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Autore: rainbowdasharp    11/03/2019    0 recensioni
Per ogni passo, piccolo o grande, compiuto, Haruka non è mai stato veramente solo.
Soprattutto in acqua.
[Rin/Haruka] [soulmate!AU]
La raccolta partecipa al contest "Un Fiume di Soulmate!AU" indetto da rhys89 sul Forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Rin Matsuoka
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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rinharu model

Nella corsia accanto, sempre




atto IV: acqua, per raggiungersi

Da quando Rin era tornato in Australia, il ritmo della sua vita aveva preso una piega stranamente regolare: sveglia al mattino presto, colazione nutriente, allenamenti, università e di nuovo, da capo.

Questo pensiero lo colpì all'improvviso, di fronte all'armadietto che gli era stato assegnato il primo giorno di corsi; con le chiavi in mano, lo sportello aperto di fronte a sé, la divisa dell'università australiana diligentemente piegata e pochi altri effetti personali, Rin si rese conto che era cambiato, di nuovo.

Aveva delle abitudini.

Era quasi impensabile, per lui: non aveva ricordi di aver mai vissuto troppo a lungo nello stesso luogo, sin da bambino, né di essersi mai trovato a suo agio in azioni ripetute sempre nel solito modo: piuttosto, aveva sempre sentito il bisogno di sperimentare, vedere luoghi e persone nuove, trovare vette da scalare poste sempre più in alto – se si escludeva il brutto periodo che aveva passato qualche anno prima, Rin era piuttosto sicuro di non aver mai trovato pace nel vero senso della parola. A volte aveva la sensazione che la casa della sua famiglia, dove probabilmente Gou e sua madre, assieme al loro gatto, in quel momento stavano dormendo, non fosse più casa sua... a dirla tutta, forse, casa sua non c'era mai stata.

Doveva ancora trovarla, magari.

Un sorriso si formò subito sulle sue labbra, il pensiero che veloce trottava a qualche mese prima, alla sua partenza da Tokyo: gli amici, vecchi e nuovi, che lo avevano seguito sino all'aeroporto per salutarlo, per augurargli buon viaggio e poi lui, Haruka, con una borsa tra le mani che teneva con la cautela con cui si tratterebbe una bomba ad orologeria. Gli aveva intimato di prenderla con un borbottio non troppo chiaro e senza perdersi troppo in chiacchiere e poi, con quel sorriso accennato che Rin aveva ammesso a se stesso un po' tardi di amare, non gli aveva augurato buon viaggio, no; gli aveva detto: “Ci vediamo in acqua”.

Tipico di Haruka Nanase.

In quella borsa, Rin aveva trovato i primi oggetti che avevano arredato il suo appartamento a Sidney: un ricettario incentrato sullo sgombro, un grembiule nuovo e, avvolta accuratamente in un involucro di plastica, una conchiglia piuttosto grande. Haruka aveva un modo tutto suo di comunicare e Rin aveva passato qualche giorno a chiedersi che cosa quegli oggetti potessero significare nello specifico per lui: per quanto riguardava il libro di cucina, era ovvio che gli stesse intimando di mangiare più sgombro o, almeno, di imparare a cucinarlo per bene e, supponeva, a questo era legato anche il grembiule.

Ma la conchiglia?

Rin chiuse l'armadietto con cura, raccolse gli occhialini e, con quel gesto ormai marchiato a fuoco nel suo intero essere, quello schiocco di gomma su gomma, li indossò mentre si dirigeva a passo sostenuto verso la piscina che, quel giorno, era esposta direttamente alla luce del sole. L'odore familiare del cloro accolse il suo olfatto, così come il vociare in tanti diversi accenti d'inglese gli diede il benvenuto.

Rin si spostò da una parte, ancora con la felpa indosso, per iniziare il riscaldamento. La corsa del mattino aveva sicuramente giovato, ma anni di esperienza gli avevano insegnato a non sottovalutare gli esercizi di preparazione: si occupò prima delle gambe, poi delle braccia e solo quando sentì il corpo adeguatamente pronto, si diresse a passo sicuro verso le pedane di partenza. Si liberò della felpa, poi diede un'occhiata alle vasche, accertandosi di quali fossero già occupate: stranamente, quel giorno non erano in molti ad allenarsi a quell'ora. Alcuni erano tornati a casa, pareva, per passare qualche giorno con la propria famiglia.

Ma non lui.

Non era perché la sua famiglia non gli mancasse – anzi; nonostante la quotidianità di casa Matsuoka fosse solo un ricordo sfumato della sua infanzia, a Rin mancavano i brontolii di Gou, l'odore della carne che invadeva la cucina mentre sua madre cucinava e persino i graffi di quel grassone del loro gatto.

Eppure, Rin sapeva che la sua casa doveva essere costruita bracciata dopo bracciata, vasca dopo vasca. Forse, insieme ad ogni mattone posto, poi sarebbero venute le medaglie, le vittorie o chissà cos'altro – era certo solo del fatto che non poteva fermarsi. Sapeva che il giorno in cui avrebbe avuto una casa priva di scatoloni era ancora lontano e che, nel frattempo, la sua unica casa era proprio lì.

In acqua. La stessa acqua che tanto gli aveva tolto, sì, ma altrettanto gli aveva donato.

Si piegò in avanti, pronto a tuffarsi. Improvvisamente, tutto – le voci che invadevano l'ambiente, il sole che scaldava la sua pelle candida, i pensieri che, veloci, attraversavano la sua mente – sembrò perdere consistenza: tese le braccia in avanti e, nelle orecchie solo il suono del suo respiro, improvvisamente tiranno, abbandonò il cemento per essere accolto nell'unico luogo a cui sentiva di appartenere davvero.

L'acqua era fresca, piacevole e appena mossa dalla presenza di altri atleti; ora al respiro si era sostituito il suono prorompente del suo battito cardiaco, che scandiva ogni attimo come per voler rendere ciò che stava sotto la superficie dell'acqua ancora più surreale, quasi magico.

Riemerse a malincuore per prendere una grossa boccata d'aria; a questo gesto seguirono immediatamente i familiari movimenti di braccia e gambe che, allenate a dovere, subito lo sospinsero con sicurezza verso la sua meta. Una bracciata, un colpo di gambe, una perfetta sinergia di ogni arto del suo corpo: un ritmo che, però, non sembrava mai essere veloce abbastanza, perché ancora non riusciva a raggiungere quel futuro.

Di recente, capitava spesso che riuscisse a scorgere, tra le ombre e le luci che si intersecavano sotto la superficie dell'acqua, quella che ormai anche lui, come Haruka, aveva cominciato a chiamare Acqua, nonostante ben conoscesse la sua identità. Anche quel giorno, la trovò poco più avanti, nella corsia accanto: era agile e fluida come una sirena, veloce come solo il suo ragazzo (incredibile come, a distanza di mesi, questo concetto lo facesse ancora sentire leggero ed agitato al medesimo tempo, neanche fosse un ragazzino) in qualche piscina di Tokyo sapeva poter essere. E allora, spontaneamente, nonostante la fatica, lo sforzo e la stanchezza di chissà quante vasche che pesavano sui suoi muscoli allenati, ecco che si faceva più veloce, più avido perché sapeva che Haruka non gli avrebbe mai e poi mai fatto sconti.

E allora l'Acqua sembrava volergli sfuggire, nella corsia accanto, divenire irraggiungibile e, in un gioco di testardaggine, Rin non poteva fare altro che sorridere, aumentare il ritmo, dimostrargli che quel che gli aveva mostrato ormai dieci anni prima, quella visione, si era solo fatta più potente, più reale.

Non un miraggio, ma un miracolo.

C'era qualcosa di diverso, però, quel giorno: l'essenza di Haruka sembrava più viva del solito, paradossalmente più reale (per quanto “reale” potesse apparire un insieme di correnti d'acqua), tanto che Rin perse ben presto la concezione delle vasche già fatte, delle lunghe file di galleggianti che distinguevano le corsie, la consapevolezza di dove si trovasse di fronte alla sensazione di non essere più lontani migliaia di chilometri, ma fianco a fianco.

Quella era una gara in piena regola.

Dopo chissà quanto tempo, quasi all'improvviso, l'Acqua si fermò: la figura sembrò rimanere sospesa in acqua, bellissima e potente come una nina, in un tempo altro ma rivolta verso di lui, come se si aspettasse qualcosa; colse Rin così di sorpresa che il giovane non poté fare a meno di fermarsi ad osservarla, incantato, un attimo prima che questa tendesse una mano verso di lui.

C'era un che di familiare, in quel gesto. In un attimo, alle spalle dell'Acqua, vide di nuovo l'albero di ciliegio in fiore che già una volta lo aveva salvato e Haruka che, sotto di esso, gli prometteva di mostrargli uno spettacolo indimenticabile.

Afferrò quella mano senza esitare neanche un attimo e, seppur non del tutto consciamente, subito si rese conto che era reale e non una mera illusione. Era calda, viva e le dita di quest'ultima si intrecciarono ben presto con le sue, in un gesto deciso e determinato, un attimo prima di sentire le labbra – ma erano davvero lì? - di Haruka poggiarsi sulle proprie, febbrili e piene di desiderio come solo le sue, aveva scoperto, potevano essere.

La passione del suo compagno erompeva solo in acqua e a letto; Rin si era chiesto spesso come, per tutta la vita, avesse nascosto quell'avidità e possessione che aveva imparato a percepire solo in quegli ultimi mesi, quando in un tocco semplice come un bacio riusciva a mettere così... tanto.

Non si rese conto che aveva ripreso a respirare, ormai riemerso, seppur col naso, e che le sue labbra continuavano ad essere tormentate, inseguite, imprigionate. Non si accorse delle voci che, improvvisamente, erano tornate a punzecchiare il suo udito, persino più prorompenti di prima in quell'ambiente così raccolto, troppo stretto per quelle emozioni che si agitavano nel suo torace.

Almeno fin quando, quasi fosse stato liberato da un incantesimo, si permise di riaprire gli occhi ed incontrò le iridi blu, magnifiche e brillanti di Haruka Nanase.

Quello vero.

«... Ma che--» gli sfuggì, in un sussurro che sapeva di imprecazione e meraviglia al tempo stesso.

«Sorpresa». Forse avrebbe trovato divertente quel tono piatto, paradossale per quel che aveva appena detto, se non si fosse sentito lui la vittima del teatrino che il moro aveva messo su.

Una consapevolezza che lo colpì con parecchio ritardo, che mandò a fuoco la sua faccia già piuttosto accaldata dal bacio di poco prima e che gli permise infine di notare come avessero attirato l'attenzione di tutti i presenti.

A quel punto, non poté fare a meno di portarsi una mano sul volto, sperando di scomparire.

«Rin, you didn't tell us you had a boyfriend!»

«Is that the guy you're always talking about?»

«I wish my girlfriend would do something like that for me too...»

Era ufficialmente fregato, in più di un senso.

Punto primo, i suoi compagni e amici non gli avrebbero più dato tregua: da tempo insinuavano che avesse una storia con qualcuno e non facevano altro che cercare di capire che tipo fosse la fiamma di Rin Matsuoka – che tipo fosse, se fosse rimasta in Giappone, quando l'avrebbe rivista...

«Rin?»

Punto secondo... beh, era semplice da immaginare. Haruka era lì, inspiegabilmente, immerso con lui fino al torso in una piscina di Sidney dopo una gara durata chissà quanto e un bacio che ancora sentiva ardere sulle labbra. Haruka che, con il suo sguardo impenetrabile e il capo lievemente inclinato da un lato, sembrava attendere una sua reazione che andasse al di là dello stupore.

«Rin?» ripeté di nuovo, allontanandogli con gesto sicuro la mano dal volto. «Stai piangendo?»

«Non—sto piangendo» soffiò, colto nel vivo; doveva ammetterlo, in quella dissestata e lunga relazione che si trascinavano, tra alti e bassi, dalle elementari, non avrebbe mai e poi mai pensato Haruka capace di organizzare una sorpresa come quella. E anche se non stava piangendo in quel momento, era piuttosto sicuro che si sarebbe commosso non appena l'imbarazzo fosse scemato almeno un po'. «Che ti è saltato in mente?»

«Avevo voglia di vederti» constatò il moro come se niente fosse, prima di sciogliersi in un sorriso leggero – quel genere di espressioni di cui Rin, ne era certo, non si sarebbe mai stancato. Neanche quando sarebbero stati vecchi e rugosi come due tartarughe. «Non mi bastava più correrti dietro in piscina».

Il suono di quelle parole acquisì immediatamente un significato così potente che, quasi in risposta, Rin sentì gli occhi pungere (eccole, quelle stupide lacrime); erano immersi in acqua, vicini, senza alcuna bramosia di vincere, di andare più veloci, di essere all'altezza dell'altro.

Per quello, lo sapevano entrambi, ci sarebbe stato sempre tempo e non sarebbe mai cambiato davvero. Quel che era davvero diverso, che fece sì che Rin scoppiasse in una risata un po' umida e non solo per via dell'acqua clorata, era che non avevano bisogno di pretesti per desiderare di stare accanto l'uno all'altro, in un cammino condiviso.

Un cammino lungo una vita, sperava, e non solo qualche vasca.



{parole: 2008}

note: Ultimo capitolo, "extra" se così si può considerare di questa piccola avventura in cui mi sono voluta tuffare (che simpatica che sono, vero?). Ho superato un po' di ostacoli e ammetto che questo capitolo mi ha dato tantissimi problemi nonostante io sia molto più affine a Rin che non a Haruka... non so cosa sia successo ma ci ho messo davvero un'eternità. Parlando della conclusione, invece, anche qui mi sono rifatta ad un legame che trascende tempo, spazio e che in effetti quando collide con la realtà lascia quasi disorientati: il rapporto tra Haruka e Rin, qui come nel canon, è il motore di tutti i cambiamenti che avvengono nelle loro vite. Sono entrambi la corrente che li sospinge insieme verso un futuro incerto, sì, ma che su entrambi esercita un fascino irresistibile - Rin lo ha scoperto da bambino, impulsivo com'è, mentre Haruka con calma, da "grande". 
Spero davvero che questa raccolta vi sia piaciuta! So che avrei potuto far di meglio, ma sono riuscita a concluderla e per me è già un piccolo traguardo. Grazie per aver letto fin qui ♥

 


   
 
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