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Autore: MonicaX1974    28/03/2019    1 recensioni
Harry e Chloe.
Lui deluso dalla vita, lei con un immenso dolore nel cuore.
Lui pensa solo a divertirsi, lei cerca di ritrovare la speranza.
In un susseguirsi continuo di ammissioni e negazioni, rivelazioni e trascorsi burrascosi, Harry e Chloe riusciranno a trovare un modo per trovare il loro nuovo inizio?
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Amo questo mix di suoni che sembrano ricreare una melodia perfetta.

Il suono del silenzio: quello che c'è nella mia testa in questo momento, seduta accanto a lui, sul sedile passeggero della sua auto, mentre è concentrato alla guida, in direzione dell'appartamento che condivido con mia sorella.

Il suono del battito del mio cuore: lento e regolare, senza sussulti improvvisi a causa di ansie o paure, a causa dei sensi di colpa, che lo portano quasi a voler uscire dalla cassa toracica quando i miei pensieri prendono il sopravvento.

Il suono della sua voce: sentirlo parlare, ridere o, come adesso, canticchiare una canzone di Michael Bublè che sta passando alla radio. E, a proposito di Bublè, devo ricordarmi di prendere il suo CD natalizio per mia sorella che ha una vera e propria fissa per lui.

È passato poco più di un mese da quando sono qui a Boston, da quando, quella sera, sono atterrata in questa città. Serata nella quale ho avuto due incontri che hanno stravolto tutto ciò che mi ero proposta. Prima Dylan numero due, con cui non sapevo, e non so tutt'ora, come rapportarmi, e poi Harry, che è diventato ormai una costante per me. Nonostante lo abbia respinto più volte, nonostante abbia tentato di imporre a me stessa la sua assenza, lui è sempre presente e non solo nei miei pensieri.

«Non ti va mai a fuoco il cervello?» La sua battuta sarcastica mi porta a voltarmi verso di lui.

Ha i capelli legati e un sorriso beffardo che non fa altro che confermare quanto riesca ad essere indisponente.

«Tu non corri di certo questo pericolo». Rispondo a tono, perché lui riesce sempre, in un modo o nell'altro, a tirar fuori la mia grinta e la mia voglia di reagire.

«Come tu non corri il pericolo di divertirti». Non ho una risposta per questo e lui lo sa, dato che continua con le sue domande. «Quand'è stata l'ultima volta che ti sei rilassata al punto da riuscire a goderti la giornata?» Il suo sguardo è sempre rivolto in avanti, verso la strada, eppure quando mi dice questo genere di cose, lo sento su di me, anche se non mi sta guardando direttamente. È come se riuscisse ad entrare direttamente nella mia anima dalla porta principale, senza neanche chiedere il permesso.

«Beh, ma ieri sera...»

«Oh, per favore Chloe...», mi interrompe, mentre cerco di accampare qualche scusa, «quello di ieri sera non era divertirsi... quello che hai fatto lo conosco molto bene e si chiama annebbiarsi la mente, ma ti assicuro che non serve a un cazzo». Ha ragione, ha pienamente ragione, ma non ho alcuna intenzione di assecondarlo.

«A proposito di ieri sera...» Riesco ad evitare di rispondere chiedendogli una cosa che mi interessa particolarmente. «C'è qualcosa che dovrei sapere?» Per un attimo ho l'impressione che il suo viso cambi espressione, sembra diventare più serio rispetto a poco fa, come se fosse indeciso se parlare o meno, ma poi, quando si ferma al semaforo, si volta a guardarmi con quel suo solito sorriso beffardo.

«Vuoi sapere se hai fatto qualcosa di sconveniente?» La malizia nel suo tono di voce è palese, ed è ovvio a cosa stia alludendo. «Tipo baciarmi?» Ha la mano sinistra sul volante, la destra sul cambio, è ancora leggermente voltato nella mia direzione e alla fine succede ancora: quella cosa per cui non riesco a smettere di guardarlo, quella stessa cosa per cui i suoi occhi diventano più intensi e profondi, nei quali vorrei perdermi fino a non ritrovarmi più.

Ma il momento viene interrotto dall'improvviso strombazzare di un clacson alle nostre spalle. Il semaforo è diventato verde e noi non ce ne siamo accorti, troppo presi da noi stessi. «Vaffanculo!» Impreca Harry. Talmente presi che non siamo nemmeno riusciti a fare una stupida battuta, ma ora che Harry ha ripreso a guidare e i suoi occhi sono di nuovo puntati in avanti, riesco a ritrovare la lucidità necessaria per tornare a volere una risposta.

«Pensi di rispondere alla domanda?», gli chiedo. Vedo il suo viso solamente di profilo, ma si sta aprendo un gran sorriso sulle sue labbra fino a mostrare la fossetta sulla guancia.

Lancia velocemente uno sguardo nella mia direzione, poi torna con gli occhi sulla strada. Siamo quasi arrivati, manca pochissimo ormai, e ho il dubbio che non mi darà alcuna soddisfazione.

«Credo che non lo farò». Il suo tono di voce divertito mi spinge a guardarlo e sta sorridendo.

Sta sorridendo, e a me piace quando lo fa. Mi piace davvero troppo.

«Sei davvero un cattivo ragazzo». Un'ultima svolta e parcheggia proprio sotto al mio appartamento. Spegne l'auto e sono costretta a fermarmi prima di scendere quando sento la sua voce.

«Esattamente come te». Mi volto a guardarlo con aria confusa.

«Ah sì?« Sono curiosa adesso. «E perché?»

«Non risponderò alla tua domanda, così impari a spegnere il cellulare durante le riunioni, per ignorarmi». Si riferisce all'incontro con quel cliente francese, a quando ho spento il mio telefono subito dopo aver risposto al suo messaggio provocatorio.

«Harry, si può sapere quanti anni hai?» Si comporta come un bambino a volte, come se non potesse fare a meno di fare qualche dispetto.

«Abbastanza da essere in grado di leggere il tuo messaggio... cito testuali parole "E tu smetti di fare lo sbruffone, non ne avresti il coraggio" ... credi davvero che non ne avrei avuto il coraggio?» Il suo tono di voce è completamente diverso, il suo sguardo anche e i suoi occhi mi tengono inchiodata a questo sedile. «Sai benissimo che avrei potuto baciarti davanti a tutti, è per questo che hai spento il telefono, giusto?» Ha ragione, è esattamente per quello che l'ho fatto.

È stato come se, spegnendo il telefono, fossi riuscita ad interrompere le sue azioni e, anche se poi è proprio così che è andata, sono certa che si sia trattenuto dal farlo per non mettermi a disagio, ma non sono sicura di poterlo fermare per sempre.

Soprattutto non so se voglio fermarlo.

Scendo dalla sua auto senza rispondergli. Scende anche lui. «Prima o poi ne dovremo parlare, Chloe!» Mi urla dall'altra parte dell'auto. Non rispondo ancora. Infilo le chiavi nella serratura del portone, poi sento i suoi passi dietro di me fino a raggiungere la porta dell'appartamento, che però non faccio in tempo ad aprire.

Improvvisamente vedo apparire la sua mano alla sinistra del mio campo visivo, che va a fermarsi proprio di fronte ai miei occhi, con il palmo aperto sulla superficie di legno.

I miei occhi sono concentrati sulla piccola croce tatuata in quella piccola porzione di pelle tra il pollice e l'indice, e sulla punta dell'ancora che ha sul polso, che spunta dal polsino del giubbotto. È esattamente dietro di me e la mia mano si blocca con le chiavi in mano senza aver fatto nemmeno un giro nella toppa.

La sua voce arriva piano, quasi sussurrata al mio orecchio «Ho detto che non ti bacerò più senza il tuo permesso, ma non costringermi a metterlo come opzione nel programma di oggi. Sai che se lo facessi saresti costretta a dirmi di sì...» Ogni parola, ogni singola lettera che è uscita dalla sua bocca, ha il potere di scatenare qualcosa di incontenibile dentro la mia testa e in tutto il mio corpo, ritrovandomi a desiderare che lui lo faccia, che mi metta realmente nella condizione di non potergli dire di no e, date le premesse di questa giornata, sono quasi certa che succederà.

«Vedremo», dico, per poi riuscire ad aprire la porta e, per quanto mi sia possibile, tentare di sfuggirgli. «Reb!» Urlo per farmi sentire da mia sorella.

Sento il rumore della porta che si chiude alle mie spalle, segno che anche Harry è entrato. Mi tolgo la giacca con l'intenzione di raggiungere mia sorella, che sembra essere in cucina dato che vedo la luce accesa. Sto per fare un passo in quella direzione quando la sento ridere di gusto, e subito dopo anche la risata di Zach arriva chiara alle mie orecchie, ma non fermo la mia camminata.

«Fossi in te non andrei di là», mi suggerisce Harry. Mi fermo e mi volto a guardarlo. «L'hai chiamata e non ti ha risposto, è con Zach, se sai fare due più due, capirai anche tu che non è il caso di andare di là». Il suo sorriso malizioso gli illumina il viso e anche i suoi occhi mi fanno chiaramente capire cosa intende con quello che ha appena detto; ma ho voglia di contraddirlo, quindi non ascolto il suo consiglio e decido di andare in cucina da mia sorella per farle sapere che sono qui.

«Ehi cia...» Non appena mi affaccio nella stanza le mie parole si interrompono per la scena che si presenta ai miei occhi.

Zach è in piedi, appoggiato al tavolo della cucina. Indossa un paio di jeans e una canotta bianca, a piedi nudi. In mezzo alle sue gambe leggermente divaricate, c'è mia sorella con addosso quella che credo sia la maglia di Zach. È del tutto appoggiata al corpo di lui e gli ha appena spruzzato in bocca una notevole quantità di panna spray. Sono entrambi sporchi di panna su tutto il viso e, dal rossore che compare sulle guance di mia sorella, è palese che non mi abbiano sentita entrare.

«Ehi, ciao Chloe!» Mia sorella fa per allontanarsi da Zach, che però non è dello stesso parere, perché la tiene stretta a sé. «Non ti ho sentita...»

«Ao... oè Hay?» Zach cerca di parlare, ma la quantità di panna che ha in bocca mi porta a tentare di indovinare quello che sta cercando di dirmi.

«Vuoi sapere dov'è Harry?», gli domando, per assicurarmi di aver capito bene. Lui annuisce sorridendo senza mai mollare la presa su mia sorella. «È di là», gli indico con il pollice la stanza alle mie spalle e, a quel punto, lascia andare Rebekah lasciandole un bacio sulle labbra al sapore dolce della panna che lui le spalma sul viso.

Zach finisce di ingoiare tutto quello che ha in bocca, prende un tovagliolo ed esce dalla stanza, credo per raggiungere il suo amico che non ha messo piede in cucina, lasciandomi da sola con mia sorella, che ha lo sguardo più imbarazzato che le abbia mai visto.

«Harry è di là?», mi chiede lei preoccupata.

«Sì, mi ha accompagnata qui solo per cambiarmi, passeremo la giornata insieme...» Ma non faccio in tempo a spiegarle altro perché inizia uno sproloquio che mi porta a sorridere.

«Oddio... Harry è qui... merda! Il mio capo è qui, e io indosso solo una dannata maglia... merda! Merda! Merda!» Cammina avanti e indietro, da me al tavolo, come se fosse impossibilitata a stare ferma. «Non posso farmi vedere così... io... merda!» A quel punto rido, senza potermi trattenere, e finalmente lei si ferma osservandomi con aria minacciosa.

«Scusa... hai ragione, non fa ridere, ma puoi stare tranquilla. Harry non entrerà in cucina. Aveva sconsigliato anche a me di farlo, ma come vedi non l'ho ascoltato. Ora calmati e ascoltami...» Sembra calmarsi, così inizio a raccontarle del programma di oggi, evitando di dirle il motivo per cui ho bevuto.

Non so se mi abbia creduta del tutto, ma sono grata del fatto che non mi abbia fatto troppe domande e mi abbia lasciata andare piuttosto in fretta, forse anche in virtù del fatto che non vedesse l'ora che io e Harry uscissimo di casa, evitandosi l'imbarazzo di trovarsi mezza svestita davanti al suo capo.

Una volta finito di spiegare a Reb tutto ciò che ritengo sia necessario che lei sappia, mi dirigo in camera mia passando dal soggiorno, dove vedo i due ragazzi intenti a parlare, e mi stupisco una volta di più dell'espressione sorridente che ha continuamente Zach. Un po' lo invidio, vorrei essere come lui e, con questo pensiero, entro nella mia stanza; come prima cosa, mi sfilo questi dannati stivaletti dando respiro ai miei poveri piedi, poi recupero dal cassettone un paio di jeans comodi, una felpa e, quando sto per andare in bagno, sulla soglia della porta compare Harry, sorridente, tanto da mostrare le fossette.

«Te l'avevo detto che era meglio non entrare», mi dice, con tono ovvio.

Se ne sta in piedi di fronte a me, bloccandomi il passaggio con entrambe le braccia allargate in alto, con le mani appoggiate agli stipiti. La maglietta bianca che indossa si è leggermente alzata e intravedo macchie d'inchiostro che spuntano da sopra la cintura dei jeans. «Sono quassù...» dice divertito, mentre io mi affretto ad alzare lo sguardo per trovare i suoi occhi luminosi che mi osservano curiosi.

«Sì … e potresti anche toglierti? Devo andare a cambiarmi...» In qualche modo riesco a riprendermi a rispondergli a tono.

«Puoi cambiarti qui, così posso vedere quei tatuaggi che tieni nascosti». Non riesco a smettere di guardarlo negli occhi, è come se il suo sguardo non mi permettesse di guardare altrove.

«Che problemi hai con i miei tatuaggi?», gli domando, stringendo di più tra le mie mani le cose che ho preso per cambiarmi, perché, in realtà, vorrei metterle da tutt'altra parte: ad esempio sulla porzione di pelle che ho intravisto poco fa da sotto la sua maglietta.

«Non ho nessun problema con i tuoi tatuaggi. Il problema ce l'ho con te, che non mi permetti di vederli». Non saprei dire se il suo tono di voce sia più malizioso o più divertito, ma questa conversazione mi piace.

«Nemmeno io ho visto tutti i tuoi, se è per questo, ma mica continuo a chiedertelo!»

«Se la metti così, sappi che non avresti bisogno di chiedermelo una seconda volta». Stavolta il suo tono di voce è inequivocabile e io lo sento in ogni parte del mio corpo. Forse è meglio che mi allontani subito da lui.

«Vado a cambiarmi». Mi abbasso, passo sotto il suo braccio e, alla fine, lui si sposta per lasciarmi passare, ma sento la sua risata fino a che non mi chiudo dentro al bagno e finalmente posso riprendere fiato.

Poso i miei indumenti sul ripiano accanto al lavandino, faccio scorrere l'acqua fredda, poi mi riempio le mani sotto il getto, e ne metto quanta più possibile sul viso, in modo da far abbassare la temperatura corporea, che si era notevolmente alzata a causa di Harry, della sua pelle scoperta e delle sue parole. Alzo lo sguardo e mi osservo allo specchio. Nonostante la serata di ieri, l'alcool, l'incubo di stanotte e le leggere occhiaie, i lineamenti del mio viso sono distesi. A dire la verità mi sento bene, anche se lui riesce sempre a spiazzarmi; ma è proprio di questo che ho bisogno, di sentirmi viva, e Harry ci riesce perfettamente perché arriva in tutti quei posti di me che ho sempre tenuto nascosti.

Prendo una grande quantità d'aria per poi emettere un lungo sospiro. Sono fortemente combattuta, ma oggi voglio fare quello che gli ho promesso. Gli dirò sì a tutto, darò ad entrambi la possibilità di fare un passo avanti nel nostro strampalato rapporto, che non posso in alcun modo etichettare perché non siamo amici, dato che ci siamo baciati in un modo in cui due amici non fanno. E un solo bacio non mi fa diventare automaticamente la sua fidanzata, quindi non siamo nemmeno quello. Colleghi? Non proprio, quindi, non potendo in alcun modo definire quello che siamo, mi accontenterò di queste ventiquattro ore per scoprire se, in qualche modo, il nostro rapporto può avere un futuro.

Mi cambio e metto i vestiti di ieri sera nel portabiancheria, esco dal bagno per tornare nella mia stanza e quando entro vedo la scena che mi aspettavo di vedere: Harry è seduto alla mia scrivania che sfoglia i miei appunti con una totale noncuranza, come se fosse una cosa normale che si metta a curiosare tra le mie cose, ma non mi aspettavo niente di diverso da lui.

«Trovato qualcosa di interessante?», gli domando, sperando di coglierlo di sorpresa, ma non succede.

Lui alza lo sguardo su di me con le sopracciglia aggrottate. «Si può sapere quante lingue conosci?», mi chiede, decisamente incuriosito.

«Quattro, compresa la mia lingua madre». Mi avvicino per prendere dalle sue mani il mio libricino di appunti, chiuderlo e riporlo sulla scrivania accanto al resto del mio lavoro quasi finito. Credo di riuscire a consegnare prima di partire per Madrid.

Già... Madrid. E se fosse proprio Harry il rappresentate di cui mi ha parlato Jordan? Dopotutto Hernandez è un suo cliente e credo che le probabilità che il mio compagno di viaggio possa essere Harry, siano decisamente alte. E, d'improvviso, mi ritrovo a sperare di dover partire con lui, di trovarmi in un altro continente a condividere con Harry, questa grossa opportunità.

Allontano, per ora, questi pensieri e vado verso il mio cassettone per recuperare un paio di calzini, poi mi siedo sul letto per infilarli, mentre lui prende in mano una delle due cornici che ho sulla scrivania. Da qui riesco a vedere che ha preso quella in cui sono sdraiata sul divano con Kurt.

«Quella ce l'ha scattata Hazel la sera in cui mi hanno dimesso dall'ospedale», gli dico, attirando la sua attenzione. Tiene ancora in mano la cornice, ma adesso il suo sguardo è tutto per me. «La seconda volta, quella in cui ho pensato di fare cena con le pastiglie prescritte dallo psicologo». Cerco di metterla sul ridere, non voglio avere nessun muso lungo oggi.

«Quindi... tu e Kurt...» La sua espressione confusa mi fa ridere.

Mi alzo in piedi dopo aver infilato entrambi i calzini. «Io e Kurty siamo amici, ottimi amici, ma niente di più. La sua presenza è fondamentale nella mia vita, mi ha letteralmente salvata per ben due volte, però non sono io quella a cui mira...», mi avvicino alla scarpiera e prendo le mie scarpe da ginnastica, «ma tu». L'espressione che ha adesso sul viso è impagabile, mi fermo ad osservarlo per imprimerla nella mia mente.

«Cioè... stai dicendo che io piaccio al tuo amico Kurt?» Sembra incredulo e rido di più, sedendomi sul bordo del letto per allacciarmi le scarpe.

«Sì, Harry, è esattamente quello che ho detto». A testa bassa stringo bene i lacci e resto per un attimo ferma quando, vicino ai miei piedi, vedo comparire le sue scarpe.

Alzo lentamente lo sguardo, mentre vedo le sue gambe piegarsi. Adesso i nostri volti sono quasi alla stessa altezza. Ha i gomiti appoggiati sulle ginocchia, e le sue labbra sono piegate in un mezzo sorriso compiaciuto, un mezzo sorriso che sento dritto nello stomaco fino ad arrivare ancora più giù. Ed ecco che succede ancora quella cosa, a cui ancora non riesco dare un nome, ma succede sempre quando il verde dei suoi occhi diventa intenso, tanto da non permettermi di distogliere lo sguardo dal suo.

Sento la sua mano appoggiarsi dolcemente sul mio ginocchio, leggera, come ad accertarsi che io accetti la sua presenza. Non lo respingo, ma ho paura. Lui lo sa, senza bisogno di parlare, lo sa. Fa scivolare lentamente la sua mano facendola risalire all'esterno della mia gamba ma, quando sta per arrivare al fianco, vengo assalita dal panico. Con la mia mano sinistra afferro la sua mano destra, la stringo nella mia per fare poi intrecciare le nostre dita, senza perdere mai il contatto visivo e quello che vedo nei suoi occhi è straordinario.

Non c'è pietà, non c'è compassione e nemmeno delusione. C'è solo comprensione e nello stesso tempo desiderio. Lui mi desidera, ed è l'unica cosa che riesco a vedere in quel verde meraviglioso.

«Ho fame, quindi è meglio se ce ne andiamo adesso». Non so a quale appetito si stesse riferendo con le sue parole, ma credo di averne una mezza idea.

«D'accordo», gli rispondo.

Lo guardo alzarsi e, quando si volta, chiudo per un attimo gli occhi per tentare di riprendermi dall'intensità di quello che ho provato un paio di secondi fa. Ascolto il rumore dei suoi passi farsi un po' più lontani poi apro gli occhi e, quando lo vedo uscire dalla porta della mia stanza, devo faticare per reprimere la voglia di corrergli dietro, riportarlo nella mia stanza e chiudere a chiave la porta.

Harry ha messo appetito anche a me.

«Pensi di riuscire a farcela entro stasera?» Il suo tono sarcastico mi arriva da lontano, credo stia già scendendo le scale, quindi mi decido ad alzarmi e raggiungerlo.

Al piano di sotto non c'è nessuno, ma sento la voce di Zach arrivare dalla cucina. Decido di raggiungere i due piccioncini, ma mi accorgo che Harry è rimasto indietro. Credo non voglia vederli in atteggiamenti, diciamo, intimi.

Mi affaccio alla porta e li vedo seduti entrambi sul ripiano della cucina mentre sorseggiano qualcosa da una tazza. «Reb io vado. Lascio a casa il cellulare perché è scarico». Lei annuisce incerta.

So che è preoccupata per me. Ieri sera ho passato la notte fuori con il suo capo, e non le ho ancora dato grandi spiegazioni, ma non ho tempo adesso per farlo. Zach, invece, ha un'espressione completamente diversa e totalmente compiaciuta. Sono fatti l'uno per l'altra, non ho alcun dubbio al riguardo.

«Ok... stai attenta...» Le sorrido, saluto Zach con un cenno della mano, e faccio per voltarmi quando lo sento urlare...

«Ciao Harry!» Rido, e lo faccio ancora di più quando il suo amico gli urla in risposta dall'altra stanza.

«Ciao, coglione!» Per tutta risposta il suo amico non fa altro che ridere.

Ci infiliamo le nostre giacche, prendo le chiavi di casa e usciamo dall'appartamento, entrambi con un gran sorriso sulle labbra: questa giornata sarà splendida, lo so, e sono certa che niente possa rovinarla.

Non i miei pensieri, che sto tenendo perfettamente rinchiusi a chiave dentro ad un cassetto nascosto nella mia mente. Non le mie paranoie, che voglio provare ad accantonare, per pensare solo a divertirmi e dimostrargli che anche io sono capace di godermi la vita.

Posso farlo, so che ne sono capace, e voglio provare a me stessa, ai miei due più cari amici e alla mia famiglia, che posso tornare a vivere, anche se il più delle volte mi è difficile, quasi impossibile, ma Harry ha il potere di convincermi che sono in grado di combattere e che forse potrei anche vincere.

La sua sola presenza sembra essere il rimedio universale a tutti i miei demoni, perché lui riesce a sconfiggerli, riesce a far emergere quella parte di me che i miei sensi di colpa tendono a soffocare. Quando mi guarda, i suoi occhi arrivano ovunque, fino alla mia anima distrutta, rimettendone insieme i pezzi. E quando arriva il contatto fisico, che sia la sua mano o quel bacio travolgente, il dolore si trasforma.

Quando sono da sola sento il dolore come se mi attraversasse fisicamente, lo sento nei muscoli, nelle ossa, nella mia testa, persino scorrere all'interno delle mie vene, quasi come se fosse qualcosa di concreto che posso toccare, ma quando Harry è con me, quello stesso dolore cambia forma e colore, si disperde, diventa sottile, quasi come una presenza trascurabile, e alla fine resta solo la parte migliore di me, quella che si era spenta il giorno del mio compleanno, qualche mese fa.

«Sento puzza di bruciato». Le parole di Harry mi portano a ruotare gli occhi al cielo mentre stiamo uscendo in strada.

«Non è che quando sono in silenzio vuol dire che io stia per forza pensando a qualcosa». In realtà ha ragione, ma di certo non voglio dargli questa soddisfazione.

Si ferma proprio vicino alla sua auto, con le mani infilate nelle tasche del cappotto, e io faccio altrettanto, restando davanti a lui senza riuscire a smettere di guardarlo.

«Chloe tu pensi sempre a qualcosa, il tuo cervellino non è capace di stare fermo, quindi è inutile che lo neghi». Ha ragione e io ho torto, cosa che mi porta a restare in silenzio. «Ma per tua fortuna, oggi, grazie a me, avrai la possibilità di spegnerlo». Lo guardo con aria interrogativa, cercando di capire se si riferisca a qualcosa in particolare. «E cominceremo da questo». Sfila lentamente la sua mano destra dalla tasca e mi mette davanti alla faccia le chiavi della sua macchina.

Il suo braccio resta sospeso con le chiavi che penzolano dalle sue dita, mentre il mio sguardo va da quei piccoli oggetti ciondolanti ai suoi occhi troppe volte, finché poi lo sento ridere; le sue labbra sono ripiegate all'insù con una chiara espressione divertita sul volto. «Hai la patente, no?» mi chiede ironicamente.

«Certo, ma...»

«E sai guidare, giusto?» Alzo gli occhi al cielo per la sua affermazione.

«Certo che so guidare, ma...» Non mi lascia parlare, continua ad interrompermi.

«Allora prendi queste chiavi e mettiti al volante». Allunga la sua mano libera per afferrare la mia, apre il mio palmo e vi appoggia sopra il mazzo di chiavi, per poi richiudere le mie dita intorno. «Sbrigati, ho fame, e tu non puoi dirmi di no, oggi». Si allontana, avvicinandosi alla portiera dal lato passeggero, e io non posso far altro che acconsentire e mettermi al posto di guida.

Apro lo sportello e salgo, lui fa lo stesso, ma stare da questa parte della sua automobile d'epoca mi mette parecchia soggezione. Poso le mani sul volante e il mio sguardo resta a fissarlo. E se non fossi capace di guidarla? Io so guidare, ma non so se sono in grado di farlo con un'auto come questa, e se dovessi combinare qualche disastro e rovinarla? Non so se mi perdonerebbe, ma i miei pensieri vengono interrotti dai suoi movimenti.

Mi volto a guardarlo e noto che, dopo aver abbassato il finestrino, con le mani sta spingendo all'esterno qualcosa di invisibile, un po' come ho fatto io la prima volta che sono salita su questa macchina con lui. «Che diavolo stai facendo?», gli chiedo confusa.

«Sto mandando fuori la puzza di bruciato che arriva da quegli ingranaggi». Indica la mia fronte con il suo dito indice.

«Sei un cretino, Stevens!» Non posso più trattenere il sorriso che si fa spazio sulle mie labbra, poi sorride anche a lui e quello che dice mi mette definitivamente ko.

«Sono il più cretino dei cretini, Stewart, ma vincerò questa scommessa...», il suo sguardo è completamente rivolto dalla mia parte e, ogni volta che mi guarda in quel modo, mi ha in pugno e credo che lo sappia, «e anche quella che riguarda i tuoi tatuaggi. Ora ho decisamente fame, quindi ti pregherei di mettere in moto e partire se non vuoi che inizi a mangiare ora». 

   
 
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