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Autore: BebaTaylor    05/03/2019    1 recensioni
Lindsay, Ryan e tutti gli altri tornano, dopo Straight Trough my heart. Ma scordatevi le atmosfere divertente della storia precedente.
Perché le persone crescono, i rapporti cambiano e si evolvono, perché c'è sempre chi non capisce, chi pensa al successo e lo vuole anche a costo di distruggere la felicità degli altri, ignorando le tante lacrime versate.
Risate, lacrime — tante — e dolore. I nostri saranno in grado di superare tutto quanto?
Attenzione: nella seconda parte del settimo capitolo ci sono vaghissimi accenni di lime slash.

«Ryan!» strilla Lindsay quando, del tutto casualmente, le tocco il sedere.
«Che c'è?» domando, «Non ho fatto niente.»
Lei mi fissa e sbuffa, «Lo sai cosa hai fatto.» dice, «Mi hai toccato il culo.» sibila.
Le sorrido, «Non l'ho fatto apposta.» dico. Lindsay sbuffa e si volta, dandomi le spalle e fissando la fila di persone davanti a noi. Stiamo andando a New York, ed è inutile dire che Liam è felice di passare del tempo con Svetlana, poi andremo in Europa, per la promozione dell'album. Prima tappa: Dublino. Credo che mi sfonderò di Guinness.

La presentazione fa schifo, scusate. Giuro che la storia è molto meglio!!
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In a World Like this'
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Nove
If I don't have you -
*** I'm a star with no light ***



Cose positive del mio lavoro:
Sto sempre insieme a Ryan.
Viaggio molto.
Shopping nelle città più belle del pianeta.
Mangio cose mai provate prima.
Mi pagano per fare tutto ciò.
Posso controllare che nessuna cerchi di infilarsi nelle mutande di Ryan.
Cose negative del mio lavoro:
Troppi decolli e troppi atterraggi.
Tempi spesso serrati fra un appuntamento e l'altro.
Sveglie prima dell'alba.
Gallinelle che cercando di infilarsi nelle mutande di Ryan.
Stress.
Fans che ti seguono veramente ovunque.
Ma adesso... adesso niente. Adesso non ho un lavoro. E in più Ryan deve uscire per forza con quella stronza.
Per fortuna viviamo insieme e possiamo passare insieme tutto il suo tempo libero. Almeno questo.
Sospiro e guardo le foto della mia nipotina, ha nove settimane, o sessantatré giorni, come ha specificato Brenda nel messaggio. È cresciuta tanto, la mia bella nipotina. Sorride, fa tanti versetti... è meravigliosa.
Mi mancano tanto i miei nipoti. Quasi quasi potrei andare a trovarli. Magari in treno, ecco. Sono troppo nervosa per poter pensare di affrontare da sola due decolli e due atterraggi.
No, in treno sono troppe ore. Anche in auto ci impiegherei un giorno intero.
Mi sa che mi tocca l'aereo.
Uffa.
Mi alzo di scatto dal letto quando sento la macchina di Ryan fermarsi, così corro da lui e lo abbraccio appena apre la portiera, non dandogli neppure il tempo di slacciarsi la cintura.
«Che irruenza.» scherza mentre mi aggrappo a lui.
«Mi sei mancato.» dico baciandogli il viso. 
«Anche tu.» soffia lui, «Mi fai scendere?» domanda.
Giusto. Annuisco e mi sposto, lasciandogli spazio. Lui afferra un sacchetto e una scatola dal sedile del passeggero.
«Lì cosa c'è?» chiedo mentre chiudo la portiera.
«Muffin, ciambelle e cappuccino.» risponde Ryan.
Lo amo anche per questo, perché mi porta dolcetti e cappuccino.
«Cosa avete fatto?» domando poco dopo, quando siamo sul suo divano a fare merenda. 
«Le solite cose.» risponde lui, «Abbiamo pranzato, lei parlava troppo, io ascoltavo una parola sì e venti no, ha cercato di prendermi per mano...» dice spezzando a metà un muffin, e io mi blocco, domandandomi se ho delle tenaglie abbastanza grosse per tranciare il polso di quella gallina spennacchiata, «Ma gli ho detto che sono germofobico e che non mi deve toccare.»
Mettiamo via gli istinti mutilatori e rilassiamoci. «Mhm... germofobico?» faccio e bevo un sorso di cappuccino, «E non si domanda il perché tu lo sia solo con lei e non con tutte le altre superfici?»
Lui ride, «Credo che quando le hanno fatto la liposuzione le abbiano tolto un po' di materia grigia.»
Rido e mi appoggio a lui, felice che quella non gli interessi minimamente. Certo, se non dovesse uscirci sarebbe meglio.
Stupido Raymond. Potrei diventare Lindsay La Delinquente e disfargli l'auto, così impara ad avere delle idee da coglione.
«Hai sentito Svetlana?» 
Sospiro e guardo Ryan. «Sì.» rispondo, «Lei è...» inspiro, «È sconvolta.» dico. 
«Posso immaginarlo.» soffia Ryan toccandomi i capelli. Svetlana è isterica, ecco. Non solo sconvolta, ma proprio isterica. La mia Svetlana. Mi manca.
Ryan mi bacia la fronte, «Si sistemerà tutto, vedrai.» mormora abbracciandomi.
Lo spero. Lo spero su serio.

***

Le cose brutte succedono sempre quando non te l'aspetti, quando sei tranquilla, magari mentre cammini per strada. Come adesso, mentre passo davanti a questa edicola e vedo la foto di me e Ryan abbracciati sulla terrazza di casa mia.
“Ryan tradisce Susan con Lindsay?” c'è scritto in maiuscolo, grossi caratteri rossi bordati di bianco.
“Speciale all'interno su Ryan.”
Cosa?
Cosa?
E non è la sola rivista che parla di questo! Io ammazzo qualcuno.
Calco bene il cappello da baseball in testa, afferro le riviste e pago, per poi allontanarmi velocemente. Una volta in auto getto le riviste sul sedile del passeggero a faccia in giù e parto, diretta a casa. Ma prima mi fermerò in un drive di un qualsiasi fast food: ho bisogno di ingurgitare schifezze, voglio che le mie vene esplodano per il colesterolo prima che le faccia esplodere dalla rabbia.
Come si sono permessi di fotografare la mia abitazione? È vietato! Non possono farlo! Papà questa volta chiamerà sul serio l'avvocato e se non dovesse farlo lo farò io. E farò togliere persino i peli del culo al fotografo, giornalista e chiunque c'entri con tutto questo.


Sto ignorando il mio cellulare che continua a vibrare da ore, non ho voglia di leggere insulti rivolti alla mia persona. 
«Linds!» esclama Ryan entrando nella mia camera, «Che cazzo succede?»
Lo guardo e sbuffo. «Nulla.» ringhio, «A parte che mi dipingono come una puttana rovina famiglie, ecco.»
Lui mi fissa, gli occhi azzurri sgranati, «Come diavolo hanno fatto a fare quelle foto?» domanda, «È illegale.»
«Lo so.» sospiro guardandomi le mani, «Non so cosa fare...» mormoro. Cosa faccio? Cosa facciamo?
Ryan mi abbraccia e mi bacia la testa, «Andrò tutto bene.» sussurra mentre mi accoccolo contro di lui, la testa posata sulla sua spalla, la fronte contro il suo collo dalla pelle calda, la mia mano che stringe la sua maglia.
Mi limito ad annuire, anche se un qualcosa mi dice che a questo punto le cose potranno solo peggiorare, perché lo sanno tutti: al peggio non c'è mai fine.


Papà ha sbraitato a lungo e contro chiunque: i giornalisti, i fotografi, quelli che lavorano nelle stamperie delle riviste, contro il nuovo capo di Ryan, contro il governo... si è calmato solo perché mamma gli ha tirato un cuscino in faccia. Alla fine se ne è andato nel suo studio per chiamare l'avvocato.
«Andrò tutto bene.» dice mamma, anche se sembra poco convinta.
«Sì, certo.» sbuffo e fisso il cellulare. Sono ore che scambio messaggi su Telegram con Svetlana, che è incazzata nera. Suo padre ha detto che se vogliamo può chiamare un suo amico avvocato, che chiamano “Lo squalo”: a quanto pare, in vent'anni di carriera, ha perso solo un paio di cause.
Io voglio solo che questa brutta storia finisca e che torni tutto come prima. Non voglio stare male ogni volta che Ryan è obbligato a uscire con quella, altrimenti mi verrà un esaurimento nervoso, un'ulcera o entrambe le cose.
«Possiamo fare qualcosa.» dice papà uscendo dal suo studio, «Io li riduco in mutande.» aggiunge mentre ci raggiunge a grandi passi, «Anzi, gli levo pure quelle.»
Papà è una belva, quando ci si mette, chissà, magari se anche lui fosse diventato avvocato sarebbe stato uno squalo anche lui.
«Bene.» esclamo, «Torno di sopra.» aggiungo e vado nella mia stanza, dove mi lascio cadere sul letto con un sospiro.
Speriamo che finisca in fretta 'sta storia, non ne posso più. Ryan mi raggiunge poco dopo, i capelli ancora umidi dopo la doccia.
«Novità?» domanda.
«Si può fare qualcosa.» rispondo mentre lui si siede accanto a me, «Dovresti parlare con papà, io di queste cose non capisco nulla.»
«Lo farò, anche se non so quanto riuscirò a capire.» esclama abbracciandomi.
Non replico e mi stringo di più a lui, posando la testa sulla sua spalla, il suo profumo che mi entra nel naso... è meraviglioso. Resterei qui per sempre, io e lui, stretti in un abbraccio e nient'altro.
Lindsay, goditi questo momento e non pensare ad altro. Non farlo. Va bene così, per ora.

***

Prigioniera in casa mia, ecco quello che sono. Papà ha attaccato dei teli ai cancelli, in modo che nessuno possa spiarci, e in più ha fatto appendere delle tende da sole lungo il lato libero della terrazza. Le foto sono state scattate da una villa vicina, dove una vecchia rintronata ha fatto entrare i due fotografi. Loro le avevano detto che erano per National Geographic e quella ci ha creduto, e li ha fatti entrare senza nemmeno chiedere un documento, così loro sono saliti sul terrazzo di quella scema e ci hanno scattato le foto.
E, nonostante le querele per invasione della privacy, lo hanno rifatto. L'idiota della casa accanto si è giustificata dicendo che l'avevano pagata e che non ci vede nulla di male. Spero che la prossima volta che fa entrare qualche sconosciuto si ritrovi con la casa vuota, le devono portare via tutto, ma proprio tutto, pure il cesso e le sbarre porta asciugamani appese al muro.
E io sono qui con queste tende che mi ingabbiano.
Non posso farcela.
È tutto così complicato, difficile, estenuante. Ogni volta che Ryan esce con quella mi tormento, continuo a pensare a cosa potrebbe fare quella, cosa potrebbero fare, cosa potrebbero dirsi... io non reggo più.
Diventa più complicato ogni giorno che passa, ogni singolo momento. Non posso continuare così, altrimenti mi verrà sul serio una bella ulcera perforante.
Ho bisogno di rilassarmi. Potrei andare al maneggio, magari una bella cavalcata mi rilasserà.
Scendo in cucina e trovo Marisol, «Stai preparando la zuppa inglese?» domando.
Lei annuisce, «Sì.» risponde, «Sarà pronta fra un paio d'ore.» aggiunge guardandomi con quello sguardo da “se osi infilare un dito nella crema te lo taglio”.
«Perfetto!» esclamo, «Allora io vado al maneggio.» dico, «Ci vediamo dopo!» aggiungo ed esco da casa.


Sì, cavalcare mi sta rilassando. Ci siamo solo io, Bobby e la natura. Solo pace e tranquillità, che però non mi evita di pensare a Ryan fuori con quella. Dio, quanto la odio. La prenderei a sberle finché non mi cadono le mani.
Basta, non ci devo più pensare. Qui è tutto così tranquillo, non facciamo brutti pensieri.
Chissà cosa staranno facendo?
Se lo tocca le taglierò le mani, giuro.
No! Non ci devo pensare. Lindsay, rilassati, altrimenti ti verrà un ulcera, Bobby si innervosirà e ti disarcionerà e tu non vuoi finire in ospedale con la testa rotta. Tu in ospedale vuoi mandarci quella se si azzarda a toccare Ryan.
Faccio un respiro profondo mentre il sentiero si allarga sempre di più. Poco più avanti ci sono tre panchine di legno disposte a ferro di cavallo, un paio di fontanelle e cestini per l'immondizia, oltre a qualche staccionata a cui legare i cavalli se uno dovesse prendersi una pausa. Cosa che farò anche io.
Smonto da cavallo, lego le briglie alla staccionata e mi tolgo il caschetto. Poi bevo dalla fontanella, per poi asciugarmi le labbra con il dorso della mano. Mi siedo su una delle panchine, gli occhi chiusi, il sole che mi scalda il viso. Qui si che è tranquillo, potrei pure cancellare gli istinti omicidi dalla mia mente.
«Ehi.»
Apro l'occhio destro e alzo la mano per ripararmi dal sole. «Aaron!» esclamo, felice. «Che ci fai qui?» chiedo.
«Quello che fai tu, suppongo.» risponde scendendo dal cavallo. «Un giro.»
Rido e aspetto che si sieda vicino a me. «Come va?» chiedo.
Lui scrolla le spalle e mi guarda, si passa una mano fra i capelli biondi, «Va.» risponde, «Potrebbe andare decisamente meglio.» sospira e guarda lontano. «Tu come stai?»
Alzo le spalle, «Bene, diciamo.» rispondo, «Anche se mi passano per la mente mille modi per far fuori quella gallina.»
Aaron ride, «Meglio che non ti capiti fra le mani, allora.» 
Annuisco, «Già.» commento. «Lei o la gallina che sta attaccata al culo di Liam.» ringhio. Svetlana sta sempre peggio. E io odio Raymond e quella gallina infame che merita di essere investita da uno schiacciasassi che stende delle merda in un campo pieno di chiodi appuntiti.
«Come sta Svetlana?»
Sospiro ancora e guardo Aaron, «Potrebbe stare meglio.» rispondo. «Magari potrei andarla a trovare qualche giorno.» mormoro, «Visto che ci sono dei deficienti che andrebbero presi a randellate sulle gengive che si divertono a fotografare casa mia.»
Lui annuisce, «Mi sembra una bella idea.» commenta e io annuisco.
Rimaniamo in silenzio per un po', poi decidiamo di tornare al maneggio, prima che il tempo finisca e ci tocchi pagare un extra.
Dopo aver riconsegnato i cavalli e i caschetti, ce ne andiamo al bar, sedendoci in angolo, coperti da un separé. Ordiniamo due bibite e un paio di tramezzini a testa, restiamo in silenzio per un po', come se fossimo imbarazzati dalla nostra presenza. 
O avessimo paura che qualcuno ci fotografi e inventi una qualche stronzata per mettermi in cattiva luce.
«Ho sentito Melanie.»
Fisso Aaron, «Sul serio?» domando. Credevo che fosse acqua passata.
Lui annuisce, «Sì.» dice, «È convinta che sia colpa tua.» sospira e alza gli occhi al cielo. 
«Sai che novità.» ribatto e la cameriera torna con le nostre ordinazioni. «Per lei è sempre colpa mia.» esclamo dividendo uno dei tramezzini a metà. «Perché non l'hai ancora mandata a fanculo?» domando. Io l'avrei fatto già da tempo, dal primo anno di liceo, diciamo.
Lui alza le spalle, «L'ho fatto.» risponde e quasi mi strozzo con l'aranciata.
«Tu tu co-cosa?» balbetto.
«Mi chiamava continuamente e non voleva capire che mi stava disturbando.» risponde Aaron, «Così l'ho mandata a quel paese.» scrolla le spalle, «E adesso mi chiama una volta al giorno.»
Annuisco e basta, anche perché ho la bocca piena di cibo. Parliamo ancora un po', cambiando argomento, parlando delle nostre famiglie, del maneggio e di cose stupide. Ed è meglio così. Molto meglio, almeno mi rilasso un po'.

***

Quando torno a casa Ryan è già arrivato, è nella sua stanza, seduto sul letto, circondato da fogli, la chitarra in mano. Ed è bellissimo. 
«Ehi.» esclamo entrando, «Che fai?» domando.
Lui sorride e mi fissa mentre raccoglie i fogli che poi sistema sul letto a faccia in giù, «Niente di importate.» risponde.
«Sono andata al maneggio.» dico mentre mi stringe le mani.
Lui annuisce, «Lo so, me lo ha detto Marisol.»
«Non avrai mangiato la zuppa inglese senza di me, vero?» domando assottigliando gli occhi. Se lo ha fatto gli do un pizzicotto!
Ryan ride, «No.» risponde, «Puzzi di cavallo.»
«Grazie, eh.» borbotto. «Sono stata a cavallo, mi pare logico che puzzi.» dico e guardo la pila di fogli sul letto, «Non mi fai leggere qualcosina?» chiedo piegandomi in avanti, il mio viso vicino al suo, i suoi occhi azzurri che mi fissano...
«No.»
E mi sgonfio come un palloncino a cui non è stato fatto il nodo. Uffa. «E dai, per favore.» lo bacio.
Lui ride ancora, «No.» ripete, «Sono solo frasi e accordi buttati lì.»
Faccio una smorfia e sospiro, «Okay.» borbotto, «Vado a farmi una doccia.» esclamo e drizzo la schiena, poi mi allontano.
«E mi lasci così?»
Mi giro e vedo Ryan, il broncio sul viso, «Uh?» faccio, «Così come?»
«Senza un bacetto.» risponde.
Rido e mi butto fra le sue braccia e lo bacio sulle labbra. «Meglio?» chiedo.
Lui annuisce, «Sì.» risponde e mi sorride e io sono felice.
«Vado a farmi la doccia.» soffio, lo bacio di nuovo e vado a lavarmi. Non voglio sapere nulla, non voglio chiedere, voglio rimanere all'oscuro di tutto. Forse è meglio così, è meglio non sapere cosa hanno fatto.


Io e Ryan siamo in salotto, le coppe con la zuppa inglese in mano, è davvero buona, come sempre del resto. «Ho incontrato Aaron.» esclamo.
«Dove?» domanda Ryan. Devo dirglielo che ha la faccia sporca di cacao? Naa, lasciamo stare. Lo scoprirà da solo.
«Al maneggio, ovviamente.» rispondo. «Abbiamo cavalcato un po' e poi abbiamo mangiato un paio di tramezzini.» continuo, «Niente di che.» scrollo le spalle.
Ryan annuisce e si lecca le labbra, «Oh.» commenta, «Mi fa piacere.» dice e sorride. «Almeno ti sei distratta un po'.»
Annuisco, il cucchiaino in bocca, «Già.» sospiro. Insomma... mi sono distratta un pochino dal pensare a quella gallina starnazzante, ma il pensiero c'è sempre, è lì, nel mio cervello, aspetta solo di uscire fuori e farmi fare pensieri che mi spedirebbero in galera senza un processo. O in manicomio. O in un manicomio criminale. In ogni casa la situazione fa schifo.
Sospiro ancora e sento lo sguardo di Ryan su di me, mi volto e trovo il suo viso a pochi centimetri dal mio, gli occhi azzurri che mi fissano, preoccupati. «Linds?» soffia.
«Va tutto bene.» rispondo e sorrido, lo fa anche lui.
«Bene.» dice e raschia via l'ultimo pezzetto di crema dalle pareti della ciotola di vetro blu, poi quasi ci infila la faccia dentro per poter pulire tutto.
E poi sono io quella che si ingozza!
Ryan si alza in piedi, «Cosa facciamo?» domanda.
«Non lo so.» rispondo e gli passo la ciotola e il cucchiaino, «Intanto porta questi in cucina.» sorrido. In realtà vorrei ridere, perché lui ha il naso sporco di cacao.
Ryan annuisce e va in cucina, per tornare praticamente subito. Intanto io stringo il cellulare fra le mani, pronta a immortalare Ryan con la faccia sporca di cacao.
«Ryan?» lo chiamo.
«Uh?»
Foto.
«Mi hai fatto una foto?» domanda lui, la faccia perplessa, «Perché?» domanda e io ridacchio, «Linds?»
«Niente.»
«No, Linds, i tuoi niente non sono mai niente.» sbotta e incrocia le braccia al petto.
Sorrido ancora e spero di avere l'aria non colpevole. 
«Linds?» sospira lui.
«Ma niente.» ridacchio e addio all'avere un'aria non colpevole.
Ryan si volta verso il camino, sulla cui mensola è posto un vassoio d'argento bello lucido, tenuto in piedi da un sostegno di plastica trasparente. Non ho ancora capito il senso di averlo lì..
«Lindsay!» strilla Ryan quando si vede riflesso. «Mi lasci andare in giro così?» sbotta e io rido, «Non ridere!» squittisce.
«Ma sei in casa.» ribatto, «E sei tanto carino.» aggiungo infilando il cellulare fra i cuscini del divano, prima che Ryan riesca a prenderlo a cancellare la foto.
Lui sbuffa e si avvicina a me, «Me la paghi.» soffia, gli occhi socchiusi, il sorriso sulle labbra, si sdraia su di me, sfregando il suo viso contro il mio.
«Se sporchi il divano mamma ti uccide.» gli ricordo.
Ryan ride e mi fissa, «Nah, tua madre mi adora.» ribatte.
Cavolo, ha ragione. Mamma lo adora.
«Non sporcare il divano.» esclamo mentre mi bacia il collo, «Poi mamma si arrabbia con me...» meglio cambiare strategia. 
Ryan si solleva e mi fissa, «Vuoi che mamma mi sgridi...» lo fisso, tirando fuori la mia miglior aria da cucciolotta indifesa.
Lui sospira e si alza, «No.» dice, «Hai ragione.»
Vittoria!
Quasi urlo quando mi afferra e mi butta sulle sue spalle. «Ryan!» strillo, «Lasciami!»
Lui non risponde. «Ryan, sono a testa in giù.» continuo.
«Lo so.» replica lui.
Grazie, eh. «Ryan...» mormoro e mi aggrappo ai suoi fianchi e cerco di sollevarmi.
«Non tirarmi giù i pantaloni.» ribatte lui.
Uffa. Stiamo salendo le scale e io ho una bella panoramica sulle chiappe perfette del mio ragazzo. «Cosa vuoi fare?» domando.
«Lo vedrai.»
Uhm... non mi butterà mica nella doccia con lui, vero? Ho indosso una maglia tanto carina, con una gattina stampata sopra, con un bel fiocco rosso fatto di paillette. Poi entriamo in camera mia, e mi ritrovo sul mio letto, i capelli sparsi sulla faccia.
«Ryan?»
Lui mi scosta i capelli dal viso. «Qua nessuno ti sgrida.» esclama con quel sorriso che vorrei levare a furia di sberle.
«Uhm.» sbuffo, «Se lo dici tu.» esclamo e lascio che mi baci. Infila le mani sotto la maglietta. 
Chi se ne importa delle lenzuola? Tanto c'è la lavatrice che le lava!

***

Altro giorno, altra ulcera. Perché lo so, mi verranno decine di ulcere se continua così. Odio tutti in questo momento, tutti allo stesso identico modo.
Ryan è uscito ancora con quella gallina spelacchiata per pranzo. Dovrei mangiare anche io, ma non ho fame, così mando giù un caffè dietro l'altro.
Ecco, se non morirò a causa di decine di ulcere sanguinanti, creperò perché mi sarà scoppiato il cuore per i battiti troppo accelerati.
Ho voglia di spaccare qualcosa, che possibilmente assomigli alla testa di Raymond. O alla sua auto. Ne ho già disfatta una, potrei farlo un'altra volta.
Una riga su una fiancata, una ruota squarciata, uno specchietto rotto. Quel cazzo di stemmino divelto. Potrei fare tante cose.
Se non muoio finirò in prigione, mi sa. Che brutta cosa.
E stra parlo pure.
Altro caffè, poi mi metto a guardare qualche video di gatti scemi. Sì, farò così. I video di gatti scemi mi fanno sempre ridere.


Ryan ritorna, in perfetto orario.
«Com'è andata?» domando.
Lui mi stringe, «Al solito.» risponde ed entriamo in casa. «Una noia mortale, averei preferito farmi strappare le palle e ingoiarle.»
«Quelle mi servono!» rido.
«Subito?» mormora lui baciandomi il naso.
«Eh, magari...» socchiudo gli occhi mentre mi bacia il collo.
Lui ride contro la mia pelle, «Che ne dici dell'idromassaggio?» soffia nel mio orecchio.
Annuisco. «Sarebbe perfetto.» mormoro.
Lui sorride, si alza in piedi, mi prende in braccio ed entriamo nel bagno.
Dopo qualche minuto la vasca è piena di acqua con tante bolle, entriamo e mi lascio coccolare dall'acqua calda, delle labbra di Ryan sul mio collo e dalle sue mani sulla mia pelle.

***

Sto per scoppiare. Non posso farcela. Non ci riesco.
È troppo complicato. Troppo difficile. Troppo tutto.
Mi manca l'aria, mi manca la mia vita, quella di prima. Quella dove io e Ryan vivevamo nella nostra bolla di felicità, dove l'unica nostra preoccupazione era quella Piaga di Melanie.
Non posso farcela, sul serio.
Se restassi qui esploderei, farei qualche stronzata mega galattica come spaccare la testa a quella gallina, lo farei sul serio, lo so. Ma non posso. Non voglio andare in prigione. 
Oppure mi lascerei andare in balìa degli eventi, e chissà cosa potrebbe succedere. Devo cambiare aria. Devo cambiare, per un po' di tempo. Devo farlo.

*_*_*



Entro nella camera di Lindsay e, appena aperta la porta finestra, capisco che qualcosa non va.
Che c'è qualcosa di sbagliato.
Ci sono due valige aperte sul letto con dei vestiti dentro. Un'altra pila di vestiti è sopra la poltroncina della scrivania. «Linds?» chiamo, «Lindsay?»
Lei esce dalla cabina armadio, dei vestiti in mano. 
«Che succede?» domando. «Linds?»
Lei sospira e posa i vestiti sul letto, «Vado a New York, da Svetlana.» risponde.
«Perché?» domando. Ho fatto qualcosa di sbagliato? Oppure non ho fatto qualcosa?
Lei sospira di nuovo. «Perché sto impazzendo, Ryan» dice, «Non ce la faccio più.»
Mi appoggio alla sedia, «Co-cosa?» balbetto, «È colpa mia?»
«No!» esclama lei, «Non è colpa tua, assolutamente!» esclama. Mi prende le mani e mi fissa, «È questa situazione che mi fa impazzire.» dice, «Se me ne vado via per qualche giorno poi starò meglio.» mi sorride e mi abbraccia.
L'abbraccio, stringendola forte e inspiro il profumo dei suoi capelli. Le sfioro i fianchi e li sento magri sotto le mie dita. "Ho trovato Lindsay dimagrita, mi sembra più magra del solito, te ne sei accorto?" le parole di Aaron mi tornano in mente. Aveva ragione, la mia Linds è dimagrita tanto.
«Quando parti?» le chiedo dopo averle baciato la fronte.
«Domani.»
Domani. Domani. Domani «Okay.» esclamo. «Avresti potuto parlarmene.» esclamo, cercando di tenere a freno la rabbia e la delusione.
«L'ho deciso ieri.» risponde lei.
Annuisco. Ieri, lo ha deciso ieri. Quando ero fuori con quella stupida che ha il vuoto pneumatico nel cervello. «Va bene.» esclamo e l'abbraccio, nuovo. «Quanto starai via?» chiedo.
Lei mi fissa, «Un paio di settimane.» risponde. «Ho bisogno di staccare, lo capisci?» domanda.
Annuisco e sospiro, «Sì.» le bacio di nuovo la fronte.


Abbiamo cenato con un paio di pizze giganti, io, lei e i suoi genitori. Ora siamo in bagno, pronti per la vasca, che si sta riempiendo di acqua e schiuma bianca. Lindsay è seduta sul bordo della vasca, avvolta nell'accappatoio, i capelli legati in alto e fissa la schiuma. Io sono già nudo.
«Linds?» la chiamo e lei mi fissa, sorridendo. «Niente.» rispondo e le do un bacio sulla fronte.
Lei si alza, «È pronta.» dice e mi passa l'accappatoio, che appendo. Poi entriamo nella vasca e lei si appoggia a me. Mentre le sfioro i fianchi, salendo in alto, verso il seno, mi rendo conto di sentire sotto le dita le costole. Anche prima le sentivo, ma ora è diverso, le sento di più. La stringo di più a me e lei posa la nuca sulla mia spalla e chiude gli occhi. 
«Mi mancherai.» soffio nel suo orecchio.
«Anche tu.» mormora lei.
«Ti amo, Linds.» dico e le bacio una guancia.
«Anche io.» dice e gira il viso verso di me, le tocco la guancia, lasciando schiuma su di essa e la bacio sulle labbra. mi mancherà tanto, lo so. Non posso stare senza di lei. Linds è tutto per me, potrei morire se la perdessi. Mi consumerei fino a scomparire.
La stringo a me e chiudo gli occhi. Vorrei che tutta questa storia fosse solo un brutto incubo.
Vorrei svegliarmi e scoprire che Carl è ancora il nostro manager. Che Linds lavori ancora per noi. Rivoglio la mia vita. Perché questa non lo è.
Senza di lei sarò spento, inutile. Una luce che non brilla più.
Okay, sto scivolando nel patetico, meglio darsi una calmata. Andrà a New York, e lo fa per il suo bene. 


Siamo seduti sul letto, Lindsay davanti a me e le sto pettinando i capelli. Lei  muove la testa da un parte all'altra, emettendo di tanto in tanto qualche sospiro soddisfatto.
«Sembri un gatto.» le dico.
Lei ridacchia, «È piacevole.» risponde e si appoggia contro di me.
Poso la spazzola sul letto e la stringo, inspirando il suo profumo. Non voglio dimenticarlo. Posso sempre rubare un cuscino domani mattina, quando se ne andrà.
Se ci penso mi sento male.
Meglio non pensarci, anche se è complicato.
Lei si lega i capelli in due code basse e morbide e io riporto la spazzola in bagno. quando la raggiungo è già sotto le coperte. Vado da lei e l'abbraccio, la sua testa posata sul mio torace, le sue mani su di me. «Mi mancherai.» soffio baciandole la testa.
«Anche tu.» mormora lei.

***

Lindsay è partita un'ora e mezza fa per l'aeroporto con i suoi genitori. E io ho preso il suo cuscino, sostituendolo con uno di quelli presenti nell'armadio. Ho cambiato anche la federa. Adesso sono solo, nel mio salotto e non so cosa fare, a parte disperarmi. E potrei riuscirci anche bene.
Ormai l'aereo starà decollando. Il mio tesorino bello avrà paura. 
Ecco, posso anche deprimermi, oltre che disperarmi. Sono bravo in questo.
Chiamo Aaron, ho bisogno di una voce amica. «Ehi.» sospiro quando mi risponde.
«Come va?» chiede lui, «Non mi chiami mai a quest'ora.»
«Linds è partita.»
«Partita?! E per dove?»
«New York.» rispondo «Va da Svetlana.» sospiro e bevo.
«Oh.» commenta lui.
«Dice che è stanca e ha bisogno di staccare un po'.»
«Te l'avevo detto che era sciupata.»
Odio quando ha questo tono petulante. «Eh.» sospiro, «Lo so.» bevo ancora.
«Stai bevendo?» domanda lui, «Comunque le farà bene allontanarsi un po'.» dice.
«Birra.» rispondo. «E no, non rompere le scatole.» esclamo prima che possa dire qualcosa.
«Non stavo dicendo nulla.» dice lui. «E se venissi lì?» domanda.
Annuisco e mi ricordo che siamo al telefono, non può vedermi. «Sì.» rispondo, «Andrebbe benissimo.»



*_*_*

Finalmente, dopo tre chiamate a vuoto, Ryan mi risponde. «Ehi, Ryan.»
«Lindsay.» dice lui e mi sembra strano.
«Che hai?» domando, «Dormivi? Ti ho svegliato?»
«Uhm... Sì.» biascica lui in risposta. «Sono venuti gli altri.» aggiunge. «Abbiamo bevuto un po'.»
Ah. «A parte alzare il gomito cosa avete fatto?» chiedo e lo sento aprire qualcosa.
«Giocato con la Wii.» risponde lui e mi pare sentire dell'acqua versata in un bicchiere, «Chris non sa perdere.»
Rido e sento in sottofondo la voce di Chris che dice qualcosa tipo "Guarda che ti ho sentito!", «Bene.» dico, «Il viaggio è andato bene.» aggiungo, «Domani andiamo in giro per musei.»
«Che noia.» borbotta lui e lo sento bere.
«L'alternativa era lo shopping.» replico. 
«Meglio la noia, allora.» dice lui, «Hai troppi vestiti. Svetlana?» 
«Sta bene.» rispondo e sento gridare Liam. 
«Lei è lì?» domanda Ryan, «Liam russava fino a due secondi fa, ma ora è bello pimpante...» sospira. 
«Sì.» rispondo fissando la mia migliore amica uscire dal bagno, «C'è Liam da Ryan.» le dico passandole il cellulare e lei inizia subito con i suoi "Ciccino".
Dopo qualche minuto Svetlana mi ridà il cellulare. «Gesù, stavano per fare sesso telefonico?» sbotta Ryan.
«Già.» commento. È per questo che mi sono ripresa il cellulare: può fare sesso telefonico con il suo, se ci tiene tanto. «Dove sei? Ho sentito una porta.»
«Nel cesso.» replica lui e sospira.
«Ryan!» strillo e fisso Svetlana che sospira, prima di sgattaiolare fuori dalla stanza. Chissà, magari va nell'altra stanza a parlare con Liam...
«Non devo fare nulla.» dice lui, «Solo tenere il mio telefono lontano dalle mani di Liam.» ride. «No, sono fuori, in giardino.» 
«Mi manchi.» soffio e sento che sto per piangere. Non ora, grazie.
«Anche tu.» mormora lui, «Mi dispiace non aver risposto alle altre chiamate e di aver mandato un monosillabo al tuo messaggio di prima.» dice, «Ero un po'...» sospira.
«Sbronzo?» lo aiuto, «Ryan, tranquillo.» dico.
«Mi sento in colpa.» mormora.
«Non è colpa tua.» replico, «Insomma, magari evitare di sbronzarsi a pranzo...» faccio, «Ho bevuto un Martini dry sull'aereo.» ammetto. 
«Ah.» fa lui, «Linds!» squittisce.
«In realtà ne ho presi due.» diciamo tutta la verità, ecco.
«Linds!» esclama. «Due Martini dry?!? Ma neppure ti piace!»
«Eh.» dico. «C'è stata una perturbazione!» squittisco in mia difesa, «O l'alcol o strillavo come un'aquila!»
Lui ride.
«Non ridere!»
«Non rido di te, tesorino bello, ma di Jake!» ride ancora. «È caduto come una pera cotta!»
«Ma povero.» esclamo, «Si è fatto male?»
«No, al momento sta imprecando come uno scaricatore di porto.» risponde, poi sospira, anche se mi sembra più un gemito di sofferenza che un normale sospiro.
«Tutto bene?» chiedo.
«Mi fa male la testa.» risponde.
«Caccia via gli altri, mangia qualcosa, prendi un antidolorifico e vai a dormire.» 
«Sembri mia nonna.»
Sbuffo. «Ryan, mi preoccupo.»
«Lo so.» soffia lui. «Adesso li mando via.» dice.
«Bene.» esclamo. «Mi manchi.» dico e mi accorgo che Svetlana mi sta chiamando, «Che c'è?» le chiedo e lei risponde che è pronta la cena. «Ce l'avevo con Svetlana.» dico a Ryan.
«L'avevo capito.» ride, «Ci sentiamo domani?»
«Non mi mandi la buona notte?» pigolo.
«Ovvio.» risponde lui. «Ti amo, tesorino bello.»
«Ti amo anche io, pecorella.»
«Pecorella?»
Poso il cellulare sul comodino e fisso Svetlana, che mi guarda, le mani sui fianchi e l'aria di chi è curiosa come una scimmia.
«Niente.» dico e mi alzo, «Una cosa fra me e Ryan.» continuo. Non posso dirle perché lo chiamo così!
«Ah.» fa lei. «Non me lo dirai, vero?» domanda mentre scendiamo al piano di sotto. Svetlana vive in un appartamento a due piani, con una meravigliosa vista su Central Park.
«È una stupidata.» rispondo scuotendo la testa. «Nulla di che.»
Lei mi fissa, «Sarà.» dice, «Ma credo che sia qualcosa di buffo. Imbarazzante. Altamente imbarazzante. Decisamente imbarazzante.»
Alzo gli occhi al cielo. «Hai finito?» chiedo, «Ho fame.»
Lei incrocia le braccia e annuisce. «Va bene.» acconsente. «Ma tanto prima o poi me lo dirai.» cinguetta andando a sedersi.
«Uhm, certo.» esclamo e mi siedo accanto a lei, «Contaci.»
Lei mi guarda, gli occhioni blu che mi fissano. «Me lo dirai, lo so.»
Neppure morta glielo dirò.

***

In questi giorni abbiamo visto: il museo Americano di storia naturale, il MoMa, il Metropolitan Museum of Arts e il Met Breuer. E ce ne sono ancora svariati da guardare. Però per oggi basta, ho il cervello pieno di informazioni. «Shopping?»
Svetlana mi fissa e sorride, «Ovvio.» risponde.
Ovviamente siamo d'accordo — come sempre, del resto — su quali negozi visitare, ma non da dove cominciare. Ed è per questo che passiamo la mezz'ora seguente a decidere quale negozio visitare per primo. 
«È ora di pranzo.» le faccio notare a un certo punto.
«Andiamo a mangiare.» esclama lei, «Così possiamo decidere meglio.»
Almeno siamo d'accordo sul ristorante.

***

Ryan mi manca. Mi manca così tanto che mi manca il respiro e sento lo stomaco stringersi in una morsa dolorosa che mi piega in due. Ogni tanto temo che possa venirmi un attacco di panico o un infarto. Mi sento così ogni volta che parliamo al telefono. 
«Liam mi ha detto perché lo chiami pecorella.»
Fisso Svetlana, «Ah, sì?» chiedo e lei annuisce, «Liam non sa perché chimo Ryan in questo modo.» le sorrido. Pensava di fregarmi e invece... ahahah. «Non te lo dico.»
Lei sbuffa in una maniera davvero adorabile. «Uffa.» borbotta incrociando le braccia.
Rido. «Sei troppo curiosa.» esclamo sdraiandomi sul letto. Ormai sono tre settimane che sono qui, ventidue giorni. E Ryan mi manca sempre di più.
Svetlana si sdraia accanto a me, i suoi capelli mi finiscono sul viso, li scosto. «Cosa facciamo?» domando. 
Lei sospira, «Prendere a calci quei tre deficienti?» propone.
«Buona idea» rispondo e poso le mani sulla pancia, le dita incrociate. «Ma poi finiremo davanti a un giudice per lesioni.»
«Che palle.» borbotta lei. «E se ci facessimo un viaggetto?» domanda fissandomi.
Annuisco, «Buona idea.» dico, «Dove?»
«Ah, non ne ho idea.»
Le lancio un cuscino addosso. «Grande.» esclamo. 
Svetlana ride, «Abbiamo tempo per decidere.» dice. «Basta scegliere un posto bello.»
«Ce ne sono tanti.»
«Con tanti bei negozi.»
«Ce ne sono tanti di posti così.»
«Dove farsi un po' di cultura.»
«Devo ripetermi?»
Svetlana ride. «Già.» sospira. «Facciamo decidere a papà?» domanda.
Fisso il soffitto, dipinto di un delicato color crema. «Uhm, sì.» rispondo, «Sarebbe perfetto.» dico.



*_*_*

«Boston?!» esclamo e fisso il viso di Lindsay. Quanto mi manca...
Lei annuisce e io vorrei sfiorare lo schermo, vorrei toccarla, baciarla, stringerla... ma non posso. Posso solo toccare lo schermo ma non sarebbe la stessa cosa.
«Lo ha proposto Leonard perché io e Svetlana non riuscivamo a deciderci.» spiega, «E così  abbiamo fatto scegliere a lui.» scrolla le spalle.
Annuisco anche io, «Sì, tu e Svetlana sareste andati avanti all'infinito prima di scegliere qualcosa.»
Lei incrocia le braccia e piega le labbra in un broncio adorabile. «Non sei simpatico, lo sai?» borbotta. «È che ci sono tante cose da vedere.» dice.
Bhe, ha ragione. «Giusto.» dico, «Da qualche parte bisogna pur incominciare, no?» esclamo. Almeno è ancora qui nel Paese, solo un po' più a nord. Sarebbe peggio se fosse andata a Londra, Parigi o in Italia o in Grecia o chissà dove, ancora più lontana da me. Ma questo mica posso dirglielo!
Lei sorride, «Esatto.» dice e poi sospira. «Cosa fai?» domanda.
Scrollo le spalle, «Niente di che.» rispondo. «Mi annoio.»
Lei piega di la testa di lato. «Povera la mia pecorella.» mormora. «Chiama gli altri.»
Annuisco, «Sì.» dico, anche se in realtà non ho voglia di vedere nessuno se non lei. Adesso che Lindsay, il mio tesorino bello è lontano, non ho voglia di far nulla, tranne starmene sdraiato sul letto, ad ascoltare le canzoni che le piacciono, anche se a me non piacciono, solo per sentirla più vicina.
Che schifo.
Saluto Linds che deve cenare con un macigno sulle spalle, che non mi fa respirare, che non mi fa vivere.
Mi manca.

We Start Over

Nove
If I don't have you -
*** I'm a star with no light ***



Cose positive del mio lavoro:
Sto sempre insieme a Ryan.
Viaggio molto.
Shopping nelle città più belle del pianeta.
Mangio cose mai provate prima.
Mi pagano per fare tutto ciò.
Posso controllare che nessuna cerchi di infilarsi nelle mutande di Ryan.
Cose negative del mio lavoro:
Troppi decolli e troppi atterraggi.
Tempi spesso serrati fra un appuntamento e l'altro.
Sveglie prima dell'alba.
Gallinelle che cercando di infilarsi nelle mutande di Ryan.
Stress.
Fans che ti seguono veramente ovunque.
Ma adesso... adesso niente. Adesso non ho un lavoro. E in più Ryan deve uscire per forza con quella stronza.
Per fortuna viviamo insieme e possiamo passare insieme tutto il suo tempo libero. Almeno questo.
Sospiro e guardo le foto della mia nipotina, ha nove settimane, o sessantatré giorni, come ha specificato Brenda nel messaggio. È cresciuta tanto, la mia bella nipotina. Sorride, fa tanti versetti... è meravigliosa.
Mi mancano tanto i miei nipoti. Quasi quasi potrei andare a trovarli. Magari in treno, ecco. Sono troppo nervosa per poter pensare di affrontare da sola due decolli e due atterraggi.
No, in treno sono troppe ore. Anche in auto ci impiegherei un giorno intero.
Mi sa che mi tocca l'aereo.
Uffa.
Mi alzo di scatto dal letto quando sento la macchina di Ryan fermarsi, così corro da lui e lo abbraccio appena apre la portiera, non dandogli neppure il tempo di slacciarsi la cintura.
«Che irruenza.» scherza mentre mi aggrappo a lui.
«Mi sei mancato.» dico baciandogli il viso. 
«Anche tu.» soffia lui, «Mi fai scendere?» domanda.
Giusto. Annuisco e mi sposto, lasciandogli spazio. Lui afferra un sacchetto e una scatola dal sedile del passeggero.
«Lì cosa c'è?» chiedo mentre chiudo la portiera.
«Muffin, ciambelle e cappuccino.» risponde Ryan.
Lo amo anche per questo, perché mi porta dolcetti e cappuccino.
«Cosa avete fatto?» domando poco dopo, quando siamo sul suo divano a fare merenda. 
«Le solite cose.» risponde lui, «Abbiamo pranzato, lei parlava troppo, io ascoltavo una parola sì e venti no, ha cercato di prendermi per mano...» dice spezzando a metà un muffin, e io mi blocco, domandandomi se ho delle tenaglie abbastanza grosse per tranciare il polso di quella gallina spennacchiata, «Ma gli ho detto che sono germofobico e che non mi deve toccare.»
Mettiamo via gli istinti mutilatori e rilassiamoci. «Mhm... germofobico?» faccio e bevo un sorso di cappuccino, «E non si domanda il perché tu lo sia solo con lei e non con tutte le altre superfici?»
Lui ride, «Credo che quando le hanno fatto la liposuzione le abbiano tolto un po' di materia grigia.»
Rido e mi appoggio a lui, felice che quella non gli interessi minimamente. Certo, se non dovesse uscirci sarebbe meglio.
Stupido Raymond. Potrei diventare Lindsay La Delinquente e disfargli l'auto, così impara ad avere delle idee da coglione.
«Hai sentito Svetlana?» 
Sospiro e guardo Ryan. «Sì.» rispondo, «Lei è...» inspiro, «È sconvolta.» dico. 
«Posso immaginarlo.» soffia Ryan toccandomi i capelli. Svetlana è isterica, ecco. Non solo sconvolta, ma proprio isterica. La mia Svetlana. Mi manca.
Ryan mi bacia la fronte, «Si sistemerà tutto, vedrai.» mormora abbracciandomi.
Lo spero. Lo spero su serio.

***

Le cose brutte succedono sempre quando non te l'aspetti, quando sei tranquilla, magari mentre cammini per strada. Come adesso, mentre passo davanti a questa edicola e vedo la foto di me e Ryan abbracciati sulla terrazza di casa mia.
“Ryan tradisce Susan con Lindsay?” c'è scritto in maiuscolo, grossi caratteri rossi bordati di bianco.
“Speciale all'interno su Ryan.”
Cosa?
Cosa?
E non è la sola rivista che parla di questo! Io ammazzo qualcuno.
Calco bene il cappello da baseball in testa, afferro le riviste e pago, per poi allontanarmi velocemente. Una volta in auto getto le riviste sul sedile del passeggero a faccia in giù e parto, diretta a casa. Ma prima mi fermerò in un drive di un qualsiasi fast food: ho bisogno di ingurgitare schifezze, voglio che le mie vene esplodano per il colesterolo prima che le faccia esplodere dalla rabbia.
Come si sono permessi di fotografare la mia abitazione? È vietato! Non possono farlo! Papà questa volta chiamerà sul serio l'avvocato e se non dovesse farlo lo farò io. E farò togliere persino i peli del culo al fotografo, giornalista e chiunque c'entri con tutto questo.


Sto ignorando il mio cellulare che continua a vibrare da ore, non ho voglia di leggere insulti rivolti alla mia persona. 
«Linds!» esclama Ryan entrando nella mia camera, «Che cazzo succede?»
Lo guardo e sbuffo. «Nulla.» ringhio, «A parte che mi dipingono come una puttana rovina famiglie, ecco.»
Lui mi fissa, gli occhi azzurri sgranati, «Come diavolo hanno fatto a fare quelle foto?» domanda, «È illegale.»
«Lo so.» sospiro guardandomi le mani, «Non so cosa fare...» mormoro. Cosa faccio? Cosa facciamo?
Ryan mi abbraccia e mi bacia la testa, «Andrò tutto bene.» sussurra mentre mi accoccolo contro di lui, la testa posata sulla sua spalla, la fronte contro il suo collo dalla pelle calda, la mia mano che stringe la sua maglia.
Mi limito ad annuire, anche se un qualcosa mi dice che a questo punto le cose potranno solo peggiorare, perché lo sanno tutti: al peggio non c'è mai fine.


Papà ha sbraitato a lungo e contro chiunque: i giornalisti, i fotografi, quelli che lavorano nelle stamperie delle riviste, contro il nuovo capo di Ryan, contro il governo... si è calmato solo perché mamma gli ha tirato un cuscino in faccia. Alla fine se ne è andato nel suo studio per chiamare l'avvocato.
«Andrò tutto bene.» dice mamma, anche se sembra poco convinta.
«Sì, certo.» sbuffo e fisso il cellulare. Sono ore che scambio messaggi su Telegram con Svetlana, che è incazzata nera. Suo padre ha detto che se vogliamo può chiamare un suo amico avvocato, che chiamano “Lo squalo”: a quanto pare, in vent'anni di carriera, ha perso solo un paio di cause.
Io voglio solo che questa brutta storia finisca e che torni tutto come prima. Non voglio stare male ogni volta che Ryan è obbligato a uscire con quella, altrimenti mi verrà un esaurimento nervoso, un'ulcera o entrambe le cose.
«Possiamo fare qualcosa.» dice papà uscendo dal suo studio, «Io li riduco in mutande.» aggiunge mentre ci raggiunge a grandi passi, «Anzi, gli levo pure quelle.»
Papà è una belva, quando ci si mette, chissà, magari se anche lui fosse diventato avvocato sarebbe stato uno squalo anche lui.
«Bene.» esclamo, «Torno di sopra.» aggiungo e vado nella mia stanza, dove mi lascio cadere sul letto con un sospiro.
Speriamo che finisca in fretta 'sta storia, non ne posso più. Ryan mi raggiunge poco dopo, i capelli ancora umidi dopo la doccia.
«Novità?» domanda.
«Si può fare qualcosa.» rispondo mentre lui si siede accanto a me, «Dovresti parlare con papà, io di queste cose non capisco nulla.»
«Lo farò, anche se non so quanto riuscirò a capire.» esclama abbracciandomi.
Non replico e mi stringo di più a lui, posando la testa sulla sua spalla, il suo profumo che mi entra nel naso... è meraviglioso. Resterei qui per sempre, io e lui, stretti in un abbraccio e nient'altro.
Lindsay, goditi questo momento e non pensare ad altro. Non farlo. Va bene così, per ora.

***

Prigioniera in casa mia, ecco quello che sono. Papà ha attaccato dei teli ai cancelli, in modo che nessuno possa spiarci, e in più ha fatto appendere delle tende da sole lungo il lato libero della terrazza. Le foto sono state scattate da una villa vicina, dove una vecchia rintronata ha fatto entrare i due fotografi. Loro le avevano detto che erano per National Geographic e quella ci ha creduto, e li ha fatti entrare senza nemmeno chiedere un documento, così loro sono saliti sul terrazzo di quella scema e ci hanno scattato le foto.
E, nonostante le querele per invasione della privacy, lo hanno rifatto. L'idiota della casa accanto si è giustificata dicendo che l'avevano pagata e che non ci vede nulla di male. Spero che la prossima volta che fa entrare qualche sconosciuto si ritrovi con la casa vuota, le devono portare via tutto, ma proprio tutto, pure il cesso e le sbarre porta asciugamani appese al muro.
E io sono qui con queste tende che mi ingabbiano.
Non posso farcela.
È tutto così complicato, difficile, estenuante. Ogni volta che Ryan esce con quella mi tormento, continuo a pensare a cosa potrebbe fare quella, cosa potrebbero fare, cosa potrebbero dirsi... io non reggo più.
Diventa più complicato ogni giorno che passa, ogni singolo momento. Non posso continuare così, altrimenti mi verrà sul serio una bella ulcera perforante.
Ho bisogno di rilassarmi. Potrei andare al maneggio, magari una bella cavalcata mi rilasserà.
Scendo in cucina e trovo Marisol, «Stai preparando la zuppa inglese?» domando.
Lei annuisce, «Sì.» risponde, «Sarà pronta fra un paio d'ore.» aggiunge guardandomi con quello sguardo da “se osi infilare un dito nella crema te lo taglio”.
«Perfetto!» esclamo, «Allora io vado al maneggio.» dico, «Ci vediamo dopo!» aggiungo ed esco da casa.


Sì, cavalcare mi sta rilassando. Ci siamo solo io, Bobby e la natura. Solo pace e tranquillità, che però non mi evita di pensare a Ryan fuori con quella. Dio, quanto la odio. La prenderei a sberle finché non mi cadono le mani.
Basta, non ci devo più pensare. Qui è tutto così tranquillo, non facciamo brutti pensieri.
Chissà cosa staranno facendo?
Se lo tocca le taglierò le mani, giuro.
No! Non ci devo pensare. Lindsay, rilassati, altrimenti ti verrà un ulcera, Bobby si innervosirà e ti disarcionerà e tu non vuoi finire in ospedale con la testa rotta. Tu in ospedale vuoi mandarci quella se si azzarda a toccare Ryan.
Faccio un respiro profondo mentre il sentiero si allarga sempre di più. Poco più avanti ci sono tre panchine di legno disposte a ferro di cavallo, un paio di fontanelle e cestini per l'immondizia, oltre a qualche staccionata a cui legare i cavalli se uno dovesse prendersi una pausa. Cosa che farò anche io.
Smonto da cavallo, lego le briglie alla staccionata e mi tolgo il caschetto. Poi bevo dalla fontanella, per poi asciugarmi le labbra con il dorso della mano. Mi siedo su una delle panchine, gli occhi chiusi, il sole che mi scalda il viso. Qui si che è tranquillo, potrei pure cancellare gli istinti omicidi dalla mia mente.
«Ehi.»
Apro l'occhio destro e alzo la mano per ripararmi dal sole. «Aaron!» esclamo, felice. «Che ci fai qui?» chiedo.
«Quello che fai tu, suppongo.» risponde scendendo dal cavallo. «Un giro.»
Rido e aspetto che si sieda vicino a me. «Come va?» chiedo.
Lui scrolla le spalle e mi guarda, si passa una mano fra i capelli biondi, «Va.» risponde, «Potrebbe andare decisamente meglio.» sospira e guarda lontano. «Tu come stai?»
Alzo le spalle, «Bene, diciamo.» rispondo, «Anche se mi passano per la mente mille modi per far fuori quella gallina.»
Aaron ride, «Meglio che non ti capiti fra le mani, allora.» 
Annuisco, «Già.» commento. «Lei o la gallina che sta attaccata al culo di Liam.» ringhio. Svetlana sta sempre peggio. E io odio Raymond e quella gallina infame che merita di essere investita da uno schiacciasassi che stende delle merda in un campo pieno di chiodi appuntiti.
«Come sta Svetlana?»
Sospiro ancora e guardo Aaron, «Potrebbe stare meglio.» rispondo. «Magari potrei andarla a trovare qualche giorno.» mormoro, «Visto che ci sono dei deficienti che andrebbero presi a randellate sulle gengive che si divertono a fotografare casa mia.»
Lui annuisce, «Mi sembra una bella idea.» commenta e io annuisco.
Rimaniamo in silenzio per un po', poi decidiamo di tornare al maneggio, prima che il tempo finisca e ci tocchi pagare un extra.
Dopo aver riconsegnato i cavalli e i caschetti, ce ne andiamo al bar, sedendoci in angolo, coperti da un separé. Ordiniamo due bibite e un paio di tramezzini a testa, restiamo in silenzio per un po', come se fossimo imbarazzati dalla nostra presenza. 
O avessimo paura che qualcuno ci fotografi e inventi una qualche stronzata per mettermi in cattiva luce.
«Ho sentito Melanie.»
Fisso Aaron, «Sul serio?» domando. Credevo che fosse acqua passata.
Lui annuisce, «Sì.» dice, «È convinta che sia colpa tua.» sospira e alza gli occhi al cielo. 
«Sai che novità.» ribatto e la cameriera torna con le nostre ordinazioni. «Per lei è sempre colpa mia.» esclamo dividendo uno dei tramezzini a metà. «Perché non l'hai ancora mandata a fanculo?» domando. Io l'avrei fatto già da tempo, dal primo anno di liceo, diciamo.
Lui alza le spalle, «L'ho fatto.» risponde e quasi mi strozzo con l'aranciata.
«Tu tu co-cosa?» balbetto.
«Mi chiamava continuamente e non voleva capire che mi stava disturbando.» risponde Aaron, «Così l'ho mandata a quel paese.» scrolla le spalle, «E adesso mi chiama una volta al giorno.»
Annuisco e basta, anche perché ho la bocca piena di cibo. Parliamo ancora un po', cambiando argomento, parlando delle nostre famiglie, del maneggio e di cose stupide. Ed è meglio così. Molto meglio, almeno mi rilasso un po'.

***

Quando torno a casa Ryan è già arrivato, è nella sua stanza, seduto sul letto, circondato da fogli, la chitarra in mano. Ed è bellissimo. 
«Ehi.» esclamo entrando, «Che fai?» domando.
Lui sorride e mi fissa mentre raccoglie i fogli che poi sistema sul letto a faccia in giù, «Niente di importate.» risponde.
«Sono andata al maneggio.» dico mentre mi stringe le mani.
Lui annuisce, «Lo so, me lo ha detto Marisol.»
«Non avrai mangiato la zuppa inglese senza di me, vero?» domando assottigliando gli occhi. Se lo ha fatto gli do un pizzicotto!
Ryan ride, «No.» risponde, «Puzzi di cavallo.»
«Grazie, eh.» borbotto. «Sono stata a cavallo, mi pare logico che puzzi.» dico e guardo la pila di fogli sul letto, «Non mi fai leggere qualcosina?» chiedo piegandomi in avanti, il mio viso vicino al suo, i suoi occhi azzurri che mi fissano...
«No.»
E mi sgonfio come un palloncino a cui non è stato fatto il nodo. Uffa. «E dai, per favore.» lo bacio.
Lui ride ancora, «No.» ripete, «Sono solo frasi e accordi buttati lì.»
Faccio una smorfia e sospiro, «Okay.» borbotto, «Vado a farmi una doccia.» esclamo e drizzo la schiena, poi mi allontano.
«E mi lasci così?»
Mi giro e vedo Ryan, il broncio sul viso, «Uh?» faccio, «Così come?»
«Senza un bacetto.» risponde.
Rido e mi butto fra le sue braccia e lo bacio sulle labbra. «Meglio?» chiedo.
Lui annuisce, «Sì.» risponde e mi sorride e io sono felice.
«Vado a farmi la doccia.» soffio, lo bacio di nuovo e vado a lavarmi. Non voglio sapere nulla, non voglio chiedere, voglio rimanere all'oscuro di tutto. Forse è meglio così, è meglio non sapere cosa hanno fatto.


Io e Ryan siamo in salotto, le coppe con la zuppa inglese in mano, è davvero buona, come sempre del resto. «Ho incontrato Aaron.» esclamo.
«Dove?» domanda Ryan. Devo dirglielo che ha la faccia sporca di cacao? Naa, lasciamo stare. Lo scoprirà da solo.
«Al maneggio, ovviamente.» rispondo. «Abbiamo cavalcato un po' e poi abbiamo mangiato un paio di tramezzini.» continuo, «Niente di che.» scrollo le spalle.
Ryan annuisce e si lecca le labbra, «Oh.» commenta, «Mi fa piacere.» dice e sorride. «Almeno ti sei distratta un po'.»
Annuisco, il cucchiaino in bocca, «Già.» sospiro. Insomma... mi sono distratta un pochino dal pensare a quella gallina starnazzante, ma il pensiero c'è sempre, è lì, nel mio cervello, aspetta solo di uscire fuori e farmi fare pensieri che mi spedirebbero in galera senza un processo. O in manicomio. O in un manicomio criminale. In ogni casa la situazione fa schifo.
Sospiro ancora e sento lo sguardo di Ryan su di me, mi volto e trovo il suo viso a pochi centimetri dal mio, gli occhi azzurri che mi fissano, preoccupati. «Linds?» soffia.
«Va tutto bene.» rispondo e sorrido, lo fa anche lui.
«Bene.» dice e raschia via l'ultimo pezzetto di crema dalle pareti della ciotola di vetro blu, poi quasi ci infila la faccia dentro per poter pulire tutto.
E poi sono io quella che si ingozza!
Ryan si alza in piedi, «Cosa facciamo?» domanda.
«Non lo so.» rispondo e gli passo la ciotola e il cucchiaino, «Intanto porta questi in cucina.» sorrido. In realtà vorrei ridere, perché lui ha il naso sporco di cacao.
Ryan annuisce e va in cucina, per tornare praticamente subito. Intanto io stringo il cellulare fra le mani, pronta a immortalare Ryan con la faccia sporca di cacao.
«Ryan?» lo chiamo.
«Uh?»
Foto.
«Mi hai fatto una foto?» domanda lui, la faccia perplessa, «Perché?» domanda e io ridacchio, «Linds?»
«Niente.»
«No, Linds, i tuoi niente non sono mai niente.» sbotta e incrocia le braccia al petto.
Sorrido ancora e spero di avere l'aria non colpevole. 
«Linds?» sospira lui.
«Ma niente.» ridacchio e addio all'avere un'aria non colpevole.
Ryan si volta verso il camino, sulla cui mensola è posto un vassoio d'argento bello lucido, tenuto in piedi da un sostegno di plastica trasparente. Non ho ancora capito il senso di averlo lì..
«Lindsay!» strilla Ryan quando si vede riflesso. «Mi lasci andare in giro così?» sbotta e io rido, «Non ridere!» squittisce.
«Ma sei in casa.» ribatto, «E sei tanto carino.» aggiungo infilando il cellulare fra i cuscini del divano, prima che Ryan riesca a prenderlo a cancellare la foto.
Lui sbuffa e si avvicina a me, «Me la paghi.» soffia, gli occhi socchiusi, il sorriso sulle labbra, si sdraia su di me, sfregando il suo viso contro il mio.
«Se sporchi il divano mamma ti uccide.» gli ricordo.
Ryan ride e mi fissa, «Nah, tua madre mi adora.» ribatte.
Cavolo, ha ragione. Mamma lo adora.
«Non sporcare il divano.» esclamo mentre mi bacia il collo, «Poi mamma si arrabbia con me...» meglio cambiare strategia. 
Ryan si solleva e mi fissa, «Vuoi che mamma mi sgridi...» lo fisso, tirando fuori la mia miglior aria da cucciolotta indifesa.
Lui sospira e si alza, «No.» dice, «Hai ragione.»
Vittoria!
Quasi urlo quando mi afferra e mi butta sulle sue spalle. «Ryan!» strillo, «Lasciami!»
Lui non risponde. «Ryan, sono a testa in giù.» continuo.
«Lo so.» replica lui.
Grazie, eh. «Ryan...» mormoro e mi aggrappo ai suoi fianchi e cerco di sollevarmi.
«Non tirarmi giù i pantaloni.» ribatte lui.
Uffa. Stiamo salendo le scale e io ho una bella panoramica sulle chiappe perfette del mio ragazzo. «Cosa vuoi fare?» domando.
«Lo vedrai.»
Uhm... non mi butterà mica nella doccia con lui, vero? Ho indosso una maglia tanto carina, con una gattina stampata sopra, con un bel fiocco rosso fatto di paillette. Poi entriamo in camera mia, e mi ritrovo sul mio letto, i capelli sparsi sulla faccia.
«Ryan?»
Lui mi scosta i capelli dal viso. «Qua nessuno ti sgrida.» esclama con quel sorriso che vorrei levare a furia di sberle.
«Uhm.» sbuffo, «Se lo dici tu.» esclamo e lascio che mi baci. Infila le mani sotto la maglietta. 
Chi se ne importa delle lenzuola? Tanto c'è la lavatrice che le lava!

***

Altro giorno, altra ulcera. Perché lo so, mi verranno decine di ulcere se continua così. Odio tutti in questo momento, tutti allo stesso identico modo.
Ryan è uscito ancora con quella gallina spelacchiata per pranzo. Dovrei mangiare anche io, ma non ho fame, così mando giù un caffè dietro l'altro.
Ecco, se non morirò a causa di decine di ulcere sanguinanti, creperò perché mi sarà scoppiato il cuore per i battiti troppo accelerati.
Ho voglia di spaccare qualcosa, che possibilmente assomigli alla testa di Raymond. O alla sua auto. Ne ho già disfatta una, potrei farlo un'altra volta.
Una riga su una fiancata, una ruota squarciata, uno specchietto rotto. Quel cazzo di stemmino divelto. Potrei fare tante cose.
Se non muoio finirò in prigione, mi sa. Che brutta cosa.
E stra parlo pure.
Altro caffè, poi mi metto a guardare qualche video di gatti scemi. Sì, farò così. I video di gatti scemi mi fanno sempre ridere.


Ryan ritorna, in perfetto orario.
«Com'è andata?» domando.
Lui mi stringe, «Al solito.» risponde ed entriamo in casa. «Una noia mortale, averei preferito farmi strappare le palle e ingoiarle.»
«Quelle mi servono!» rido.
«Subito?» mormora lui baciandomi il naso.
«Eh, magari...» socchiudo gli occhi mentre mi bacia il collo.
Lui ride contro la mia pelle, «Che ne dici dell'idromassaggio?» soffia nel mio orecchio.
Annuisco. «Sarebbe perfetto.» mormoro.
Lui sorride, si alza in piedi, mi prende in braccio ed entriamo nel bagno.
Dopo qualche minuto la vasca è piena di acqua con tante bolle, entriamo e mi lascio coccolare dall'acqua calda, delle labbra di Ryan sul mio collo e dalle sue mani sulla mia pelle.

***

Sto per scoppiare. Non posso farcela. Non ci riesco.
È troppo complicato. Troppo difficile. Troppo tutto.
Mi manca l'aria, mi manca la mia vita, quella di prima. Quella dove io e Ryan vivevamo nella nostra bolla di felicità, dove l'unica nostra preoccupazione era quella Piaga di Melanie.
Non posso farcela, sul serio.
Se restassi qui esploderei, farei qualche stronzata mega galattica come spaccare la testa a quella gallina, lo farei sul serio, lo so. Ma non posso. Non voglio andare in prigione. 
Oppure mi lascerei andare in balìa degli eventi, e chissà cosa potrebbe succedere. Devo cambiare aria. Devo cambiare, per un po' di tempo. Devo farlo.

*_*_*



Entro nella camera di Lindsay e, appena aperta la porta finestra, capisco che qualcosa non va.
Che c'è qualcosa di sbagliato.
Ci sono due valige aperte sul letto con dei vestiti dentro. Un'altra pila di vestiti è sopra la poltroncina della scrivania. «Linds?» chiamo, «Lindsay?»
Lei esce dalla cabina armadio, dei vestiti in mano. 
«Che succede?» domando. «Linds?»
Lei sospira e posa i vestiti sul letto, «Vado a New York, da Svetlana.» risponde.
«Perché?» domando. Ho fatto qualcosa di sbagliato? Oppure non ho fatto qualcosa?
Lei sospira di nuovo. «Perché sto impazzendo, Ryan» dice, «Non ce la faccio più.»
Mi appoggio alla sedia, «Co-cosa?» balbetto, «È colpa mia?»
«No!» esclama lei, «Non è colpa tua, assolutamente!» esclama. Mi prende le mani e mi fissa, «È questa situazione che mi fa impazzire.» dice, «Se me ne vado via per qualche giorno poi starò meglio.» mi sorride e mi abbraccia.
L'abbraccio, stringendola forte e inspiro il profumo dei suoi capelli. Le sfioro i fianchi e li sento magri sotto le mie dita. "Ho trovato Lindsay dimagrita, mi sembra più magra del solito, te ne sei accorto?" le parole di Aaron mi tornano in mente. Aveva ragione, la mia Linds è dimagrita tanto.
«Quando parti?» le chiedo dopo averle baciato la fronte.
«Domani.»
Domani. Domani. Domani «Okay.» esclamo. «Avresti potuto parlarmene.» esclamo, cercando di tenere a freno la rabbia e la delusione.
«L'ho deciso ieri.» risponde lei.
Annuisco. Ieri, lo ha deciso ieri. Quando ero fuori con quella stupida che ha il vuoto pneumatico nel cervello. «Va bene.» esclamo e l'abbraccio, nuovo. «Quanto starai via?» chiedo.
Lei mi fissa, «Un paio di settimane.» risponde. «Ho bisogno di staccare, lo capisci?» domanda.
Annuisco e sospiro, «Sì.» le bacio di nuovo la fronte.


Abbiamo cenato con un paio di pizze giganti, io, lei e i suoi genitori. Ora siamo in bagno, pronti per la vasca, che si sta riempiendo di acqua e schiuma bianca. Lindsay è seduta sul bordo della vasca, avvolta nell'accappatoio, i capelli legati in alto e fissa la schiuma. Io sono già nudo.
«Linds?» la chiamo e lei mi fissa, sorridendo. «Niente.» rispondo e le do un bacio sulla fronte.
Lei si alza, «È pronta.» dice e mi passa l'accappatoio, che appendo. Poi entriamo nella vasca e lei si appoggia a me. Mentre le sfioro i fianchi, salendo in alto, verso il seno, mi rendo conto di sentire sotto le dita le costole. Anche prima le sentivo, ma ora è diverso, le sento di più. La stringo di più a me e lei posa la nuca sulla mia spalla e chiude gli occhi. 
«Mi mancherai.» soffio nel suo orecchio.
«Anche tu.» mormora lei.
«Ti amo, Linds.» dico e le bacio una guancia.
«Anche io.» dice e gira il viso verso di me, le tocco la guancia, lasciando schiuma su di essa e la bacio sulle labbra. mi mancherà tanto, lo so. Non posso stare senza di lei. Linds è tutto per me, potrei morire se la perdessi. Mi consumerei fino a scomparire.
La stringo a me e chiudo gli occhi. Vorrei che tutta questa storia fosse solo un brutto incubo.
Vorrei svegliarmi e scoprire che Carl è ancora il nostro manager. Che Linds lavori ancora per noi. Rivoglio la mia vita. Perché questa non lo è.
Senza di lei sarò spento, inutile. Una luce che non brilla più.
Okay, sto scivolando nel patetico, meglio darsi una calmata. Andrà a New York, e lo fa per il suo bene. 


Siamo seduti sul letto, Lindsay davanti a me e le sto pettinando i capelli. Lei  muove la testa da un parte all'altra, emettendo di tanto in tanto qualche sospiro soddisfatto.
«Sembri un gatto.» le dico.
Lei ridacchia, «È piacevole.» risponde e si appoggia contro di me.
Poso la spazzola sul letto e la stringo, inspirando il suo profumo. Non voglio dimenticarlo. Posso sempre rubare un cuscino domani mattina, quando se ne andrà.
Se ci penso mi sento male.
Meglio non pensarci, anche se è complicato.
Lei si lega i capelli in due code basse e morbide e io riporto la spazzola in bagno. quando la raggiungo è già sotto le coperte. Vado da lei e l'abbraccio, la sua testa posata sul mio torace, le sue mani su di me. «Mi mancherai.» soffio baciandole la testa.
«Anche tu.» mormora lei.

***

Lindsay è partita un'ora e mezza fa per l'aeroporto con i suoi genitori. E io ho preso il suo cuscino, sostituendolo con uno di quelli presenti nell'armadio. Ho cambiato anche la federa. Adesso sono solo, nel mio salotto e non so cosa fare, a parte disperarmi. E potrei riuscirci anche bene.
Ormai l'aereo starà decollando. Il mio tesorino bello avrà paura. 
Ecco, posso anche deprimermi, oltre che disperarmi. Sono bravo in questo.
Chiamo Aaron, ho bisogno di una voce amica. «Ehi.» sospiro quando mi risponde.
«Come va?» chiede lui, «Non mi chiami mai a quest'ora.»
«Linds è partita.»
«Partita?! E per dove?»
«New York.» rispondo «Va da Svetlana.» sospiro e bevo.
«Oh.» commenta lui.
«Dice che è stanca e ha bisogno di staccare un po'.»
«Te l'avevo detto che era sciupata.»
Odio quando ha questo tono petulante. «Eh.» sospiro, «Lo so.» bevo ancora.
«Stai bevendo?» domanda lui, «Comunque le farà bene allontanarsi un po'.» dice.
«Birra.» rispondo. «E no, non rompere le scatole.» esclamo prima che possa dire qualcosa.
«Non stavo dicendo nulla.» dice lui. «E se venissi lì?» domanda.
Annuisco e mi ricordo che siamo al telefono, non può vedermi. «Sì.» rispondo, «Andrebbe benissimo.»



*_*_*

Finalmente, dopo tre chiamate a vuoto, Ryan mi risponde. «Ehi, Ryan.»
«Lindsay.» dice lui e mi sembra strano.
«Che hai?» domando, «Dormivi? Ti ho svegliato?»
«Uhm... Sì.» biascica lui in risposta. «Sono venuti gli altri.» aggiunge. «Abbiamo bevuto un po'.»
Ah. «A parte alzare il gomito cosa avete fatto?» chiedo e lo sento aprire qualcosa.
«Giocato con la Wii.» risponde lui e mi pare sentire dell'acqua versata in un bicchiere, «Chris non sa perdere.»
Rido e sento in sottofondo la voce di Chris che dice qualcosa tipo "Guarda che ti ho sentito!", «Bene.» dico, «Il viaggio è andato bene.» aggiungo, «Domani andiamo in giro per musei.»
«Che noia.» borbotta lui e lo sento bere.
«L'alternativa era lo shopping.» replico. 
«Meglio la noia, allora.» dice lui, «Hai troppi vestiti. Svetlana?» 
«Sta bene.» rispondo e sento gridare Liam. 
«Lei è lì?» domanda Ryan, «Liam russava fino a due secondi fa, ma ora è bello pimpante...» sospira. 
«Sì.» rispondo fissando la mia migliore amica uscire dal bagno, «C'è Liam da Ryan.» le dico passandole il cellulare e lei inizia subito con i suoi "Ciccino".
Dopo qualche minuto Svetlana mi ridà il cellulare. «Gesù, stavano per fare sesso telefonico?» sbotta Ryan.
«Già.» commento. È per questo che mi sono ripresa il cellulare: può fare sesso telefonico con il suo, se ci tiene tanto. «Dove sei? Ho sentito una porta.»
«Nel cesso.» replica lui e sospira.
«Ryan!» strillo e fisso Svetlana che sospira, prima di sgattaiolare fuori dalla stanza. Chissà, magari va nell'altra stanza a parlare con Liam...
«Non devo fare nulla.» dice lui, «Solo tenere il mio telefono lontano dalle mani di Liam.» ride. «No, sono fuori, in giardino.» 
«Mi manchi.» soffio e sento che sto per piangere. Non ora, grazie.
«Anche tu.» mormora lui, «Mi dispiace non aver risposto alle altre chiamate e di aver mandato un monosillabo al tuo messaggio di prima.» dice, «Ero un po'...» sospira.
«Sbronzo?» lo aiuto, «Ryan, tranquillo.» dico.
«Mi sento in colpa.» mormora.
«Non è colpa tua.» replico, «Insomma, magari evitare di sbronzarsi a pranzo...» faccio, «Ho bevuto un Martini dry sull'aereo.» ammetto. 
«Ah.» fa lui, «Linds!» squittisce.
«In realtà ne ho presi due.» diciamo tutta la verità, ecco.
«Linds!» esclama. «Due Martini dry?!? Ma neppure ti piace!»
«Eh.» dico. «C'è stata una perturbazione!» squittisco in mia difesa, «O l'alcol o strillavo come un'aquila!»
Lui ride.
«Non ridere!»
«Non rido di te, tesorino bello, ma di Jake!» ride ancora. «È caduto come una pera cotta!»
«Ma povero.» esclamo, «Si è fatto male?»
«No, al momento sta imprecando come uno scaricatore di porto.» risponde, poi sospira, anche se mi sembra più un gemito di sofferenza che un normale sospiro.
«Tutto bene?» chiedo.
«Mi fa male la testa.» risponde.
«Caccia via gli altri, mangia qualcosa, prendi un antidolorifico e vai a dormire.» 
«Sembri mia nonna.»
Sbuffo. «Ryan, mi preoccupo.»
«Lo so.» soffia lui. «Adesso li mando via.» dice.
«Bene.» esclamo. «Mi manchi.» dico e mi accorgo che Svetlana mi sta chiamando, «Che c'è?» le chiedo e lei risponde che è pronta la cena. «Ce l'avevo con Svetlana.» dico a Ryan.
«L'avevo capito.» ride, «Ci sentiamo domani?»
«Non mi mandi la buona notte?» pigolo.
«Ovvio.» risponde lui. «Ti amo, tesorino bello.»
«Ti amo anche io, pecorella.»
«Pecorella?»
Poso il cellulare sul comodino e fisso Svetlana, che mi guarda, le mani sui fianchi e l'aria di chi è curiosa come una scimmia.
«Niente.» dico e mi alzo, «Una cosa fra me e Ryan.» continuo. Non posso dirle perché lo chiamo così!
«Ah.» fa lei. «Non me lo dirai, vero?» domanda mentre scendiamo al piano di sotto. Svetlana vive in un appartamento a due piani, con una meravigliosa vista su Central Park.
«È una stupidata.» rispondo scuotendo la testa. «Nulla di che.»
Lei mi fissa, «Sarà.» dice, «Ma credo che sia qualcosa di buffo. Imbarazzante. Altamente imbarazzante. Decisamente imbarazzante.»
Alzo gli occhi al cielo. «Hai finito?» chiedo, «Ho fame.»
Lei incrocia le braccia e annuisce. «Va bene.» acconsente. «Ma tanto prima o poi me lo dirai.» cinguetta andando a sedersi.
«Uhm, certo.» esclamo e mi siedo accanto a lei, «Contaci.»
Lei mi guarda, gli occhioni blu che mi fissano. «Me lo dirai, lo so.»
Neppure morta glielo dirò.

***

In questi giorni abbiamo visto: il museo Americano di storia naturale, il MoMa, il Metropolitan Museum of Arts e il Met Breuer. E ce ne sono ancora svariati da guardare. Però per oggi basta, ho il cervello pieno di informazioni. «Shopping?»
Svetlana mi fissa e sorride, «Ovvio.» risponde.
Ovviamente siamo d'accordo — come sempre, del resto — su quali negozi visitare, ma non da dove cominciare. Ed è per questo che passiamo la mezz'ora seguente a decidere quale negozio visitare per primo. 
«È ora di pranzo.» le faccio notare a un certo punto.
«Andiamo a mangiare.» esclama lei, «Così possiamo decidere meglio.»
Almeno siamo d'accordo sul ristorante.

***

Ryan mi manca. Mi manca così tanto che mi manca il respiro e sento lo stomaco stringersi in una morsa dolorosa che mi piega in due. Ogni tanto temo che possa venirmi un attacco di panico o un infarto. Mi sento così ogni volta che parliamo al telefono. 
«Liam mi ha detto perché lo chiami pecorella.»
Fisso Svetlana, «Ah, sì?» chiedo e lei annuisce, «Liam non sa perché chimo Ryan in questo modo.» le sorrido. Pensava di fregarmi e invece... ahahah. «Non te lo dico.»
Lei sbuffa in una maniera davvero adorabile. «Uffa.» borbotta incrociando le braccia.
Rido. «Sei troppo curiosa.» esclamo sdraiandomi sul letto. Ormai sono tre settimane che sono qui, ventidue giorni. E Ryan mi manca sempre di più.
Svetlana si sdraia accanto a me, i suoi capelli mi finiscono sul viso, li scosto. «Cosa facciamo?» domando. 
Lei sospira, «Prendere a calci quei tre deficienti?» propone.
«Buona idea» rispondo e poso le mani sulla pancia, le dita incrociate. «Ma poi finiremo davanti a un giudice per lesioni.»
«Che palle.» borbotta lei. «E se ci facessimo un viaggetto?» domanda fissandomi.
Annuisco, «Buona idea.» dico, «Dove?»
«Ah, non ne ho idea.»
Le lancio un cuscino addosso. «Grande.» esclamo. 
Svetlana ride, «Abbiamo tempo per decidere.» dice. «Basta scegliere un posto bello.»
«Ce ne sono tanti.»
«Con tanti bei negozi.»
«Ce ne sono tanti di posti così.»
«Dove farsi un po' di cultura.»
«Devo ripetermi?»
Svetlana ride. «Già.» sospira. «Facciamo decidere a papà?» domanda.
Fisso il soffitto, dipinto di un delicato color crema. «Uhm, sì.» rispondo, «Sarebbe perfetto.» dico.



*_*_*

«Boston?!» esclamo e fisso il viso di Lindsay. Quanto mi manca...
Lei annuisce e io vorrei sfiorare lo schermo, vorrei toccarla, baciarla, stringerla... ma non posso. Posso solo toccare lo schermo ma non sarebbe la stessa cosa.
«Lo ha proposto Leonard perché io e Svetlana non riuscivamo a deciderci.» spiega, «E così  abbiamo fatto scegliere a lui.» scrolla le spalle.
Annuisco anche io, «Sì, tu e Svetlana sareste andati avanti all'infinito prima di scegliere qualcosa.»
Lei incrocia le braccia e piega le labbra in un broncio adorabile. «Non sei simpatico, lo sai?» borbotta. «È che ci sono tante cose da vedere.» dice.
Bhe, ha ragione. «Giusto.» dico, «Da qualche parte bisogna pur incominciare, no?» esclamo. Almeno è ancora qui nel Paese, solo un po' più a nord. Sarebbe peggio se fosse andata a Londra, Parigi o in Italia o in Grecia o chissà dove, ancora più lontana da me. Ma questo mica posso dirglielo!
Lei sorride, «Esatto.» dice e poi sospira. «Cosa fai?» domanda.
Scrollo le spalle, «Niente di che.» rispondo. «Mi annoio.»
Lei piega di la testa di lato. «Povera la mia pecorella.» mormora. «Chiama gli altri.»
Annuisco, «Sì.» dico, anche se in realtà non ho voglia di vedere nessuno se non lei. Adesso che Lindsay, il mio tesorino bello è lontano, non ho voglia di far nulla, tranne starmene sdraiato sul letto, ad ascoltare le canzoni che le piacciono, anche se a me non piacciono, solo per sentirla più vicina.
Che schifo.
Saluto Linds che deve cenare con un macigno sulle spalle, che non mi fa respirare, che non mi fa vivere.
Mi manca.

   
 
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