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Autore: heliodor    01/05/2019    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Fiducia reciproca
 
L'uomo che i soldati avevano chiamato Desmodes sedeva a un capo del tavolo. Indossava un vestito di lana grossolano con sul petto ricamato un leone dai colori stinti e smorti. Gli occhi erano infossati e il mento sfuggente, il tutto incorniciato da capelli radi e chiari.
La fissava con sguardo accigliato da quando si era seduta allo stesso tavolo, o meglio si era abbandonata sulla sedia, esausta dopo essere stata trascinata a forza in quell'ala del castello.
Poi era arrivato un valletto con un vassoio pieno di frutta e carne arrostita e una brocca colma di acqua.
Joyce si era gettata sulla carne e l'aveva divorata con grossi morsi fino ad avere la bocca piena.
Aveva masticato per qualche minuto e poi ingoiato il tutto quasi strozzandosi. L'acqua, fresca e limpida, l'aveva aiutata a mandar giù tutto.
"Spiegami di nuovo come siete arrivati qui."
Joyce posò il bicchiere sul tavolo e raccolse i pensieri. Durante il viaggio verso Orfar aveva pensato a una buona storia da raccontare.
"C'è stato un attacco da parte dell'orda" disse.
"Questo lo sappiamo già. Sono giorni che arrivano disperati che raccontano di mostri giganteschi che avrebbero distrutto le mura e bruciato Malinor e sono quasi tentato di crederci anche io."
"È tutto vero" disse Joyce. "Quei mostri esistono." Era inutile mentire su quel punto. "Io li ho visti."
Desmodes aveva annuito grave. "Quanti erano questi mostri? Decine? Centinaia?"
"Uno" disse Joyce.
Desmodes batté il pungo sul tavolo facendola sobbalzare. "Mi stai dicendo che una sola di quelle creature ha distrutto le mura di Malinor e devastato la città?"
Joyce annuì. "Ce n'era anche un'altra che lanciava sfere infuocate."
"Un'altra? Vuoi dire che era... femmina?"
Joyce annuì di nuovo. "Non una donna normale, se così si può dire. Ne aveva l'aspetto."
Ricordava bene quel colosso. Aveva seni e forme femminili, ma come il colosso maschio, il suo inguine era liscio e piatto. Il che le aveva fatto sorgere il dubbio se fosse lecito o meno distinguerli in maschio e femmina.
Desmodes sospirò. "Come avete fatto a fuggire dalla città?"
"Abbiamo trovato un cavallo e siamo andati a uno dei cancelli."
"E siete andati via così, abbandonando i vostri amici e compagni?"
A Joyce non restò altro da fare che annuire. Per giorni si era ripetuta che Vyncent le aveva affidato un compito. Salvare Bardhian e portarlo dalla madre Joane, ovunque fosse.
Lei stava solo cercando di tenere fede al suo giuramento, ma dentro di sé sapeva che era solo una scusa.
Una vera strega sarebbe rimasta e avrebbe affrontato il nemico, non sarebbe scappata via come una ladra.
Ma lei non era una vera strega e il dilemma restava. Aveva fatto la cosa giusta o no?
Desmodes scosse la testa. "Credo solo a metà delle parole che hai detto, Sibyl. Dimmi di nuovo da quale circolo vieni."
"Berger" disse Joyce.
Desmodes grugnì qualcosa. "Non conosco nessuno di lì, quindi non posso dire se è vero o meno. Che ci facevi a Malinor?"
"Volevo combattere contro l'orda. Ma quando sono arrivata in città l'esercito di re Alion era già partito e ho deciso di restare."
"Anche questa mi sembra una bugia."
Joyce si strinse nelle spalle.
"Se mi hai mentito..."
"Mi farai uccidere?" disse Joyce con tono sfrontato.
"Ti metterò sulla prima nave per Krikor." Sbatté il pugno sul tavolo. "Se avessimo un porto, è ovvio. Quindi dovrei comunque ucciderti." Si alzò di scatto. "Ora vado, ma lascerò due stregoni di mia fiducia a sorvegliarti. Non fami pentire di averti dato fiducia."
"Come sta Bardhian?"
"I guaritori lo stanno ancora visitando."
"Voglio vederlo."
"No."
"Perché?"
Desmodes ghignò. "Perché sei una dannata bugiarda, ecco perché. Quando hai finito fatti portare nella tua stanza. Poi decideremo che cosa fare di te." Fece una pausa. "E fai un bagno. Hai un odore tremendo."
La stanza era più ampia e comoda di quanto si fosse aspettata. C'era un vero letto, un armadio pieno di vestiti nuovi o quasi e dei bauli. E c'era persino uno specchio.
Ciò che mancava era una finestra, fatta eccezione per una feritoia orizzontale che lasciava passare un po' d'aria.
I suoi carcerieri erano due stregoni dall'aria annoiata che non si presero il disturbo di dirle i loro nomi.
Uno era anziano, forse sui cinquanta o sessanta anni. L'altro era più giovane, ma non di molto.
Lasciarono Joyce da sola e chiusero la porta alle sue spalle, ma non a chiave.
Appoggiò la borsa a terra e ne tirò fuori il compendio e il libro di Hopott. Erano ancora avvolti nelle bende, ben protetti. Li sistemò dietro l'armadio, in un punto dove non potevano essere visti senza spostare il mobile.
Joyce non osò sedere sul letto finché delle ancelle non vennero a prenderla per portarla ai bagni.
Il castello aveva delle camere dove gli abitanti potevano lavarsi. Le ancelle le prepararono una vasca e portarono via i vestiti sporchi e laceri lasciandogliene di nuovi.
Prima di immergersi nell'acqua si assicurò che non ci fossero i suoi silenziosi guardiani a osservarla.
L'acqua era fredda, ma non gelata. Joyce la trovò piacevole lo stesso dopo venti giorni passati all'addiaccio.
Si frizionò la pelle piena di vesciche ed escoriazioni fino a togliere la patina di sporco che la ricopriva.
Quando ebbe finito, le ancelle tornarono e con discrezione la scortarono alla sua stanza. Poco più dietro, notò gli stregoni che la seguivano ancora.
Davanti alla porta trovò Desmodes che l'attendeva.
"La regina Skeli vuole parlarti" disse il soldato.
"Prima voglio vedere Bardhian."
Desmodes divenne paonazzo. "Stupida. Non si fa aspettare la regina di Orfar. Ora mettiti uno degli abiti che ti abbiamo dato. Ti aspetterò qui fuori."
Joyce entrò nella stanza che le mancava il respiro. Skeli e Bryce non erano in buoni rapporto per quanto ne sapeva, ma non aveva idea di cosa pensasse di Bardhian.
Dai racconti che le avevano fatto sulla battaglia di Orfar, Bardhian aveva aiutato Skeli a riconquistare il suo regno, ma nel frattempo poteva essere cambiato tutto.
Dall'armadio scelse un abito di seta rosso e azzurro con una gonna ampia. I colori erano grigi e smorti come se fossero stati lavati più volte. Si chiese e quella fosse la moda lì a Orfar o se le avessero dato di proposito degli scarti.
Poco male, si disse. Cerchiamo di fare una buona impressione nonostante tutto. Indossò delle scarpe comode e si pettinò i capelli.
La chioma fluente di Sibyl era facile da domare, non come i capelli simili a paglia che la natura le aveva dato.
Un altro punto a favore della bella maga.
Forse era per quello che Lacey l'aveva tanto amata da seguirla nel suo esilio? Per la bellezza? O c'era dell'altro?
Nessuno rischia la propria vita solo per amicizia, le aveva detto Vyncent una volta.
Sospirò e uscì dalla stanza. Desmodes era ancora lì come aveva promesso.
"Ce ne hai messo del tempo."
"Voglio ancora vedere Bardhian" disse Joyce con voce ferma. "Ma prima incontrerò la regina Skeli."
"Sua maestà la regina Skeli" la corresse lui.
Joyce scrollò le spalle. "È uguale."
"Sei un'impertinente. Vieni, è tardi."
Skeli l'attendeva in un'ampia sala illuminata da pesanti candelabri dorati. Lungo le pareti di pietra erano appesi arazzi dai soliti colori scuri e grigi.
Quindi è una specie di tradizione, pensò Joyce divertita.
La regina le era stata descritta da Elvana almeno un paio di volte, quindi era preparata. La sovrana era la donna più enorme che avesse mai visto in vita sua. Era distesa su un grande triclino davanti al quale era stato posizionato un tavolino dorato.
Su di esso vi erano dei vassoi pieni di dolci e frutta dall'aspetto invitante. Joyce adocchiò subito le noci.
Un secondo tavolo per sei persone era stato sistemato davanti a quello della regina, in modo da dare l'impressione che ne fosse la continuazione.
Uno dei posti era occupato da un ragazzo sui trent'anni che sedeva con la testa incassata nelle spalle e lo sguardo basso.
Desmodes la precedette nella sala. "Maestà, vi ho portato la strega di nome Sibyl come mi avevate chiesto."
"Maestà" disse Joyce eseguendo un inchino come le era stato insegnato a Valonde. "È un onore...
"Sibyl" disse Skeli con voce impastata. "Da tempo desideravo incontrare di persona la strega rossa."
Joyce sgranò gli occhi sentendosi chiamare con il suo soprannome. Era sicuro di non averlo usato con Desmodes e i soldati. Come aveva fatto a riconoscerla?
"Non fare quella faccia sorpresa" disse la regina. "E siedi alla mia tavola. Ti considero un’ospite di riguardo, Sibyl."
Joyce scelse la sedia di fronte a quella del ragazzo.
"Conosci mio figlio Kymenos?" domandò Skeli.
Joyce ne aveva sentito parlare e non in modo lusinghiero. Vyncent lo considerava un povero sventurato vittima della stessa madre.
"Non ho mai avuto questo onore."
"Non di persona, certo" disse la regina. "Ma immagino che la strega dorata te ne abbia parlato, no? In fondo è il suo promesso sposo."
Joyce sapeva anche quello, ma non immaginava che lo sapesse anche Skeli. Come faceva quella donna a conoscere tante cose di lei? Voleva farla sentire in svantaggio per qualche motivo o voleva solo divertirsi con lei?
"So quello che mi hanno riferito. Dicerie" disse con tono neutro.
"Dicerie, sì" disse Skeli sorridendo. "Ma non è una diceria che quella traditrice di Bryce dovesse sposarlo. Dovevamo unire le dinastie di Orfar e di Valonde e lei che ha fatto? È fuggita via con quel principe mezza corona."
"Senza" sussurrò Kymenos.
"Come hai detto figlio mio? Lo sai che non devi bisbigliare in mia presenza."
"Senza" disse Kymenos alzando un po' la voce. "Senza corona, madre" aggiunse senza alzare gli occhi.
Skeli afferrò un frutto di colore viola e lo lanciò verso il figlio, colpendolo alla fronte.
Joyce sobbalzò per la sorpresa e guardò la regina.
"Mi correggi anche, adesso? Lo sai che non devi mancarmi di rispetto davanti agli ospiti."
"Perdonami madre" disse il ragazzo.
"Sei perdonato" disse Skeli facendo un gesto vago con la mano. "Di cosa stavamo parlando? Ah sì, c'era un accordo tra me e la principessa Bryce e lei ci ha sputato sopra. E io..."
Un valletto si presentò sulla porta.
"Che vuoi?" chiese Skeli con aria annoiata.
"La cena per la vostra ospite, maestà. Mi avete ordinato di portarla subito dopo il suo arrivo."
"E allora sbrigati, che aspetti?"
Uno dei valletti portò un vassoio e lo appoggiò sul tavolo di fronte a Joyce. Nel piatto c'erano della frutta, del formaggio e delle noci.
Proprio quelle che piacciono a me, pensò Joyce meravigliata. Ne ho mangiate moltissime a Malinor.
Sollevò la testa di scatto. "Chi era la spia? Igar?" chiese all'improvviso.
Skeli rise. "Brava. Dico sul serio. Come ci sei arrivata?"
"Mentre ero a Malinor è andato e venuto più volte da Orfar portando i tuoi messaggi e le risposte di Bryce" spiegò Joyce.
Skeli annuì. "Non mi ha portato solo dei cartigli. La sua missione era molto più delicata e importante."
Joyce si accigliò.
"Ma non parliamo di questo. Ormai è acqua passata."
Joyce conosceva quel modo dire. Significava che Skeli considerava la questione chiusa o risolta. Si era rassegnata a non unire la sua casata a quella di Valonde? Questo la sollevò. Avere come parente quella donna l'avrebbe atterrita.
"Parliamo di fiducia. Fiducia reciproca." Skeli prese un frutto e lo addentò. "Non hai toccato ancora niente cara. Non hai fame?"
Joyce spaccò il guscio di una noce e ne mangiò il frutto. Era buono, non quanto quelli mangiati a Malinor, ma era di certo buono.
Assaggiò anche il formaggio. Era acido e le pizzicava la lingua, ma dopo un paio di bocconi si era già abituata.
"È di tuo gradimento?"
"Sì, maestà" disse Joyce.
Skeli sorrise. "Sai, il mio ultimo marito, Hilaia, era seduto proprio lì, al tuo posto, l'ultima volta che l'ho visto in vita." La regina sospirò. "Proprio così. Stava mangiando noci e formaggio, il suo piatto preferito. Aveva appena addentato un pezzo di quel gustoso formaggio e si stava godendo quel boccone quando all'improvviso... si ritrovò con la testa nel piatto."
Joyce si accorse di stare ancora masticando. Buttò giù il formaggio a fatica. La gola le si era seccata.
"Stavi parlando di fiducia" disse Joyce per cambiare discorso.
Skeli annuì. "Sì, brava. Fiducia, proprio di quella volevo parlarti. Mi chiedevo se tu ne avessi in noi, strega rossa."
"Io vi conosco appena, Maestà" disse Joyce.
Skeli cambiò espressione. "Ed è un buon motivo per venire in casa mia come una ladra?"
Joyce capì di aver sbagliato risposta. "Io non so di cosa..."
Skeli fece un cenno con la testa e Desmodes apparve davanti a lei. Quando Joyce vide luccicare gli occhi del cavaliere capì di essere perduta.

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