopra", rispose il ragazzo, gettando le "lenti a contatto" nel vaso di una pianta e rimettendosi gli occhiali.

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Anche Stear aveva dato il suo contributo alla ristrutturazione e all’ampliamento della "Casa di Pony" e aveva continuato a studiare, dedicandosi alla scienza, arrivando, finalmente, ad aprire un laboratorio a Chicago.
In attesa di inventare e realizzare qualcosa di sensazionale e soprattutto funzionante, il suo laboratorio si dedicava alla progettazione e realizzazione di giocattoli per i bambini; i piccoli ospiti della "Casa di Pony" gli facevano da cavie, testando, di volta in volta, i suoi, a volte strampalati, marchingegni.
Il suo temperamento di patriota non si era spento del tutto, poiché, pur ripudiandola, era deciso, qualora fosse scoppiata un’altra guerra, a dare il suo contributo: come ingegnere, e non più come soldato, poteva essere prezioso per la realizzazione di manufatti e congegni, atti a migliorare la sicurezza dei militari. Quindi niente armi o oggetti d’offesa.
D’altronde Patty avrebbe preferito cavargli gli occhi, piuttosto che vederlo partire di nuovo o progettare qualche arma.
"Guarda che, se hai solo l’intenzione di farmi uno scherzo del genere, questa non è una minaccia, ma una promessa", gli aveva detto.
Patty aveva preso il diploma di insegnante e aveva insegnato sulla costa orientale degli Stati Uniti per diverso tempo, prima di dedicarsi ad allietare gli ultimi giorni di nonna Martha, spentasi serenamente in Florida.
Dal suo matrimonio con Stear erano nati Newton e James, che ora avevano tre e quattro anni; dopo la nascita del secondo figlio aveva abbandonato definitivamente la carriera di insegnante, offrendosi come volontaria per fare da maestra ai bambini dell’istituto di Miss Pony, Suor Maria e Papà David.
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In una stanza dell’ospedale "Santa Joanna", sotto le cure del dottor Leonard, un’anziana signora si stava riprendendo dopo una brutta febbre, che aveva rischiato di tramutarsi in polmonite, malattia letale per le persone di quell’età. La coppia che era andata a trovarla si sentì sollevata e la ragazza disse all’anziana:
"Miss Pony, ci avete fatto prendere un bello spavento".
"Cara Candy, ho la pelle dura, io, anche se i miei anni ormai me li sento tutti addosso".
"Non dite così, sono sicura che supererete i cento anni; avete ancora molto da dare agli orfani di questa città".
"Ma guardati: la mia piccola Candy; sei una donna, ormai, e sei felice. Mi basta sapere questo e vederti così felice per andarmene in pace".
"Eh, secondo il dottor Leonard, dovrete rimandare il vostro progetto, ancora per molto tempo".
Per sdrammatizzare un po’ la discussione e suscitarle un sorriso, Candy le raccontò un aneddoto appena verificatosi.
"Sapete perché abbiamo fatto tardi, Miss Pony? Perché quest’intelligentone di mio marito, entrato prima di me nell’ospedale, ha fatto perdere un mucchio di tempo alle infermiere, poiché non gli sapevano dire dove fosse ricoverata quella fantomatica Miss Pony di cui chiedeva".
"E che ne sapevo io che il vostro vero nome è Paulina Giddings?", commentò Terence.
"Sì, e magari il mio è Tarzan tutte-lentiggini, vero?", concluse Candy, facendo ridere Terence, che annuì, e sorridere Miss Pony.
Di lì a poco arrivò Suor Maria che disse a Candy e Terence che potevano ritirarsi: sarebbe rimasta lei a far un po’ di compagnia all’inferma.
A Miss Pony che le aveva chiesto con preoccupazione dei bambini dell’orfanotrofio, la religiosa rispose:
"Non dovete preoccuparvi, Miss Pony, con loro, oltre a David, c’è anche Patty e io conto di tornare là prima che lei vada via. Voi dovete pensare solo a riposare e a ristabilirvi in fretta: noi tutti sentiamo la vostra mancanza".

Sulla via del ritorno verso Lakewood, dopo aver commentato con lui lo stato di salute di Miss Pony, sul quale il dottor Leonard li aveva tranquillizzati, Candy notò in Terence un certo nervosismo.
"Mi spieghi cosa c’è che non va, anche se già lo immagino?".
"Abbiamo lasciato i bambini a Iriza Legan! Ti rendi conto? Sei sicura sia stata una buona idea? E se accadesse loro qualcosa? E se... ?".
"E se tu la smettessi di dire stupidaggini? Ma piantala, li ha già tenuti per noi e poi ci sono anche tua madre e una moltitudine di altre persone. Ti puoi fidare".
"Sì, ma... ".
"Proprio non riesci a pensare ad Iriza come a una persona diversa da ciò che era? Io ci riesco e se io, che sono la mamma dei gemellini, mi fido a lasciarglieli... ci riuscirai anche tu, un giorno".
Candy diede un bacio al suo amore e si strinse a lui, ansiosa, ma non preoccupata, di riabbracciare i suoi piccoli.

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Candy e Terence non avevano voluto perdere altro tempo e si erano sposati, prima ancora che lui avesse lasciato definitivamente la sua carriera di attore. La persona che più era stata vicina alla coppia durante i preparativi per il matrimonio, era stata Eleanor Baker, la madre di Terence, anche lei in procinto, ora, di terminare la carriera di attrice.
Il matrimonio era stata una grande festa a cui avevano partecipato tutti gli amici più cari ai due sposi, compresi Vincent Brown, il padre di Anthony, e i bambini dell’orfanotrofio. Ciò era stato possibile dopo una lunga trattativa con la zia Elroy: l’anziana prozia premeva per organizzare una cerimonia sontuosa con tutta la "crema" di Chicago, dato che, in fondo, si trattava del matrimonio della pupilla del capofamiglia; Candy preferiva una cerimonia più intima. Alla fine era stato raggiunto un accordo: la prozia avrebbe avuto la sua festa, non troppo esagerata, e Candy i suoi paggetti, scelti tra i bambini ospiti dell’orfanotrofio, con gli altri comunque invitati.
"Zia Elroy, se permettiamo ai bambini orfani di partecipare alla cerimonia e alla festa, il prestigio della famiglia Andrew ne avrà solo da guadagnare", era ciò che Candy aveva detto alla zia Elroy per convincerla a regalare agli orfanelli quella bella esperienza.
C’erano state, però, defezioni importanti: Neal e Raymond Legan, ancora in giro per l’Europa in quel tempo, e il duca di Grancester, il padre di Terence, che si era addirittura rifiutato di incontrare la sposa, per tutto il periodo che Terence e Candy avevano trascorso in Inghilterra, probabilmente a causa del rifiuto del nome di famiglia deciso da Terence.
Sarah Legan aveva partecipato, seppur di malavoglia, per non indispettire troppo i "vertici" della famiglia Andrew.
Prima della cerimonia, però, era arrivato un telegramma di congratulazioni da parte di Susan Marlowe.
L’attrice, dopo aver lasciato Chicago, era tornata a recitare e, una volta coronato il suo sogno d’interpretare Giulietta Capuleti – la sorte volle che fosse chiamata a sostituire proprio Karen Claise, infortunatasi, l’attrice che le aveva "rubato" la parte anni prima – accanto a un giovane attore emergente, aveva lasciato le scene per dedicarsi allo studio da scenografa e, nel frattempo, aveva addirittura scritto un musical, col sogno di poterlo, un giorno, portare in scena a Broadway.
Si sarebbe saputo, più tardi, che il giovane attore emergente che l’aveva affiancata in "Romeo e Giulietta", era diventato, per lei, qualcosa di più di un semplice collega...
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Quando Candy e Terence giunsero a Lakewood, i bambini, che si stavano divertendo con le storie che Eleanor stava raccontando, corsero loro incontro, facendogli le feste: Henry George si tuffò tra le braccia della mamma, che si era accucciata per riceverlo, mentre Jane Eleanor saltò in braccio al papà, tempestandolo di baci.
"Hai visto zuccone?", disse Candy a Terence, "Stanno benissimo, anche troppo direi".
Poi, rivolgendosi ai piccoli, dopo averli abbracciati e baciati:
"Siete pronti a conoscere il nonno?".
I bambini si dichiararono entusiasti e Daisy non rinunciò a punzecchiare il piccolo Henry:
"Io l’ho già conosciuto il mio".
Henry disse alla mamma, facendo la linguaccia a Daisy:
"Io ho più nonni di Daisy e ho anche due nomi; lei ne ha uno solo".
"Su su Henry, non essere maleducato con la cuginetta", poi, rivolgendosi ad Iriza:
"Sono stati buoni o ti hanno fatta ammattire?".
"Ammattire? Ma che dici, due, anzi tre, angioletti! E fortuna che c’era anche la signora Baker!".
"E tu, Candy, come ti senti?", intervenne Terence.
"Ti confesso che sono un po’ emozionata e impaurita".
"Sii te stessa e tutto andrà bene; e se mio padre dovesse ancora comportarsi male con te, beh... che vada pure al diavolo".
"Terence non ha tutti i torti, Candy: non devi fingere o sembrare un’altra persona, comportati con naturalezza, come sempre hai fatto, e non preoccuparti che, ultimamente, l’ho sentito più ben disposto. E sono sicura che adorerà i suoi nipotini", aggiunse Eleanor.

Prima di sera, arrivarono i padroni di casa, di ritorno da un piccolo viaggio, voluto da Albert che, pur essendo oberato di impegni e di responsabilità, non aveva del tutto rinunciato al proprio bisogno di libertà. Era per questa assenza che l’organizzazione dell’evento era stata affidata ad Iriza, dato che la zia Elroy, pur tenendo botta per riuscire a conoscere gli eventuali figli di Annie ed Archie, non si sentiva più in grado di strapazzarsi troppo.
William Albert Andrew e sua moglie Elizabeth Marshall, furono contenti di trovare tutti gli amici riuniti nella grande villa degli Andrew; anche i loro figli, William Anthony e Rosemary, furono contenti d’incontrare i "cuginetti".
Ma di che evento si trattava?
Si è detto che il duca di Grancester era stato abbastanza intransigente e chiuso nei confronti del figlio e di sua moglie, ma, ora, sentendosi sempre più vecchio, avvertiva il bisogno di conoscere i nipotini e qualcuno sperava in una sorta di riconciliazione familiare completa, in quanto Eleanor si era molto riavvicinata a lui. In questo ripensamento del duca, vi era stato anche lo zampino di suo fratello, per cui Harrison si era offerto di andarli a prendere per condurli in America.

Candy e Iriza si ritrovarono nel giardino: una attendeva, preoccupata, di conoscere il suocero, l’altra, ansiosa, di riabbracciare il suo amore.
"Sai Candy, non smetterò mai di ringraziare il Signore per aver messo Harrison sulla mia strada... non oso pensare a cosa ne sarebbe di me ora, se non lo avessi incontrato".
"Beh, Iriza, Miss Pony mi ha insegnato che non possiamo sapere cosa ci aspetta dietro l’angolo, ma se percorriamo la nostra strada con coraggio e senza paura, può attenderci una gioia immensa, proprio come quella che stiamo provando noi in questo momento".

FINE
 

© 2019, The Blue Devil



Segnalo che non ho voluto stravolgere (da che pulpito!) troppo le indicazioni dell’autrice originale, per cui, per la stesura di questa storia, ho consultato anche i libri di Keiko Nagita: alcuni eventi li ho pescati lì e li ho rimodellati a modo mio. Mi sembrava corretto segnalarlo. Anche la frase finale (rimaneggiata da me) è un reale pensiero di Miss Pony, la Miss Pony di Keiko Nagita.

Ora il consueto elenco telefonico.
L’autore ringrazia:

briz65 per aver dato il via alle recensioni e aver tentato, vanamente, di smontarmi grammaticamente e sintatticamente ogni capitolo con le sue rott... ehm... acute osservazioni; a proposito colgo l’occasione per ringraziarla di averci scritto e regalato la bellissima "Il Drago e il Leone", che non mi stancherò mai di segnalare per la lettura (lo so, mi ripeto, ma l’elenco telefonico è mio e ci scrivo ciò che voglio);
Tetide per aver voluto leggere anche questa;
Gatto1967 che ha sicuramente iniziato a leggere questa mia;
australia7 per aver dimostrato di avere pazienza, tanta pazienza;
Ioli66 di cui ignoro la sorte;
gigen2015 che è apparsa nel secondo capitolo ed è riemersa nel 34°;
Susanna1974 che avendo scritto 3 parole non figura tra i recensori; comunque questo capitolo è un’eloquente risposta alla sua domanda (sempreché abbia proseguito nella lettura);
Fiona65 lettrice silenziosa, ma presente;
Gli innumerevoli lettori silenziosi che hanno letto senza commentare (1000? Ma che dico? 100? Ma che dico? 10... etc).

L’autore gradirebbe che i lettori che hanno commentato almeno una volta, lasciassero un commento a questo ultimo capitolo. Sarebbe bello se lo facessero tutti quelli che hanno letto tutta la storia, ma tant’è...
Si ricorda, inoltre, che una recensione, per essere tale e comparire, deve superare le 10 parole. Che senso ha commentare senza incrementare il numero delle recensioni?


The Blue Devil





Ringrazio tutti i lettori che si sono imbarcarti in quest’avventura, che neanch’io so dove ci ha portato (sempre che ci abbia portati da qualche parte), con la speranza di non avervi annoiato...











SFOGO DELL’AUTORE:

A chi mi dice che EFP è morto, do pienamente ragione. Questo sito è morente, ma non per colpa degli autori (il 90% dei quali abbandona le storie a metà o, addirittura, dopo un solo capitolo, dopo aver promesso mari, monti e oceani), che ci sono e pubblicano, ma per colpa dei lettori che trovano il tempo di leggere, ma che non trovano due secondi per dire la loro opinione. Le recensioni sono il sale di questo tipo di siti, mancando esse, tutto appassisce e un autore non sa cosa stia scrivendo e neanche se un lettore abbia letto tutta la sua storia o solo i primi capitoli.
È anche vero che molti autori pretendono di ricevere, ma si dimenticano di dare.
Recensire non è un obbligo, ma, se è previsto dal regolamento del sito, un motivo ci deve pur essere.
Grazie per l’attenzione


The Blue Devil
   
 
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