Capitolo
9°
Wandering
Ashland,
Wisconsin
12/9/1918
Caro
diario,
è
passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ti ho
scritto. Ma non solo
l’acqua che scorre sotto i ponti è cambiata;
abbandonando Chicago credo di
essermi lasciato la mia intera esistenza umana alle spalle. Il problema
è che
non penso di aver lasciato in quella città solo il vecchio
nome e l’identità
sbiadita di Edward Masen: insieme al suo battito ormai perduto il mio
cuore ha
abbandonato in quel luogo, probabilmente sulla tomba di mia madre,
anche un suo
frammento. Cerco di tenere occupata la mente e di non pensare a
ciò che ero
poco più di un mese fa: non mi sono ancora misurato con i
miei nuovi demoni, ma
credo che prima o poi dovrò farlo. Per il momento mi limito
a far scorrere il
tempo e gli eventi sul mio nuovo corpo che mai cambierà.
Sarà difficile
accettare la mia nuova natura, lo so e Carlisle stesso me
l’ha confermato, e ho
paura di dover affrontare questo passo, perché
significherebbe smettere
definitivamente di giocare all’umano, come sto facendo
tutt’ora.
Mi
piace la nuova casa che ha preso Carlisle e nella quale ci siamo
stabiliti
ormai da un paio di settimane. È una piccola villetta a
schiera, circondata da
tante altre di chiari e piacevoli colori pastello, e dalla piccola
finestrella
della mansarda si possono perfino scorgere, al di là di una
miriade di tetti e
di giardinetti ordinati con le siepi ben curate, le placide acque del
vicino
Lago Superiore. Il mio amico ha già cominciato a lavorare
nel piccolo ospedale
locale, mentre io divido il mio tempo tra la nostra nuova dimora e le
piccole
stradine moderatamente affollate della città. E penso. Credo
di non aver fatto
altro da quella fatidica notte nel parco. È buffo
perché cerco con tutte le
forze di non affondare la lama in quelle ben note ferite che non
accennano a
rimarginarsi, eppure non posso fare a meno di rievocare tutte le
diapositive
possibili dell’ultimo periodo. Sul fronte “bere
sangue” le cose procedono
meglio di quanto pensassi. Ora mi nutro principalmente del sangue dei
piccoli
animali che riesco a scovare nella campagna appena fuori la cittadina
e, in caso
di emergenza, di alcune scorte che Carlisle riesce a procurarmi tramite
l’ospedale. La tentazione del sangue umano è
ancora molto forte e nei primi
giorni mi ero adirato non poco con il mio nuovo compagno per il fatto
di aver
scelto una casa così vicino ad altri esseri umani. Secondo i
miei criteri
sarebbe stato più adatto un vecchio castello smarrito nel
selvaggio e lontano
mille miglia da ogni centro abitato. Ancora adesso, anche quando li
incrocio
per strada, non riesco a stare vicino a un essere umano per
più di qualche
secondo senza che mi sorprenda l’impulso di prenderlo alla
gola. Per questo
passo molto tempo rinchiuso in casa; ma Carlisle crede in me e dice che
tra non
molto riuscirò a controllare meglio i miei istinti. Una
delle cose che più mi
rammarica di aver lasciato a Chicago è il mio vecchio
diario; per questo ne ho
iniziato uno nuovo. Chissà se è ancora
là in ospedale di fianco al mio letto? O
magari qualcuno l’ha buttato al macero insieme a tutti i miei
pochi e poveri
averi che ho lasciato là. Ma forse, mi dico per consolarmi,
è meglio così.
Quelle erano soltanto le righe di un ingenuo umano ormai rassegnato ad
addormentarsi per sempre nelle braccia della morte, senza sapere cosa
sarebbe
accaduto di lì a poco, senza sospettare quale deviazione
avrebbe preso la sua
vita, senza riuscire a scorgere le molte realtà oscure che
in breve l’avrebbero
travolto. Il cambiamento di tono sarebbe stato troppo stridente.
Oggi
è una delle ultime giornate di sole dell’estate e
già l’aria frizzante dell’autunno
inizia a farsi sentire. Non c’è una nuvola in
cielo e il blu del cielo
rispecchia fedelmente quello della superficie leggermente increspata
dello
sconfinato lago… e io non posso assolutamente uscire.
Infatti ho presto
scoperto che noI vampiri alla luce del sole non ci sciogliamo come
dicono le
leggende, bensì risplendiamo come le sfaccettature di un
diamante: per questo
dareI troppo nell’occhio aggirandomi tra la gente. Non so per
quanto tempo ci
fermeremo qui, anche se dai programmi di Carlisle posso facilmente
dedurre che
non andremo molto lontano per almeno tutto l’inverno. E la
cosa non mi
preoccupa affatto, anche perché Ashland inizia a piacermi
davvero. Sarà forse
anche per il nome (“terra di cenere”), ma mi pare
che sia un buon posto dove
rinascere. Rinascerò dalle mie ceneri come l’araba
fenice, trovando un nuovo
senso alla mia esistenza, proprio come Carlisle. Magari potrei
rimettermi a
studiare per ottenere una laurea che mi permetta di rendermi utile alla
comunità e sentirmi meno diverso. Sì, qui
rimetterò insieme le mie ceneri
mortali per lanciarle negli occhi del mostro che si nasconde nei
meandri del
mio cuore. E sconfiggerlo.
Ashland,
Wisconsin
8/3/1921
Caro
diario,
non
so più che cosa pensare. Le paure, le ansie e i sospetti che
avevano minacciato
di adombrare la mia nuova vita, che iniziava già a
prospettarsi se non serena e
ridente almeno vivibile e tranquilla, si fanno via via più
concrete con i
giorni che passano. Alla fine Carlisle si è deciso a portare
la sua nuova amica
a casa nostra, ovviamente senza tenere assolutamente conto della mia
opinione e
dei miei avvertimenti un poco preoccupati. Esme è in
assoluto la persona più
dolce e benevola che abbia mai incontrato e il suo sorriso ha portato
una nuova
ventata d’aria fresca e gioia di vivere tra le pareti spoglie
della nostra
casa. Ma nonostante dimostri ogni secondo la sua gratitudine e il suo
profondo
anche se recente amore per Carlisle, apparentemente non preoccupata di
essersi
trasformata in un essere tenebroso, un vampiro, come lo ero io, non
riesco
ancora ad accettare la sua presenza. Mi sento diffidente…
come un cane di
fronte a un nuovo arrivato. Fiuto l’aria in cerca di qualche
cosa fuori dalla
norma che però non riesco a trovare. Forse perché
in questi pochi anni (oddio,
siamo già passati a contare il tempo in anni?) mi ero troppo
abituato a
considerare la sicurezza e la tranquillità sotto
l’unico nome congiunto di me e
Carlisle. Senza nessun altro. Carlisle dice che Esme saprà
essere una buona
madre per me e che entrambi avremmo finalmente ritrovato quello che la
crudeltà
del mondo ci aveva portato via. Lei avrebbe ritrovato in me il figlio
morto
prematuramente che l’aveva portata a decidere per
l’estremo gesto di buttarsi
da una scogliera (che poi le avrebbe fatto incontrare Carlisle
all’ospedale). E
io finalmente avrei avuto una figura materna come punto di riferimento.
In
effetti per molti versi Esme mi ricorda mia madre, nonostante eviti
categoricamente di fare paragoni. Magari è proprio per
questo che faccio fatica
ad accettare la nostra nuova convivenza a tre: nel sorriso di Esme
rivedo
quello di mia madre, lo stesso sorriso che dopo tanto tempo ero
riuscito a
relegare nella parte più remota della mente per non esserne
più ferito. Quindi
mi ritrovo combattuto tra due fronti: quello di oppormi categoricamente
a quel
cambiamento e quello di lasciare che il finto fratello del signor
Cullen si
rallegri per il suo prossimo matrimonio. Ed è proprio questo
il punto che,
oltre al suo animo dolce come il miele, non mi permette di odiare Esme.
Vedo il
volto di Carlisle, che da quando lo conosco è sempre stato
oppresso da mille
pensieri e preoccupazioni, distendersi, i suoi occhi accendersi della
luce del
paradiso e socchiudersi ogni volta la delicata voce di lei pronuncia il
suo nome.
Che diritto ho io di privarlo di questa felicità dopo secoli
di solitudine? Che
mostro sarei a spezzare quest’incantesimo che mi lascia
stupefatto? Non mi ero
forse ripromesso di ricercare la bontà per allontanarmi
dalle tenebre? Non
posso in alcun modo rimproverare a Carlisle di averla salvata come
aveva fatto
con me.
Esme
è la torcia della speranza che entrambi aspettavamo ormai da
tempo.
Concord, New Hampshire
19/10/1927
“Why should we be
in such desperate haste to succeed and in such desperate enterprises?
If a man
does not keep pace with his companions, perhaps it is because he hears
a
different drummer. Let him step to the music which he hears, however
measured
or far away”
Scappare.
Devo assolutamente andarmene. Questa
esistenza mi sta ormai stretta. Forse altrove troverò quel
che cerco. Addio.
Newark,
New
Jersey
23/11/1929
Caro
diario,
é
tempo di guardarsi alle spalle e tirare le somme. Undici anni da
vampiro e
ormai due lontano da casa. E la Domanda mi sorge spontanea: ho trovato
quello
che stavo cercando? Anzi, cosa stavo cercando? No, scusa, non stavo
piuttosto
scappando? Non lo so. Probabilmente sì. In questi due anni
in cui non ho più
sentito Carlisle ed Esme ho scritto ben poco. Mi piacerebbe sapere come
stanno,
ma, come spesso mi capita, sono combattuto tra due idee. Infondo sono
stato io
ad andarmene, no? Che figura ci farei a ripresentarmi non aspettato con
la coda
tra le gambe dopo tutto quello che ho detto? Non ho voglia di recitare
la parte
del caro figliol prodigo che ritorna a casa. E poi… casa? Io
non ho più una casa.
La mia dimora è la strada; un letto sempre diverso ogni
notte e una tavola con
cibo diverso quasi ogni settimana. No, non posso assolutamente tornare,
mi
costringo a pensare con fermezza. È stata una scelta mia,
proprio come quando
Carlisle ha scelto di non cibarsi di sangue umano o di trasformarmi in
vampiro.
Ormai dopo quasi dieci anni di astinenza non potevo più
sopportare quella fame
lacerante, il desiderio sempre represso che non riusciva mai a trovare
una
minima valvola di sfogo. Avevo sempre saputo di non essere tagliato per
la vita
monacale fatta di rinunce e alla fine il vampiro desideroso di sangue
umano è
saltato alla ribalta. Mi sento una specie di Oliver Twist o Jack London
alla
ricerca dell’oro a vagare per i sobborghi bui e spesso
sporchi di tante città
diverse. Non sto mai fermo in un luogo per più di qualche
giorno, una settimana
al massimo, e il fuoco e l’ardore che mi spingono a muovermi
sempre più spesso
mi fanno assomigliare ad un irrequieto adolescente scappato da casa per
sfuggire alle regole opprimenti e alle menzogne della
società. Infondo è
proprio quello che sono: un adolescente che mai crescerà, ma
rimarrà per sempre
imprigionato in questo corpo da diciassettenne.
Non
riesco a sentirmi veramente in colpa per le mie innumerevoli e recenti
vittime,
anche se forse un giorno lo sarò. Ma ho trovato un metodo
infallibile per
mantenere candida la mia coscienza: con la mia unica
capacità di leggere nel
pensiero, che ho saputo affinare soprattutto in quest’ultimo
periodo, posso
distinguere la gente onesta e innocente da quella con l’anima
ben più sporca
della mia. Quindi, diciamo così, nonostante continui a
basare la mia
sopravvivenza sugli omicidi, ho trovato comunque il modo di rendermi
utile alla
comunità. Ripulisco i sobborghi da tutta quella gente
malvagia, ladri,
assassini, stupratori, che potrebbero minare la felicità di
qualcun altro:
almeno così sarò sicuro che qualcun altro
potrà apprezzare quella gioia che
invece è stata negata a me. E mi aggiro tra stradine buie in
cerca della
vittima giusta, magari sorprendendola proprio in flagranza di reato,
come un
terribile ma bellissimo angelo della morte.
Così
continuo a trascinare su questa terra il mio cuore pieno di tormento,
chiedendomi se sarà così per sempre. Non riesco a
provare nostalgia per la mia
vita con Carlisle ed Esme in una bella casetta pulita e luminosa, forse
perché
ora posso esprimere la mia vera natura, pur terribile che sia. E, come
disse
qualche saggio vecchio, esprimere la nostra natura non ci porta al
compimento del
nostro compito terreno? Alla realizzazione del nostro Io? Bene, il mio
Io
allora sarà un’ombra sfuggente e silenziosa, che
si aggira tra la fitta nebbia
di novembre macchiata di sangue.
Cleveland,
Tennessee
15/7/1935
Caro
diario,
la
famiglia Cullen pare stia diventando sempre più numerosa:
ora siamo in cinque e
il piccolo appartamento i piedi delle montagne sta iniziando a
risultare un po’
troppo stretto. Cosa c’è di meglio di un altro
vampiro assetato di sangue da
tenere a bada? Giusto per mantenerci un po’ sul chi
vive… Se non altro Rosalie
sembra felice e da quando il nuovo arrivato si è finalmente
svegliato lei non
può fare a meno di stargli attaccata ogni singolo secondo.
Il ragazzo, che non
dimostra più di vent’anni, ha detto di chiamarsi
Emmett e di essere stato
attaccato da un orso mentre era a caccia nei boschi, come tutti abbiamo
potuto
notare vedendo il terribile stato in cui Rose l’ha riportato
a casa dopo una
battuta di caccia. Come la mia nuova sorella acquisita, anche questo
Emmett
sembra non riuscire a staccare gli occhi dalla sua salvatrice: ci ha
raccontato
di averla vista scendere su di lui come uno splendido angelo. Esme
è entusiasta
di avere un altro figlio di cui occuparsi, mentre invece Carlisle si
è fatto un
po’ cupo e pensieroso, arrovellandosi sul modo migliore per
mettere a conoscenza
il nuovo arrivato di cosa sia diventato dopo la trasformazione. Infatti
se
Rosalie non l’avesse portato subito da lui, pregandolo in
ginocchio di fare
qualcosa, anche trasformarlo in vampiro, pur di salvarlo, di certo il
povero
Emmett sarebbe già rigido come uno stoccafisso a causa della
gravità delle
ferite riportate. Appena l’ho visto, uscendo dal silenzio
della mia camera e
dai miei libri di medicina, mi ha fatto subito pensare a un grande
orso. In senso
positivo, ovviamente. Probabilmente il genere di fratello maggiore che
mi
sarebbe piaciuto avere e che magari sarebbe riuscito a farmi togliere
il naso
dai miei testi universitari per ritrovare la leggera ebbrezza
dell’adolescenza.
Quella vera. Sì, perché, da quando sono tornato,
ogni giorno che passa mi rendo
viepiù conto del madornale errore che avevo fatto
nell’abbandonare Carlisle ed
Esme. Alla fine, dopo ben quattro anni di solitudine, mi ero reso conto
che
quello che andavo cercando non solo non l’avrei mai trovato
ma nemmeno esisteva,
non sapevo neanche cosa fosse. E così il grande focolare che
mi aveva fatto
muovere continuamente per mezz’America si era gradualmente
spento e avevo
realizzato che non ero il vendicatore invisibile, bensì che
appartenevo ai
Cullen, a Carlisle, ad Esme e a tutti quelli che sarebbero venuti in
seguito. E
con l’arrivo di Rosalie due anni fa la mia tesi non poteva
fare a meno di
rafforzarsi: quello era l’unico posto che potevo chiamare
casa e quelle le
uniche persone che mi avrebbero amato incondizionatamente.
Dopo
Carlisle ed Esme, penso appoggiato allo stipite della porta del salotto
osservandoli di nascosto, anche Rosalie ha trovato finalmente la sua
ragione di
vita. Dopo essere stata picchiata, stuprata e abbandonata in mezzo a
una delle
tante anonime strade di Rochester, New York, dall’unica
persona che amava alla
follia e che credeva l’amasse altrettanto appassionatamente,
di certo Rose si
merita più di ogni altro di ritrovare la
felicità. Possibilmente con qualcuno
di sincero, come Emmett si è mostrato fin dal primo istante.
Con quella persona
speciale che di certo non potevo essere io, come avevano creduto in
principio i
miei finti genitori adottivi. Forse per impedirmi di scappare
un’altra volta o
per non vedermi sempre rimuginare su cosa sono o non sono, Carlisle ha
sempre
cercato di trovarmi una compagna. Ma Rosalie, con il suo carattere
fiero e la
sua vanità quasi ossessiva, non era certo il mio tipo ed ora
sono quasi felice
che si sia orientata verso qualcun altro. E questo ora può
vederlo anche lui,
Carlisle, penso lanciando uno sguardo carico di significato al mio
primo vero
amico.
Quindi
adesso siamo due coppie e uno scapolo: bene. A volte mi
chiedo… No, sono solo
pensieri insulsi… Però, mi chiedo:
arriverà mai nessuna che possa essere quello
che Esme è stata per Carlisle ed Emmett per Rosalie? Ripenso
alla misteriosa
ragazza del sogno o quello che era: sembrava così
reale… Ci ho pensato spesso
in tutti questi lunghi anni e la sua immagine brillante non
è mai stata
offuscata dal passare del tempo. Ma il problema rimane che quella
ragazza
sicuramente non esiste e non posso innamorarmi di un sogno che non
tornerà mai
più. In queste occasioni non posso fare a meno di sospirare
con un certo
rammarico, ma poi, per risollevarmi, mi dico che sto bene
così, da solo. Sono
troppi i pensieri che mi frullano per la testa e non credo che una sola
persona
riuscirebbe a reggerli tutti. E così cammino da solo, la mia
ombra circondata
da altre quattro che si stringono per mano, i loro volti vicini, i
capelli che
si sfiorano. Ma non c’è nessuna ombra a tenere la
mano della mia.
Great
Falls,
Montana
11/4/1950
Caro
diario,
ma
dico, come si permette???? Quel… quel piccolo
mostriciattolo! Sorvolando sul
fatto che mi ha fatto prendere uno dei più grandi spaventi
della mia vita
quando è spuntata all’improvviso tra gli alberi
insieme al suo amico, compagno
o quel cavolo che è mentre
io ed Emmett
eravamo a caccia, non posso assolutamente tollerare la leggerezza con
cui mi ha
spodestato. Voglio dire, quella era la mia camera! La MIA, ok? E dentro
c’era
tutta la roba del sottoscritto Edward Cullen, che ora, invece,
è stata
brutalmente relegata in garage. Mentre quella sottospecie di folletto
demoniaco
salta sul MIO divano, riempie con la sua roba la MIA scrivania e i MIEI
scaffali, sbatte in un angolo il MIO tappeto preferito e fa spallucce
quando le
chiedo che fine abbia mai fatto tutta la MIA roba. E chi cavolo le ha
dato il
permesso di installarsi in casa MIA?!? No, non posso tollerarlo! Questo
l’ho
urlato anche a Carlisle, supplicandolo, o meglio obbligandolo con
espressioni
colorite, di sbattere quei due fuori di lì. Ma lui, come al
solito, non mi ha
dato ascolto e, invece, sempre più incuriosito, ha insistito
per avere maggiori
informazioni da quei due, da dove venivano, chi erano, come ci avevano
trovati.
E anche io non posso fare a meno di guardare con una certa deferenza e
curiosità quella strana coppia di vampiri. La piccoletta che
mi ha appena
occupato la camera si chiama Alice e l’altro, invece,
dall’aria più pacata e lo
sguardo attento, Jasper. Non posso in alcun modo levarmi dalla testa il
nostro
primo incontro nella foresta, quando senza tanti preamboli mi aveva
salutato e
chiamato per nome. Ovviamente ero rimasto di sasso: come faceva a
sapere come
mi chiamavo? E subito dopo, arrivati a casa, aveva chiesto ad Esme di
indicarle
la sua stanza, come se vivesse lì da sempre e fosse appena
tornata dopo essersi
assentata per qualche ora per fare compere… Conosceva tutti
i nostri nomi, le
nostre storie, la nostra casa e il suo compagno, ricoperto da cicatrici
e
ferite di battaglia, mi incuteva lo stesso timore. Non ho ancora avuto
occasione di sentire la loro storia, ma sono certo che sarà
interessante. Spero
proprio che non si trattengano a lungo, perché altrimenti
dovrei dividere la
camera con Rosalie ed Emmett… e non è la
prospettiva della mia vita. Però ho i
miei dubbi al riguardo: se fosse solo una breve visita non avrebbe
preso la mia
stanza, giusto? La prospettiva che quei due si uniscano alla nostra
famiglia mi
fa rabbrividire. Voglio dire, il tipo, Jasper, sembra a posto, anche se
forse
un po’ troppo taciturno. Ma lei… È qui
da neanche mezza giornata e già non la
sopporto più. La sua parlantina irrefrenabile mi fa venire
il mal di testa e
vederla aggirarsi per casa rimbalzando come una pallida da tennis
impazzita non
aiuta di certo. Assomiglia terribilmente a uno di quei mostruosi giochi
a molla
che spaventano tanto i bambini: non credo che la nostra sarà
una convivenza
pacifica. Non sopporto che quel folletto mi ronzi intorno tutto il
giorno,
prevedendo ogni mia mossa, ogni mio pensiero o parola e riuscendo
sempre ad
avere la meglio. Anche Rose sembra pensarla come me, mentre Emmett si
diverte
come un matto a prenderla in giro per la sua statura minuta: contento
lui…
Carlisle ed Esme come sempre, invece, non fanno una piega e si
dimostrano
disponibili ed ospitali, ma sospetto che lo sarebbero anche se si
presentasse
alla porta un barbone ubriaco marcio che non si lava da mesi. Oddio,
per quanto
durerà questa tortura?
Virginia
Beach,
Virginia
5/12/1982
Caro
diario,
la
spiaggia è deserta e finalmente con un po’ di pace
e solitudine riesco a
scriverti con calma. Non ho mai avuto molte occasioni di osservare
così il mare
come da quando ci siamo stabiliti qui qualche mese fa. La striscia di
sabbia
disegna una linea perfetta e sinuosa, lambita dalle deboli onde del
mare color
cobalto. Un leggero vento salmastro ne accarezza la superficie,
incoronando le
onde di una cresta di spuma bianca, che s’infrange come un
debole schiaffo
contro la sabbia. Lo sciabordio del mare quasi m’intorpidisce
e non credo ci
sia posto migliore dove rimanere da soli di fronte ai propri pensieri.
Il mondo
si distacca dalla pelle e viene arrotolato come una vecchia cartina in
un
angolo. Sta lì per un po’, il caos frenetico
avviluppato lì e messo a tacere, e
qui non rimane altro che un profondo silenzio senza tempo. E per un
attimo
ricordo le rare gite al mare fatte da piccolo, i castelli di sabbia che
venivano subito distrutti dalle onde e il caldo che bruciava la nuca e
le
spalle. Ora, invece, fa freddo e non ci sono bagnanti a farmi compagnia
su
questa deserta spiaggia di inizio dicembre. Tanto meglio. È
passato tantissimo
tempo da… be’, da quel Giorno. Non sono
più tornato a Chicago, non ho più
voluto sapere che fine avesse fatto Edward Masen né ho
più avuto il coraggio di
ritornare sulla tomba di mia madre. In tutti questi anni (quanti sono?
tanti)
mi sono in un certo senso rifatto una vita ripartendo quasi da zero e
cercando
di non pensare più a quello che era stato prima,
così che i ricordi sbiaditi di
quell’epoca di accavallano disordinati gli uni sugli altri.
Ora sono un Cullen,
ho la mia famiglia: Carlisle, Esme, Rosalie, Emmett, Jasper ed Alice (a
discapito dell’incipit della nostra convivenza, non credo che
esista al mondo
una persona in grado di capirmi meglio di lei). E probabilmente
continueremo
così all’infinito, fin quando le nostre vite
immortali dureranno. Dovrei essere
felice per questo, soprattutto rammentandomi dell’ansia e
della paura iniziali
non appena avevo scoperto cos’ero. Avevo paura di non avere
un posto dove
andare, di non avere persone fidate su cui contare e di vivere in
eterno senza
uno scopo: nulla di tutto ciò è capitato. Ancora
stento a credere di essere
stato così fortunato. Però…
Sì, c’è sempre un però. E
nel mio confessionale
naturale il “però” principale non
può fare a meno di venire a galla. Ho una
famiglia e al tempo stesso degli amici… ma non qualcuno che
stia strettamente
accanto a me. Una ragazza, una fidanzata, intendo. Ma dopotutto ha
così tanta
importanza? Devo avere per forza una compagna per essere felice? No. Ma
la
ragazza del sogno continua a chiamarmi attraverso gli anni e io non
posso fare
a meno di rimanere incantato dal suo dolce canto di sirena. E mi viene
spontaneo chiedermi: sono davvero felice o faccio solo finta di esserlo?
Forks,
Washington
24/8/2003
Caro
diario,
è
passato un po’ di tempo dall’ultima volta che siamo
stati da queste parti. Non me
la ricordavo così piovosa ed umida Forks. Esme con il suo
ben noto senso
pratico ha già iscritto me, Rosalie, Emmett, Alice e Jasper
al liceo locale, la
Forks High School, che, da bravi bambini, inizieremo a frequentare tra
non
molto. Come se, con le mie due lauree in medicina, avessi ancora
bisogno di
imparare qualcosa… Prevedo già che
sarà una gran noia, anche se Esme ha
ribadito che è necessario per la nostra finzione di
“felice famiglia umana con
figli adolescenti”. Sarà, ma a me sembra una gran
fregatura ripetere il liceo
all’infinito. In più dubito che sarà
un’esperienza utile per farsi nuovi amici,
visto che di solito gli umani, guidati più
dall’istinto che dalla ragione,
tendono a girare al largo da noi.
Vabbè, staremo a vedere se qualcosa riuscirà a scuotere questa piccola cittadina dalla noia mortale che l’avvolge. Ho come la sensazione che passeremo qui più tempo del previsto…
Penultimo capitolo! Ebbene sì, ormai anche questa storia è agli sgoccioli. Mi auguro che questo chap sia all'altezza degli altri: non è stato affatto facile concentrare qausi un secolo di vita di Edward in pochi stralci di diario. Diciamo che ho deciso di rendere il tutto con una specie di raccolta di one-shot dei momenti principali della sua esistenza tra la trasformazione e l'arrivo di Bella, focalizzandomi ovviamente sui momenti fondamentali. Spero anche di aver reso bene il pensiero di Edward e che questa non sia una mera sequenza di eventi. Per l'ultimo chap spero di riuscire ad aggiornare presto, intanto ringrazio:
Elfa sognatrice: mi fa piacere che la mia storia ti abbia così colpito! In effetti volevo ottenere proprio quel risultato, anche se mi dispiace un po' far piangere la gente XD ma quella di Edward non è certo stata una storia facile nè felice... Se mi dici che sono riuscita ad arrivare bene al cuore del lettore, be', allora credo di aver svolto bene il mio compito! Grazie!
ephirith: innanzitutto bel nick, davvero! Per il resto vale quello che ho detto qui sopra: credo che il compito di ogni scrittore (non che io mi ritenga tale) sia di raccontare in modo tale da far "vivere", diciamo così, quello che scrive, quindi renderlo reale e capace di arrivare al cuore del lettore e colpirlo. Non ho aggiornato presto (come al solito) ma spero che tu recensisca anche questo chap!
Jadis96: ed eccoti il nuovo chap! Sicuramente un'attenta lettrice come te troverà qualche pecca. Ma d'altronde la storia di Edward dopo la trasformazione è piuttosto vaga e in certe parti ho deciso di prendermi un po' di licenza poetica, mentre in altre ho cercato di rimanere il più fedele possibile alla storia. Quindi mi perdonerai qualche incongruenza, soprattutto con le date. A presto!
Nirva: Uuuhhhhh ma quanti nuovo lettori! Anche a me ha sempre affascinato il rapporto maestro-allievo per così dire, oltre a quello padre-figlio, tra Edward e Carlisle, che assomiglia molto a quello che appare in molte altre storie; un esempio, Harry Potter e Silente. In particolare mi è piaicuto scrivere del tormento di Carlisle per la decisione di trasformare Edward. E l'immagine dell'angelo, oh sì, è una delle mie preferite! Diciamo che racchiude una triade: Bella, l'angelo (che potrebbe simboleggiare la rinascita a vampiro) e Carlisle: tre cose importanti nella vita di Edward. Oppure i suoi due angeli: Carlisle che l'ha salvato quando era umano e Bella che ha salvato il suo cuore.
fields: grazie per
il commento, pur semplice che sia! Continua a leggere