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Autore: heliodor    30/04/2019    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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"Orfar" disse l'uomo.
Indossava abiti laceri e camminava scalzo.
"Se avessi un cavallo come il tuo è lì che andrei" aggiunse.
Joyce si limitò ad annuire. Ogni tanto si univa a qualche gruppo che sembrava meno pericoloso degli altri solo per avere un po' di compagnia.
Sentiva la stanchezza afferrarle le membra e le pause che si concedeva erano sempre più lunghe. In una di queste, due giorni prima, si era addormentata risvegliandosi a pomeriggio inoltrato.
Per un attimo aveva temuto che le avessero rubato il cavallo e fatto del male a Bardhian, ma la povera bestia che usava per trasportare il principe era ancora al suo posto.
E anche Bardhian.
Dopo otto giorni di marcia non si era ancora svegliato del tutto. Ogni tanto apriva gli occhi e si guardava attorno spaesato.
"Che cosa?" aveva chiesto una mattina.
"Starai bene" lo aveva rassicurato Joyce, ma Bardhian era subito scivolato in un sonno profondo.
Anche lei era dimagrita. Non aveva mai avuto molta carne sulle ossa, ma quegli ultimi giorni l'avevano resa ancora più magra. Aveva dovuto stringere la cinghia della tunica perché non le scivolasse via mentre era distratta.
Il cavallo era quello che stava peggio. La povera bestia arrancava sul sentiero sbuffando e rantolando.
Joyce temeva che da un momento all'altro crollasse. Se fosse accaduto, come avrebbe fatto a trascinarsi dietro Bardhian?
Forse con una lettiga, pensò.
Ma lei non sapeva costruirla e non era sicura di avere abbastanza forze da poterlo trascinare dietro di sé per chissà quante miglia.
Lungo la strada c'erano dei villaggi e campi coltivati, ma erano vuoti e sembrava che gli abitanti fossero fuggiti via da tempo.
Qualche temerario, spinto dalla fame si era avventurato nelle fattorie, riferendo di averle trovate spogliate di qualsiasi bene.
Non c'era cibo, né animali da mangiare o scorte da saccheggiare.
Anche Joyce aveva pensato di darsi al saccheggio. Da due giorni non andava a caccia. Gli animali dei boschi sembravano spariti al passaggio dei profughi.
Qualcuno deve avere avuto la mia stessa idea, pensò divertita.
"Mi senti?" disse l'uomo scuotendola.
Joyce si voltò di scatto. "Che vuoi?"
"Ho detto che se avessi un cavallo andrei a Orfar."
"Non c'è niente per noi a Orfar" disse una donna. Aveva i capelli scarmigliati e sporchi. Tra le braccia reggeva un fagotto dal quale spuntava una minuscola mano, ma Joyce non l'aveva mai vista muoversi, né aveva udito un pianto.
Nonostante ciò, ogni tanto la donna cullava il fagotto e gli sussurrava qualche parola.
Joyce decise di non indagare e non chiederle niente. Non ne poteva più di tutto quell'orrore. Voleva andare a casa, a Valonde e dimenticarsi di tutto.
Non le importava più della magia, dei colossi, dei maghi supremi e di Arran Lacey. Era stata tentata di bruciare il compendio per riscaldarsi, ma aveva resistito.
Era successo una notte in cui il freddo era stato più intenso e Bardhian aveva tossito fino quasi a soffocarsi.
Orfar, si disse Joyce.
Era la capitale della regina Skeli. Lei e Bardhian erano stati alleati nella guerra contro Aschan.
Alleati fino a un certo punto.
Skeli si era accordata con la comandante dell'orda per cederle la città e solo l'intervento di Bryce l'aveva liberata.
Skeli non l'aveva nemmeno ringraziata e in cambio le aveva inviato numerosi messaggi in cui la minacciava chiedendole di tenere fede al suo impegno.
Come ha fatto Bryce a prometterle di sposare suo figlio? Si chiese. Forse è bello. Tutti i principi sono belli.
Vyncent era bello.
E Darran.
E anche Oren, anche se a modo suo.
E Marq.
Ma lui non era un principe.
La sua mente stava divagando di nuovo. Forse era la fame a trascinala in quella spirale di pensieri senza senso.
Strinse le redini come se volesse aggrapparsi a qualcosa di solido, di reale.
Ho già affrontato tutto questo, si disse.
Lune prima, quando aveva vagato per il deserto di fuoco, era stata sul punto di morire. Alil l'aveva trovata e salvata.
Lì non aveva né acqua né cibo, eppure era sopravvissuta.
Ce la farò anche stavolta, pensò.
Orfar.
Forse era davvero quella la soluzione. Qualcuno doveva pur conoscere Bardhian e ricordarsi di lui. E anche se la regina aveva del risentimento verso Bryce, non era sicuro che ce l'avesse anche verso il principe, che l'aveva aiutata a riconquistare la sua città.
Valeva la pena fare un tentativo.
Ci vollero altri cinque giorni di viaggio per raggiungere la città, con Bardhian aggrappato al cavallo e Joyce che doveva fare una fatica immane per convincere la povera bestia a fare un altro passo.
Altri avevano avuto la sua stessa idea.
Prima ancora di arrivare in vista di Orfar si ritrovò a viaggiare in un corteo lungo decine di miglia che si snodava nella pianura che circondava la città.
Uomini e donne che si trascinavano a fatica e continuavano ad avanzare spinti dalle ultime forze rimaste.
A ogni miglio contò decine di corpi allineati ai lati del sentiero. Chi cadeva veniva calpestato dagli altri e poi spinto verso l'esterno.
Qualcuno era ancora vivo e si trascinava sui gomiti, sorretto dall'istinto più che dalle proprie forze.
Joyce si sforzò di ignorare quelle persone. Lue prima si sarebbe adoperata per aiutarli, ma adesso sapeva di dover conservare le forze per raggiungere la città.
Se si fosse fermata, se fosse crollata a terra, era sicura che non si sarebbe più rialzata. Sarebbe morta lì, schiacciata da quelli che la seguivano, che a loro volta sarebbero stati schiacciati da quelli dietro di loro e così via.
I cancelli della città erano chiusi. Guardando in alto, verso le torri e i camminamenti sulle mura, colse lo scintillio delle armature e delle armi.
La gente premeva contro i cancelli chiedendo di entrare. Alcuni gridavano e cercavano di arrampicarsi sugli altri per... cosa?
Joyce non vedeva alcun motivo per darsi tanto da fare. Le porte sarebbero rimaste chiuse in ogni caso.
Qualcuno all'interno della città aveva deciso che non c'era spazio per tutti loro. Orfar non era Malinor. Era piccola e raccolta nelle sue mura. Poteva immaginare i suoi abitanti, grassi e ricchi, che tra un banchetto e l'altro scommettevano su quanti sarebbero morti prima del calare del sole.
La rabbia montò dentro di lei fino a farle desiderare di alzarsi in volo e scavalcare le mura per dare una lezione a quelle persone.
Ma avrebbe dovuto abbandonare Bardhian al suo destino.
Il principe sedeva sulla sella chinato in avanti, troppo debole per raddrizzarsi. Joyce aveva smesso di legarlo quando lui aveva strappato la corda in preda al delirio.
Da quel momento si limitava a sorvegliarlo perché non crollasse al suolo rompendosi l'osso del collo.
"Ascoltate" disse una voce proveniente dall'alto.
Qualcuno era salito sulla torre più alta e stava parlando alla folla. Da questa si levò un grido e la gente, come un'onda di risacca, si gettò verso i cancelli cercando di sfondarli.
"Ascoltate" gridò di nuovo la voce. "Non abbiamo cibo e acqua per tutti voi" proseguì. "Ma solo per quelli che possono lavorare e reggersi in piedi. La regina Skeli, nella sua immensa bontà, è disposta ad accogliere tra le sue mura solo quelli abbastanza forti da reggere una lancia o un aratro. Per questo motivo..."
Joyce non udì il resto.
Dalla folla partì il dardo di una balestra. Il proiettile si conficcò nell'intersezione delle mura a lì rimase.
L'uomo che aveva parlato si ritrasse dopo aver fatto un cenno a qualcuno alle sue spalle. Sui merli apparvero dei soldati armati di arco e dalle feritoie spuntarono punte di freccia.
Joyce capì quello che stava per accadere quando qualcuno dalle prime file gridò.
Dall'alto piovve qualcosa di liquido che li investì in pieno. Nello stesso momento, iniziarono a cadere dardi e frecce.
Un uomo venne colpito all'occhio e stramazzò al suolo. Un ragazzo si trascinò zoppicando con una freccia che gli sbucava dalla gamba sinistra.
"Ci uccidono" gridò una donna.
"Maledetti orfar" le fece eco un uomo.
Dalle prime file e persone in fuga spinsero quelli dietro di loro creando un'onda che si propagò verso l'esterno.
Joyce afferrò le redini e si issò in sella. Attorno a lei cadevano frecce e dardi colpendo alla cieca.
"Samari Ortas" mormorò. Lo scudo magico l'avvolse e con essa Bardhian e il cavallo.
Le frecce continuarono a cadere con meno intensità. Lo scudo ne deviò qualcuna, ma una delle ultime colpì il cavallo al collo.
L'animale si imbizzarrì e cercò di disarcionarli. Joyce trascinò a terra Bardhian un attimo prima che il cavallo crollasse al suolo.
Con lo scudo ancora alzato attese che la pioggia di dardi finisse.
Quando accadde, si guardò attorno. Centinaia di uomini e donne giacevano a terra. Alcuni sembravano dei puntaspilli sui quali un sarto si era accanito.
Una donna si trascinava a fatica cercando di fuggire, due frecce che le spuntavano dalla schiena. Riuscì a percorrere una decina di passi prima di emettere un rantolo e crollare.
Un uomo reggeva la testa di un anziano, stringendola al petto.
"Akylas" mormorò. "Non doveva finire così. Non doveva finire..."
Il cancello si sollevò con un rumore di ingranaggi e catene. Dall'entrata aperta uscirono due dozzine di cavalieri in armatura armati di spade e scudi.
Avanzarono lungo il sentiero facendosi strada tra i corpi. Quelli che non si muovevano venivano calpestati senza pietà.
Un ragazzo cercò di aggrapparsi alle redini di uno dei cavalli, ma il cavaliere lo trafisse con la spada e poi lo allontanò con un calcio.
"Non vi avvicinate se non volete morire" gridò il cavaliere in testa.
Una donna corse verso di lui con le braccia alzate. "Prendetemi con voi. Prendetemi..."
Il cavaliere la travolse scaraventandola di lato. La donna atterrò sul fianco, rotolò per un paio di metri e giacque immobile.
Il cavaliere in testa indicò Joyce con la spada tesa. "Quella lì. È una strega. Ha usato uno scudo magico per deviare i nostri colpi. Prendetela, potrebbe esserci utile."
Due soldati si avvicinarono a Joyce. "Vieni con noi."
Joyce si strinse a Bardhian.
"Ti ho detto di venire."
Un soldato l'afferrò per il braccio e la costrinse ad alzarsi. Joyce cercò di resistere ma era troppo debole.
"Di questo che ne facciamo?" chiese un terzo soldato.
"Quello è mezzo morto. Uccidilo."
Il soldato sollevò la spada.
Con le ultime forze Joyce evocò la corda magica e gliela lanciò contro, avvolgendogli il braccio.
L'altro soldato estrasse la spada. "Liberalo o ti taglio la gola."
"No" disse Joyce. "Quello è Bardhian, principe di Malinor."
Il soldato rise. "E io sono il principe senza corona. Aspetta che vado a chiamare la strega dorata."
Joyce fu tentata di colpirlo alla gola con un dardo, ma avrebbe solo peggiorato le cose. "È lui, vi dico. Se lo uccidete la regina Skeli se la prenderà con voi."
Il soldato sembrò esitare. "Tu non sai niente, straniera."
"Se è così allora fai pure." Joyce annullò la corda magica.
Il soldato rimase col braccio sollevato, come se fosse incerto sul da farsi. Guardò il compagno che tratteneva Joyce, come se si aspettasse un aiuto.
"Che vuoi che faccia?"
"Non lo so. Aspettiamo Desmodes."
"Sì, aspettiamo Desmodes, è meglio."
Il comandante tornò indietro. "Che succede qui?"
"Capitano" Desmodes." Indicò Joyce. "Dice che quello lì è il principe di Malinor, Bardim."
Joyce sospirò rassegnata.
Il comandante alzò la celata dell'elmo e gettò un'occhiata a Bardhian. "Ho combattuto con lui nella battaglia quando abbiamo preso la Torre Vecchia. Fatemelo vedere."
Uno dei soldati sollevò la testa di Bardhian con un gesto rude. Il principe emise un debole lamento.
"Portateli dentro. Tutti e due."
I soldati sollevarono Bardhian e lo trascinarono verso il portone.
Il comandante smontò da cavallo e si avvicinò a Joyce. "Come ti chiami?"
"Sibyl" rispose.
Lui annuì. "Se mi hai mentito, ti farò uccidere."

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