Fumetti/Cartoni americani > TMNT / Tartarughe Ninja
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Autore: Io_amo_Freezer    30/03/2019    1 recensioni
Quattro ragazzi che non si sono mai conosciuti ma con un legame forte nel petto si incontreranno al college. Tra problemi, misteri e studio riusciranno a scoprire qual è la vera ragione di quel legame?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Correre, correre, doveva continuare, mentre il freddo raffreddava il suo pigiama, e l’asfalto combatteva contro le sue ciabatte, con il fiato che cessò ma lasciando alle lacrime il lavoro di continuare.
-E fermati!- lo prese da dietro, bloccandogli le braccia e riprendendo lui fiato, il giusto per poi iniziare a sollevarlo e, con decisione, tornare indietro, quasi soddisfatto; usufruendo che piangesse in silenzio senza guardarlo, ma tenendolo forte da sentire i suoi gemiti risentiti. Stringendolo maggiormente ancora una volta, a simulare una minaccia, fino a ghignare nell’udire il dolce e frettoloso suono delle ossa degli arti che scricchiolavano.
-Co…?- spalancò le palpebre di netto, ammirando il cielo libero e cupo mentre iniziò a comprendere che ci fosse qualcosa di sbagliato, anche perché non riusciva a correre, anzi, non stava più correndo, e faceva male, le ossa spingevano! Lo stavano stritolando? Eppure sospirò, perché la presa si fece meno presente, ma aggrottò le sopracciglia: perché si era fermato? E se era immobile perché il terreno non lo era? Si muoveva… Stava volando? Forse stava dormendo, e non aveva attuato niente alla fine… Però sentiva ancora male, male all’addome, come se gli è lo stessero avvolgendo e premendo, stritolando assieme alle braccia ma con meno foga da permettergli di analizzare la situazione, di dargli l’opportunità di rendere più lucida la sua mente; però non comprendeva davvero cosa stesse accadendo. Almeno fin quando non si sentì buttare come un sacco della spazzatura dentro i sedili posteriori di una macchina nera, su cui atterrò a gattoni. Scuotendo poi il capo confuso andò alla ricerca di quei ragazzi, supponendo immediatamente fossero loro, terribilmente arrabbiati… ma non c’era nessuno… Forse allora, pensò nel ricordandosi della sua voce a chiamarlo; era Raph che di certo si era infuriato maggiormente per tutto quello… Corrugò tristemente le sopracciglia, e si accucciò contro la portiera che aveva davanti agli occhi nell’udire quella da cui era entrato chiudersi con forza, troppa, e immensa rabbia, da farlo impaurire e tremare, e sobbalzò, sussultando nel vedere un uomo nero fare il giro, passando dal parabrezza e fargli comprendere che non fosse Raph mentre si mise al posto da guidatore, davanti a lui, e accendere la macchina e partire, senza dire nulla.
No… Era finito nelle sue mani…!, tentennò, pensando con fare mogio e succube dinanzi a quell’energumeno, fin troppo muscoloso e  ma quasi non gli interessava tanto: la paura c’era, era enorme come il suo respiro frenetico e rumoroso alle sue orecchie; timore da far palpitare il cuore nella testa, da farlo impazzire in quella notte che era diventata sempre più orribile, ma almeno non avrebbe infierito sugli altri; socchiuse le palpebre, sospirando e stringendosi maggiormente le ginocchia al petto, senza però emettere altro rumore: non doveva disturbarlo.
 
 
Non capiva… Si era fermato ma non erano nemmeno usciti dalla città… Non lo riportava a casa? Forse pensava che fosse tornato da lui per sempre… O forse voleva punirlo? Era proprio davanti a un albergo, la macchina parcheggiata… Si percepiva benissimo il senso di cosa lo aspettava, lo capiva fin troppo bene, di essere finito in trappola. Lo avrebbe picchiato… Punito per tutto quello che gli aveva fatto passare nel fuggire? Voleva tanto che quel buio scomparisse… Magari con il sole, il coraggio sarebbe tornato per farsi più presente… No, non poteva fare nulla: doveva lasciarsi andare alla volontà del mostro: era stata una sua scelta alla fine.
L’unico pensiero, al momento, era che non doveva tornare indietro, che stesso loro non dovessero trovarlo… Dovevano invece essere al sicuro! Così e per sempre… Senza di lui, la vita di quei ragazzi sarebbe stata decente, luminosa più della notte sotto quel lampione dove si erano fermati, e che vibrava come se preferisse la notte al giorno, in procinto di dare l’ultimo saluto come aveva fatto lui. Forse avevano già trovato il biglietto?
-E vedi di scendere, idiota!-
Trasalì, scattando indietro dalla parte opposta, seguendo l’istinto come voglioso e speranzoso di salvarsi, ma sobbalzò poco prima, fermandosi, nel rendersi conto che: non c’era davvero uno spiraglio di luce in quella gabbia. Aveva scelto di finire così, e così sarebbe continuata la sua vita: ormai era giunto il momento di smetterla di guardarsi indietro, di ostentare e cercare i fantasmi del passato e le loro parole, sfumate come loro; e di farsi coraggio nel tornare a vivere in quel groviglio di tormenti e dolore, che meritava, che ricercava e… alla fine, esso stesso bramava.
-Muoviti, ingrato!-
Aveva fatto la scelta giusta, aveva fatto la scelta giusta, aveva fatto la scelta giusta!, continuò a ripetersi, strisciando sui sedili verso la portiera aperta, dal ringhio feroce e impaziente dell’uomo barbuto e dagli occhi cruenti e accigliati fino all’inverosimile prima che lo afferrasse per un braccio, portandolo fuori con fare più veloce.
 
 
Si rinchiuse velocemente in bagno così come arrivò alla soglia della porta della camera trecento due, numero che ebbe intravisto così di sfuggita da non essere nemmeno certo di averlo letto giusto. Si rannicchiò poi contro il muro, sotto al lavandino gocciolante, in quella stanza candida di bianco, eppure sporca in vari punti mentre un ragno giaceva sul bordo della vasca leggermente lurida, come le piastrelle nere per terra. Sospirò, abbracciandosi con forza e sperando che, per il momento, sarebbe stato lasciato in pace: il letto era uno, matrimoniale, e quindi lui non avrebbe potuto sostarci. Stare in bagno era l’unica cosa fattibile, anche se sporco come tutto quell’albergo, decadente e vecchio.
Però…, si chiese che fine avessero fatto… Tutte le sue speranze e i suoi ideali, l’obbiettivo di mantenere quella odiosa e stupida promessa del cavolo! E anche se non avesse voluto definirla in quel modo, adesso era diventata troppo un supplizio, una maledizione… Voleva tanto rimangiarsela! Ma non poteva farlo, perché lei era morta sperando che lui vivesse, che la mantenesse per avere un modo per vivere… Ma non poteva vivere. Lui non faceva parte della vita: essa stessa lo aveva odiato, trattandolo in un modo orrendo, uccidendolo nel lasciarlo succube per anni nelle mani di un mostro, e pugnalandolo alle spalle appena aveva trovato quel fascio di luce, quell’amica tanto gentile che era sfumata nello spegnersi per la troppa tempesta che era stata la sua malattia. Quella stessa vita che lo aveva spinto a fare altre amicizie, scoprendosi con loro nelle proprie debolezze e nei suoi peccati e paure… Per poi colpirlo ancora, ferendolo con mille spine dopo averlo frantumato, e facendolo scappare da quelle persone che lo avevano amato, per poco, ma amato come solo Karai aveva fatto.
Si era lasciato quasi affezionare all’idea di essere una famiglia, mentre ora le lacrime scivolavano lente, a scavare il suo volto come a disintegrarlo, sotto il tonfo di quel mostro di Rahzar che crollò inerme sul letto, ignorandolo bellamente. Non se ne sorprese più di tanto mentre singhiozzò, cercando però di non emettere toni troppo forti nel farlo, cercando di essere invisibile, di non disturbarlo tra i tremiti del suo corpo e i battiti, quasi che correvano tra mille salti, del suo cuore. Non aveva smesso di palpitare, di calmarsi, nemmeno per un solo istante, e ora si sentiva sfinito. Deviò i suoi pensieri, preferendo domandarsi ancora se avessero letto la sua lettera, se l’avessero trovata, o, semplicemente, fossero tutti in giro a cercarlo, a urlare il suo nome, a pregare che tornasse indietro… Si strinse maggiormente a quell’ultima riflessione, con la paura che, se sarebbe stato trovato, non l’avrebbero più perdonato, che l’avrebbero tenuto costantemente sott’occhio… Non si sarebbero più fidati, e forse lo avrebbero punito…
No, loro erano gentili… Però li stava portando allo stremo della pazienza, della tolleranza… Chissà, forse lo avrebbero cercato un po’ e poi si sarebbero dimenticati, ringraziandolo anche di essersene andato, così da non dover abbandonarlo di loro iniziativa e fare la figura dei cattivi … Era un caso perso, era un’idiota e… un essere inutile…
Un tonfo sordo attirò di scatto la sua attenzione, e afferrò in fretta l’oggetto caduto al suo fianco come a impedirgli di emettere altro suono prima che, nel rinato silenzio interrotto dal frastuono del respiro di quell’essere, ritornasse a rilassare le proprie spalle, riconoscendo quello che aveva tra le mani come un semplice telefono, o meglio, quello che gli avevano regalato proprio loro. Quasi ebbe l’impulso, la tentazione di accenderlo e rovistare nella rubrica, alla possibile ricerca dei loro numeri… Nemmeno sapeva di averlo con sé, forse nemmeno se ne era accorto; forse era stato il suo subconscio, o una roba simile, a farglielo prendere e a farglielo mettere in tasca prima di andarsene… Non avrebbe fatto nulla, nemmeno accenderlo per rivedere i loro volti, sempre se ci fossero delle foto. Lo avrebbe buttato, o forse tenuto come ricordo… La luce dello schermo segnava le dieci e trenta passate: era tardi, faceva freddo, ed era solo. Solo da dopo tanto tempo. E loro… Chissà cosa stavano facendo, magari al caldo, sul divano a parlare di dove fosse, ma lui era certo che stessero già dormendo. Sì! Perché non serviva! Lui aveva solo rovinato le loro vite! Dannazione!
Si sarebbe tormentato per il resto della notte, ormai era chiaro, e lo dimostravano le lacrime che distruggevano il suo volto senza mai fermarsi, la smorfia sulle labbra e i denti che battevano, per la paura e per il freddo; e le pupille acquose verso quel pavimento vuoto, in quell’aria sempre più gelida. Quasi sperava di morire assiderato, sarebbe stato perfetto…
 
 

Gettò a terra una sedia nel darle un calcio, talmente forte da farla volare di qualche centimetro prima di crollare, e sbuffò stringendo i pugni mentre i suoi capelli vermigli sventolarono sopra alle sue pupille tuonanti di rabbia, e più vivi che mai in un’ondata di agitazione che stava traboccando oltre ai suoi nervi sempre più provati da quella consapevolezza, di non averlo raggiunto in tempo. Era corso a raggiungerlo, ma quel piccoletto era sempre più veloce ed era fuggito! Dividersi in gruppi non era servito, e ora erano tutti lì ad attendere senza nemmeno sapere cosa, con Donnie che si era lamentato di non aver pensato prima di fare qualcosa che, ai suoi occhi, si era rivelato essere mettere le mani solo su una nuova tecnologia strana. E lui stava esplodendo! Stava morendo di preoccupazione e agitazione per ciò che sarebbe potuto accadere a Mikey! Su dove fosse…!
-Raph, calmati…- provò Leo dopo essere stato attirato da quel frastuono, con Donnie invece che si adoperava, sfruttando il satellite come la volta scorsa, con la propria intelligenza a scovare nuove informazioni.
-Non prendermi in giro! Come posso calmarmi? Mikey è scappato per chissà dove, e forse non lo ritroveremo più!-
-Raph…-
-E pensare che sembrava andasse tutto bene! Non sembrava turbato! E forse adesso capisco perché: aveva pianificato tutto, se ne voleva andare e lo ha fatto senza neanche un fottuto rimorso!- ruggì, stringendosi nelle spalle con una furia eccessiva nelle pupille, che vibrarono, quasi in procinto di esplodere, davanti a quella calme e tristi del più grande.
-Questo non lo possiamo sapere… E…-
-Taci!- proruppe poi, contro l’azzurro che decise di, sospirando, cedere e volgere gli occhi in direzione del terzo, di Donnie che continuava imperterrito nel suo tartassamento di tasti su una piattaforma informatica tascabile, corrucciato e piegato con la schiena, seduto sul divano e con la testa verso le ginocchia dove teneva le mani che reggevano e smuovevano tale oggetto, con Yoshi al suo fianco a sostenerlo con uno sguardo paterno, nonostante non capisse quali azioni stesse cercando di compiere, come nemmeno Leo che volle interrompere la sua concentrazione con una semplice frase:
-Donnie, cosa stai facendo?- nel dirlo udì distintamente Raph ringhiare, come pronto ad aggredire l’indifferenza del genio, ma che subito scattò in piedi vittorioso, nonostante gli occhi stanchi e arrossati per lo sforzo, e subito si voltò verso gli altri ragazzi per poter esclamare, felice, un urlo di gioia composto da tre semplici parole:
-Ho trovato Mikey!-
Ci furono alcuni minuti di silenzio, interrotti solo dal respiro di tutti loro, mentre Raph, boccheggiando sembrava non aver capito, al contrario di Leonardo che sospirò, come più leggero nel sentire tale scoperta, con Yoshi che, invece, dopo aver squadrato bene il giovane, si alzò in piedi, congratulandosi con il genio che, sorridendo lo ringraziò sfregandosi la chioma scura.
-Stai scherzando?-
-Certo che no! Mi sono connesso al suo telefono: non ha neanche rimosso la scheda e questo mi ha aiutato a localizzarlo. Andiamo!- esclamò fiero alle parole del rosso, raggiungendo in fretta la porta mentre quest’ultimo, sconcertato, rimase imbambolato, a fissare il nulla intanto che Leo, ghignando gli diede una pacca per invogliarlo a muoversi, senza fermarsi.
-E cosa intendiamo fare? Lui è voluto scappare: credete voglia tornare?- sbottò, voltandosi con furia nella loro direzione, quasi con odio, ma più verso di sé, per non essere servito a nulla nonostante volesse proteggere quel ragazzino, oltre l’inutilità del momento attuale, dove non sapeva se fosse una buona cosa agire verso qualcuno così ostinato a lasciarli, sebbene avesse fatto la guerra fino a quel frangente lui stesso per la mancanza di non poterlo trovare.
-Almeno gli parleremo, e poi voglio capire anche perché lo ha fatto.- divulgò, l’azzurro, gesticolando con una mano mentre Donnie apriva la porta prima di continuare: -E poi non intendo lasciarlo solo: lo faremo tornare qui, qui, dove sarà al sicuro. Non lo lascio. Anche se continuerà a fuggire, io lo andrò a riprendere ogni volta.-
Raph, rilassando le spalle fece una smorfia, un ghigno pienamente in accordo a quelle parole, tanto che annuì per poi seguirli nell’avere una chiarezza, sgranchendosi le braccia, facendole ruotare con fare possente attorno al suo corpo, incamminandosi e con Yoshi che si apprestò a raccomandargli di fare attenzione.
-E allora muoviamoci.- decretò il focoso, per poi scattare fuori con i due.
 
 
Atterrarono contemporaneamente sull’ennesimo tetto, fermandosi poi dal continuare e ostentando la vista che avevano davanti, con Raph pronto a saltare a terra, eppure Leo lo bloccò in fretta, osservando successivamente il genio, dietro, nella notte più buia che nascondeva i loro volti, che continuava a lavorare su quel localizzatore, unico fascio di luce oltre alle stelle.
-È questo il posto?-
-Sì, si trova in quell’hotel. Entriamo dalla porta sul tetto: non facciamoci vedere e cerchiamo la stanza. È tardi, dubito che la reception ci condurrà nella sua stanza, e anche se fosse così, appena Mikey lo saprà scaperà, quindi agiamo di nascosto come al solito.- esibì il proprio piano, a quel punto, chiaro e diretto mentre li raggiunse, ancora con gli occhi impuntati su quello schermo prima di spostarli e notare il baratro che li divideva dall’albergo, oltre alla careggiata sottostante.
-Sì, ma è strano.- bofonchiò il focoso, con una smorfia mentre cercava uno spunto, un indizio, tra le tante finestre e concentrandosi su quelle accese, in attesa di vedere Mikey in una di esse mentre i due lo guardarono, in attesa del continuo: -Perché andare in un hotel? Scappare per andare qui? Che poi, non aveva soldi, o documenti: non aveva nulla addosso, nemmeno un bagaglio sbrigativo…-
-Gli è lo chiederemo appena lo troveremo.- mormorò Leo, non volendo avere più timori con sé: -Cerchiamo di riportarlo a casa in fretta: è tutto quello che conta, no?-
-Sì.- sorrisero entrambi alle sue parole, per poi saltare giù in contemporanea, agili come sempre e silenziosi come i ninja che erano, scuotendosi e agendo assieme al vento, senza spostare, però nemmeno una foglia, e scattare successivamente verso la parete di quell’alloggio, aggrappandosi ad alcune sporgenze che permettevano più attrito, attaccandosi così alle finestre, ai balconi fino a giungere sul tetto. Non persero tempo e appena individuarono la porta su quel terrazzo, si precipitarono sulla maniglia, agitandola frenetica in un fare maniacale e quasi folle, ma non c’era nulla da fare: era chiusa. Raph spostò in fretta Leo e si chinò, sbrigativo nel cacciare il suo Sai e usufruendole all’interno della serratura, che appena scattò si affrettarono a spalancarla e a chiudersela alle spalle mentre percorsero le scale talmente veloci, in quel buio, da sembrare che non ci fossero nemmeno, di andare a tentoni, a fortuna pur di fare in fretta: Mikey aveva bisogno di loro.
 

 
Sobbalzò, singhiozzando al tempo stesso e alzando le spalle, tenendole rigide solo per poi rilassarle nel vedere la porta del bagno ancora chiusa, e sospirò, socchiudendo gli occhi e tornando a stringersi, a tenersi le braccia attorno alle gambe, abbracciandosi e consolandosi in quella notte così silenziosa, fredda e mite. Era ferma, immobile come lui, come il suo animo e il suo essere; stabile come la sua voglia di svanire nel nulla, insieme a quel buio. Almeno non era Rahzar quello ad aver scosso la porta, forse era stato il vento contro la finestra, alla fine, e lui per la paura e la poca lucidità non lo aveva capito subito, temendo il solito attacco da parte di quel padre, di quel mostro, che ancora respirava, russava, dentro quell’enorme e caldo letto. Come sintomo del fatto che fosse ancora vivo, e che, quindi, fosse ancora un pericolo… Anche lui aveva avuto un giaciglio comodo, in quei giorni, da condividere anche, con persone fantastiche. Sorrise.
Sorrise e tirò su il moccio del naso al tempo stesso, tra la malinconia e la leggerezza di quei ricordi, soprattutto, in quel momento, in quel gelo, era più pungente la memoria di quella calda sera in cui avevano giocato, sopra a quel tappetto, tra mille piume e altrettanti cuscini. Tutti insieme, e tutti spensierati. Forse anche lui lo era stato, quel giorno. Eppure gli sfuggiva la sensazione che aveva provato allora… Avrebbe voluto sentirla oltre che ricordarla, ma era impossibile, in quell’attimo esatto.
Doveva tornare a esserlo? Se si voltava poteva quasi rivederli, correre nella sua direzione e stringerlo, in un bagno come in un altro, come all’inizio… Quando lo avevano salvato in quella marea di sangue a lacrime, di disperazione e sapore di salata morte. Erano così delicati, con lui, anche Raph, in un certo modo, con il suo fare, era stato gentile con lui. E le ragazze… E Cat…
Una famiglia. Come il maestro Yoshi trattava Leo, e come aveva trattato lui… Per tanti anni era cresciuto vedendo solo crudeltà, capendo che solo quella potesse esistere… Eppure loro, quelli… Quelli non erano così, erano tutt’altro! Lo aveva sperimentato, e quasi, o meglio, non aveva davvero capito il motivo perché lo fossero.
Eppure lo erano.
Adorava che fossero così, perché era proprio così che erano e che sarebbero rimasti. Ma non con lui. Non più. Lui non doveva tornare a essere spensierato, perché non era come loro… Lui era abbandonato, triste e problematico, e ora era di nuovo solo. Di nuovo abbandonato. Ma, almeno, era perché lo voleva lui.
Perché lo voleva, vero?
Continuava a farsi questa domanda, a esserne sicuro, certo della risposta… Ma piangeva, singhiozzava, tremava, e sentiva il proprio cuore in procinto a spegnersi! Faceva male! Le lacrime scivolavano come pioggia battente su una finestra, senza tregua e colpendolo a fondo, mirando al suo essere, alla sua anima tormentata e vacillante nella pazzia di quella notte, fin troppo serena e accecante di luce, di quella delle stelle, della luna e dell’animo che aveva e che portava con sé il buio, dolce e forte. Si sfregò il capo d’istinto, sentendosi con la gola pizzicante, un turbine di crepitii che vorticavano, e trattenendo quello che non poteva rivelare: doveva stare zitto, zitto; non farsi sentire, essere invisibile e chiedere scusa se era vivo. Ancora vivo… Dolorante! Troppo! La testa faceva male! Lo uccideva con il suo modo di spezzare la sua lucidità!
Un coltello! Un coltello!
Era l’unico modo! Diamine, doveva soffrire! Ora! In fretta! Era il modo più bello che poteva attuare!
L’unico modo per riprendersi la serenità perduta con loro.
 

Doveva morire.
  
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